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ECONOMIA - HOEPLI.it

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Indice<br />

<strong>ECONOMIA</strong> VOLUME 1<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Indice<br />

economia<br />

1VOLUME<br />

UD 1 eco. L1<br />

La scienza economica e le altre scienze umane 22<br />

UD 1 eco. L2<br />

Consumo e benessere 26<br />

UD 2 eco. L1<br />

La new economy 27<br />

UD 2 eco. L2<br />

Italia, dieci anni di e-commerce e ancora fanalino di coda in Europa 30<br />

UD 3 eco. L1<br />

Le scoperte geografiche del XV secolo 32<br />

UD 3 eco. L2<br />

Le condizioni degli operai fra il XVIII e il XIX secolo 36<br />

UD 3 eco. L3<br />

I socialisti utopisti 37<br />

UD 4 eco. L1<br />

Il consumerismo. Che cos’è, dove, come e perché nasce 38<br />

UD 4 eco. L2<br />

Consumi, <strong>it</strong>aliani più prudenti. E 3 su 4 cambiano menù 40<br />

UD 4 eco. L3<br />

Istat, allarme cred<strong>it</strong>o al consumo. Il 14,4% degli <strong>it</strong>aliani in difficoltà 42<br />

UD 4 eco. L4<br />

Il concetto di rischio finanziario 44<br />

UD 5 eco. L1<br />

Quando è nata la catena di montaggio? 48<br />

UD 5 eco. L2<br />

Gli effetti della concorrenza cinese 50<br />

UD 5 eco. L3<br />

Strategie e management 54<br />

UD 6 eco. L1<br />

Il Welfare alla spagnola 56<br />

UD 7 eco. L1<br />

Prevedere l’imprevedibile? Oggi va di “moda” 58<br />

UD 7 eco. L2<br />

Si può riconoscere alla pubblic<strong>it</strong>à un ruolo sociale? 62<br />

UD 7 eco. L3<br />

Un occidentale senza consumismo? Impazzirebbe... 65<br />

UD 8 eco. L1<br />

Il Libro Bianco sul Welfare 67<br />

UD 8 eco. L2<br />

I dati del recru<strong>it</strong>ing on line 68<br />

UD 9 eco. L1<br />

Tariffe r<strong>it</strong>occate, al via le ispezioni 70


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 1 Le regole nella società<br />

22<br />

Lettura UD 1 eco. L1<br />

La scienza economica e le altre scienze umane<br />

La lettura che proponiamo di segu<strong>it</strong>o propone un quadro delle scienze umane,<br />

ne individua le caratteristiche, gli oggetti e i metodi di indagine e spiega i rapporti<br />

fra l’economia pol<strong>it</strong>ica e le altre scienze umane.<br />

1 Quadro generale delle scienze<br />

Quando una conoscenza può essere considerata scienza? Quando possiamo definire<br />

con chiarezza il suo oggetto, il suo amb<strong>it</strong>o operativo, i concetti-chiave del suo linguaggio<br />

specifico, i suoi principi (formulati in modo tale da essere compresi da tutti) e il suo metodo<br />

di indagine.<br />

Le scienze vengono tradizionalmente classificate, a seconda dell’oggetto di cui si occupano,<br />

in:<br />

a) scienze fisiche, che studiano il mondo sensibile;<br />

b) scienze naturali, che descrivono il mondo organico e inorganico;<br />

c) scienze matematiche, che cost<strong>it</strong>uiscono l’insieme di teorie astratte utilizzate nello studio<br />

di altre discipline;<br />

d) scienze umane, che studiano l’uomo e i suoi rapporti con l’ambiente e i suoi simili.<br />

In questa sede ci interessa focalizzare la nostra attenzione sulle scienze umane.<br />

2 Caratteristiche delle scienze umane<br />

Esse si basano, in molti casi, su osservazioni per lo più non sperimentali, su ipotesi non<br />

sempre pienamente verificabili. In altri termini, possiamo r<strong>it</strong>enere che, poiché ogni scelta<br />

umana subisce l’influenza di infin<strong>it</strong>e variabili, le nostre azioni non sono rigidamente prevedibili.<br />

Le leggi elaborate da tali scienze, quindi, esprimono solo tendenze e non hanno<br />

un valore assoluto; si tratta di ver<strong>it</strong>à provvisorie, che possono sempre essere rielaborate e<br />

corrette, alla luce di nuove teorie scientifiche e nuovi fatti.<br />

Gli scambi e la collaborazione fra queste discipline per la soluzione di vari problemi sono<br />

in continuo aumento.<br />

Tutte le scienze umane possono essere considerate, nel loro complesso, come scienze<br />

giovani, visto che la loro nasc<strong>it</strong>a risale, per lo più, alla seconda metà del XIX secolo, o ai<br />

primi decenni del secolo scorso.<br />

3 Classificazione delle scienze umane<br />

Le scienze umane comprendono:<br />

a) le scienze storiche, che analizzano la tradizione e il passato;<br />

b) le scienze psicologiche, che si occupano dei comportamenti dell’uomo e delle motivazioni<br />

che li generano, prevalentemente nella dimensione individuale;<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 1 eco. L1<br />

Il problema economico UNITÀ 1<br />

c) le scienze sociali, che studiano l’uomo nella sua dimensione sociale, cioè come membro<br />

di una collettiv<strong>it</strong>à.<br />

4 Rapporti fra l’economia pol<strong>it</strong>ica e le altre scienze<br />

L’economia pol<strong>it</strong>ica è una scienza sociale che studia le attiv<strong>it</strong>à umane finalizzate al soddisfacimento<br />

dei bisogni mediante l’impiego di mezzi lim<strong>it</strong>ati. Essa, quindi, osserva il comportamento<br />

dell’uomo da un ben preciso punto di vista. Dobbiamo tenere presente,<br />

però, che di punti di vista ne esistono tanti altri, di ognuno dei quali si occupa una particolare<br />

scienza.<br />

Adesso cercheremo di chiarire di che cosa si occupano alcune importanti scienze e quali<br />

legami hanno con l’economia pol<strong>it</strong>ica.<br />

A Psicologia<br />

Il termine significa “ studio della psiche”, cioè dell’anima, della mente e compare nel secolo<br />

XVII, per opera del filosofo umanista e riformatore tedesco Melantone. Tuttavia, fino<br />

alla prima metà del secolo XIX la psicologia viene ancora considerata come un ramo della<br />

filosofia, che studia la natura dell’anima mediante ragionamento.<br />

La psicologia scientifica nasce nella seconda metà dell’Ottocento, periodo nel quale alcuni<br />

scienziati (naturalisti, fisici, medici e fisiologi), cominciano ad analizzare i processi psichici<br />

utilizzando il metodo empirico (cioè basato sull’esperienza), proprio delle scienze<br />

naturali.<br />

Quando si parla di psicologia in generale, oggi, ci si riferisce allo studio del comportamento<br />

degli animali e degli uomini. Per i primi, ci si basa su dati rilevabili dall’esterno; per<br />

gli esseri umani invece, si esaminano: la sfera affettiva (emozioni, aspettative, sentimenti<br />

ecc.), i meccanismi coscienti e inconsci della mente (memoria, percezione, intelligenza<br />

ecc.) e i fattori che li condizionano.<br />

La psicologia si divide in vari rami, tra i quali, in questa sede, ci interessa ricordare la psicologia<br />

sociale. Essa è ormai considerata una disciplina autonoma e indaga i fattori sociali<br />

e culturali che sono alla base della personal<strong>it</strong>à dell’individuo, i rapporti tra il comportamento<br />

individuale e quello sociale e le relazioni che si sviluppano sia all’interno dei piccoli<br />

gruppi, sia dei grandi aggregati umani, sia dei mass media. Si pone a metà fra la psicologia<br />

individuale e la sociologia.<br />

Per comprendere quali sono i collegamenti fra la psicologia e l’economia pol<strong>it</strong>ica, basterà<br />

pensare ai cr<strong>it</strong>eri di selezione del personale in un’azienda, ai meccanismi che adotta la<br />

pubblic<strong>it</strong>à per far nascere in noi molti bisogni, alle suggestioni che influenzano l’andamento<br />

del mercato borsistico (analizzeremo tali fenomeni nel corso delle varie un<strong>it</strong>à).<br />

B Sociologia<br />

Il termine significa letteralmente “scienza della società” ed è stato coniato dal filosofo pos<strong>it</strong>ivista<br />

francese A. Comte, nel 1824, generalmente r<strong>it</strong>enuto il fondatore della sociologia<br />

scientifica.<br />

La sociologia studia i fatti e i fenomeni sociali, ne ricerca le leggi e considera la condotta<br />

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23<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 1 Il problema economico<br />

24<br />

UD 1 eco. L1<br />

umana come il prodotto della v<strong>it</strong>a nel gruppo di appartenenza. Ciascuno di tali gruppi<br />

viene analizzato nelle peculiar<strong>it</strong>à che lo distinguono da tutti gli altri: regole di comportamento,<br />

linguaggio, codici ecc.<br />

Per capire meglio di che cosa si occupa questa disciplina, nella sua forma classica, possiamo<br />

esaminare brevemente alcuni suoi concetti fondamentali: quelli di sistema sociale, di<br />

classe sociale, di stratificazione sociale e di mobil<strong>it</strong>à sociale:<br />

1. un sistema sociale è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dall’insieme dei ruoli svolti dagli individui e dai rapporti<br />

di reciproca dipendenza esistenti fra tali ruoli;<br />

2. il concetto di classe sociale presenta la società come insieme di gruppi che si contrappongono<br />

e si contrastano;<br />

3. la stratificazione sociale stabilisce una connessione fra le differenti condizioni degli<br />

individui e il diverso peso che la società attribuisce alle varie attiv<strong>it</strong>à da questi svolte<br />

(tale scala dipende da quanto una determinata società punta su ciascuna attiv<strong>it</strong>à);<br />

4. la mobil<strong>it</strong>à, infine, spiega se e come sia possibile passare da un gruppo ad un altro, sia<br />

nel corso delle generazioni, sia nell’arco della v<strong>it</strong>a di uno stesso individuo.<br />

Anche all’interno della sociologia distinguiamo vari rami: sociologia pol<strong>it</strong>ica, sociologia del<br />

dir<strong>it</strong>to, sociologia della conoscenza ecc.<br />

Numerosi i punti di contatto fra la sociologia e l’economia pol<strong>it</strong>ica. Un esempio per tutti<br />

è dato dalle tecniche utilizzate per le ricerche di mercato, che forniscono varie informazioni<br />

su: bisogni, gusti, ab<strong>it</strong>udini dei consumatori, spir<strong>it</strong>o di emulazione, che spinge ad<br />

im<strong>it</strong>are i consumi di chi è più ricco. Tutto ciò e molto altro serve a capire come il prodotto<br />

deve essere collocato sul mercato e con quali modal<strong>it</strong>à di vend<strong>it</strong>a (marketing).<br />

C Antropologia culturale<br />

L’antropologia studia la specie umana e ne analizza la biologia evolutiva o le caratteristiche<br />

socio-culturali.<br />

Queste ultime cost<strong>it</strong>uiscono la sfera di competenza dell’antropologia culturale, scienza<br />

sociale che spiega i motivi per cui in un popolo piuttosto che in un altro si affermano<br />

certe usanze, credenze o valori.<br />

Cost<strong>it</strong>uiscono l’oggetto della sua indagine: le strutture della parentela e del matrimonio,<br />

del dir<strong>it</strong>to, delle forme di governo e delle organizzazioni sociali, dell’economia e dei<br />

metodi produttivi, delle arti, delle religioni e dei relativi r<strong>it</strong>i, della cura della salute psico –<br />

fisica, del linguaggio e di ogni altro aspetto della civiltà. Il termine “cultura” acquista, quindi,<br />

in questo campo, il significato particolare di complesso delle ab<strong>it</strong>udini condivise da un<br />

popolo.<br />

D Linguistica, scienza della comunicazione, storia economica e geografia economica<br />

La linguistica studia le lingue, per meglio dire il linguaggio verbale dell’uomo in tutti i<br />

suoi aspetti e manifestazioni.<br />

La scienza della comunicazione si occupa della trasmissione di informazioni mediante<br />

messaggi cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i da particolari segnali. Tale relazione può stabilirsi fra due sistemi di<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 1 eco. L1<br />

Il problema economico UNITÀ 1<br />

uguale o di diversa natura (tra macchine, tra animali, tra uomini, tra uomo e macchina).<br />

Può ben comprendersi la rilevanza delle tecniche di comunicazione in pubblic<strong>it</strong>à, soprattutto<br />

quando ci si vuole rivolgere a consumatori di vari paesi.<br />

La storia economica dal punto di vista temporale, la geografia economica dal punto di<br />

vista spaziale, studiano le varie forme di organizzazione economica che ciascuna comun<strong>it</strong>à<br />

può attribuirsi.<br />

E Dir<strong>it</strong>to<br />

Il dir<strong>it</strong>to ha la funzione di definire l’insieme coordinato delle norme in vigore in ciascuno<br />

Stato. Il rispetto di tali norme, cui tutti sono tenuti, consente lo svolgimento pacifico e<br />

ordinato della v<strong>it</strong>a sociale. Si possono ben immaginare i risvolti pos<strong>it</strong>ivi in campo economico:<br />

per esempio, la garanzia che le attiv<strong>it</strong>à di utilizzazione delle risorse naturali, di produzione<br />

e distribuzione dei beni realizzati dall’uomo si svolgano correttamente e che<br />

eventuali confl<strong>it</strong>ti d’interessi vengano risolti in modo equo.<br />

F Scienza delle finanze e pol<strong>it</strong>ica economica<br />

È quel ramo della scienza economica che studia i principi economici, giuridici e sociali in<br />

base ai quali si svolge l’attiv<strong>it</strong>à finanziaria e gli effetti che quest’ultima produce sui soggetti<br />

e sulle loro relazioni all’interno della società. L’attiv<strong>it</strong>à finanziaria è svolta dallo Stato al<br />

fine di procurarsi le risorse economiche che consentano di far fronte ai costi di gestione<br />

dei servizi pubblici (prestazioni necessarie a soddisfare i bisogni maggiormente avvert<strong>it</strong>i<br />

dalla collettiv<strong>it</strong>à).<br />

La pol<strong>it</strong>ica economica è alla base della scienza delle finanze ed è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dall’insieme<br />

delle scelte di intervento statale per influenzare e correggere l’andamento del sistema<br />

economico. Tale intervento persegue fini di carattere generale e si sostanzia nella fissazione<br />

di obiettivi (sviluppo della ricchezza nazionale e dell’occupazione, equa ridistribuzione<br />

personale e terr<strong>it</strong>oriale della ricchezza, stabil<strong>it</strong>à dei prezzi, equilibrio dei conti con<br />

l’estero) e nella messa a punto di strumenti idonei a raggiungerli.<br />

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25<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 1 Il problema economico<br />

26<br />

Lettura UD 1 eco. L2<br />

Consumo e benessere<br />

Quali sono i lim<strong>it</strong>i dello sviluppo? Che cos’è il consumismo? Quali danni provoca? La<br />

lettura seguente cerca di dare, in modo semplice e sintetico, una risposta a tali domande.<br />

Per molto tempo si è creduto che lo sviluppo fosse da paragonare a una torta che cresce<br />

in continuazione, in modo che tutti possano gradualmente averne una fetta più grande,<br />

senza che nessuno sacrifichi niente. Tale idea potrebbe funzionare qualora lo sviluppo<br />

fosse senza fine; qualora, cioè, lo sviluppo potesse continuare senza lim<strong>it</strong>i. Ma anche lo<br />

sviluppo ha dei lim<strong>it</strong>i. La conseguenza è che il nostro benessere non può essere diffuso<br />

ovunque nel mondo. È impossibile aspirare a una eguaglianza nella quale tutti possano<br />

condividere lo stesso standard di v<strong>it</strong>a, perché se tutti seguissero il nostro esempio, avremmo<br />

bisogno di cinque, sei pianeti che servano da miniera o da discarica. [...]<br />

Tale concezione dello sviluppo ha ottenuto un altro particolare risultato: ha creato una<br />

classe consumistica mondiale. Ha creato un mondo di persone che hanno possibil<strong>it</strong>à di<br />

comprarsi una macchina, di avere un conto in banca, di acquistare beni superflui. Questa<br />

classe consumistica è composta da un miliardo e duecento milioni di persone su sei<br />

miliardi di c<strong>it</strong>tadini nel mondo. I restanti quattro miliardi e ottocento milioni di persone<br />

non hanno accesso al circu<strong>it</strong>o del mercato dell’economia globale e tra questi vi sono poi<br />

quelli che la Banca Mondiale definisce come poveri assoluti; coloro, cioè, che non guadagnano<br />

più di un dollaro al giorno [...]<br />

Più di una volta, parlando di tali questioni con studenti e giovani, mi sono sent<strong>it</strong>o dire: “E<br />

noi che c’entriamo con tutto questo?”<br />

Bisogna sforzarci di far capire ai giovani che siamo responsabili anche noi di questo sistema<br />

perché in noi ha attecch<strong>it</strong>o molto bene il virus del consumo, anzi, del consumismo<br />

sfrenato, che è quella s<strong>it</strong>uazione in cui non si compra più per bisogno ma si compra perché<br />

si è stati indotti a comprare, perché è stato ingenerato in noi un bisogno. Compriamo<br />

sempre più cose lontane dai nostri bisogni reali, che non soddisfano tali bisogni. È<br />

come se non ne potessimo fare a meno.<br />

Il modello consumistico rivela che il nostro stesso essere e scopo sono calcolati unicamente<br />

in termini di ciò che possediamo. Noi siamo solo finchè possediamo. [...]<br />

Siamo davvero convinti che più automobili, più televisori, più vest<strong>it</strong>i, ecc., siano il fine ultimo<br />

della nostra v<strong>it</strong>a? Siamo consapevoli che questo comporta la rapina dei paesi del<br />

Terzo Mondo? Il petrolio, il rame, l’alluminio, il cotone, il caffè, le banane: innumerevoli<br />

sono le merci che pretendiamo per il nostro benessere e togliamo al Sud del mondo.<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Fonte: www.volint.<strong>it</strong>


Lettura UD 2 eco. L1<br />

La new economy<br />

Il circu<strong>it</strong>o economico UNITÀ 2<br />

In che cosa consiste la new economy? Quali sono i suoi vantaggi e svantaggi? Come ha<br />

modificato il funzionamento del circu<strong>it</strong>o economico? La lettura che ti proponiamo di<br />

segu<strong>it</strong>o cerca di fornire le risposte alle domande appena formulate.<br />

L’espressione new economy è stata coniata per definire il complesso delle nuove tecnologie<br />

dell’informazione e della comunicazione (triangolo computer – cellulare – Internet) e<br />

dei loro campi di applicazione.<br />

Basta poco per rendersi conto dei cambiamenti che la new economy ha rapidamente provocato<br />

nelle nostre ab<strong>it</strong>udini. Se osserviamo lo stile di v<strong>it</strong>a dei più giovani, possiamo notare<br />

che Internet è diventata la fonte primaria delle informazioni. Una semplice consultazione<br />

di un motore di ricerca consente di ottenere tempestivamente una quant<strong>it</strong>à di dati<br />

e notizie che prima avrebbero richiesto anni di ricerche.<br />

Internet consente anche una rapida circolazione delle idee mediante le chat lines, “luogo”<br />

di conversazione virtuale, e lo scambio di e-mail, cioè la corrispondenza elettronica.<br />

E tutto ciò in tempo reale, anche a distanze elevate e a costi accessibili ai più. Le stesse<br />

osservazioni valgono per i cellulari, che ci consentono di essere sempre reperibili e di<br />

inviare messaggi, tanto utilizzati soprattutto da noi Italiani.<br />

Le applicazioni della new economy hanno rivoluzionato, in particolare, tutte le attiv<strong>it</strong>à<br />

svolte dai soggetti economici. Il lavoro, la produzione, il commercio, il consumo, il risparmio<br />

hanno, infatti, subìto profonde trasformazioni ed una vantaggiosa riduzione dei<br />

tempi di esecuzione. Tuttavia, bisogna riflettere sui non pochi risvolti negativi. Proviamo<br />

ad esaminare i pro e i contro di alcuni aspetti significativi.<br />

Il lavoro<br />

La new economy ha favor<strong>it</strong>o il sorgere di nuove tipologie di occupazione. Il telelavoro, per<br />

esempio, richiede solo l’utilizzo del computer, del telefono e di Internet. Il suo amb<strong>it</strong>o di<br />

applicazione si estende a vari settori, tra cui la pubblica amministrazione. La nostra legislazione<br />

più recente ne incoraggia la diffusione, poiché esso offre opportun<strong>it</strong>à a persone<br />

che, per esigenze familiari (per esempio, una madre con figli in tenera età) o per problemi<br />

personali (per esempio, portatori di handicap), non possono spostarsi da casa. Il telelavoro<br />

rientra fra gli strumenti di attuazione della flessibil<strong>it</strong>à, cioè di adattamento alle esigenze<br />

del mercato, che, però, creano ancora tante incertezze ai lavoratori.<br />

Le imprese<br />

Le imprese r<strong>it</strong>engono sempre più vantaggiosa la pubblic<strong>it</strong>à su Internet, vista la continua<br />

cresc<strong>it</strong>a degli utenti. Ma non si tratta solo di questo. La possibil<strong>it</strong>à di comunicare a costi<br />

molto contenuti in tempo reale, anche a notevoli distanze, agevola la direzione e il coordinamento<br />

nelle imprese con sedi molto distanti fra loro. Sappiamo, inoltre, che ormai<br />

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27<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 2 Il circu<strong>it</strong>o economico<br />

28<br />

UD 2 eco. L1<br />

quasi tutte le imprese hanno un proprio s<strong>it</strong>o web, mediante il quale offrono, ai potenziali<br />

clienti, informazioni sui propri prodotti. E non è tutto. Viene sfruttata anche la modal<strong>it</strong>à<br />

interattiva propria di Internet per dialogare con la clientela, in modo da conoscerne in dettaglio<br />

i bisogni e i gusti e a questi adeguare la produzione.<br />

Tutto ciò ha portato alla nasc<strong>it</strong>a di aziende che, senza aprire punti vend<strong>it</strong>a, riescono ad<br />

inserirsi nel mercato e a tener testa alla concorrenza. Il risparmio dei costi che derivano<br />

dall’apertura e dal mantenimento dei locali (canone di locazione, stipendi per il personale<br />

addetto alla vend<strong>it</strong>a) rende possibile un alto grado di efficienza e compet<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à. I clienti<br />

possono ordinare le merci solo on line, ma hanno il grosso vantaggio di poter esprimere<br />

le proprie preferenze e di risparmiare sul prezzo.<br />

Tali modal<strong>it</strong>à riguardano un sempre più ampio numero di settori. Negli Usa, per esempio,<br />

i biglietti aerei non esistono quasi più, perché soppiantati dalla prenotazione dei voli<br />

on line (il pagamento si effettua direttamente ad uno sportello dell’aeroporto, poco prima<br />

della partenza). Tale pratica danneggia fortemente le agenzie di viaggi, spesso costrette<br />

alla chiusura, ma rende le tariffe aeree molto convenienti per i viaggiatori.<br />

Le banche e la borsa<br />

Internet coinvolge anche le banche e la borsa.<br />

a) Per quanto riguarda le banche, sono stati creati utili servizi per i clienti. L’home banking<br />

consente di controllare e gestire il proprio conto corrente da casa (per esempio,<br />

accertare che lo stipendio sia stato accred<strong>it</strong>ato) mediante collegamento al web. Il trading<br />

on line permette, invece, di effettuare operazioni di borsa (comprare o vendere<br />

t<strong>it</strong>oli azionari o obbligazionari) via Internet. La possibil<strong>it</strong>à di operare in tempo reale<br />

consente di cogliere al volo l’opportun<strong>it</strong>à di rivendere t<strong>it</strong>oli che hanno visto migliorare<br />

la propria quotazione, prima che si verifichino ribassi.<br />

Inoltre, come per l’imprend<strong>it</strong>oria, anche per il settore bancario, Internet è sinonimo di<br />

concorrenza. Esistono, infatti, banche senza sportelli, che offrono interessi più alti sui<br />

conti correnti, proprio perché non devono affrontare i costi dell’apertura e del mantenimento<br />

delle agenzie.<br />

b) Per quanto riguarda la borsa, la new economy ha comportato la quotazione di numerose<br />

grosse aziende del settore (aziende produttrici di computer, di cellulari, compagnie<br />

telefoniche) e la creazione di appos<strong>it</strong>i indici borsistici (c<strong>it</strong>iamo il Nasdaq americano<br />

ed il Numtel <strong>it</strong>aliano).<br />

Le straordinarie performances di questi ultimi, nella fase iniziale, hanno generato un<br />

clima di euforia, dimostratosi ben presto eccessivo. Le continue manovre speculative<br />

di chi intendeva realizzare cospicui guadagni in tempi brevi, le difficoltà di recepire le<br />

velocissime innovazioni e le numerose e ripetute crisi di sovrapproduzione, verificatesi<br />

di conseguenza, hanno, infatti, causato un disastroso crollo. Si è parlato, a tal propos<strong>it</strong>o,<br />

dello scoppio di una gigantesca bolla speculativa, che ha fortemente condizionato<br />

l’economia mondiale e generato un atteggiamento di sfiducia da parte dei risparmiatori.<br />

E non solo: centinaia di migliaia di persone hanno perso il posto di lavoro. Per<br />

tale motivo gli economisti americani più pessimisti hanno più volte adombrato la pre-<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 2 eco. L1<br />

Il circu<strong>it</strong>o economico UNITÀ 2<br />

visione della fine della new economy. Possiamo, comunque, constatare che ancora<br />

oggi la ripresa non sembra profilarsi.<br />

Se solo proviamo ad andare indietro di dieci anni con il pensiero, scopriamo che allora<br />

tutto ciò non era nemmeno immaginabile. C’è chi ha considerato l’invenzione di Internet<br />

come una terza rivoluzione industriale, c’è chi invece, forse in modo più appropriato, l’ha<br />

paragonata all’invenzione della stampa, evidenziando il modo innovativo di informare e<br />

comunicare (si parla anche di nuovi “linguaggi”), che fra l’altro consente un notevole<br />

risparmio di carta e di burocrazia.<br />

Se oggi gli Stati Un<strong>it</strong>i possono essere considerati il paese più all’avanguardia, l’Europa,<br />

pur non sfruttando ancora appieno tutte le potenzial<strong>it</strong>à delle nuove tecnologie, ha già<br />

registrato notevoli risultati. Così il Giappone ed alcuni paesi asiatici, primi fra tutti India e<br />

Cina. Esistono, invece, vaste aree depresse tagliate fuori da tali processi.<br />

Quali previsioni possiamo azzardare per il futuro?<br />

Una cosa è certa: indietro non si torna. Difficilmente potremmo fare a meno del cellulare<br />

e del computer. Ma soprattutto, come da più parti viene sottolineato, Internet non ha<br />

esaur<strong>it</strong>o la sua funzione: la “comun<strong>it</strong>à virtuale” continua ad arricchirsi di sempre nuovi<br />

membri.<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

29<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 2 Il circu<strong>it</strong>o economico<br />

30<br />

Lettura UD 2 eco. L2<br />

Italia, dieci anni di e-commerce e ancora<br />

fanalino di coda in Europa<br />

La lettura seguente affronta il tema del circu<strong>it</strong>o economico telematico o virtuale.<br />

In particolare la famiglia, le imprese e, indirettamente, le banche, hanno ormai compreso<br />

l’importanza del commercio on line, il modo più semplice e anche più sicuro<br />

di avvicinare gli altri operatori economici, per poi soddisfare i propri bisogni attraverso<br />

una serie infin<strong>it</strong>a di scambi.<br />

Ma qual è l’atteggiamento degli Italiani, rispetto agli altri Europei?<br />

MILANO – L’e-commerce <strong>it</strong>aliano è un regno di paradossi: gli utenti crescono, sono arrivati<br />

a 5 milioni quelli che hanno acquistato online almeno una volta e, soprattutto, sono<br />

molto soddisfatti del servizio ricevuto. Peccato, però, che rispetto al resto d’Europa l’Italia<br />

sia ancora in forte r<strong>it</strong>ardo. Non solo per il numero di acquirenti, ma anche per qual<strong>it</strong>à dell’offerta:<br />

le aziende sono restie a mettere online la propria merce. È quanto emerso<br />

durante il Netcomm e-Commerce Forum di Milano, evento che arriva in un momento<br />

quanto mai propizio per fare bilanci. Il 3 giugno si festeggeranno infatti i dieci anni dell’e-commerce<br />

<strong>it</strong>aliano: il primo acquisto su un negozio online <strong>it</strong>aliano è avvenuto il 3 giugno<br />

1998. Fu venduto un libro di Camilleri.<br />

Gli studi presentati durante il Forum (patrocinato da Confindustria e Assinform) sono stati<br />

realizzati da Netcomm (il consorzio dell’e-commerce <strong>it</strong>aliano), Univers<strong>it</strong>à Bocconi e Gfk<br />

Eurisko (società di analisi di mercato). Emerge un quadro di luci e di ombre, e non si sa<br />

se essere più lieti per le buone notizie di cresc<strong>it</strong>a oppure scoraggiati per un r<strong>it</strong>ardo, economico<br />

e culturale, che ancora l’Italia non riesce a colmare.<br />

“È vero che gli acquirenti hanno toccato quota 5,2 milioni, contro i 4,7 milioni dell’anno<br />

scorso; ma crescono a r<strong>it</strong>mi inferiori rispetto a quelli di Paesi vicini. Gli utenti e-commerce<br />

aumentano con più lentezza, inoltre, rispetto agli utenti internet complessivi”, dice a<br />

Repubblica.<strong>it</strong> Roberto Liscia, presidente di Netcomm.<br />

Da noi, acquista circa un terzo degli utenti Internet; in Francia è il 50 per cento. La causa<br />

principale del r<strong>it</strong>ardo è di tipo culturale, e la colpa va spart<strong>it</strong>a in modo uguale tra la<br />

domanda e l’offerta. Gli <strong>it</strong>aliani, rispetto ai cugini d’oltralpe, sono troppo sospettosi,<br />

hanno pregiudizi nei confronti degli acquisti online: temono che i dati della carta di cred<strong>it</strong>o<br />

siano rubati o di ricevere un cattivo servizio da parte del negozio. Paure, ormai,<br />

ingiustificate. Dalle ricerche presentate al Forum emerge che il 98 per cento degli acquirenti<br />

online ne è stato molto soddisfatto.<br />

“Nessun canale di vend<strong>it</strong>a tradizionale riesce a raggiungere quei valori. L’e-commerce<br />

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UD 2 eco. L2<br />

Il circu<strong>it</strong>o economico UNITÀ 2<br />

eccelle in qual<strong>it</strong>à, grazie a prezzi bassi, servizi efficienti, ottimo assortimento di prodotti<br />

nei negozi”, dice Liscia. Il problema adesso sarà convincere di questi vantaggi ancora<br />

coloro che mai hanno osato fare un acquisto online.<br />

L’altra faccia del problema riguarda le aziende. In Italia c’è una s<strong>it</strong>uazione anomala, il 50<br />

per cento dei fatturati dell’e-commerce viene da viaggi e biglietti, mentre altrove prevale<br />

la vend<strong>it</strong>a di prodotti fisici. “Il motivo è che molti produttori, anche nomi noti del made in<br />

Italy, ancora diffidano dell’online. Non mettono nei negozi e-commerce i propri prodotti.<br />

Non conoscono il valore delle nuove tecnologie oppure temono che i canali online<br />

cannibalizzino quelli tradizionali”.<br />

Paure che sanno di arretratezza culturale e che sempre più penalizzeranno il made in<br />

Italy sul piano della concorrenza internazionale, stimano gli esperti. I prodotti <strong>it</strong>aliani,<br />

insomma, potrebbero e dovrebbero essere acquistati di più da utenti stranieri, se l’offerta<br />

fosse più ricca. Chissà se questo non sarà l’anno della svolta, complice il decennale dell’e-commerce<br />

<strong>it</strong>aliano. Un buon segno è che al Forum 2008, per la prima volta, si è visto<br />

un interesse notevole da parte di quei marchi del made in Italy che finora hanno snobbato<br />

Internet. Cominciano a studiare le modal<strong>it</strong>à per uno sbarco online. Meglio tardi che<br />

mai.<br />

Fonte: Alessandro Longo, www.repubblica.<strong>it</strong>, 14 maggio 2008<br />

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31<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 3 Economia e storia<br />

32<br />

Lettura UD 3 eco. L1<br />

Le scoperte geografiche del XV secolo<br />

La lettura che proponiamo di segu<strong>it</strong>o vuole fornire un quadro delle grandi scoperte<br />

geografiche dell’età moderna e dei profondi mutamenti da queste prodotti nello scenario<br />

pol<strong>it</strong>ico ed economico mondiale del tempo.<br />

Il XV secolo vide profonde trasformazioni negli equilibri geopol<strong>it</strong>ici mondiali: il baricentro<br />

degli scambi economici si spostò dal Med<strong>it</strong>erraneo all’Atlantico, causando il declino<br />

dell’Italia e il progressivo arricchimento dei paesi europei affacciati sulle coste.<br />

Molti sono i fattori che resero possibili le nuove scoperte geografiche: indubbiamente le<br />

innovazioni nelle tecniche nautiche (come, ad esempio, l’uso della bussola) rappresentarono<br />

un motivo essenziale, ma ciò che determinò la spinta verso Ovest dipese da necess<strong>it</strong>à<br />

economiche e pol<strong>it</strong>iche.<br />

La presa di Costantinopoli nel 1453 aveva trasformato le linee degli scambi commerciali<br />

infliggendo un duro colpo a Genova e a Venezia e, più in generale, a tutta l’Europa, che<br />

non poteva più godere del flusso di spezie, tessuti e metalli preziosi.<br />

Accanto a motivi di ordine economico persisteva anche la precisa esigenza pol<strong>it</strong>ica delle<br />

monarchie nazionali di sanare il dissesto finanziario, che poteva essere compensato dall’afflusso<br />

di oro e argento.<br />

Inoltre la mental<strong>it</strong>à rinascimentale, fondata sulla curios<strong>it</strong>à, sullo spir<strong>it</strong>o d’iniziativa, sulla<br />

libertà intellettuale e sulla fiducia nelle capac<strong>it</strong>à individuali, spingeva marinai e mercanti<br />

ad oltrepassare le Colonne d’Ercole, che, fino ad allora, avevano cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o un lim<strong>it</strong>e invalicabile<br />

per l’uomo. [...]<br />

Le conseguenze della scoperte geografiche<br />

Le scoperte geografiche in breve tempo cambiarono radicalmente l’Europa, sia dal punto<br />

di vista culturale, in quanto convinzioni millenarie, come quella aristotelico-tolemaica, tramontarono,<br />

sia sul piano economico, con la progressiva perd<strong>it</strong>a d’importanza del mare<br />

nostrum.<br />

“Il primo grande cambiamento nel quadro geografico del commercio europeo fu provocato<br />

dall’esplorazione e circumnavigazione portoghesi delle coste dell’Africa e dalla scoperta<br />

spagnola dell’America.<br />

Prima di allora i mercanti europei si avventuravano raramente al di là dei porti del Med<strong>it</strong>erraneo,<br />

dove essi compravano dai mercanti arabi, schiavi e oro dell’Africa occidentale,<br />

pepe e avori indiani e seta cinese.<br />

Ora, per la prima volta, essi stabilirono contatti diretti con i produttori di tali merci,<br />

mentre nel Nuovo Mondo essi aprirono mercati completamente nuovi ai prodotti<br />

europei pagati in oro e argento sonanti che, a loro volta, favorirono l’espansione<br />

commerciale europea verso l’Oriente”.<br />

Conseguentemente si assistette alla “rivoluzione dei prezzi”: in particolare, dalla<br />

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UD 3 eco. L1<br />

Economia e storia UNITÀ 3<br />

seconda metà del Cinquecento, iniziò a risultare evidente l’aumento generale dei<br />

costi. Basti pensare che “all’inizio del Seicento in Inghilterra, i prezzi all’ingrosso dei<br />

cereali erano in media circa cinque volte superiori a quelli degli ultimi decenni del<br />

Quattrocento; in Francia erano aumentati più di sette volte, e nella Spagna meridionale<br />

ancora di più”.<br />

Il popolo non restò indifferente a tutto questo, ma assunse un atteggiamento di ribellione,<br />

poiché i monopolisti aumentavano il costo delle merci che controllavano e i proprietari<br />

terrieri accrescevano gli aff<strong>it</strong>ti; di conseguenza il costo della produzione agricola e i<br />

prezzi salivano.<br />

I mercanti di cereali, poi, erano in grado di approvvigionare le grandi c<strong>it</strong>tà, che si sviluppavano<br />

sempre più, ma il loro commercio era lucroso e utilizzava al massimo le disponibil<strong>it</strong>à<br />

locali.<br />

Per tenere a freno le masse, i governi emanarono dei provvedimenti legislativi, che, però,<br />

non vennero mai attuati.<br />

I teologi dell’univers<strong>it</strong>à di Salamanca e Bodin, giurista e teorico pol<strong>it</strong>ico, sostenevano che<br />

le importazioni spagnole di oro ed argento erano legate all’aumento dei prezzi.<br />

Inoltre molti governi europei avevano svalutato la loro moneta (il governo inglese, ad<br />

esempio, tra il 1543 e il 1546, ridusse da cento a quaranta grani l’argento contenuto nello<br />

scellino).<br />

Dalla metà del Cinquecento, in Europa e, in particolare, in Spagna, l’afflusso d’oro e d’argento<br />

incise considerevolmente sulla circolazione monetaria: l’argento, infatti, rappresentava<br />

l’unico prodotto di scambio dei colonizzatori per le loro importazioni. Il governo spagnolo<br />

riservò questo traffico solo agli ab<strong>it</strong>anti del regno di Castiglia, poiché sosteneva che<br />

i castigliani avevano allest<strong>it</strong>o e riforn<strong>it</strong>o le spedizioni per i viaggi oltreoceano. In questo<br />

modo il re controllava il commercio e pretendeva il pagamento di una tassa (20%) per il<br />

traffico dell’argento.<br />

La quant<strong>it</strong>à d’argento che perveniva a Siviglia era, poi, nuovamente esportata per pagare<br />

i salari e i rifornimenti delle milizie che risiedevano all’estero e per risarcire i prest<strong>it</strong>i dei<br />

banchieri tedeschi e genovesi al governo spagnolo.<br />

Questo non produsse un surplus, ma una carenza di oro e di argento, che presto costrinse<br />

il governo spagnolo a introdurre l’uso delle monete di biglione.<br />

Senza dubbio in questo periodo si verificò un’importante cresc<strong>it</strong>a demografica; il maggior<br />

numero di dati è riferibile alle c<strong>it</strong>tà.<br />

“Intorno al 1500 vi erano in Europa cinque grandi c<strong>it</strong>tà di centomila ab<strong>it</strong>anti o più. Si diceva<br />

che a Costantinopoli, senza dubbio la più grande c<strong>it</strong>tà del tempo, occorsero giornalmente<br />

otto navi cariche di grano per nutrire la sua popolazione cosmopol<strong>it</strong>a. Napoli,<br />

Venezia e Milano avevano all’incirca centomila ab<strong>it</strong>anti”.<br />

Questa straordinaria espansione urbanistica era sicuramente il risultato di una cresc<strong>it</strong>a<br />

demografica generale.<br />

“A trarre vantaggio dall’ aumento dei prezzi alimentari e dalla bilancia commerciale sempre<br />

più favorevoli per la campagna furono, nelle parole di un contemporaneo, tutti quelli<br />

che hanno intro<strong>it</strong>i, o terre a loro affidate, ai vecchi canoni; perché ciò che essi pagano<br />

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33<br />

economia<br />

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1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 3 Economia e storia<br />

34<br />

UD 3 eco. L1<br />

in base ai vecchi prezzi, lo vendono in base ai nuovi; cioè essi pagano a buon mercato la<br />

terra che coltivano, e vendono tutto ciò che vi cresce a alto prezzo” (J. Hales, A Discourse<br />

of the Common Weal of this Realm of England, 1549, R.H. Tawney e E. Power).<br />

L’aumento della domanda non riguardò solo i prezzi alimentari ma anche quelli di altri<br />

prodotti, tra cui la lana.<br />

Probabilmente lo sviluppo demografico superò le disponibil<strong>it</strong>à alimentari: infatti, già nel<br />

corso del ‘500, l’approvvigionamento risultò difficile in molte aree.<br />

La stessa cosa non si verificò nelle industrie manifatturiere e edilizie.<br />

Per quanto riguarda il livello dei salari, questo, inizialmente, non raggiunse quello dei<br />

prezzi tanto che, a partire dal 1530, il divario tra prezzi e salari divenne troppo profondo<br />

per essere colmato.<br />

È da questo momento che si verificarono i primi aumenti salariali accompagnati dalla<br />

consapevolezza del malcontento della popolazione lavoratrice dell’Europa occidentale e<br />

centrale, che si accentuò sempre di più tanto che nel 1534 esplose in aperta rivoluzione.<br />

Sul mercato internazionale vennero introdotti molti nuovi prodotti come il legname da<br />

costruzione, i cereali e le pellicce norvegesi e baltiche, pesce, formaggio, burro, vini, birra,<br />

metalli e armi di ogni genere; infine vi era il mercato degli schiavi.<br />

Dal punto di vista economico, quindi, si ebbe:<br />

• lo spostamento dei traffici commerciali dal Med<strong>it</strong>erraneo all’Atlantico, con conseguente<br />

danno per quei paesi che invece erano stati protagonisti del mare nostrum, in particolare<br />

dell’Italia;<br />

• l’arricchimento degli Stati bagnati dall’Atlantico, fino ad allora tagliati fuori dai traffici<br />

commerciali provenienti dall’oriente attraverso il Med<strong>it</strong>erraneo;<br />

• lo sviluppo delle compagnie mercantili, che permisero l’accumulo di cap<strong>it</strong>ali che sarebbero<br />

stati riutilizzati per l’industrializzazione del ‘700;<br />

• l’afflusso di oro ed argento dalle miniere americane, che causò il crollo dei prezzi, perché<br />

aumentò il flusso del denaro circolante;<br />

• il cambiamento della produzione agricola, con l’aumento della disponibil<strong>it</strong>à di prodotti<br />

già presenti nel vecchio continente (come canna da zucchero, v<strong>it</strong>e, lino, canapa, caffè),<br />

trapiantati in America, da cui vennero importate coltivazioni come quella del mais, del<br />

pomodoro, del tabacco e della patata.<br />

Dal punto di vista pol<strong>it</strong>ico, invece, si ebbe:<br />

• la formazione di vasti imperi coloniali (spagnolo, portoghese, inglese e francese);<br />

• l’inizio dei confl<strong>it</strong>ti armati per il possesso delle colonie.<br />

Dal punto di vista sociale si ebbero:<br />

• la tendenza all’immigrazione verso i nuovi terr<strong>it</strong>ori;<br />

• la sempre maggiore importanza della borghesia, in contrasto con la vecchia aristocrazia,<br />

sempre più legata alla sola rend<strong>it</strong>a delle terre coltivate;<br />

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UD 3 eco. L1<br />

Economia e storia UNITÀ 3<br />

• l’estinzione totale o parziale delle popolazioni dell’America meridionale;<br />

• il “fiorire” del commercio degli schiavi dell’Africa.<br />

Dal punto di vista tecnico e scientifico le scoperte geografiche ampliarono le conoscenze,<br />

proprio perché si poterono verificare delle s<strong>it</strong>uazioni diverse da quelle europee.<br />

La necess<strong>it</strong>à di dover coprire distanze navali maggiori determinò un’applicazione tecnica<br />

non indifferente dei progressi scientifici raggiunti. Proprio per questo la data della scoperta<br />

dell’America viene presa come spartiacque tra Medioevo ed Età Moderna.<br />

L’Italia rimase a questo punto tagliata fuori da ogni commercio e da ogni esplorazione,<br />

perché non aveva sufficienti risorse economiche da profondere in tali imprese e per la<br />

sfavorevole posizione geografica.<br />

Dal punto di vista culturale, infine, l’incontro con le popolazioni indigene del Nuovo<br />

Mondo può essere considerato un momento di basilare importanza per l’Europa intera:<br />

grazie alla scoperta di nuove civiltà umane e, quindi, di modi di vivere diversi si ampliarono<br />

gli orizzonti culturali che ispirarono le utopie del Rinascimento (Moro e Campanella),<br />

avendo potuto osservare il comunismo dei beni praticato da quei popoli, e il pensiero<br />

pol<strong>it</strong>ico moderno (Hobbes, Locke e Rousseau) intorno lo stato di natura e quello civile<br />

[...]<br />

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Fonte: www.<strong>it</strong>ermar<strong>it</strong>imum.com<br />

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economia<br />

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VOLUME<br />

UNITÀ 3 Economia e storia<br />

36<br />

Lettura UD 3 eco. L2<br />

Le condizioni degli operai fra il XVIII<br />

e il XIX secolo<br />

La presente lettura vuole fornire uno spaccato della v<strong>it</strong>a degli operai nel periodo<br />

della rivoluzione industriale.<br />

Alla fine del XVIII secolo l’orario di lavoro si protrae dall’alba al tramonto, con due brevi<br />

intervalli per i pasti: la durata della giornata lavorativa oscilla fra le dodici e le sedici ore.<br />

I datori di lavoro mettono in atto ogni espediente per pagare gli operai il meno possibile.<br />

È diffuso il salario a cottimo cioè calcolato sulla base delle un<strong>it</strong>à di prodotto realizzato.<br />

Le fabbriche sono luoghi malsani nei quali non viene garant<strong>it</strong>a né una idonea aerazione<br />

ed illuminazione degli ambienti, né l’igiene. Gli operai si trovano spesso a contatto con<br />

sostanze nocive, senza alcuna tutela per la loro salute, con conseguente diffusione di<br />

malattie professionali. L’utilizzo delle macchine comporta una rigida disciplina e r<strong>it</strong>mi di<br />

lavoro insostenibili, cui devono sottostare anche le donne e i bambini. Tali categorie, inoltre,<br />

subiscono uno sfruttamento ancor più marcato, poiché vengono retribu<strong>it</strong>e con salari<br />

notevolmente più bassi rispetto a quelli corrisposti agli uomini.<br />

Per contrastare tali tendenze, in Inghilterra si cost<strong>it</strong>uiscono le Trade Unions, primo modello<br />

di organizzazione sindacale a tutela dei lavoratori.<br />

Una tappa importante è segnata, nel 1833, dall’emanazione del Factory Act, ad opera del<br />

Parlamento inglese. Dopo numerose denunce e prese di posizione contro le vergognose<br />

condizioni di lavoro, le disposizioni contenute in tale documento vietano il lavoro notturno<br />

e riducono l’orario di lavoro per i ragazzi.<br />

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Lettura UD 3 eco. L3<br />

I socialisti utopisti<br />

Economia e storia UNITÀ 3<br />

La lettura seguente cost<strong>it</strong>uisce un approfondimento di storia del pensiero economico.<br />

Può essere utile per un chiarimento sulle origini del socialismo e sulla posizione polemica<br />

assunta da Marx.<br />

Le prime riflessioni di carattere socialista rappresentano un approfondimento pol<strong>it</strong>ico<br />

delle idee di uguaglianza proprie del pensiero illuminista. Esse vengono sviluppate dapprima<br />

in Francia e successivamente in Gran Bretagna e in Germania e rivolgono numerose<br />

cr<strong>it</strong>iche agli economisti classici.<br />

C.H. Saint-Simon (1760-1825) e S. Sismondi (1773-1842) sono i primi a sottolineare<br />

polemicamente i guasti prodotti dall’assenza di intervento statale, dalla libertà di iniziativa<br />

economica e dalla concorrenza.<br />

Ch. Fourier (1772-1837) e R. Owen (1771-1858) sperimentano forme produttive volte a<br />

rendere più tollerabile e piacevole il lavoro. Owen, in particolare, tenta di dimostrare con<br />

i fatti che un orario di lavoro meno gravoso, un salario dign<strong>it</strong>oso, un rapporto costruttivo<br />

con gli operai hanno ripercussioni favorevoli sui prof<strong>it</strong>ti delle imprese.<br />

L. Blanc (1811-1882) assegna allo Stato il comp<strong>it</strong>o di fornire cap<strong>it</strong>ali per la creazione di<br />

officine nazionali (ateliers nationaux), senza prof<strong>it</strong>to e nell’uguaglianza economica e sociale<br />

dei lavoratori.<br />

P. J. Proudhon (1809-1865), infine, sostiene che la proprietà è un furto e che lo Stato deve<br />

garantire e attuare il dir<strong>it</strong>to al lavoro.<br />

Proprio a causa dell’eccessivo idealismo che permea le loro convinzioni, tali pensatori<br />

vengono defin<strong>it</strong>i da Marx socialisti utopisti. I loro tentativi (cui non corrisponde un’analisi<br />

scientifica dei meccanismi economici), infatti, falliscono tutti in breve tempo.<br />

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economia<br />

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VOLUME<br />

UNITÀ 4 La famiglia<br />

38<br />

Lettura UD 4 eco. L1<br />

Il consumerismo.<br />

Che cos’è, dove, come e perché nasce<br />

Proponiamo una riflessione sulle origini e sulle funzioni del consumerismo,<br />

cioè del diffondersi delle forme associative fra i consumatori a tutela dei propri dir<strong>it</strong>ti,<br />

minacciati da un mercato che usa tecniche di vend<strong>it</strong>a sempre più sofisticate,<br />

ma non per questo meno aggressive.<br />

“Consumerismo” è il termine coniato per definire quella specifica categoria di analisi che<br />

studia il fenomeno sorto con lo sviluppo della produzione di massa e con l’espansione dei<br />

consumi. Fino a quando, per gran parte della popolazione, i consumi erano ancorati alla<br />

pura sopravvivenza, vista la scars<strong>it</strong>à di redd<strong>it</strong>o a disposizione, l’analisi delle attiv<strong>it</strong>à legate<br />

al consumo ha avuto una prior<strong>it</strong>à molto bassa. Molto bassa era pure l’attenzione alla qual<strong>it</strong>à<br />

dei beni e dei servizi. Chi aveva fame cercava il pane, il problema della sua qual<strong>it</strong>à<br />

veniva dopo. Il consumerismo ha più facce e interpretazioni, una di queste riguarda l’affermarsi<br />

di nuovi “status” portatori di bisogni, dir<strong>it</strong>ti e interessi diffusi. È con essi che la<br />

figura del consumatore come soggetto sociale acquista uno spessore crescente fino ad<br />

evocare il percorso della figura del lavoratore in rapporto alla rivoluzione industriale.<br />

La figura del consumatore evoca dir<strong>it</strong>ti di c<strong>it</strong>tadinanza (si pensi al rapporto con i servizi<br />

pubblici, la scuola, la san<strong>it</strong>à, l’amministrazione pubblica), può essere soggetto o al contrario<br />

oggetto di mercato, se istru<strong>it</strong>o e consapevole, può ambire al ruolo di arb<strong>it</strong>ro del mercato,<br />

specie se si aggrega in associazioni e movimenti democratici, può orientare lo sviluppo<br />

economico sociale e civile oppure rassegnarsi ad un ruolo di soggetto eterodiretto.<br />

Il suo ruolo consapevole e attivo può essere molto importante sopra tutto in un’ottica di<br />

sviluppo sostenibile e solidale. Si tratta di un fenomeno, fino a pochi anni fa, ancora non<br />

molto conosciuto, ma che ora coinvolge anche le aziende che aspirano a presentarsi<br />

come moderne, che considerano il cliente come risorsa primaria e che accettano, anzi<br />

cercano, il confronto con il cliente esigente.<br />

Il fenomeno nasce negli Stati Un<strong>it</strong>i all’inzio del XX secolo, dove nel 1906 le prime proteste<br />

di massa sono così forti da costringere il Governo Federale all’approvazione di leggi<br />

molto importanti che impongono un controllo, anche se non troppo restr<strong>it</strong>tivo, nei confronti<br />

dell’industria. [...]<br />

In Europa bisognerà attendere gli anni Cinquanta per vedere il governo inglese impegnato<br />

su questo fronte. Il governo inglese, segu<strong>it</strong>o da quello danese, r<strong>it</strong>enne necessario<br />

dare ai consumatori la possibil<strong>it</strong>à di far sentire la propria voce, creando un organismo di<br />

protezione, il Consumer Advisory Council. [...]<br />

La cultura consumerista in Italia<br />

La cultura consumerista in Italia ha cominciato a diffondersi e a radicarsi in r<strong>it</strong>ardo rispetto<br />

al resto d’Europa. A causa di una legislazione un po’ più scarsa, negli anni ‘50 regna-<br />

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UD 4 eco. L1<br />

La famiglia UNITÀ 4<br />

va in Italia il più totale arb<strong>it</strong>rio in materia di consumo. Fu proprio dall’osservazione e dalla<br />

valutazione di questa s<strong>it</strong>uazione che si cost<strong>it</strong>uì ufficialmente, il 25 novembre 1955, la<br />

prima Associazione dei consumatori <strong>it</strong>aliana, l’Unione Nazionale Consumatori. La nostra<br />

associazione, Lega Consumatori, è la seconda esperienza <strong>it</strong>aliana in ordine di nasc<strong>it</strong>a:<br />

1971. Essa inizia ad operare in presenza di un forte aumento dei prezzi e contestualmente<br />

di una domanda crescente di qual<strong>it</strong>à dello sviluppo, di qual<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a, di rispetto dell’ambiente,<br />

di solidarietà internazionale: la fame nel mondo come tema conduttore. Ma<br />

la vera e propria difesa del consumatore in Italia ha trovato impulso soprattutto grazie<br />

all’opera normativa della Comun<strong>it</strong>à Europea che, a partire dal 1975, ha iniziato a riordinare<br />

in modo organico le iniziative in materia di tutela del consumatore. L’intervento<br />

comun<strong>it</strong>ario si è fatto, con il passare degli anni, sempre più incalzante [...].<br />

La legge <strong>it</strong>aliana 30 luglio 1998 n. 281, “Disciplina dei dir<strong>it</strong>ti dei consumatori e degli utenti”,<br />

nasce, infatti, sull’onda dell’affermazione in sede europea del deciso orientamento<br />

volto a promuovere gli interessi dei consumatori e ad assicurare loro specifiche forme di<br />

tutela, e cost<strong>it</strong>uisce la normativa nazionale di riferimento che, oltre a disciplinare la materia<br />

dei dir<strong>it</strong>ti del consumatore, fornisce un riconoscimento ist<strong>it</strong>uzionale alle Associazioni<br />

dei consumatori. [...]<br />

Sul terr<strong>it</strong>orio, oltre alle varie leggi emesse in materia dalle Regioni, fu ist<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o con legge<br />

142/90 Art. 8 il Difensore Civico, per rafforzare e completare, a livello provinciale e<br />

comunale, il sistema di tutela e di garanzia del c<strong>it</strong>tadino nei confronti delle pubbliche<br />

amministrazioni e per assicurare e promuovere il pieno rispetto dei principi di imparzial<strong>it</strong>à<br />

e buon andamento della pubblica amministrazione. Altra figura significativa per la<br />

facil<strong>it</strong>azione dell’utilizzo della giustizia da parte dei c<strong>it</strong>tadini è il Giudice di Pace, ist<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o<br />

con legge n. 374 del novembre 1991, che eserc<strong>it</strong>a la giurisdizione in materia civile e<br />

penale e la funzione conciliativa in materia civile. L’ist<strong>it</strong>uzione del Giudice di Pace ha rappresentato<br />

una riforma importante all’interno dell’ordinamento <strong>it</strong>aliano in quanto ha riun<strong>it</strong>o<br />

in un unico ufficio di primo grado le varie competenze precedentemente divise tra<br />

Tribunale e Pretura, contribuendo ad accelerare la risoluzione di molte controversie, altrimenti<br />

bloccate dalla lentezza spesso esasperante della giustizia ordinaria. Deve essere<br />

ricordata anche la legge 580/98, relativa al riordino delle Camere di Commercio, la quale<br />

comprende disposizioni di particolare rilevanza ai fini della tutela dei consumatori in<br />

quanto, oltre a prescrivere una rappresentanza dei consumatori nel Consiglio degli enti<br />

camerali, prevede anche la cost<strong>it</strong>uzione di commissioni arb<strong>it</strong>rali e conciliative per la risoluzione<br />

delle controversie tra imprese e consumatori e utenti.<br />

A partire da 1986, inoltre, i comp<strong>it</strong>i e le possibil<strong>it</strong>à di intervento delle Associazioni dei consumatori<br />

sono stati riconosciuti da molte altre norme legislative nazionali e comun<strong>it</strong>arie,<br />

che hanno confer<strong>it</strong>o alle stesse Associazioni comp<strong>it</strong>i di rappresentanza o possibil<strong>it</strong>à di<br />

intervento.<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Fonte: www.conciliazioni.com/consumerismo.html<br />

39<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 4 La famiglia<br />

40<br />

Lettura UD 4 eco. L2<br />

Consumi, <strong>it</strong>aliani più prudenti.<br />

E 3 su 4 cambiano menù<br />

Gli <strong>it</strong>aliani, oggi, mostrano un atteggiamento pessimistico rispetto alle possibil<strong>it</strong>à<br />

di cresc<strong>it</strong>a dei propri consumi, perché assistono al verificarsi di un’impennata<br />

dell’inflazione e a un inadeguato aumento del proprio redd<strong>it</strong>o. Come cambiano<br />

i loro consumi in relazione agli aumenti dei prezzi?<br />

ROMA – Sicuramente più formiche che cicale. I consumatori <strong>it</strong>aliani sono sempre più<br />

prudenti ed accorti, meno edonisti e gaudenti. Insomma, più preoccupati di dover far<br />

fronte a spese sempre crescenti: è questo il r<strong>it</strong>ratto che emerge da un sondaggio commissionato<br />

da Coop Italia e Associazione nazionale cooperative di consumo.<br />

Nelle scelte su come spendere “un eventuale surplus di risorse” sale dal 26 al 31%, rispetto<br />

ai dati raccolti a inizio 2007, la quota da destinare a risparmi e investimenti, scende dal<br />

30 al 23% la quota spesa per viaggi e divertimenti. Le spese per la casa salgono dal 26<br />

al 29%. Dal sondaggio “di capodanno”, svolto nei primi giorni del 2008, emerge che il<br />

54% degli intervistati ha indicato tra le principali preoccupazioni “la possibile carenza di<br />

denaro per pagare le spese”, il 51% eventuali problemi di salute, il 25% “il timore di<br />

vedere sfumare la sicurezza del posto di lavoro” e per la “sicurezza della zona in cui vive”.<br />

Più della metà degli intervistati dà “a sorpresa” un giudizio pos<strong>it</strong>ivo su come è andato<br />

il 2007, anche se è aumentata la percentuale di consumatori ai quali la tredicesima<br />

è serv<strong>it</strong>a per pagare conti e bollette (dal 34 al 37%) ed è parallelamente scesa quella<br />

dei consumatori che l’hanno destinata ai regali di Natale (dal 37 al 34%). Crescono<br />

inoltre del 30% le famiglie che hanno impegnato la tredicesima per pagare le rate del<br />

mutuo.<br />

Gli <strong>it</strong>aliani, poi, hanno cambiato menù a segu<strong>it</strong>o dei rincari dei prezzi, il 40% in modo<br />

drastico, aumentando l’attenzione all’etichetta e prestando più attenzione alla provenienza<br />

dei cibi a favore di quelli locali. Lo rileva Coldiretti in riferimento alla diffusione dei dati<br />

Istat, relativi all’andamento dell’inflazione a dicembre, sulla base della “Indagine 2007<br />

Coldiretti-Swg sulle opinioni di <strong>it</strong>aliani e europei sull’alimentazione”.<br />

Se, complessivamente, la spesa alimentare è rimasta invariata (+0,1 per cento), si legge<br />

nella nota dell’associazione agricola, le quant<strong>it</strong>à portate a casa dalle famiglie per effetto<br />

dell’aumento dei prezzi si sono ridotte dell’1,3 per cento e tra gli spostamenti più significativi<br />

si registra un calo nei consumi di pane (–7 per cento), pasta di semola (–4,3 per<br />

cento), latte fresco (–2,2 per cento), formaggi (–0,4 per cento), vino (–8,4 per cento), frutta<br />

(–2,6 per cento), verdura (–2,6 per cento), olio di semi (–5,9 per cento), carne bovina<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 4 eco. L2<br />

La famiglia UNITÀ 4<br />

(–4 per cento) e suina (–4,6 per cento), mentre aumentano la carne di pollo (+6,2 per<br />

cento), le uova (+5,3 per cento), lo yogurt (+4,2 per cento), l’acqua (+1 per cento) e l’olio<br />

extravergine (+1,8 per cento), secondo le stime elaborate dalla Coldiretti su dati Ismea Ac<br />

Nielsen relativi ai primi nove mesi del 2007.<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Fonte: www.repubblica.<strong>it</strong>, 4 gennaio 2008<br />

41<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 4 La famiglia<br />

42<br />

Lettura UD 4 eco. L3<br />

Istat, allarme cred<strong>it</strong>o al consumo.<br />

Il 14,4% degli <strong>it</strong>aliani in difficoltà<br />

La lettura seguente illustra, in base a dati forn<strong>it</strong>i dall’Istat, il tenore di v<strong>it</strong>a di una<br />

consistente fascia medio-bassa di consumatori <strong>it</strong>aliani che non rinuncia agli acquisti.<br />

Tali ab<strong>it</strong>udini hanno causato un aumento dei prest<strong>it</strong>i in sofferenza.<br />

ROMA – Il ricorso al cred<strong>it</strong>o al consumo è aumentato in misura rilevante negli ultimi anni<br />

in Italia, ma non sempre rappresenta un vantaggio. Le famiglie <strong>it</strong>aliane, rileva l’Istat nell’ultimo<br />

rapporto, si indeb<strong>it</strong>ano per comprare mobili o altri beni, ma spesso non riescono<br />

a far fronte all’onere delle rate. E così il 14,4% dei nuclei familiari si r<strong>it</strong>rova, almeno una<br />

volta l’anno, in difficoltà alla scadenza dei pagamenti.<br />

Il fenomeno è più incisivo al Sud e nelle isole, dove la percentuale di famiglie che non riescono<br />

a saldare il deb<strong>it</strong>o rateizzato sfiora il il 25%. E se le difficoltà riguardano le rate per<br />

il cosiddetto ‘cred<strong>it</strong>o al consumo’, non va molto meglio neanche la s<strong>it</strong>uazione per quanto<br />

riguarda altri pagamenti periodici. Primo tra tutti quello per le bollette della luce, del<br />

gas e dell’acqua, che vede quasi una famiglia su dieci [...] non riuscire, almeno una volta<br />

nel corso dell’anno, a saldare il conto. Sono invece quasi il 4% le famiglie che dichiarano<br />

di non essere riusc<strong>it</strong>e a pagare l’aff<strong>it</strong>to o la rata del mutuo.<br />

Una fotografia, quella scattata dalle tabelle dell’annuario dell’Ist<strong>it</strong>uto di Statistica, che nel<br />

Mezzogiorno assume dimensioni più preoccupanti: nelle regioni del Sud sono infatti il<br />

15,3% (15,8% nelle isole) le famiglie che non riescono, a volte, a fare fronte al pagamento<br />

delle bollette, mentre per l’aff<strong>it</strong>to e il mutuo sono in difficoltà il 5% dei nuclei (il 5,6%<br />

in Sicilia e Sardegna).<br />

“È la società consumista che tende a far indeb<strong>it</strong>are le famiglie perché ci induce a spendere,<br />

non i soldi che abbiamo, ma quelli che pensiamo di avere in futuro – commenta il<br />

sociologo Domenico De Masi – Ma per rinviare i pagamenti nel tempo, dobbiamo sperare<br />

che il nostro redd<strong>it</strong>o resti quello che è attualmente. E purtroppo non è sempre così”.<br />

Ma se il fenomeno delle rate sembra destinato ad assumere il carattere dell’emergenza<br />

(anche a fronte del trend in cresc<strong>it</strong>a del cred<strong>it</strong>o al consumo che – secondo gli ultimi dati<br />

disponibili di Bank<strong>it</strong>alia – ha registrato nell’ultimo anno un +36,5% per i prest<strong>it</strong>i a più di<br />

cinque anni), è solo la punta dell’iceberg delle difficoltà delle famiglie a far quadrare i<br />

conti.<br />

Se, infatti, il 14,4% dichiara di trovarsi in difficoltà avendo “arretrati nel pagamento” di<br />

rate, aff<strong>it</strong>ti, mutui e bollette, percentuali a due cifre si r<strong>it</strong>rovano anche tra le famiglie che<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 4 eco. L3<br />

La famiglia UNITÀ 4<br />

non riescono a fare i conti con altre voci dei propri bilanci. Prima tra tutte quelle per i<br />

“vest<strong>it</strong>i necessari” (il 17,6% dice di non avere i soldi) o, ancor peggio, per le spese mediche<br />

(il 12,2%).<br />

Il 5,3% delle famiglie <strong>it</strong>aliane afferma, inoltre, di “non avere i soldi”, almeno una volta<br />

l’anno, per l’acquisto del cibo: un dato che si riduce al 4,1% al Nord mentre sale al 7,7%<br />

al Sud. E, ancora, l’8% delle famiglie ha problemi con le spese per il trasporto ed oltre il<br />

13% per le tasse. Il 10% afferma, invece, di non potersi permettere un riscaldamento adeguato<br />

nell’ab<strong>it</strong>azione.<br />

Analizzando i dati Istat, sono poi quasi 4 su 10 le famiglie <strong>it</strong>aliane che dichiarano di non<br />

potersi permettere una settimana di ferie l’anno. Con punte che sfiorano il 50% tra i pensionati<br />

o i nuclei numerosi, da cinque componenti o più. L’ab<strong>it</strong>azione, invece, “brucia” il<br />

15% del redd<strong>it</strong>o medio: una spesa media mensile di 302 euro contro un redd<strong>it</strong>o di 2.079<br />

euro, che sale a 473 euro in caso di aff<strong>it</strong>to e scende a 232 in caso di casa di proprietà.<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Fonte: www.repubblica.<strong>it</strong>, 27 maggio 2006<br />

43<br />

economia<br />

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1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 4 La famiglia<br />

44<br />

Lettura UD 4 eco. L4<br />

Il concetto di rischio finanziario<br />

L’articolo che segue, pubblicato sul s<strong>it</strong>o dell’associazione a tutela dei consumatori Aduc,<br />

si prefigge lo scopo di illustrare i vari aspetti del rischio connesso agli investimenti finanziari.<br />

La maggioranza delle insoddisfazioni legate agli investimenti finanziari deriva dalla mancata<br />

comprensione dei rischi finanziari. Quando i tecnici parlano di rischio, in finanza,<br />

spesso si riferiscono a qualcosa di molto specifico che i comuni risparmiatori non conoscono.<br />

È indispensabile fare chiarezza su questo tema anche perché per rispondere alle<br />

vostre domande sul rischio dei portafogli che ci sottoponete è indispensabile parlare lo<br />

stesso linguaggio.<br />

Genericamente, potremmo dire che il rischio, in finanza, esprime la probabil<strong>it</strong>à di ottenere<br />

un rendimento diverso da quello atteso. In parole povere, se investo 100 € in un investimento<br />

rischioso puntando ad un rendimento, ad esempio, del 7%, il rischio è che realizzando<br />

questo investimento possa avere un rendimento inferiore o perfino negativo.<br />

Questo evento sfavorevole può accadere per svariate ragioni, ciascuna delle quali identifica<br />

una tipologia di rischio.<br />

Rischio specifico<br />

Il rischio specifico è quella tipologia di rischio che si corre quando il risultato dell’investimento<br />

è legato alle sorti di pochi em<strong>it</strong>tenti di strumenti finanziari. Facciamo un esempio:<br />

se io investo il 50% del mio portafoglio in un singolo t<strong>it</strong>olo azionario (ad esempio, le Fiat)<br />

ed il resto in un singolo t<strong>it</strong>olo obbligazionario (ad esempio, le obbligazioni Argentine), il<br />

risultato del mio portafoglio sarà influenzato principalmente dalle sorti di questi due em<strong>it</strong>tenti.<br />

Concentrando gli investimenti in singoli t<strong>it</strong>oli ci si espone ad un tipo di rischio che non è<br />

controllabile. Il rischio diventa incertezza. L’incertezza è diversa dal rischio in quanto proprio<br />

il rischio è qualcosa di calcolabile (e quindi controllabile), mentre l’incertezza non è<br />

calcolabile.<br />

Nessun risparmiatore comune dovrebbe avere un portafoglio il cui andamento è legato<br />

eccessivamente alle sorti di singoli em<strong>it</strong>tenti di strumenti finanziari. In parole povere, se<br />

avete in portafoglio singoli t<strong>it</strong>oli per una quota significativa (maggiore del 15/20%) state<br />

correndo un rischio troppo elevato.<br />

Rischio sistematico<br />

Di sol<strong>it</strong>o, in finanza, quando si parla genericamente di rischio ci si riferisce al rischio legato<br />

alla “normale oscillazione del mercato” nel quale si sta investendo. Questo rischio è<br />

detto anche rischio sistematico perché non eliminabile.<br />

È possibile eliminare i rischi specifici investendo non in una singola azione ma in un<br />

paniere di azioni che rappresenti una quota molto ampia dell’intero mercato. Ad esem-<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 4 eco. L4<br />

La famiglia UNITÀ 4<br />

pio, invece di investire in singole azioni del mercato americano, si può investire nelle 500<br />

azioni che compongono l’indice S&P500 (o meglio ancora sarebbe investire nelle 5000<br />

azioni dell’indice Russel 5000). Invece di investire in qualche singola azione europea si<br />

potrebbe investire nelle 350 azioni dell’indice S&P 350 Euro. Questo è possibile attraverso<br />

i fondi di investimento o, meglio, attraverso gli ETF.<br />

Il rischio sistematico, diversamente dal rischio specifico, è calcolabile statisticamente in termini<br />

di “deviazione standard”, detta anche volatil<strong>it</strong>à.<br />

Ad esempio, possiamo dire che il mercato azionario internazionale oscilla intorno al 20%<br />

annuo. Ciò significa che investendo 10 centesimi in un anno qualunque, alla fine dell’anno<br />

possiamo avere 8 centesimi o 12 centesimi.<br />

Rischio del gestore<br />

Abbiamo detto che per ev<strong>it</strong>are il rischio specifico è necessario diversificare i propri investimenti<br />

sul maggior numero di t<strong>it</strong>oli possibile. Per fare questo è necessario acquistare<br />

quote di fondi di investimento che a loro volta investono in un paniere diversificato. La<br />

maggioranza dei fondi distribu<strong>it</strong>i dalle banche si definisce “a gestione attiva”. Ciò significa<br />

che non investe nel maggior numero di t<strong>it</strong>oli possibile con l’obbiettivo di replicare ciò<br />

che fa l’indice del mercato nel quale si desidera investire, ma si pone l’obbiettivo di fare<br />

meglio di quello che fa l’indice di riferimento.<br />

Ciò significa che il risultato dell’investimento sarà influenzato non solo dal rischio sistematico<br />

ma anche dalla bravura del gestore. Si introduce cioè un altro rischio: quello del<br />

gestore.<br />

Mediamente, questo è un rischio da non correre in quanto è dimostrato (sia da un punto<br />

di vista matematico che empirico) che la media dei soldi gest<strong>it</strong>i attivamente ha un risultato<br />

peggiore dell’indice del mercato. Questo avviene, essenzialmente, a causa dei costi<br />

della gestione attiva.<br />

Il rischio del gestore produce incertezza. Non è possibile predire se il gestore farà meglio<br />

o peggio del mercato. I suoi risultati passati non ci dicono nulla circa il futuro e molto<br />

spesso i gestori cambiano da un fondo all’altro senza che il sottoscr<strong>it</strong>tore del fondo possa<br />

fare nulla (spesso non ne viene neppure a conoscenza).<br />

A meno che non si condivida una particolare pol<strong>it</strong>ica di investimento persegu<strong>it</strong>a da uno<br />

specifico fondo, è sciocco investire in fondi a gestione attiva. È molto più razionale (e<br />

meno costoso) investire in fondi indicizzati come gli ETF.<br />

Rischio del “market timing”<br />

Questa è una tipologia di rischio della quale si parla molto poco.<br />

Nei 16 anni precedenti al 2000, il rendimento medio dei fondi comuni azionari distribu<strong>it</strong>i<br />

in America (che, per inciso, sono molto più efficienti dei nostri) è stato del 14% annuo.<br />

Il rendimento medio degli americani che hanno invest<strong>it</strong>o negli stessi fondi è stato del<br />

5,3%! Perché questa enorme differenza?<br />

Semplice: perché li hanno comprati e li hanno venduti, mediamente, sempre nel momento<br />

sbagliato!<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

45<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 4 La famiglia<br />

46<br />

UD 4 eco. L4<br />

Nel tentativo di non farsi sfuggire i periodi pos<strong>it</strong>ivi di borsa e di cercare di lim<strong>it</strong>are le perd<strong>it</strong>e<br />

nei periodi negativi, hanno sempre, regolarmente, fin<strong>it</strong>o per guadagnare meno della<br />

metà di quello che avrebbero potuto guadagnare semplicemente stando fermi.<br />

Quando si decide di modificare un investimento fatto in base ad una previsione, se poi<br />

questa non si realizza, per recuperare la perd<strong>it</strong>a sarebbe necessario fare una modifica<br />

che produca un rendimento doppio. Dopo due errori consecutivi sarebbe necessario<br />

avere un rendimento quadruplo per recuperare. In breve tempo è impossibile recuperare<br />

la perd<strong>it</strong>a sub<strong>it</strong>a in segu<strong>it</strong>o a scelte sbagliate.<br />

Ma quel che è peggio è che questo rischio produce ancora una volta incertezza: non è<br />

calcolabile e non è controllabile.<br />

Un comune risparmiatore non deve mai fare operazioni sugli investimenti fatti in base<br />

alle previsioni (proprie o altrui) circa l’andamento dei mercati finanziari. Le operazioni di<br />

acquisto o di vend<strong>it</strong>a dei prodotti finanziari devono essere guidate principalmente dai<br />

propri flussi finanziari (cioè dalle nostre necess<strong>it</strong>à di risparmio o di consumo). È provato<br />

che gli spostamenti fatti per cercare di fare meglio del mercato, mediamente, finiscono<br />

per produrre gravi perd<strong>it</strong>e.<br />

Rischio liquid<strong>it</strong>à<br />

Ci sono solo due modi per liquidare un investimento:<br />

1) aspettare, quando esiste, la naturale scadenza e farsi rimborsare dall’em<strong>it</strong>tente;<br />

2) vendere lo strumento finanziario sul mercato.<br />

La norma è utilizzare il secondo metodo. Per vendere uno strumento finanziario sul mercato<br />

è necessario che ci siano acquirenti. Se possediamo uno strumento finanziario che<br />

non viene scambiato sul mercato molto frequentemente (o, peggio, che non viene scambiato<br />

affatto) ci si espone ad un rischio liquid<strong>it</strong>à. Ciò significa che per realizzare l’investimento<br />

sarà necessario vendere sottoscosto rispetto al valore “corretto” di mercato.<br />

Per ev<strong>it</strong>are questo rischio è necessario investire esclusivamente in strumenti che presentano<br />

molti scambi giornalieri.<br />

Investire in obbligazioni non quotate della propria banca è un modo per esporsi ad un<br />

alto rischio di liquid<strong>it</strong>à. Non parliamo poi delle varie obbligazioni strutturate tanto in voga<br />

in questo momento. Queste hanno un alto grado di rischio liquid<strong>it</strong>à. Molte non sono<br />

negoziabili affatto.<br />

Rischio valutario<br />

Se compiamo investimenti denominati in una valuta diversa dall’Euro (Dollari, Yen, Sterline,<br />

ecc), il risultato dell’investimento sarà influenzato non solo dall’andamento degli<br />

strumenti finanziari sottoscr<strong>it</strong>ti ma anche dal rapporto di cambio fra l’Euro e la valuta nella<br />

quale è denominato l’investimento fatto. Questo cambio può essere favorevole o sfavorevole<br />

ma comunque influenzerà il risultato finale.<br />

Ci sono buone ragioni sia per assumersi questo rischio (la diversificazione è la prima di<br />

tutte) sia per non assumerlo. È comunque molto importante esserne consapevoli.<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 4 eco. L4<br />

La famiglia UNITÀ 4<br />

Le nostre risposte sul rischio di portafoglio<br />

Quando i lettori di Investire Informati ci chiedono informazioni sul rischio dei loro portafogli<br />

noi rispondiamo in primo luogo evidenziando le tipologie di rischio alle quali sono<br />

esposti indicando quelle che generano incertezza e non rischio calcolato. Secondariamente<br />

indichiamo il livello di rischio sistematico del portafoglio in termini di volatil<strong>it</strong>à<br />

media annua attesa.<br />

Non è detto che un rischio sistematico più alto significhi necessariamente un portafoglio<br />

peggiore di uno con rischio sistematico più basso. Tutto dipende in primo luogo dalla<br />

propria capac<strong>it</strong>à di rischio finanziario ed in secondo luogo dalla propria tolleranza al<br />

rischio finanziario.<br />

Con capac<strong>it</strong>à di rischio finanziario si intende la possibil<strong>it</strong>à materiale di restare invest<strong>it</strong>i il<br />

tempo necessario affinché l’investimento (se ben progettato e gest<strong>it</strong>o) dia i rendimenti<br />

attesi. Se, ad esempio, dobbiamo fare delle spese importanti programmate oppure se i<br />

nostri flussi di redd<strong>it</strong>o non sono sufficientemente stabili per coprire le spese ordinarie,<br />

non abbiamo sufficiente capac<strong>it</strong>à di rischio finanziario.<br />

Con tolleranza al rischio finanziario intendiamo il grado di tolleranza psicologica alle oscillazioni<br />

di mercato. Se siamo il tipo di invest<strong>it</strong>ore che, continuando a vedere il valore attuale<br />

degli investimenti scendere, si fa prendere dal panico e vende, allora non abbiamo sufficiente<br />

tolleranza al rischio finanziario per fare un investimento con un alto rischio sistematico.<br />

Fonte: Giovanni Donati, ADUC – Associazione per i dir<strong>it</strong>ti degli utenti e consumatori,<br />

www.aduc.<strong>it</strong>, 19 ottobre 2002<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

47<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 5 L’impresa<br />

48<br />

Lettura UD 5 eco. L1<br />

Quando è nata la catena di montaggio?<br />

La teoria della divisione scientifica del lavoro elaborata da Taylor trova la sua massima<br />

applicazione nella catena di montaggio. La lettura proposta di segu<strong>it</strong>o ci illustra questo<br />

processo narrando le origini dell’industria automobilistica e della produzione in serie.<br />

Un millennio è appena terminato. L’ultimo secolo si è chiuso bene per alcuni e male per<br />

altri. Un prodotto dell’uomo ha lasciato un segno indelebile in quest’ultima decima di millennio:<br />

l’automobile.<br />

Come dice il nome, l’auto-mobile, rappresenta una rivoluzione nei mezzi di trasporto, ma<br />

ancor di più come mezzo di comunicazione. Nata alla fine del 19° secolo come prototipo<br />

sperimentale di volonterosi tecnici, l’automobile ha presto sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o la locomozione<br />

animale. Il motore sost<strong>it</strong>uì i cavalli, il cocchiere divenne autista, la carrozza rimase tale e<br />

quale, separata dal resto da vetri e portiere. Luogo di osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à del proprietario del<br />

mezzo, che quasi mai era pure autista. Sporcarsi le mani era facile sui primi motori, tanto<br />

facile come rimanere a piedi. Per questo il proprietario assoldò spesso un suo subalterno<br />

con le veci di “addetto alla conduzione di vetture”.<br />

In Inghilterra si emanò sub<strong>it</strong>o il Red Flag Act, primo tentativo ecologista di contrastare<br />

l’arrivo dei nuovi, rombanti e puzzolenti mezzi di locomozione: ogni vettura doveva essere<br />

preceduta da un uomo con una bandiera rossa per avvisare popolani e galline dell’arrivo<br />

del nuovo mostro meccanico. Il resto è storia moderna o quasi.<br />

Auto del secolo è stata eletta la Ford T, chiamata Tin Lizzie: prima vettura costru<strong>it</strong>a in<br />

serie. Henry Ford, colui che si toglieva il cappello al passaggio di un’Alfa Romeo, pensò<br />

bene di motorizzare gli States con una vettura semplice, economica e robusta.<br />

Iniziò a costruirla con squadre di montaggio che rappresentavano il primo esempio di<br />

costruzione in serie, la famigerata catena di montaggio. La vettura era dotata di un motore<br />

4 cilindri di 2800 cc, valvole laterali ed un ined<strong>it</strong>o cambio automatico a 2 marce e trazione<br />

posteriore. Siamo sì in America, ma era il 1908!!!!<br />

La vettura doveva percorrere le piste delle carovane dei pionieri del West e così ebbe la<br />

carreggiata della stessa misura dei carri pionieristici. Le sospensioni erano formate da una<br />

sola balestra trasversale all’avantreno ed una trasversale al retrotreno, contro le 4 long<strong>it</strong>udinali<br />

dei modelli fino allora costru<strong>it</strong>i. Avviamento a manovella con una accensione a<br />

bobine alimentate da un volano a magneti. Forse non era il massimo della tecnologia, ma<br />

il sistema era affidabile. Il “body” era in varie versioni, dal “run about” al “touring” per<br />

osp<strong>it</strong>are 6 persone. Un unico freno alla ruota posteriore e un “freno motore” sul volano<br />

avevano più funzione di moderatori di veloc<strong>it</strong>à che di veri e propri freni.<br />

Il prezzo di vend<strong>it</strong>a iniziale fu di 960 dollari, che divennero 270 nel 1927 alla costruzione<br />

del 15millionesimo esemplare. Henry Ford si inimicò i grandi costruttori di Detro<strong>it</strong> per<br />

la sua pol<strong>it</strong>ica di alti salari per permettere ai propri dipendenti di acquistare essi stessi una<br />

Ford T. Il telaio era in acciaio a longheroni long<strong>it</strong>udinali e la strumentazione praticamen-<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009


UD 5 eco. L1<br />

L’impresa UNITÀ 5<br />

te inesistente. Il radiatore era a sifone, ossia non esisteva la pompa dell’acqua ma si basava<br />

sul principio che l’acqua fredda scende nel radiatore e l’acqua calda sale nel motore e<br />

ciò creava una naturale circolazione d’acqua con effetto refrigerante.<br />

La vettura doveva essere facilmente guidata da chiunque, signore comprese, ed era così<br />

dotata di tre pedali, uno per la marcia avanti, uno per la marcia indietro e uno per il freno,<br />

l’acceleratore era a mano, assieme alla levetta dell’anticipo.<br />

Le ruote erano a raggi di legno, nonostante esistessero già le ruote in acciaio. La scelta<br />

del materiale venne presa per la maggior reperibil<strong>it</strong>à di un falegname negli sperduti paesini<br />

americani che avrebbe sempre potuto riparare la ruota in legno, mentre sarebbe<br />

stata difficoltosa la riparazione di ruote metalliche.<br />

Per abbassare ulteriormente il prezzo Henry Ford la consegnò in “qualsiasi colore purché<br />

fosse il nero”. In ver<strong>it</strong>à ciò fu vero dal 1910 in poi, esistono infatti testimonianze dei primi<br />

esemplari, tra cui quello custod<strong>it</strong>o nel Museo Ford, colorati in rosso.<br />

La batteria con l’avviamento elettrico apparve intorno al 1920 quando ormai altri costruttori<br />

avevano imboccato la strada della semplic<strong>it</strong>à.<br />

Tutto è facile con Lizzie, dal cambiare le gomme, al cambiare il ferodo della frizione automatica,<br />

dal separare la carrozzeria dal telaio, allo smontare il motore.<br />

Pur essendo state costru<strong>it</strong>e versioni sportive, mai riconosciute dalla casa, è rimasta una<br />

vettura popolare e di servizio, niente allori, niente grandi corse... se fosse nata animale<br />

sarebbe stato un mulo.<br />

Nessuna velle<strong>it</strong>à corsaiola, solo fedele serv<strong>it</strong>rice.<br />

Tanto brutta quanto simpatica, divenne famosa nei film di Stanlio e Ollio, in quelli di<br />

Buster Keaton, trattata male ma sempre viva.<br />

Le versioni si susseguivano negli anni mantenendo inalterata la struttura, stesso motore,<br />

stesso telaio, stesse caratteristiche, per una veloc<strong>it</strong>à di 70 Km/h per 20 Cv ed un peso di<br />

700 kg.<br />

Oggetto del desiderio per tanti americani, venne prefer<strong>it</strong>a da farmer ed artigiani per la<br />

sua duttil<strong>it</strong>à, per il suo andare “sempre”, ma mai bene. Manutenzione ridotta al minimo,<br />

consumi ridotti (se rifer<strong>it</strong>i all’epoca). Ruote alte e strette per superare gli ostacoli e districarsi<br />

nel fango.<br />

Insomma una vera Regina delle strade, pardon... carraie dei primi anni del secolo.<br />

Arrivederci nel prossimo millennio cara e vecchia Lizzie!<br />

Fonte: Roberto Vellani, “Ford T: l’auto del secolo!”, in: www.museodellauto.<strong>it</strong><br />

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49<br />

economia<br />

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1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 5 L’impresa<br />

50<br />

Lettura UD 5 eco. L2<br />

Gli effetti della concorrenza cinese<br />

L’articolo che segue mette in luce i punti cr<strong>it</strong>ici della gestione aziendale <strong>it</strong>aliana,<br />

soprattutto con riferimento a imprese di dimensioni medio-piccole, oggi messe a dura<br />

prova dalla globalizzazione e in particolare dalla concorrenza cinese.<br />

La piccola e media impresa <strong>it</strong>aliana è stata detentrice di una cultura del lavoro fatta più<br />

di sforzo, grinta, aggressiv<strong>it</strong>à commerciale che di applicazione di metodi e tecniche di<br />

gestione manageriale, ma ora questo modello ha il fiato corto. [...]<br />

[...] Della globalizzazione e dei suoi effetti sull’Italia si è già detto quasi tutto, per cui stavolta<br />

cercherò di fare il futurologo, cioè tenterò di prevedere il futuro delle nostre imprese<br />

partendo dalla valutazione del presente. Dunque, la globalizzazione.<br />

Tra i protagonisti di tale evento, la Cina si è indubbiamente guadagnata a pieni voti il t<strong>it</strong>olo<br />

di spregiudicato e trucido responsabile dell’imminente e rovinoso declino della nostra<br />

economia. Viene segu<strong>it</strong>a dall’India, di cui mediamente noi <strong>it</strong>aliani non sappiamo molto<br />

(come della Cina), ma che sembra ispirare meno timore, forse perché gli indiani ci risultano<br />

più simpatici dei cinesi e quindi implic<strong>it</strong>amente meno pericolosi.<br />

La stampa di casa nostra, poi, amplifica l’evento “globalizzazione” con boatos e rumors<br />

catastrofistici alternati a espressioni ammirate (“A Shanghai ci sono 1.500 grattacieli”) [...]<br />

[...] Al di là del folklore, il “problema Cina” esiste. Esso è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o in sintesi da un solo<br />

fatto: le imprese cinesi riversano sui mercati occidentali (quindi anche sui nostri) prodotti<br />

simili a quelli che pure noi produciamo, praticando prezzi che le nostre imprese non<br />

sono in grado di applicare e che vengono acquistati sia dalle nostre imprese sia, a cascata,<br />

dai privati c<strong>it</strong>tadini.<br />

Ovviamente, la Cina solo di rado vende direttamente alle imprese di produzione e agli<br />

utilizzatori finali: nella massima parte dei casi vende a distributori <strong>it</strong>aliani che importano i<br />

loro prodotti a basso prezzo. Costoro, rivendendoli sul mercato domestico, diventano<br />

paradossalmente i primi compet<strong>it</strong>ori delle imprese di casa nostra e creano quindi un bailamme<br />

distributivo non indifferente.<br />

Alle produzioni a basso prezzo va poi aggiunta la quant<strong>it</strong>à non trascurabile di prodotti<br />

contraffatti. [...]<br />

A propos<strong>it</strong>o, le new entry nel mercato del taroccato cinese sono i rasoi “usa e getta” e le<br />

pile, prodotti comparsi nei negozi di Napoli (la più trendy fra le c<strong>it</strong>tà nostrane che importano<br />

il contraffatto) prima delle festiv<strong>it</strong>à natalizie. Mi assicurano che i rasoi, dopo un solo<br />

giorno di uso, scarnificano i malcap<strong>it</strong>ati utilizzatori e che le pile si scaricano anche solo<br />

guardandole intensamente.<br />

Le domande che nascono sono due: perché i cinesi possono praticare tali prezzi e noi<br />

no? E poi: perché possono distribuire impunemente prodotti taroccati?<br />

Quanto alla prima domanda, la risposta è semplice: le condizioni retributive di cui godono<br />

– si fa per dire – i lavoratori cinesi (in media, intorno ai 70 euro netti al mese), un<strong>it</strong>e<br />

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L’impresa UNITÀ 5<br />

ad assenza di welfare, irrisori costi di energia e materie prime, mancanza di norme in<br />

tema di sicurezza (il cui rispetto da noi costa un sacco di soldi), consentono ai produttori<br />

di laggiù di vendere in Occidente prodotti simili ai nostri a bassissimo prezzo, quindi ad<br />

alta vendibil<strong>it</strong>à e, aggiungo, con altissimo margine per i produttori stessi, cioè il contrario<br />

degli omologhi nostrani, che realizzano prodotti ad alto prezzo, minore vendibil<strong>it</strong>à e bassissimo<br />

margine. In tale contesto, è ovvio che le nostre imprese non possano rintuzzare<br />

i loro attacchi, per cui, se le cose continueranno così, molte saranno, prima o poi, costrette<br />

a chiudere.<br />

Quanto alla seconda domanda (perché i cinesi possono distribuire impunemente prodotti<br />

taroccati), la risposta è altrettanto semplice: benché da noi esistano leggi severe contro<br />

i contraffattori di marchi e di prodotti, il problema è uno solo, farle rispettare. Malauguratamente,<br />

viviamo in un paese che produce normative in quant<strong>it</strong>à industriale e le fa<br />

rispettare in modo artigianale.<br />

Quali sono i tipi di imprese che soffrono di più in tale s<strong>it</strong>uazione? Le imprese più penalizzate<br />

sono di tre tipi, quelle che realizzano prodotti banali (cuscinetti a sfera, v<strong>it</strong>i, bulloni,<br />

utensileria, tessile, mat<strong>it</strong>e eccetera), quelle che creano prodotti a know-how facilmente<br />

replicabile (elettrodomestici bianchi e neri, biciclette, rasoi, pile, scarpe eccetera) e quelle<br />

che realizzano prodotti tram<strong>it</strong>e l’impiego di tecnologie di cui anche i cinesi sono in possesso<br />

(o che possono copiare grazie a impianti e macchinari che magari proprio noi<br />

abbiamo forn<strong>it</strong>o loro negli anni passati).<br />

Se facciamo il conto, le tre categorie produttive a rischio cost<strong>it</strong>uiscono il 90% delle imprese<br />

<strong>it</strong>aliane.<br />

Chi non è toccato oggi da tale pericolo? Le imprese di produzione o distribuzione nel settore<br />

alimentare e delle bevande (analcolici, birre, vini e liquori), quelle che producono servizi<br />

a carattere locale o nazionale (imprese di pulizie, catering, agenzie di viaggio) oppure<br />

servizi specialistici (software house), alta tecnologia (industria aeronautica o spaziale),<br />

design di marca obbligatoriamente sempre innovato (scarpe, accessori o abbigliamento)<br />

oppure detentrici di marchi non attaccabili da succedanei (Ferrari, Maserati, Lamborghini<br />

e poco altro).<br />

Quante sono le imprese <strong>it</strong>aliane oggi inattaccabili dai cinesi? Il 10% – a stare larghi – del<br />

totale, sia per fatturato sia per numero di addetti.<br />

Quindi, se queste imprese non sono toccate dal “rischio Cina”, basterebbe che le altre si<br />

comportassero come quelle inattaccabili, cioè basterebbe che elevassero la soglia tecnologica<br />

o innovativa della loro offerta e automaticamente sarebbero immuni da rischi. Può<br />

apparire semplicistico ma è così. Per creare tecnologia e innovazione, però, occorre che<br />

qualcuno provveda a generarle e che le imprese se ne muniscano, o acquistandole o realizzandole<br />

in proprio.<br />

Come si fa a creare tecnologia e innovazione? Attraverso la ricerca. Chi dovrebbe finanziarla?<br />

Lo stato e i privati. Lo stato, tram<strong>it</strong>e il governo del momento e attraverso pol<strong>it</strong>iche<br />

industriali; i privati, attraverso la devoluzione alla ricerca di una quota parte degli utili<br />

delle loro imprese. Iniziamo dallo stato e dalla sua pol<strong>it</strong>ica industriale. Questa è un aspetto<br />

di pol<strong>it</strong>ica economica mirato a generare un impatto pos<strong>it</strong>ivo e di lungo periodo sull’as-<br />

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economia<br />

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VOLUME<br />

UNITÀ 5 L’impresa<br />

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setto industriale del paese. Infatti, quando uno stato (come il nostro) è industrialmente<br />

avanzato, non esiste intervento di pol<strong>it</strong>ica economica che non abbia un effetto più o<br />

meno significativo sull’industria. In altre parole, una pol<strong>it</strong>ica industriale mirata alla cresc<strong>it</strong>a<br />

dell’industria in un paese avanzato dovrebbe stanziare generosi finanziamenti idonei<br />

a consentire alle imprese di creare, tram<strong>it</strong>e la ricerca, un’innovazione continua e capace<br />

di alimentare efficacemente la loro compet<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à sui mercati, con pos<strong>it</strong>ive ricadute sull’occupazione.<br />

Qui nasce il primo problema: in Italia da anni non abbiamo una pol<strong>it</strong>ica industriale.<br />

Abbiamo assist<strong>it</strong>o in passato all’erogazione di cospicui e generosi finanziamenti<br />

peraltro parcellizzati in mille rivoli, nessuno dei quali sufficiente a sostenere iniziative strategiche.<br />

In alcuni casi, poi, i finanziamenti statali sono stati da pronto soccorso, ad esempio quando<br />

sono serv<strong>it</strong>i a tappare i clamorosi e sub<strong>it</strong>anei crolli di imprese pubbliche e private<br />

(spesso con un elevato numero di occupati) fulminate da inattesi colpi apoplettici (non<br />

faccio nomi, tanto li conoscete pure voi).<br />

D’altra parte, in tali casi non si può non intervenire: tutti sappiamo che ventimila dipendenti<br />

di un’impresa allo sfascio cost<strong>it</strong>uiscono una bomba sociale innescata e che quindi<br />

bisogna immediatamente disinnescarla.<br />

Come? Attraverso fondi che colmino la voragine finanziaria, prepensionamenti e ammortizzatori<br />

sociali di qualche natura (ma sempre soldi pubblici sono).<br />

Fortunatamente, ora ciò non sarà più possibile con la disinvoltura di un tempo, poiché i<br />

“salvataggi” di infausta memoria sono vietati dalle norme comun<strong>it</strong>arie. Amareggia<br />

comunque constatare che, di fatto, non si sente parlare da anni di pol<strong>it</strong>iche industriali di<br />

buon respiro: al massimo, si presentano entusiasticamente ciclopiche opere pubbliche,<br />

che tutto sono tranne che manifestazioni di pol<strong>it</strong>ica industriale.<br />

La conseguenza di tutto ciò? Le pol<strong>it</strong>iche industriali non ci sono e di conseguenza la ricerca<br />

è disseccata, sia essa pubblica o privata.<br />

[...] I ricercatori <strong>it</strong>aliani migliori se ne vanno. [...] Noi stiamo sprecando una generazione<br />

di giovani talenti e, allo stesso tempo, stiamo arricchendo gratis il patrimonio intellettuale<br />

di paesi più ricchi del nostro. Inutile dire chi dobbiamo ringraziare di tutto ciò.<br />

[...] Eppure, fino a trent’anni fa in Italia eravamo fieri delle nostre grandi imprese. Facevano<br />

ricerca e sviluppo e creavano innovazione, erano compet<strong>it</strong>ive in tutto il mondo, al<br />

punto che certe loro realizzazioni erano eccellenti per definizione solo perché erano <strong>it</strong>aliane.<br />

Bene, cosa è rimasto? Chi inventa qualcosa di nuovo (common rail, ad esempio) vende<br />

l’idea e non la impiega come mezzo di distinzione compet<strong>it</strong>iva sui mercati; la qual<strong>it</strong>à<br />

complessiva dei prodotti e il loro apprezzamento da parte dei clienti non è più – dispiace<br />

ammetterlo – quella di una volta.<br />

Vogliamo parlare del valore dell’estetica in campo automobilistico? In questo mercato, si<br />

sa che 39 <strong>it</strong>aliani su 100 scelgono la loro macchina in base a cr<strong>it</strong>eri estetici, cioè “quanto<br />

a loro piace”. Ebbene, avete la sensazione che questo fattore sia stato tenuto in gran<br />

conto dalla Fiat negli ultimi quindici anni? [...]<br />

In tali condizioni, che accadrà alla Fiat (ma soprattutto ai suoi dipendenti) il giorno in cui<br />

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L’impresa UNITÀ 5<br />

l’industria automobilistica cinese, maturata la dovuta esperienza – cioè fra cinque anni al<br />

massimo – e soddisfatto almeno in parte il mercato interno, iniziasse a vendere a casa<br />

nostra util<strong>it</strong>arie cui manca solo la parola e al prezzo di cinquemila euro? Che i cinesi stiano<br />

pensando di entrare anche nel mercato europeo dell’auto (e quindi anche in quello<br />

<strong>it</strong>aliano) è testimoniato dal recente loro acquisto dell’inglese MG Rover, che io vedo più<br />

come l’acquisto di una palestra industriale su cui fare allenamento (cioè per imparare,<br />

soprattutto il marketing) in vista di uno sbarco sui mercati europei che come la banale<br />

acquisizione di un business.<br />

E meno male che in Italia non siamo significativi produttori di hardware e software: il<br />

recente acquisto, sempre da parte dei cinesi, della divisione personal computer dall’Ibm<br />

lascia intendere che essi vorranno entrare al più presto anche in quel settore: se ci fossimo<br />

anche noi, avremmo un mal di testa in più.<br />

In un contesto di tal genere e senza una pol<strong>it</strong>ica industriale, come si può pensare che le<br />

grandi imprese destinino somme, obbligatoriamente ingentissime, alla ricerca? In conclusione<br />

e sintesi: le nostre grandi aziende non hanno i mezzi per fare adeguatamente ricerca,<br />

le piccole e medie imprese non la fanno anche per mental<strong>it</strong>à e la ricerca pubblica non<br />

viene fatta in modo sufficiente (e ci perdiamo i nostri migliori giovani, che continuano a<br />

trasferirsi all’estero e nove volte su dieci vi trovano la ragazza giusta, la sposano, ci fanno<br />

i figli e l’Italia diventa il posto dove tornare per le ferie e nemmeno tutti gli anni).<br />

Quali saranno gli sviluppi futuri? Se non accadrà un cataclisma pol<strong>it</strong>ico ed economico<br />

che ridimensioni Cina e India oppure se i nostri governi non si ravvederanno, secondo<br />

me c’è il rischio concreto che entro dieci anni una parte considerevole dell’industria manifatturiera<br />

<strong>it</strong>aliana non esisterà più. Quel che sarà sopravvissuto, non sarà più proprietà <strong>it</strong>aliana.<br />

Con molta avvedutezza, infatti, i paesi economicamente emergenti si stanno preparando<br />

anche culturalmente ad affrontare il futuro (mentre noi ci raccontiamo come si<br />

stava bene una volta e quanto eravamo bravi): è di questi giorni la notizia dell’avvio in<br />

Cina del primo master in business administration e la qualificatissima facoltà di ingegneria<br />

(una delle prime al mondo) dell’Univers<strong>it</strong>à di Bangalore, in India, sforna ogni anno<br />

500 ingegneri di altissimo livello che si affiancano agli altrettanto qualificati ricercatori attivi<br />

nella Fondazione Tata, centro di ricerca di quella straordinaria impresa privata, che sviluppa<br />

il suo know-how grazie a risorse indiane.<br />

Certamente <strong>it</strong>aliane resteranno le mense aziendali, le imprese di pulizie, la moda e poco<br />

altro. Del futuro di Ferrari e Maserati non sono tanto sicuro.<br />

Poiché gli esseri umani sono come i metalli (ognuno ha il suo punto di fusione), se, Iddio<br />

non lo voglia, l’offerta d’acquisto dovesse essere una di quelle cui non si può dire di no,<br />

non escluderei che entro una decina d’anni potremmo veder uscire dalle linee di produzione<br />

di Maranello dei bolidi con gli occhi a mandorla.<br />

Fonte: Claudio Sorbo, “Giorni di crisi per le piccole e medie imprese”, in “Dirigente”, n. 4/2005<br />

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economia<br />

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Lettura UD 5 eco. L3<br />

Strategie e management<br />

L’intervista che riportiamo di segu<strong>it</strong>o ci fornisce un quadro delle più recenti e innovative<br />

strategie di marketing, un’attiv<strong>it</strong>à in continua evoluzione.<br />

Il futuro del marketing? Sta nella capac<strong>it</strong>à di sviluppare e diffondere idee di business in<br />

maniera rapida e contagiosa. Come se fossero epidemie.<br />

Ad affermarlo è Malcolm Gladwell, padre del marketing virale e principale teorico della<br />

trasmissione massiva delle idee come strumento di business.<br />

Dopo il suo intervento in Italia, dove è intervenuto come speaker al World Business<br />

Forum 2006, Gladwell ci spiega i segreti per rendere le mode e il passaparola parte integrante<br />

delle strategie aziendali.<br />

Lei è stato il primo a individuare nuovi legami tra medicina ed economia. Ma<br />

quali sono gli elementi che li accomunano?<br />

“Il business e le malattie virali sono retti da regole simili, cioè capac<strong>it</strong>à di contagio, esistenza<br />

di piccole cause che provocano grandi effetti e presenza di un punto a partire dal<br />

quale il fenomeno accelera e acquista valore. Potere del contesto e ruolo svolto da alcuni<br />

connettori per la prolificazione dei germi-idee sono fondamentali sia negli affari che nelle<br />

epidemie. Un caso emblematico è quello delle scarpe Hush Puppies che all’inizio del<br />

1994 vendevano solo 30.000 paia l’anno e sembravano condannate a scomparire dal<br />

mercato. Fino all’arrivo dell’ondata virale, scatenata da un gruppo di ragazzi dell’East Village<br />

e di Soho, tra i pochi appassionati alle Hush Puppies: nel ‘95 furono presi come<br />

modelli da due case di moda, scatenando la diffusione del marchio; in un anno furono<br />

vendute 430.000 paia di scarpe. Cifra che quadruplicò nei dodici mesi successivi e che<br />

valse alla società il premio “Fashion Accessory of the Year” assegnato dal Council of<br />

Fashion Designers of America”.<br />

Come si possono individuare idee e prodotti in grado di diffondersi in maniera<br />

virale?<br />

“Per scoprire come un prodotto possa contagiare su scala massiva la gente è fondamentale<br />

investigare il pubblico al quale si mira e i suoi bisogni, anche inespressi. La semplic<strong>it</strong>à<br />

è stata l’arma vincente su cui ha puntato Apple per scatenare la moda dell’iPod. La<br />

gente cercava dispos<strong>it</strong>ivi elettronici meno complessi e l’iPod ha soddisfatto questa<br />

domanda. Venti anni fa la semplic<strong>it</strong>à non sarebbe stata contagiosa perché i consumatori<br />

cercavano prodotti con più funzional<strong>it</strong>à. Scandagliare la società e scegliere i contesti adatti<br />

alla prolificazione di mode e tendenze è il segreto per le imprese che vogliono emergere<br />

contenendo i costi”.<br />

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L’impresa UNITÀ 5<br />

Ci può fare un esempio pratico in questo senso?<br />

“Una casa ed<strong>it</strong>rice indipendente inglese, la Bloomsbury, attenta agli umori del “basso”, fu<br />

l’unica nel ’97 ad accettare il manoscr<strong>it</strong>to di una scr<strong>it</strong>trice sconosciuta, Joanne Kathleen<br />

Rowling e a pubblicarlo. Quel libro si chiamava “Harry Potter” e oggi è un best seller di<br />

dimensioni globali. Che ha portato effetti inattesi sui ricavi della Bloomsbury (passati dai<br />

5 milioni ai 61 milioni di sterline del 2001 fino ad arrivare ai 109 milioni del 2005, ndr)<br />

e sulla popolar<strong>it</strong>à della scr<strong>it</strong>trice, che – secondo alcune stime di Forbes – in meno di dieci<br />

anni ha accumulato un patrimonio di un miliardo di dollari. Un boom dovuto alla pubblic<strong>it</strong>à<br />

passaparola e allo scambio di informazioni tra i lettori”.<br />

Il passaparola assume un’importanza decisiva nel marketing virale. Cosa<br />

deve fare un’impresa per generarlo?<br />

“Per scatenare l’effetto virale le aziende devono innanz<strong>it</strong>utto riconoscere l’importanza di<br />

due tipi di individui: i “connettori” e i “maven”. Un maven è una persona che possiede<br />

informazioni su molti prodotti, prezzi o luoghi e che racconta alla gente quello che sa; i<br />

connettori sono invece la colla sociale per divulgare le notizie e si caratterizzano per il<br />

fatto di conoscere moltissime persone di amb<strong>it</strong>i diversi. Attraverso l’analisi della base<br />

clienti le aziende dovrebbero individuare maven e connettori capaci di scatenare il passaparola”.<br />

Quali sono a suo avviso i prossimi trend del marketing virale e quali gli strumenti<br />

che le aziende dovrebbero utilizzare per ottenere risultati ad alto<br />

valore aggiunto?<br />

“Avvicinarsi al cliente, parlare la sua stessa lingua attraverso strumenti innovativi, come i<br />

s<strong>it</strong>i personali di social networking, tra tutti Myspace e Youtube, in cui la gente può facilmente<br />

condividere idee e informazioni in tempo reale, non temere il confronto con il<br />

basso: sono queste le chiavi di volta per scatenare mode e comportamenti contagiosi con<br />

spese irrisorie e alti margini economici e di brand awarness. Ma questo richiede un ripensamento<br />

della pubblic<strong>it</strong>à e l’apertura del marketing a un contesto più tecnologico e<br />

all’avanguardia”.<br />

Fonte: intervista a Malcolm Gladwell di Rossella Ivone, in www.businessonline.<strong>it</strong>,<br />

7 novembre 2006<br />

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economia<br />

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VOLUME<br />

UNITÀ 6 Lo Stato<br />

56<br />

Lettura UD 6 eco. L1<br />

Il Welfare alla spagnola<br />

Quali prospettive per il Welfare, vista la continua necess<strong>it</strong>à degli Stati di ridurre la spesa<br />

pubblica? Quali correttivi apportare? Quali iniziative assumere? L’articolo che proponiamo<br />

di segu<strong>it</strong>o illustra l’orientamento spagnolo al riguardo.<br />

Dopo la legge sulle pari opportun<strong>it</strong>à, il governo Zapatero ha messo a segno un altro<br />

importante risultato sul fronte delle riforme: la Ley de dependencia. Appena entrato in<br />

vigore, questo provvedimento ist<strong>it</strong>uisce un sistema nazionale per l’assistenza dei nonautosufficienti.<br />

Tutti gli spagnoli godranno di un dir<strong>it</strong>to soggettivo «esigibile» (come la<br />

pensione, tanto per intenderci) a ricevere prestazioni se il loro stato psico-fisico li costringe<br />

ad essere «dipendenti» da altre persone per le funzioni di base della v<strong>it</strong>a quotidiana.<br />

Un destino che purtroppo riguarda un anziano su tre dopo i 65 anni, non solo in Spagna.<br />

Questa riforma era nel programma del Psoe. Nel 2005 è stato elaborato un preprogetto<br />

di legge, sul quale il governo ha avviato il negoziato con le Comun<strong>it</strong>à Autonome:<br />

anche in Spagna san<strong>it</strong>à e servizi sociali sono di competenza regionale (ma le controversie<br />

tra governo e regioni sono meno accese rispetto a quelle <strong>it</strong>aliane). La legge finale<br />

è stata approvata a larghissima maggioranza. Una riforma bipartisan, alla quale si è arrivati<br />

dopo un serio lavoro di elaborazione tecnica. Il sistema pol<strong>it</strong>ico spagnolo continua ad<br />

essere affl<strong>it</strong>to da problemi di ordine interno, e dalle minacce dell’Eta. Sul terreno delle<br />

riforme sociali, tuttavia, l’azione del governo Zapatero si sta rapidamente allineando alle<br />

migliori esperienze europee. La creazione del nuovo sistema costerà cara.<br />

Bisognerà costruire residenze, potenziare i servizi domiciliari, trovare le risorse per trasferimenti<br />

in denaro. Oggi in Spagna la s<strong>it</strong>uazione è simile a quella <strong>it</strong>aliana per quanto<br />

riguarda la non-autosufficienza: carenza di infrastrutture e di personale, scarso raccordo<br />

fra servizi san<strong>it</strong>ari e sociali, forti disomogene<strong>it</strong>à terr<strong>it</strong>oriali. Lo stato spende circa un terzo<br />

di punto del Pil. La riforma prevede di elevare questa percentuale a più di 1% entro il<br />

2015. Nel complesso è prevista una spesa di più di 26 miliardi di euro, di cui metà a carico<br />

delle Comun<strong>it</strong>à autonome. Quest’anno si comincerà con 800 milioni: un investimento<br />

ingente, se si pensa che la finanziaria Prodi dedica a questo settore per il 2007 solo<br />

100 milioni. Come farà Zapatero a trovare i soldi? Le finanze pubbliche della Spagna<br />

sono in buone condizioni e dunque offrono margini di manovra più ampi che in Italia.<br />

Inoltre la Ley de dependencia prevede quote di compartecipazione in base al redd<strong>it</strong>o.<br />

Parte delle spese verranno dunque recuperate grazie ai ticket. Su questo punto vi è stata<br />

molta discussione: il Part<strong>it</strong>o popolare chiedeva la gratu<strong>it</strong>à completa per alcune patologie<br />

e la garanzia di soglie predeterminate di esenzione. Il governo ha tenuto duro: chi ha<br />

mezzi deve partecipare sempre ai costi e le esenzioni dipenderanno dalle compatibil<strong>it</strong>à di<br />

bilancio. I principi guida del «socialismo dei c<strong>it</strong>tadini» di Zapatero sono due: bisogna<br />

garantire la disponibil<strong>it</strong>à (non necessariamente la gratu<strong>it</strong>à) di servizi a tutti; a nessuno<br />

deve essere precluso l’accesso a questi servizi per motivi economici. Come si vede, siamo<br />

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Lo Stato UNITÀ 6<br />

molto lontani da quel «tutto a tutti» che è stata la massima della sinistra europea per molti<br />

decenni. Sul piano economico la Ley de dependencia è nata poi da una sorta di scommessa,<br />

su cui hanno puntato in particolare le ministre «rosa» del governo di Madrid.<br />

Sgravando le famiglie dagli oneri di cura al proprio interno si può generare un circolo virtuoso<br />

di cresc<strong>it</strong>a: secondo le stime, entro il 2015, per effetto della riforma si creeranno<br />

300.000 posti di lavoro in più, mentre il Pil accelererà la sua corsa di circa 0,3 punti l’anno.<br />

Se la scommessa riesce, la Spagna potrebbe diventare una sorta di «Svezia del Sud<br />

Europa», sorpassando l’Italia non solo sul fronte del redd<strong>it</strong>o pro-cap<strong>it</strong>e ma anche su quello<br />

della giustizia sociale.<br />

Fonte: Maurizio Ferrera, “Corriere della sera”, 7 gennaio 2007<br />

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economia<br />

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VOLUME<br />

UNITÀ 7 Mercato, domanda, offerta<br />

58<br />

Lettura UD 7 eco. L1<br />

Prevedere l’imprevedibile? Oggi va di “moda”<br />

L’articolo che segue illustra gli effetti della moda in un settore che ne è particolarmente<br />

influenzato e che per tale motivo subisce notevoli variazioni della domanda:<br />

quello dell’abbigliamento.<br />

L’incertezza delle vend<strong>it</strong>e nel settore della moda e il nuovo metodo di previsione<br />

proposto alla Harvard Business School<br />

Jan Hammond e Ananth Raman sono professori di Supply Chain Management (la<br />

gestione del processo che porta dalla progettazione, alla produzione e alla distribuzione<br />

di un prodotto) e co-autori di uno studio (“Making Supply Meet Demand in an Uncertain<br />

World”, Harvard Business Review 72, no. 3) che introduce un metodo nuovo e più<br />

scientifico di previsione delle vend<strong>it</strong>e nei settori dell’abbigliamento e della moda. In uno<br />

scenario di crescente compless<strong>it</strong>à produttiva, sistemi come quello proposto potrebbero<br />

rilevarsi cruciali nel determinare successo ed insuccesso delle aziende.<br />

L’aumento di compless<strong>it</strong>à della catena produttiva e delle previsioni di vend<strong>it</strong>a<br />

Una delle icone del cap<strong>it</strong>alismo degli anni ‘10-’30, la famosa Ford T, veniva prodotta in<br />

una sola versione e restò sostanzialmente immutata nelle sue caratteristiche per tutto l’arco<br />

del suo ciclo di v<strong>it</strong>a. A questo propos<strong>it</strong>o Henry Ford soleva dire: “potete avere la vostra<br />

Ford di qualunque colore, purché sia il nero”.<br />

Quei tempi sono, e non da poco, terminati. In qualsiasi categoria di bene, sia di largo consumo<br />

sia di lusso, sia d’utilizzo immediato sia durevole, sarebbe oggi impensabile imporre<br />

un unico modello per un tempo prolungato. Al contrario, oggi le aziende cercano di<br />

rincorrere le più svariate esigenze dei consumatori proponendo loro un numero una<br />

volta impensabile di variazioni di prodotto e si sfidano fra loro aggiornando il più rapidamente<br />

possibile l’offerta. Il ciclo di v<strong>it</strong>a di molti dei prodotti con i quali abbiamo a che fare<br />

tutti i giorni si è così notevolmente accorciato. Se per esempio agli inizi degli anni ‘70 un<br />

particolare modello di automobile rimaneva in commercio per 7/8 anni, oggi la sua v<strong>it</strong>a<br />

media si è accorciata a 3/4 anni. Lo stesso vale per i cosiddetti elettrodomestici bianchi<br />

(lavastoviglie, lavatrici, ecc.), la cui permanenza in commercio è passata da 10 a 4 anni<br />

nello stesso arco temporale. Parallelamente all’accorciarsi della v<strong>it</strong>a media di un modello<br />

in molte delle categorie merceologiche si è inoltre verificato il moltiplicarsi delle cosiddette<br />

SKUs (Stock Keeping Un<strong>it</strong>s), ossia del numero di variazioni prodotte di uno stesso<br />

modello (la stessa automobile, se prodotta in verde o in rosso, conta come due diverse<br />

SKUs). Così, se alla fine degli anni ‘80 un consumatore poteva scegliere tra 60 diversi<br />

freezer e circa 550 modelli di personal computer, alla fine del decennio scorso questi<br />

numeri sono sal<strong>it</strong>i a circa 600 e 4.500 rispettivamente. In questo contesto, diventa sempre<br />

più complesso per un’azienda equilibrare la domanda e l’offerta per tutti i beni in tutti<br />

i punti di distribuzione in tutti i momenti.<br />

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Mercato, domanda, offerta UNITÀ 7<br />

Il caso della moda<br />

Non sempre, inoltre, progettazione e produzione sono state in grado di tenere il r<strong>it</strong>mo<br />

del dinamismo imposto dal marketing. Per esempio, alcuni processi quali la concezione<br />

e fabbricazione di una nuova collezione di moda, continuano a richiedere nella maggior<br />

parte dei casi tempi estremamente lunghi.<br />

Alla compless<strong>it</strong>à appena descr<strong>it</strong>ta si aggiunge il fatto che tendenze da lungo tempo in<br />

atto come l’outsourcing di un gran numero di funzioni aziendali, la parcellizzazione delle<br />

competenze e la localizzazione della produzione in Paesi a basso costo di manodopera<br />

abbiano reso sempre più difficile per un’azienda avere una visione chiara dell’insieme<br />

della domanda e dell’offerta. Molte aziende, che una volta gestivano direttamente l’insieme<br />

della catena progettazione-produzione-distribuzione, sono diventate delle vere e proprie<br />

“aziende virtuali”. Si lim<strong>it</strong>ano cioè solamente a gestire le parti “soft” del loro business<br />

(progettazione di nuovi prodotti, marketing e comunicazione) e delegano a licenziatari,<br />

distributori terzi o franchisee le cosiddette funzioni “hard”, ossia produzione, distribuzione,<br />

logistica e trasporto. Questa parcellizzazione delle varie fasi della catena del valore<br />

crea due ulteriori problemi per l’equilibrio della domanda e dell’offerta. Innanz<strong>it</strong>utto maggiore<br />

è il numero di “anelli” nella catena che unisce domanda e offerta, più difficile è il<br />

passaggio di informazioni sulle tipologie e sulle quant<strong>it</strong>à domandate. Secondariamente,<br />

anche se tipologie e quant<strong>it</strong>à fossero perfettamente trasparenti, si avrebbe comunque un<br />

problema di mancata ottimizzazione dei flussi, dovuto al confl<strong>it</strong>to d’interessi dei diversi<br />

attori della catena, ognuno dei quali cerca di minimizzare il proprio costo individuale,<br />

noncurante di quello complessivo. Per esempio, in una catena semplificata composta da<br />

un fabbricante di tessuti, un produttore di abbigliamento e un distributore, i primi due<br />

hanno interesse a che la produzione sia quanto più possibile uniforme durante l’anno, in<br />

modo da utilizzare in maniera omogenea gli impianti e la forza lavoro, mentre il distributore,<br />

a causa della stagional<strong>it</strong>à dei prodotti, desidera lotti di produzione di quant<strong>it</strong>à diverse<br />

e con modelli e tessuti diversi. La s<strong>it</strong>uazione viene ulteriormente complicata dal fatto<br />

che, nonostante fabbricante di tessuti e produttore di abbigliamento abbiano obiettivi<br />

apparentemente simili, in realtà molto spesso sono in confl<strong>it</strong>to a causa dei loro diversi<br />

r<strong>it</strong>mi di produzione. In una s<strong>it</strong>uazione come quella appena descr<strong>it</strong>ta (molto semplificata<br />

rispetto alla realtà), la soluzione sarà molto probabilmente un compromesso fra i tre attori,<br />

che nella stragrande maggioranza dei casi non minimizzerà il costo per la catena nel<br />

suo complesso. Ecco perché solo un ipotetico “proprietario unico” di tutta la catena del<br />

valore, grazie alla visione d’insieme di cui può godere a alla mancanza di confl<strong>it</strong>to di interessi,<br />

potrebbe operare un’ottimizzazione dei costi logistici. Ed è proprio questo uno dei<br />

motivi che sta portando diverse aziende nel settore dell’abbigliamento ad integrarsi a<br />

valle e a monte della catena distributiva.<br />

I settori del tessile e della moda possono venirci ulteriormente in aiuto per spiegare quali<br />

siano le problematiche legate alla previsione della domanda e all’ottimizzazione della<br />

produzione. Il ciclo di produzione e vend<strong>it</strong>a della moda e specialmente del prêt-a-porter<br />

di alta gamma è molto lungo. Dura complessivamente 16 mesi, di cui 9 di ciclo di produzione<br />

(design, ordinazione dei materiali, produzione e consegna) e 7 di ciclo di vendi-<br />

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59<br />

economia<br />

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1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 7 Mercato, domanda, offerta<br />

60<br />

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ta (quattro a prezzo pieno e tre di saldi e progressivi sconti). Una conseguenza immediata<br />

della lunghezza del ciclo è che sia distributori (punti vend<strong>it</strong>a) che produttori devono<br />

piazzare ordini impegnativi ai loro forn<strong>it</strong>ori molti mesi prima dell’osservazione diretta<br />

delle vend<strong>it</strong>e. Gli ordini impegnativi per la collezione inverno, ad esempio, sono esegu<strong>it</strong>i<br />

non più tardi del mese di marzo. I primi dati di vend<strong>it</strong>a sono però disponibili solamente<br />

quando la collezione è in negozio, e cioè mai prima di settembre. A questo punto è<br />

comunque troppo tardi per alterare significativamente le quant<strong>it</strong>à di produzione dei vari<br />

capi. Non si fa cioè in tempo ad aumentare la produzione dei “best seller” (iniziandoli a<br />

produrre ora li si otterrebbe a collezione terminata), così come a ridurre quella dei “flop”<br />

(sono ormai già stati prodotti). Perciò, salvo il caso (impossibile) in cui la domanda coincida<br />

con l’offerta per ciascun singolo modello, avremo sovrapproduzione dei modelli<br />

invenduti, con conseguente costo di obsolescenza da sopportare, e sottoproduzione dei<br />

modelli di successo, a cui è connesso il costo delle mancate vend<strong>it</strong>e.<br />

Un approccio scientifico: il metodo Obermayer<br />

È quindi a questo punto evidente come la decisione innanz<strong>it</strong>utto sulla quant<strong>it</strong>à totale da<br />

produrre e secondariamente sull’allocazione della capac<strong>it</strong>à produttiva fra le varie linee sia<br />

estremamente cr<strong>it</strong>ica. Non sarebbe un’esagerazione sostenere che una previsione accurata<br />

della domanda sia l’elemento che determina la differenza fra un’azienda di successo<br />

e una in crisi. Nonostante la sua cr<strong>it</strong>ic<strong>it</strong>à questa funzione è stata fino ad ora interpretata<br />

come un’arte più che come una scienza. I commerciali delle aziende del settore (sia di<br />

produzione che di distribuzione) “piazzano” gli ordini basandosi principalmente sul loro<br />

feeling del mercato e sui volumi degli anni passati per modelli simili. L’evidenza mostra<br />

però che i costi sopportati dalla catena (e in ultima istanza dai consumatori) a causa di<br />

una previsione di domanda approssimativa sono enormi. Si stima infatti che l’invenduto<br />

nel settore dell’abbigliamento sia (in percentuale delle vend<strong>it</strong>e totali) fra il 12 e il 22% per<br />

il distributore e fra l’8 e il 12% per il produttore. Ancora più preoccupante è il livello delle<br />

mancate vend<strong>it</strong>e a causa dell’indisponibil<strong>it</strong>à del prodotto: 20% per il distributore e 25-<br />

30% per il produttore. Sono queste percentuali che hanno un impatto enorme sui prof<strong>it</strong>ti<br />

di quasi tutte le grandi firme della moda. Anche se queste ultime si sono fino ad ora<br />

disinteressate delle inefficienze della loro catena distributiva grazie ai grandissimi margini<br />

di cui godono, l’intensificarsi della competizione e la pressione dei mercati finanziari<br />

causeranno una maggiore attenzione nei confronti del problema.<br />

Un approccio molto semplice (almeno nella sua formulazione di base) che consente di<br />

passare da un metodo “artigianale” di previsione della domanda ad uno più “scientifico”<br />

in un contesto di domanda incerta, è il metodo Obermayer, proposto da Jan Hammond<br />

e Ananth Raman insieme con Marshal Fisher e Walter Obermeyer.<br />

Nella sua versione applicativa il metodo consiste nel cost<strong>it</strong>uire un insieme di curve di previsione<br />

per i vari modelli. Anziché lasciare a un solo individuo la responsabil<strong>it</strong>à di prevedere<br />

le vend<strong>it</strong>e dei vari modelli, si cost<strong>it</strong>uisce un “com<strong>it</strong>ato di previsione” (già con un<br />

numero di componenti maggiore di 8 si ottengono risultati statisticamente significativi), i<br />

cui partecipanti (generalmente dipendenti della stessa società) formulano previsioni di<br />

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UD 7 eco. L1<br />

Mercato, domanda, offerta UNITÀ 7<br />

vend<strong>it</strong>a per le varie linee. Vengono quindi calcolate due misure statistiche, media e<br />

varianza, delle previsioni effettuate. Già da questa semplice operazione emerge un primo<br />

elemento utile per la gestione del processo produttivo. Si può fare infatti in modo che i<br />

modelli con varianza significativa (quelli cioè sui quali c’è maggiore disaccordo sulle probabili<br />

quant<strong>it</strong>à domandate) occupino le linee produttive il più tardi possibile, di modo da<br />

poter utilizzare i primi dati di mercato (per esempio quelli di sell-out, ossia le vend<strong>it</strong>e ai<br />

distributori). Al contrario i modelli con bassa varianza vengono prodotti per primi. Il<br />

secondo passo consiste nel determinare il livello di produzione ottimale per ciascun<br />

modello. Apparentemente la soluzione sembrerebbe banale: produrre la quant<strong>it</strong>à media<br />

stimata di ciascun capo. In realtà si tratta di una decisione giusta solo a prima vista, poiché<br />

un approccio ottimizzante deve tenere necessariamente conto anche dei costi di<br />

obsolescenza e di mancata vend<strong>it</strong>a. In un contesto di questo genere i prof<strong>it</strong>ti per l’azienda<br />

sono massimizzati producendo una quant<strong>it</strong>à n tale per cui il margine atteso per la produzione<br />

dell’n-simo capo sia uguale alla perd<strong>it</strong>a attesa derivante dalla produzione del<br />

capo stesso. In altre parole, dobbiamo eguagliare costo marginale a ricavo marginale<br />

atteso (e cioè pesato per la relativa probabil<strong>it</strong>à di vend<strong>it</strong>a) e vedere a quale punto della<br />

curva di distribuzione ci troviamo.<br />

Anche nella sua formulazione più semplice, l’algor<strong>it</strong>mo di ottimizzazione richiederebbe<br />

una trattazione quant<strong>it</strong>ativa per la quale rimandiamo all’articolo originale. È però importante<br />

sottolineare che la previsione della domanda è un’attiv<strong>it</strong>à che le aziende non possono<br />

più permettersi di affrontare con metodologie “artigianali”. Gli studi su questo argomento<br />

(così come quelli sulla gestione della catena distributiva in generale) hanno infatti<br />

negli ultimi anni fatto passi da gigante e si avvalgono ora di strumenti estremamente sofisticati.<br />

Per questo le aziende che continuano ad operare con metodologie artigianali<br />

rischiano di rimanere in breve tempo ai margini dell’arena compet<strong>it</strong>iva.<br />

Fonte: Jean-Pierre Di Benedetto, “Corriere della sera”, 12 novembre 2001<br />

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economia<br />

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UNITÀ 7 Mercato, domanda, offerta<br />

62<br />

Lettura UD 7 eco. L2<br />

Si può riconoscere alla pubblic<strong>it</strong>à un ruolo<br />

sociale?<br />

Luis Bassat e Giancarlo Livraghi, due “addetti ai lavori”, ne Il nuovo libro della pubblic<strong>it</strong>à.<br />

I segreti del mestiere (Ediz. Il Sole 24 Ore, 2005) svolgono un’analisi puntuale<br />

ma anche divertente di tutti i fattori che determinano il successo in pubblic<strong>it</strong>à.<br />

Riportiamo di segu<strong>it</strong>o alcuni brani tratti dal primo cap<strong>it</strong>olo (“Che cos’è la pubblic<strong>it</strong>à<br />

e come funziona”) del libro, in cui si vuole far riflettere il lettore sul ruolo sociale<br />

della pubblic<strong>it</strong>à.<br />

I benefici sociali della pubblic<strong>it</strong>à<br />

Oggi la pubblic<strong>it</strong>à è accettata dalla maggior parte di noi perché ormai si è integrata perfettamente<br />

nella nostra v<strong>it</strong>a e fa parte della nostra esperienza quotidiana. Forse più che<br />

una cr<strong>it</strong>ica frontale come quella che superò al suo inizio, oggi incontra opposizione<br />

soprattutto da parte di coloro che se ne sentono saturati.<br />

Vorrei avvertirvi che ciò che leggerete da qui in avanti può essere considerato un annuncio<br />

pubblic<strong>it</strong>ario, perché sarà una raccolta di argomenti che indicano fino a che punto la<br />

pubblic<strong>it</strong>à influisce pos<strong>it</strong>ivamente sull’evoluzione sociale. [...]<br />

Spero che questi argomenti siano convincenti, come una buona pubblic<strong>it</strong>à per la pubblic<strong>it</strong>à.<br />

Perché la buona pubblic<strong>it</strong>à può essere solo questo: argomentare e convincere.<br />

A) La pubblic<strong>it</strong>à migliora la relazione qual<strong>it</strong>à/prezzo<br />

Pubblic<strong>it</strong>à, marketing e concorrenza sono i diretti responsabili della riduzione dei prezzi.<br />

Un esempio moderno di questo fatto sono i viaggi organizzati. Grazie alla pubblic<strong>it</strong>à la<br />

gente viaggia di più, e farlo è ogni giorno di più alla portata di tutti i portafogli.<br />

Un altro esempio riguarda gli avvocati americani. Da quando fu tolto il divieto di fare<br />

pubblic<strong>it</strong>à ai servizi legali, si scatenò la concorrenza.<br />

Già ne dava notizia The Economist nel 1978. «L’uso di una pubblic<strong>it</strong>à poco sofisticata e<br />

fatta in casa da meno del tre per cento di tutti gli avvocati è bastato per iniziare una<br />

rivoluzione nel mondo del dir<strong>it</strong>to. Il costo di servizi come testamenti o divorzi è dimezzato».<br />

B) La pubblic<strong>it</strong>à promuove l’innovazione<br />

Fibre artificiali, elettrodomestici, pentole antiadesive, personal computer, carte di cred<strong>it</strong>o,<br />

veicoli con freni a disco, servosterzo e ABS. Tutte queste sono state innovazioni, ognuna<br />

con costi enormi. Solo dopo esser passate dalla prova del fuoco del mercato, attraverso<br />

la pubblic<strong>it</strong>à, hanno potuto essere confermate e accettate dalla nostra società. La risposta<br />

massiccia alle loro vend<strong>it</strong>e ha permesso di migliorarle e di abbassarne il prezzo per metterle<br />

a disposizione della maggioranza.<br />

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Mercato, domanda, offerta UNITÀ 7<br />

C) La pubblic<strong>it</strong>à sviluppa la libertà di scelta<br />

Dice l’Associazione europea delle agenzie di pubblic<strong>it</strong>à: «La pubblic<strong>it</strong>à sviluppa e potenzia<br />

la libertà di scelta, dir<strong>it</strong>to considerato come l’essenza della democrazia”. Fernando<br />

Romero ha scr<strong>it</strong>to nel suo saggio El derecho de elegir (“Il dir<strong>it</strong>to di scegliere”): «Il marketing<br />

è un’espressione evidente della democrazia. La decisione della scelta sta nelle mani<br />

del consumatore. Giorno per giorno traccia con le sue azioni la strada del successo o fallimento<br />

dei pol<strong>it</strong>ici e dei prodotti. Potremmo dire che con i suoi acquisti quotidiani sta<br />

votando, come potremmo dire che con il suo voto ogni quattro anni sta comprando.<br />

Comprando idee, speranze, progetti. E, soprattutto, eserc<strong>it</strong>ando il suo dir<strong>it</strong>to di scegliere».<br />

D) La buona pubblic<strong>it</strong>à forma e informa il consumatore<br />

La pubblic<strong>it</strong>à del tabacco e dell’alcool è un tema di costante dibatt<strong>it</strong>o. La pubblic<strong>it</strong>à influisce<br />

sulle ab<strong>it</strong>udini di consumo, ma può farlo nei due sensi. Come elemento di informazione<br />

pubblica, i progressi nella sensibilizzazione sociale sui problemi derivanti dall’abuso<br />

di tabacco e alcool sono dovuti anche a campagne pubblic<strong>it</strong>arie.<br />

È ampiamente dimostrato che la pubblic<strong>it</strong>à, mentre ha contribu<strong>it</strong>o fortemente all’affermazione<br />

di singole marche (per esempio, al successo mondiale delle Marlboro), ha avuto<br />

una scarsissima influenza sulla diffusione generale dei consumi di alcool o di tabacco. Per<br />

trent’anni in Italia, nonostante il divieto totale della pubblic<strong>it</strong>à per i “prodotti da fumo”, il<br />

consumo di sigarette ha avuto un forte aumento, anche fra i giovani. Solo molto più tardi<br />

è diminu<strong>it</strong>o, per effetto di una forte corrente di opinione che è part<strong>it</strong>a dagli Stati Un<strong>it</strong>i e<br />

si è diffusa in Europa, come in altre parti del mondo. In senso inverso, per molti anni è<br />

diminu<strong>it</strong>o continuamente il consumo di alcolici, benché ci fossero forti investimenti pubblic<strong>it</strong>ari<br />

nel settore (che solo alcuni anni più tardi si erano ridotti, in segu<strong>it</strong>o alla diminuzione<br />

dei consumi).<br />

Ho avuto l’occasione di realizzare campagne ist<strong>it</strong>uzionali, come quella per la General<strong>it</strong>at<br />

de Catalunya “Non ingannarti, questa non è v<strong>it</strong>a” per diffondere coscienza dei pericoli<br />

dell’abuso di alcool e tabacco, così come dei valori dell’esercizio fisico e di un’alimentazione<br />

sana.<br />

L’aumento notevole del consumo di prodotti illegali – e perciò senza pubblic<strong>it</strong>à – come<br />

le droghe pesanti, ha indotto i governi a ricorrere ai migliori pubblic<strong>it</strong>ari per lanciare campagne<br />

informative e di presa di coscienza rivolte ai giovani e ai gruppi a maggior rischio.<br />

La pubblic<strong>it</strong>à si è rivelata uno degli strumenti più efficaci di formazione e prevenzione.<br />

Purtroppo accade raramente in Italia. Finora la “pubblic<strong>it</strong>à sociale“ nel nostro paese si è<br />

rivelata quasi sempre un fallimento o uno spreco (con qualche lodevole, ma rara, eccezione).<br />

Questo non è dovuto solo ai cr<strong>it</strong>eri di assegnazione dei contratti, spesso influenzati<br />

dagli stessi meccanismi perversi che hanno condizionato tante altre attiv<strong>it</strong>à pubbliche<br />

in Italia. Il problema più importante (che non si risolve certo con i controlli formali della<br />

Corte dei Conti o del Consiglio di Stato) è la scars<strong>it</strong>à di strategie chiare, di strutture di servizio<br />

adeguate – in generale di quella che in un’area commerciale si definirebbe una<br />

“strategia di marketing”. Quasi tutti i nostri ministeri o servizi pubblici, quando fanno<br />

pubblic<strong>it</strong>à, badano più a “farsi belli” per raccogliere voti e simpatie che a raggiungere<br />

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63<br />

economia<br />

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VOLUME<br />

UNITÀ 7 Mercato, domanda, offerta<br />

64<br />

UD 7 eco. L2<br />

risultati o dare un vero servizio alla società civile. Lo stesso fenomeno ha influ<strong>it</strong>o perfino<br />

su alcune campagne di “pubblic<strong>it</strong>à progresso”, mirate più a “dare lustro” all’ist<strong>it</strong>uto che a<br />

ottenere risultati concreti e misurabili.<br />

E) La pubblic<strong>it</strong>à può contribuire all’evoluzione del costume sociale<br />

La pubblic<strong>it</strong>à non può non tener conto dell’evoluzione del costume e della società. Come<br />

ha ben detto Néstor Lujan in uno dei suoi articoli, «la pubblic<strong>it</strong>à è il riflesso dei nostri<br />

costumi».<br />

La pubblic<strong>it</strong>à ha favor<strong>it</strong>o l’uso di soluzioni domestiche pratiche nel pieno della rivoluzione<br />

famigliare per l’aumento dell’occupazione femminile. Qualche volta la pubblic<strong>it</strong>à riesce<br />

ad anticipare una tendenza, come racconterò nel caso di Prénatal, un cliente che mi<br />

è particolarmente caro: insieme riuscimmo a far si che i papà si sentissero orgogliosi di<br />

prendersi cura dei loro bambini.<br />

La buona pubblic<strong>it</strong>à lavora a favore della corrente; quando è realizzata con approfondimento<br />

e intelligenza, la sua spinta innovatrice può anticipare i cambiamenti annunciati,<br />

favorire o stimolare l’evoluzione sociale.<br />

La pubblic<strong>it</strong>à è uno strumento di progresso, di comunicazione, fatto a misura delle esigenze<br />

umane e con grandi possibil<strong>it</strong>à di migliorare la qual<strong>it</strong>à della nostra v<strong>it</strong>a. Come ogni<br />

strumento, può essere usata male; ma quando è fatta bene e con coscienza i suoi benefici<br />

sociali sono straordinari.<br />

Il 15 giugno 1931, in un discorso all’Advertising Federation of America, Franklin D. Roosevelt<br />

disse: «Se ricominciassi la mia v<strong>it</strong>a, credo che preferirei lavorare in pubblic<strong>it</strong>à che in<br />

qualsiasi altra professione. Perché la pubblic<strong>it</strong>à è arrivata a coprire l’intera gamma delle<br />

esigenze umane; e unisce autentica fantasia allo studio profondo della psicologia umana.<br />

Poiché porta a un gran numero di persone la conoscenza di cose utili, la pubblic<strong>it</strong>à è<br />

essenzialmente una forma di educazione [...] Il generale miglioramento delle condizioni<br />

di v<strong>it</strong>a nelle civiltà moderne sarebbe stato impossibile senza quella conoscenza di livelli<br />

più elevati che è diffusa dalla pubblic<strong>it</strong>à».<br />

Fonte: Luis Bassat, Giancarlo Livraghi, Il nuovo libro della pubblic<strong>it</strong>à. I segreti del mestiere<br />

(Ediz. Il Sole 24 Ore, 2005)<br />

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Lettura UD 7 eco. L3<br />

Mercato, domanda, offerta UNITÀ 7<br />

Un occidentale senza consumismo?<br />

Impazzirebbe...<br />

Consumare è ormai un bisogno. In modo diverso ma lo fanno tutti: i ventenni<br />

sperimentano e i loro gen<strong>it</strong>ori, eterni giovani, scelgono.<br />

E tra gli <strong>it</strong>aliani proprio non si può fare a meno della vacanza.<br />

Il Wall Street Journal ha recentemente pubblicato un identik<strong>it</strong> del consumatore europeo.<br />

Lo ha fatto commentando i risultati principali di un sondaggio realizzato sugli stili di<br />

acquisto di venti paesi del vecchio continente.<br />

Dai numeri emerge che la maggioranza dei consumatori compra perché ne ha<br />

bisogno. Tutto vero o sotto sotto è la coscienza che copre tendenziosamente<br />

peccatucci di van<strong>it</strong>à?<br />

“La risposta è sicuramente tendenziosa”, risponde Daniela Calanca, docente al Polo scientifico<br />

didattico di Rimini. “Però – prosegue Calanca – la risposta è abbastanza vera. Il consumo<br />

è diventato una necess<strong>it</strong>à, una forma imprescindibile per la realizzazione individuale.<br />

Forse proietto un po’ me stessa, ma, a mio parere, se un occidentale fosse improvvisamente<br />

trapiantato in un contesto estraneo al consumismo, probabilmente impazzirebbe<br />

o comunque cercherebbe altri canali per la propria curios<strong>it</strong>à, per la propria voglia di<br />

moda come ricerca del nuovo”.<br />

Non si può fare a meno del consumo dunque. Ma cosa consumano storicamente<br />

gli <strong>it</strong>aliani?<br />

“Negli anni ’60 il boom ha decretato status symbol <strong>it</strong>aliani la 500 e la vacanza. In fondo<br />

la s<strong>it</strong>uazione da allora a oggi non è cambiata di nulla. L’auto è diventata più potente, ma<br />

la vacanza resta un fenomeno di costume, una delle principali fonti per la realizzazione<br />

del sé. E pochi, davvero pochi, dicono di non andare da nessuna parte perché non attirati...”.<br />

Tutti in partenza allora. Uomini e donne indistintamente?<br />

“Indistintamente. Le differenze di genere nascono solo di fronte alla tecnologia. La donna<br />

è tuttora ancorata al binomio moda-bellezza, mentre l’uomo si orienta di più su acquisti<br />

hi-tech come cellulari o palmari”.<br />

La ricerca dice poi che i quaranta sono i nuovi trenta. Conferma?<br />

“Non solo i quaranta. Anche i cinquanta sono della part<strong>it</strong>a. Il miglioramento della qual<strong>it</strong>à<br />

della v<strong>it</strong>a fa sentire eternamente giovani e il m<strong>it</strong>o del corpo a<strong>it</strong>ante contraddistingue<br />

ormai anche le generazioni più mature”.<br />

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economia<br />

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1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 7 Mercato, domanda, offerta<br />

66<br />

UD 7 eco. L3<br />

Ma tra questi nuovi consumatori e i tradizionali teenager che differenza c’è?<br />

“Il consumatore maturo è ormai un esperto. I quarantenni scelgono: hanno la possibil<strong>it</strong>à<br />

economica per farlo e vanno nel locale più trendy, quello che a loro più piace. I ventenni<br />

invece sperimentano: fanno di tutto, a random. Certo hanno vincoli familiari, ma meno<br />

forti che in passato. Il gen<strong>it</strong>ore dice no, ma loro vanno lo stesso, senza troppe negoziazioni”.<br />

Si direbbe in conclusione che tutti consumano...<br />

“Tutti… sono parte del meccanismo. La differenza è solo nel grado di coscienza di questa<br />

dipendenza e nella tipologia di acquisto. Per il resto consumare è una necess<strong>it</strong>à di tutti<br />

e tutti acquistano per realizzare se stessi”.<br />

Fonte: intervista a Daniela Calanca a cura di Silvio Mini, in www.magazine.unibo.<strong>it</strong>,<br />

26 luglio 2006<br />

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Lettura UD 8 eco. L1<br />

Il Libro Bianco sul Welfare<br />

Mercato, domanda, offerta UNITÀ 8<br />

Nel 2003 il Ministro del Lavoro e delle Pol<strong>it</strong>iche sociali e il Sottosegretario con delega alle<br />

Pol<strong>it</strong>iche sociali presentarono il Libro Bianco sul Welfare contenente le linee guida della<br />

pol<strong>it</strong>ica sociale del Governo. Gli stralci che ne proponiamo intendono illustrare le linee<br />

guida della riforma del mercato del lavoro <strong>it</strong>aliano che hanno trovato in parte attuazione<br />

con l’emanazione della Legge Biagi.<br />

[...] Le pol<strong>it</strong>iche sociali devono oggi fronteggiare domande sempre più numerose e differenziate<br />

da parte dei c<strong>it</strong>tadini. Una pol<strong>it</strong>ica sociale realmente moderna non può più<br />

essere quella di un’offerta indifferenziata di prestazioni e servizi (eguali per tutti, su tutto<br />

il terr<strong>it</strong>orio nazionale). Occorrono misure flessibili, r<strong>it</strong>agliate sulle esigenze delle comun<strong>it</strong>à<br />

terr<strong>it</strong>oriali e gest<strong>it</strong>e con efficienza a livello locale.<br />

Occorre dunque governare imponenti processi di trasformazione che implicano una<br />

riforma dell’intero sistema di Welfare. Il modello tradizionale di “Welfare State” ha prodotto<br />

sviluppo economico e coesione sociale all’interno di mercati aperti caratterizzati però<br />

da forte controllo nazionale. Un modello in crisi irreversibile, soprattutto a causa della<br />

spesa sociale fuori controllo e della sempre più spinta mondializzazione dei mercati.<br />

Nel vecchio modello, le pol<strong>it</strong>iche di protezione sociale, come le relazioni industriali, si definivano<br />

al centro. A livello nazionale. Oggi invece si impongono rapporti cooperativi tra<br />

centro e periferia che puntano a favorire procedure decentrate e programmi-obiettivo.<br />

[...] Una nuova domanda sociale sta emergendo chiaramente, destinata ad influenzare le<br />

pol<strong>it</strong>iche di domani. Consapevoli che bisogna governare processi di mutamento demografico<br />

che incidono sulle strutture di base del nostro Paese, ovvero sulla famiglia, sui<br />

modi in cui la solidarietà si esprime e si proietta, sui rapporti tra le generazioni e sulla concreta<br />

realtà della c<strong>it</strong>tadinanza.<br />

Questo Libro Bianco è il naturale proseguimento del Libro Bianco sul Mercato del Lavoro.<br />

La valorizzazione delle capac<strong>it</strong>à lavorative della persona ed il conseguente innalzamento<br />

del tasso di occupazione assumono, infatti, un aspetto centrale nei percorsi di<br />

inclusione sociale. Così come il concetto di società attiva è quello che entrambi questi<br />

documenti vogliono promuovere, attraverso profonde riforme strutturali del mercato del<br />

lavoro ed una robusta rivis<strong>it</strong>azione del sistema di Welfare.<br />

[...]<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Fonte: Ministero del Lavoro e della Pol<strong>it</strong>iche sociali<br />

67<br />

economia<br />

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1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 8 Il mercato del lavoro<br />

68<br />

Lettura UD 8 eco. L2<br />

I dati del recru<strong>it</strong>ing on line<br />

L’articolo che segue fornisce un quadro relativo al mercato del lavoro on line in Italia, con<br />

riferimento alle professioni e alle qualifiche più richieste e a quelle che invece sono in<br />

flessione.<br />

In Italia il mercato del lavoro è in cresc<strong>it</strong>a. Il leader nel recru<strong>it</strong>ing online presenta per la<br />

prima volta i risultati del Monster Employment Index che rileva tutte le offerte di impiego<br />

pubblicate sul web nel nostro Paese. Impiegati e manager le figure più ricercate, mentre<br />

il Veneto è la Regione che ha registrato le performance migliori.<br />

Un mon<strong>it</strong>oraggio costante dell’andamento del mercato del lavoro a livello nazionale ed<br />

Europeo: nasce per questo il Monster Employment Index (MEI), l’Indice d’occupazione<br />

per la prima volta presentato in Italia, che fornirà un’analisi dettagliata della s<strong>it</strong>uazione<br />

della domanda di lavoro nel nostro Paese e nel resto del continente.<br />

Poiché il mercato del lavoro cresce e “si fa” sempre più tram<strong>it</strong>e Internet, i dati mon<strong>it</strong>orati<br />

da Monster.<strong>it</strong>, l’osservatorio privilegiato sul mondo dell’occupazione, sono in grado di fornire<br />

una visione globale della reale s<strong>it</strong>uazione della domanda di lavoro presente in Italia,<br />

considerato che via web, oramai, convergono tutte quelle posizioni vacanti che le aziende,<br />

operanti in un mercato pubblico e trasparente, rendono note alla collettiv<strong>it</strong>à.<br />

I risultati del MEI rivelano che le offerte di lavoro pubblicate sul web hanno raggiunto, da<br />

maggio 2006 ad oggi, il picco massimo proprio nel secondo trimestre dell’anno in corso<br />

(aprile, maggio e giugno 2007).<br />

Il Monster Employment Index Italia è l’estensione del Monster Employment Index Europe,<br />

elaborato dai ricercatori di Monster Europe analizzando tutte le opportun<strong>it</strong>à di impiego<br />

raccolte tra i 148 s<strong>it</strong>i di recru<strong>it</strong>ing attivi nei Paesi dell’UE, e si basa su un’osservazione<br />

trimestrale delle migliaia di offerte di lavoro veicolate da tutti i portali <strong>it</strong>aliani di recru<strong>it</strong>ing<br />

on line, compreso quindi Monster.<strong>it</strong>, oltre che dai s<strong>it</strong>i di aziende private, Ist<strong>it</strong>uzioni, società<br />

di selezione e agenzie di lavoro interinale che utilizzano il web come canale di ricerca<br />

di personale.<br />

I dati rilevati in Italia dal MEI rivelano che all’interno della nazione i trend di cresc<strong>it</strong>a del<br />

mercato del lavoro mon<strong>it</strong>orato on line sono trasversali a tutti i settori e per tutte le posizioni.<br />

Se, come ampiamente prevedibile andando verso il periodo estivo, l’incremento<br />

più rilevante (+18% rispetto al trimestre precedente) si è registrato nel settore turistico ed<br />

alberghiero e dell’osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à, in altri amb<strong>it</strong>i si sono avuti aumenti altrettanto importanti dell’Indice<br />

di occupazione, come quello industriale (dove un trend di cresc<strong>it</strong>a si è riscontra-<br />

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UD 8 eco. L2<br />

Il mercato del lavoro UNITÀ 8<br />

to nell’amb<strong>it</strong>o dei trasporti e nella logistica, così come nella produzione, nel manifatturiero,<br />

nella manutenzione e nella riparazione).<br />

Passando dai settori ai livelli professionali, il Monster Employment Index Italiano ha poi<br />

rilevato che le offerte volte a ricoprire posizioni impiegatizie hanno avuto un incremento<br />

molto significativo nel periodo, pari al 14%, così come i profili manageriali, che non<br />

hanno risent<strong>it</strong>o di alcuna flessione e si sono mantenuti ad un livello elevato in termini<br />

di richiesta da parte del mercato del lavoro.<br />

Un focus particolare mer<strong>it</strong>a la categoria dei contabili, revisori e fiscalisti. Probabilmente<br />

per l’avvicinarsi del periodo dedicato nel nostro Paese alle scadenze fiscali, i “colletti bianchi”<br />

sono stati quelli che hanno avuto il più significativo aumento durante l’ultimo trimestre,<br />

con un balzo di 37 punti delle opportun<strong>it</strong>à di lavoro pubblicate on line. Lazio e Lombardia,<br />

in particolare, sono state le Regioni che hanno riscontrato per queste figure l’incremento<br />

più importante.<br />

Una riduzione della domanda di lavoro è stata riscontrata invece in amb<strong>it</strong>o bancario,<br />

finanziario e assicurativo, settori che hanno riscontrato un decremento del 23% delle<br />

offerte di lavoro on line. Tra i “colletti blu” le necess<strong>it</strong>à di assunzione evidenziate dal MEI<br />

hanno registrato trend di cresc<strong>it</strong>a particolarmente importanti per figure specifiche, quali<br />

macchinisti industriali e assemblatori (+19% rispetto al trimestre precedente), così come<br />

artigiani e operai specializzati<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Fonte: “La Stampa”, 18 luglio 2007<br />

69<br />

economia<br />

1VOLUME


1 economia<br />

VOLUME<br />

UNITÀ 9 Le diverse forme di mercato<br />

70<br />

Lettura UD 9 eco. L1<br />

Tariffe r<strong>it</strong>occate, al via le ispezioni<br />

L’articolo che proponiamo di segu<strong>it</strong>o espone un caso di violazione della normativa<br />

sulla concorrenza per cui è intervenuta l’Autor<strong>it</strong>à ant<strong>it</strong>rust.<br />

Indagini sui tagli decisi da Tim e Vodafone sulle cosiddette chiamate low cost<br />

MILANO – L’Autor<strong>it</strong>à per le comunicazioni ha avviato ispezioni su Tim e Vodafone dopo<br />

gli esposti arrivati da alcune associazioni consumatori a propos<strong>it</strong>o delle variazioni delle<br />

tariffe di telefonia mobile decise dagli operatori. Lo scopo, fanno sapere fonti dell’Agcom,<br />

è quello di verificare le condizioni delle offerte.<br />

Nel corso dei mesi estivi, Tim prima e Vodafone sub<strong>it</strong>o dopo hanno avvisato via sms i<br />

propri clienti di alcuni r<strong>it</strong>occhi all’insù e di alcune rimodulazioni tariffarie dei vecchi piani<br />

che, nel caso dell’operatore del gruppo Telecom, scatteranno a inizio settembre, mentre<br />

per il colosso br<strong>it</strong>annico prenderanno il via ad ottobre. Complessivamente, i clienti interessati<br />

dovrebbero essere circa 9 milioni, 3 milioni in possesso di schede Tim e 5-6 milioni<br />

di schede Vodafone.<br />

Le associazioni dei consumatori sono insorte, con esposti all’Autor<strong>it</strong>à delle comunicazioni<br />

e all’Ant<strong>it</strong>rust, denunciando un cartello tra i due gestori e calcolando rincari significativi<br />

per le tasche degli <strong>it</strong>aliani. L’ultima in ordine di tempo è stata Altroconsumo che con<br />

un esposto all’Agcom e al Garante per la concorrenza ha chiesto la sospensione delle<br />

nuove tariffe telefoniche. Stando ai dati raccolti dall’associazione, i rincari andranno da 49<br />

fino a 83 euro all’anno, «con picchi d’aumento sulle singole telefonate anche del 100%».<br />

Anche Adusbef e Federconsumatori hanno chiesto all’Agcom «di verificare che tutto si<br />

svolga nella norma, nella chiarezza e nella trasparenza», mentre il Codacons è addir<strong>it</strong>tura<br />

ricorso al Procuratore della Repubblica di Roma per chiedere di verificare «se l’operazione<br />

messa in atto da Tim e Vodafone non sia in violazione della legge sulla concorrenza<br />

e non nasconda un accordo tra i due gestori».<br />

Copyright © Ulrico Hoepli Ed<strong>it</strong>ore S.p.A. 2009<br />

Fonte: “Corriere della sera”, 28 agosto 2008

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