volume primo - immac.it

di dare piena amnistia ai concittadini fuoriusciti, ai quali importando meglio il loro interesse della sorte
di Uberto, accettarono l'invito; privo allora delle maggiori forze fu costretto cedere le armi, e, dopo di
avere col suo nome fatto tremare tanti popoli, nel giorno 2 4 di ottobre, roso dall'ambizione umiliata,
usciva dal Castello di Borgo per ritirarsi nella Rocca di Gisalecchio in val di Mozzola.
Quegli stessi Cremonesi, che il Pallavicino aveva condotto alla vittoria contro Parma per
vendicare il perduto carroccio, vilmente si gettarono sopra Busseto, siccome capitale dello Stato, e
lo misero a sacco, intanto che i Parmigiani, violando la capitolazione, smantellavano de' suoi forti
il castello di San Donnino.
Ridotto nella Rocca di Gisalecchio (30) quante volte lo avranno assalito i ricordi del suo
passato, 1'altezza dalla quale era disceso; egli che oltre 1'estesa Marca aveva tenuto la mano sulle
fiorenti città di Alessandria, Brescia, Cremona, Milano, Piacenza, Tortona, che più volte aveva
disposto a Sua voglia di Pavia, Bergamo, Parma, Reggio, Modena, e che capo dei Ghibellini aveva
turbati i sonni al Re di Roma; oh! quante volte per quei ricordi avrebbe dovuto convincersi, come
solo colla libertà e coll'amore dei popoli, non colla tìrannide, si assicura 1' impero.
Nel poco tempo, che visse, da quando si ritirò in Gisalecchio, stette colla moglie Sofia,
figlia di Enrico da Egna Tirolese, procuratagli da Ezzelino da Romano, del quale doveva essere
parente e che sposò in seconde nozze, dopo il divorzio da Beatrice de Ranieri dei conti della
Gherardesca di Pisa, che aveva ripudìata siccome sterile. Quella donna lo aveva fatto padre di un
maschio per nome Manfredino e di quattro femmine , Giovanna che andò moglie al Ghibellino
Salinguerra Torelli nipote del signore di Ferrara; Marta maritata a Guido, Guidi conte di
Modigliana e di Poppi altro famoso ghibellino e signore del Casentino; Margherita ch'ebbe in
marito Alberto detto Picardo degli Scaligeri nipote di Mastino; ed Isabella della quale altro non si
sa che il nome.
Nel 29 aprile 1269 Uberto dettava il suo testamento (31), chiamando erede dello Stato Pallavicino
1'unico suo maschio Manfredino, a questi sostituiva nel caso di morte senza discendenza
mascolina i figli di Manfredo e di Pelavicino suoi fratelli; disponeva ancora per la moglie e per le
figlie; costituiva in tutrice ai minorenni la moglie Sofia, ed in curatori i nipoti Uberto, Visconte e
Guido Pallavicino. - Da quell'atto è facile rilevare come un giorno Uberto fra le torri di quella
rócca abbia vólto 1'occhio al cielo, e sentito il peso delle non poche sue brutalità e barbarie, poichè
quasi a placare Iddio disponeva di diversi pii legati, fra questi a favore dell'abbadia di Fontevivo,
pei Frati Minori , pei Padri Predicatori ed Eremiti di Parma, così per quelli di Cremona e di
Piacenza, legando inoltre alcune elemosine alla Chiesa di S. Maria di Gisalecchio ed a tutte le
chiese della valle di Mozzola.
Moriva pochi giorni dopo di avere testato (8 maggio), e al dire dei Guelfi scrittori senza
pentirsi, scomunicato, avendo respinto dal letto il canuto Minorita, che in quegli estremi era da lui
andato, nella speranza di ricevere la confessione de' suoi falli; ma le pie disposizioni, che si
leggono nel testamento ponno far dubitare sulla verità di quelle narrazioni.
Questo Bussetano fu pronto di ingegno, ardito nelle imprese, tra i migliori capitani, del
tempo, a lui si attribuisce in, parte un nuovo metodo nell' arma dicavalleria, e l'introduzione delle
Compagnie di ventura; interessato nei più deplorabili avvenimenti d'Italia e specialmente di
Lombardia pel corso di quarantacinque anni del XIII secolo. - Uberto fu la sintesi della sua epoca,
guelfo e ghibellino, ora alleato del popolo, ora dei Nobili, sempre nella vista della Signoria contro
il Comune, che in quel secolo andò piegando, fedelissimo all'Impero, al bisogno e per poco cedette
alla Chiesa; di idee alte, mitò a vasto dominio, tiranno alla volta, ma in corrispondenza agli odi dei
tempi, cadde colla fortuna degli Svevi.
Il Festasio, che ne scrisse l'elogio, così ce lo delinea...... maestà nell'aspetto, la statura non
piccola né grande, la disposizione dei membri ben proporzionata, cbe gli imprimevano un
eccellente gravità, l' occhio aveva grande et nero com'un carbone spento, i capelli et barba di simile
colore.(32), i denti bianchissimi: era di faccia bruno, ardito d' animo, paziente et umano et di valore
di corpo non vi fu chi l’aguagliasse a quei tempi, fu vers'ognuno cortesissimo, et di profonda
benignità, ma ne'l imprese importanti severo. Costumava vestir sempre di ferro.
Le ceneri di Uberto posavano nella Chiesa di Gisalecchio in umile sepoltura senza alcun
epitaffio, e così finiva quel1'uomo, la cui potenza ed ambizione gli aveva conferito il titolo di
Grande fra i Signori di Busseto.