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ESSERE E LINGUAGGIO IN HEIDEGGER - Lillo Turco

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Tesi di Laurea di:<br />

Calogero <strong>Turco</strong><br />

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO<br />

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA<br />

CORSO DI LAUREA <strong>IN</strong> FILOSOFIA<br />

<strong>ESSERE</strong> E <strong>L<strong>IN</strong>GUAGGIO</strong><br />

<strong>IN</strong> <strong>HEIDEGGER</strong><br />

Relatore:<br />

Ch.mo Prof. Pietro Palumbo<br />

ANNO ACCADEMICO 2004/2005


I. LA RIFLESSIONE <strong>HEIDEGGER</strong>IANA<br />

F<strong>IN</strong>O A “<strong>ESSERE</strong> E TEMPO”<br />

1 - Dall’essere al linguaggio<br />

Martin Heidegger (Messkirch, 1889-1976), può essere a<br />

pieno titolo considerato il principale filosofo tedesco del<br />

secolo scorso. Tra i lavori più importanti ricordiamo:<br />

Essere e tempo 1 2<br />

, (1927), Sentieri interrotti (1950), In<br />

3<br />

cammino verso il linguaggio (1959).<br />

L’opera di Martin Heidegger è una delle espressioni più<br />

interessanti della filosofia contemporanea, e certamente la<br />

più influente nell’ambito del pensiero novecentesco, il<br />

quale si è rispecchiato nel programma di una messa in<br />

questione della metafisica, non finalizzata ad ottenere un<br />

1 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi Longanesi, Milano 1970.<br />

2 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia Editrice, [1968] Firenze<br />

1998.<br />

3 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, trad. it. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti,<br />

Mursia, Milano 1973.<br />

1


alternativo sistema di idee, ma proponendo il definitivo<br />

accantonamento della stessa idea di sistema filosofico.<br />

La lezione heideggeriana ha determinato una<br />

trasformazione di enorme portata nel panorama della<br />

cultura post-moderna, la quale è stata capace di ridefinire i<br />

rapporti tradizionali, interni alla storia della metafisica, e<br />

anche concezioni ormai consolidate, che del discorso<br />

metafisico sono le estreme conseguenze, effettuando un<br />

incredibile capovolgimento di prospettive.<br />

Heidegger ha innescato una vera e propria rivoluzione<br />

filosofica fondata su presupposti fenomenologici,<br />

esistenziali ed ermeneutici, forse non ancora pienamente<br />

decifrati in tutta la loro innegabile profondità e rilevanza.<br />

Fino alle soglie della nascita dell’analitica esistenziale, il<br />

pensiero metafisico ha posto il pensiero a notevole distanza<br />

dall’esser-ci Dasein).<br />

(<br />

2


Questa concezione giustifica la straordinaria importanza<br />

della prospettiva heideggeriana, animata dalla scelta<br />

decisiva di abbandonare la classica identificazione tra<br />

essere e sostanza.<br />

I congegni filosofici ereditati dalla tradizione occidentale,<br />

lo stesso svolgersi della metafisica nella storia, hanno<br />

sempre più allontanato l’uomo da sé stesso, imbrigliando la<br />

mente con formule e schemi inautentici.<br />

Il risultato di questa operazione ermeneutica, radicata su u<br />

profondo ragionato e motivato ripensamento dell’ontologia<br />

tradizionale, è stato epocale, rilanciando una visione del<br />

mondo che colloca in primo piano l’esser-ci, nel suo<br />

costitutivo rapporto con l’essere e la sua concretezza.<br />

Con Heidegger dunque emerge un’interpretazione in chiave<br />

“esistenziale” dell’ essere, che perde i suoi caratteri<br />

formalistici e generici. Ne deriva una riqualificazione<br />

dell’essere a partire dal suo rapporto con l’esserci,<br />

3


finalmente emancipato da tante ormai logore determinazi<br />

dell’onto-teologia, della logica e della metafisica<br />

tradizionali.<br />

Un altro aspetto rilevante della concezione filosofica<br />

heideggeriana, che ne conferma l’innegabile modernità, è<br />

l’idea di una connessione più esplicita tra dimensione<br />

ontologica e dimensione linguistica, tra essere e<br />

linguaggio.<br />

L’analitica esistenziale esprime un interesse tutt’altro che<br />

marginale per i vari aspetti dell’esperienza del linguaggio<br />

nelle sue relazioni con il problema dell’approfondimento<br />

del senso dell’essere, attraverso le caratteristiche modalità<br />

che vi danno forma.<br />

Già in Essere e tempoil<br />

problema del linguaggio è presente<br />

in maniera diffusa e articolata. La stessa analitica<br />

esistenziale pone dei continui interrogativi di carattere<br />

linguistico. Heidegger procede infatti esaminando vari<br />

4


termini che compongono il suo dizionario ontologico come<br />

un navigato filologo, e tende a presentare i diversi dilemmi<br />

filosofici anche nella forma di fraintendimenti o<br />

incomprensioni linguistiche.<br />

La lezione heideggeriana elabora un progetto innovativo e<br />

costruttivo di recupero del senso dell’essere, nel quale il<br />

rapporto al linguaggio emerge come nesso vitale capace di<br />

realizzare un approccio più autentico con la verità.<br />

2 - Il superamento del neokantismo<br />

Agli esordi Heidegger guardò con un certo interesse al<br />

Neocriticismo, che aveva aggiornato la prospettiva<br />

kantiana. Ne è in qualche modo testimonianza l’argomento<br />

della tesi di laurea, La dottrina del giudizio nello<br />

4<br />

psicologismo. Contributo critico-positivo sulla . logic<br />

4 cfr. M. Heidegger, La dottrina del giudizio nello psicologismo. Contributo critico-positivo sulla logica,<br />

trad. it. di A. Babolin, La Garangola, Padova 1972.<br />

5


È un saggio di notevole rilevanza, non solo perché si tratta<br />

del debutto assoluto di Heidegger come filosofo, ma<br />

soprattutto perchè manifesta un determinante interesse per<br />

alcuni temi che saranno ampiamente sviluppati nel corso<br />

del suo lungo percorso di ricerca.<br />

La tesi analizza, criticandola, la prospettiva di Wundt,<br />

Brentano, Lipps e altri filosofi della mente, i quali<br />

avevano concepito una revisione della logica in chiave<br />

psicologistica.<br />

L’opera prima di Heidegger esibisce chiaramente una<br />

vicinanza concettuale con il Neokantismo, mentre nella<br />

successiva tesi di dottorato“La dottrina delle categorie e<br />

del significato in Duns Scoto 5 ” riprende l’interesse per la<br />

logica ma lo rivolge ad una ricostruzione storico-filosofica<br />

di alcuni motivi essenziali della Scolastica medioevale,<br />

5 cfr. M. Heidegger, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, Laterza, Roma-Bari 1974.<br />

6


ivisitati in una prospettiva, di fatto, se non già<br />

ufficialmente, fenomenologica.<br />

Da questo momento in avanti Heidegger sarà sempre più<br />

attratto nell’orbita della Fenomenologia di Edmund<br />

Husserl, un pensiero radicato sull’esperienza vissuta<br />

(“Erlebnis”) e non più sulle astratte categorie della logica<br />

tradizionale.<br />

Husserl si proponeva di osservare i vari fenomeni adottando<br />

la prospettiva trascendentale kantiana, e quindi<br />

prescindendo dalla contrapposizione soggetto-oggetto, m<br />

interpretata in una maniera più dinamica e moderna.<br />

3 - Fatticità e storicità della vita<br />

Prima di Essere e tempo (1927) il pensiero heideggeriano è<br />

contrassegnato dalla problematica della storicità e della<br />

fatticità della vita.<br />

7


Heidegger darà alla fenomenologia una curvatura<br />

innovativa personale, che lo porterà anche a distanziarsi da<br />

Husserl.<br />

L’intento di Heidegger era quello di giungere<br />

fenomenologicamente ad una comprensione della vita stes<br />

nella sua genesi, schivando la mancanza di concretezza di<br />

un approccio eccessivamente accademico, di derivazione<br />

neokantiana. Sin d’ora, comunque, Heidegger mirava<br />

principalmente a ritrovare un più profondo significato<br />

esistenziale dell’interrogazione filosofica.<br />

Prendendo spunto dai termini e dalla concezione tipica del<br />

neokantismo, “maturano in Heidegger problemi ed esigenze<br />

che in tale ambito non si lasceranno più risolvere 6 ”, e che<br />

sono direttamente rinviabili al problema, niente affatto<br />

scontato nell’ambito della filosofia scientifica del<br />

6 cfr. G. Vattimo, “Introduzione ad Heidegger”, Laterza, Roma-Bari 2002, p.8.<br />

8


Novecento, “di riconoscere la storicità dello spirito<br />

vivente 7 ”.<br />

In altri termini, Heidegger orienta il suo discorso sulla base<br />

della prospettiva di Dilthey, che scorgeva nella dimensione<br />

storica una forza dinamica e irrazionale, espressione della<br />

libertà, della vitalità e della creatività dell’uomo, e come<br />

tale irriducibile a schemi e categorie di origine kantiana.<br />

E sarà proprio la scoperta “della vita della coscienza come<br />

storicità” che schiuderà ad Heidegger “un concetto di<br />

temporalità irriducibile al concetto di tempo usato nelle<br />

8<br />

scienze fisiche ”…<br />

Ammettere i caratteri di storicità dello spirito, cioè della<br />

realtà umana nel suo complesso come contrapposta alle<br />

scienze della natura (Naturwissenschaften), implica<br />

direttamente quel fenomeno che in seguito Heidegger<br />

7 cfr. G. Vattimo, “Introduzione ad Heidegger”, op. cit., p.8.<br />

8 Ibidem<br />

9


definirà l’effettività dell’esistenza, la quale “rende<br />

impossibile vedere il soggetto della conoscenza come quel<br />

soggetto puro che è presupposto di ogni posizione di tipo<br />

trascendentale 9 ”.<br />

L’effettività non è, e non può essere presa in<br />

considerazione dalle scienze esatte, che adoperano una<br />

metodologia di ricerca che mette tra parentesi la vita<br />

vissuta dell’uomo, il suo esser-ci.<br />

“[..]Non solo o non tanto, incontrato a un certo<br />

punto il problema della storicità, Heidegger<br />

riconosce che anch'esso può trovare soluzione<br />

adeguata solo dal punto di vista di una nuova<br />

impostazione ontologica” osserva – Vattimo – “ma –<br />

più fondamentalmente – è proprio il fenomeno della<br />

9 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 8<br />

10


storicità e della quello che impone la<br />

10<br />

riproposizione del problema dell'essere […].<br />

Per Heidegger il senso della temporalità acquista valore<br />

solo relativamente al nostro essere-nel-mondo.<br />

Nel decisivo passaggio dal Neocriticismo alla<br />

Fenomenologia, è doveroso riflettere sulla autonoma presa<br />

di posizione di Heidegger, maturata da un originale<br />

ripensamento della prospettiva kantiana svolto a<br />

prescindere dall’adozione del punto di vista trascendenta<br />

Del resto,“non ha senso pensare che Heidegger si avvicini<br />

a Husserl anzitutto nella misura in cui, anche per lui, è<br />

11<br />

centrale la tematica trascendentale ”.<br />

Evidentemente il futuro autore di Essere e tempo era in<br />

cerca di un nuovo metodo filosofico, al fine da liberarsi<br />

10 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p.13.<br />

11 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 8.<br />

11


dalla maniera astratta di presentare i problemi filosofici<br />

tipica del Neokantismo.<br />

“È vero che, per molti aspetti [..] la fenomenologia<br />

husserliana, con il programma della riduzione<br />

trascendentale, presenta profonde affinità con il<br />

neokantismo. Ma proprio il fatto che Essere e tempo,<br />

che con il neokantismo non ha più nulla da spartire,<br />

sia dedicato a Husserl, dimostra che Heidegger<br />

vedeva in Husserl e nella fenomenologia, più che una<br />

variazione e un approfondimento del punto di vista<br />

trascendentale neokantiano, il modo per allargare il<br />

suo discorso proprio nella direzione di quelle<br />

dimensioni di storicità, di effettività, potremmo dire<br />

di concretezza, a cui alludevano le pagine conclusive<br />

della tesi su Scoto<br />

12 .<br />

12 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari 2002, op. cit., pp. 8-9<br />

12


In altre parole, Heidegger non guarda alla fenomenologia<br />

con le stesse motivazioni con cui si era accostato al<br />

criticismo neokantiano, ma per ragioni di tutt’altro segno,<br />

Heidegger è particolarmente interessato a quello che<br />

potrebbe essere considerato un semplice motto o un<br />

aforisma, ma che rappresenta molto di più, cioè l’invito di<br />

Husserl di andare “alle cose stesse”, verso la concretezza<br />

della vita reale.<br />

“Mentre il neokantismo privilegiava la scienza” -<br />

scrive Vattimo - “nel suo carattere costruttivo e<br />

matematizzante, come unica forma di conoscenza<br />

valida, per Husserl l’atto conoscitivo si risolve<br />

nella Anschauung, l’intuizione (delle essenze), che<br />

non si riduce alla conoscenza scientifica, ma è un<br />

13<br />

incontrare le cose, per dir così, in carne e ossa ”.<br />

13 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 9<br />

13


Heidegger concorda con Husserl nel considerare<br />

estremamente riduttivo il punto di vista delle scienze<br />

esatte, che pongono una sorta di velo fatto di schemi<br />

matematici e formule operative, impedendo all’uomo di<br />

raggiungere quel tipo di conoscenza pre-categoriale che,<br />

per la Fenomenologia, garantisce dell’unico vero sapere.<br />

Pre-categoriale è quella conoscenza che prescinde e supera<br />

quell’apparato di categorie che per i neokantiani era<br />

indispensabile al raggiungimento di un metodo certo e<br />

rigoroso di risolvere i problemi scientifici.<br />

La conoscenza pre-categoriale, rifiutando la prevedibilità<br />

la consequenzialità dell’approccio matematizzante<br />

all’essere, si basa sull’intuizione, l’Anschauung, che in<br />

Husserl non è una forza irrazionale, o un impulso mistico<br />

alla maniera romantica, ma indica semplicemente un<br />

percorso di avvicinamento alla realtà delle cose.<br />

14


“È a questa concezione husserliana dell’intuizione<br />

che si ricollegherà l’interpretazione heideggeriana<br />

del concetto di fenomeno in Essere e tempo,” -<br />

puntualizza Vattimo - “che non intende più questo<br />

concetto, come il neokantismo, in contrapposizione<br />

alla cosa in sé, ma come positiva<br />

14<br />

dell’essenza stessa della ”. cosa<br />

L’intuizione concepita come avviamento alla conoscenza<br />

pre-categoriale, non vuole negare l’esperienza della realtà<br />

ma approfondirla. In questo senso, rappresenta un<br />

antecedente necessario dell’analitica esistenziale, che v<br />

rivolgersi all’autenticità dell’essere e quindi al ripristino<br />

di un rapporto trasparente con la verità.<br />

Giustamente è stato notato che “la sostituzione della<br />

Anschauung alla scienza, che costruisce il mondo<br />

dell’esperienza in rigorose strutture matematiche, è un<br />

14 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 9.<br />

15


passo avanti verso la liberazione dai limiti del<br />

15<br />

trascendentalismo neokantiano .”<br />

L’intuizione fenomenologica viene dopo l’esperienza, non<br />

prima; non è un presupposto da assumere dogmaticamente,<br />

in astratto, bensì un punto d’arrivo concreto, un modello di<br />

conoscenza “aperta”, da costruire passo a passo, in una<br />

ravvicinata presa di contatto con i fenomeni.<br />

4 – L’analitica esistenziale<br />

In Essere e tempo, Heidegger parlerà esplicitamente di<br />

integrare l’impostazione fenomenologica e la prospettiva<br />

diltheyana di un contatto più esplicito con il mondo-della-<br />

vita; si tratta di esigenze diverse ma non troppo, che<br />

confluiranno in quella complessa struttura di pensiero che è<br />

l’analitica esistenziale.<br />

Heidegger non poteva non giungere al definitivo e fatale<br />

distacco da Husserl, che con operazioni artificiose come<br />

15 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, cit., p. 9.<br />

16


l’epochè, o sospensione del giudizio, rendeva pressoché<br />

impossibile risalire alle ragioni stesse dell’esistenza, e<br />

riuscire finalmente a rispondere alla domanda “che cos’è<br />

l’essere”.<br />

La riproposizione del problema del senso dell’essere<br />

rappresenta infatti la questione fondamentale cui Heidegge<br />

dedica la sua intera ricerca filosofica.<br />

La metafisica ha tematizzato in molteplici forme il<br />

problema ontologico, ma, secondo Heidegger, nel suo<br />

nucleo più profondo questo tema d’indagine è rimasto in<br />

realtà inascoltato.<br />

Per Heidegger è indispensabile dunque ritornare all’essere<br />

e porsi in ascolto di una dimensione troppo spesso<br />

trascurata o considerata a torto risolta una volta per tutti.<br />

L’interrogazione di senso che ha come suo fine<br />

l’accertamento della questione dell’essere può e deve<br />

17


proseguire, a condizione di rimuovere i vari pregiudizi che<br />

circolano intorno ad essa.<br />

Heidegger nel primo capitolo di Essere e tempo pone<br />

l’accento sulla necessità di una “ripetizione esplicita” del<br />

problema ontologico.<br />

Il filosofo tedesco riflette sul fatto che il concetto di essere<br />

sia ad oggi completamente caduto in oblio.<br />

Ormai è venuta meno l’esigenza di un confronto costruttivo<br />

e di un approfondimento del senso dell’essere.<br />

Heidegger vuol farsi portavoce di un ritorno in grande stile<br />

alla tematica ontologica e a tale scopo intende ricollegarsi<br />

agli “sforzi greci per giungere all’interpretazione<br />

dell’essere 16 ”.<br />

Heidegger parla con cognizione di causa della costituzione<br />

di un vero e proprio dogma filosofico, che “oltre a<br />

16 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op.cit., p.17<br />

18


dichiarare superfluo il problema del senso dell’essere, ne<br />

17<br />

legittima la omissione ”.<br />

In altri termini, c’è stata e c’è una tendenza, pressoché<br />

universale, a non tematizzare più l’essere, a non<br />

considerarlo più qualcosa di essenziale ai fini di una<br />

ricerca speculativa seria e rigorosa.<br />

Scrive Heidegger:<br />

“Il concetto di è il più generale e vuoto di<br />

tutti e resiste perciò a qualsiasi tentativo di<br />

definirlo. D’altra parte, in quanto generalissimo, e<br />

come tale, non ha neppur bisogno di essere definito.<br />

Tutti lo impiegano continuamente e anche già<br />

comprendono che cosa si intende con esso.<br />

In tal modo, ciò che, per il suo nascondimento,<br />

sospinse e mantenne nell’inquietudine il filosofare<br />

degli antichi, è divenuto chiaro ed ovvio, a tal punto<br />

17 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, op. cit. p.17.<br />

19


che colui che si ostina a farlo oggetto di ricerca è<br />

18<br />

accusato di errore metodologico ”.<br />

Sein und Zeit si apre con la delineazione della “necessità,<br />

struttura e primato del problema dell’essere” , che non si<br />

può trattare come un concetto qualsiasi dell’indagine<br />

filosofica, ma deve tornare a interpretare un ruolo da<br />

protagonista.<br />

Heidegger intende l’essere in maniera diversa da come lo<br />

intendevano i pensatori che se ne erano occupati dopo<br />

Platone ed Aristotele. InEssere e tempo giunge addirittura<br />

a definire i filosofi successivi quali autori capaci di<br />

realizzare solo modifiche e ritocchi ai loro sistemi<br />

speculativi:<br />

“Quanto essi acquisirono si è mantenuto fino alla<br />

Logica di Hegel,” – scrive Heidegger – “attraverso<br />

una serie di modifiche e di ritocchi. Ciò che<br />

quell’estremo sforzo del pensiero riuscì allora a<br />

18 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 17.<br />

20


strappare ai fenomeni, sia pure in modo<br />

frammentario e rudimentale, si è da tempo<br />

trivializzato 19 .<br />

Tuttavia non si tratta di rifare il verso agli antichi, ma di<br />

creare una nuova filosofia dell’essere, centrata<br />

sull’esistenza.<br />

Finalità della ricerca filosofica diventa la concretezza di<br />

situazioni reali e realmente coinvolte nella progettualità<br />

dell’Esser-ci.<br />

L’essere della metafisica, visto perlopiù come sostanza,<br />

“ousia”, per quanto declinabile in diverse categorie e<br />

modalità differenti, restava avvolto da un alone di<br />

astrattezza.<br />

19 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 17<br />

21


Heidegger distingue il piano ontico, relativo all’essere<br />

tradizionalmente inteso come sostanza e come genere, dal<br />

piano ontologico.<br />

L’essere in senso tradizionale è velato dalle sovrastrutture<br />

categoriali, cioè dagli elementi formali che ne hanno<br />

nascosto l’intima essenza, quel significato originario che<br />

l’analitica esistenziale intende ripristinare.<br />

La dimensione ontica collegava l’essere al genere e alle<br />

categorie più che alla verità come “a-lètheia”, “non-<br />

nascondimento”. È quanto emerge sin dagli esordi Essere di<br />

e tempo, che delinea il destino della tradizione metafisica<br />

nella forma di un graduale oblio dell’essere. Rispetto ai<br />

modi tradizionali di pensare l’essere, Heidegger afferma:<br />

L’, secondo la denominazione<br />

dell’ontologia medioevale, è un trascendens. Già<br />

Aristotele aveva riconosciuto nell’unità di questo<br />

trascendentale, contrapposta alla<br />

22


molteplicità reale dei sommi concetti di genere,<br />

l’unità dell’analogia.<br />

Nonostante la sua dipendenza dalla impostazione<br />

ontologica di Platone, Aristotele, con questa<br />

scoperta, ha posto il problema dell’essere su una<br />

base fondamentalmente nuova. Ma non si può dire<br />

che egli abbia anche illuminato l’oscurità di queste<br />

connessioni categoriali. L’ontologia medioevale,<br />

specialmente nelle correnti tomistiche e scotistiche,<br />

ha discusso ampiamente questo problema, senza<br />

tuttavia giungere a una chiarificazione di fondo. E<br />

quando Hegel, infine, definisce l’ come<br />

l’ e pone questa<br />

definizione a base di tutte le sue successive<br />

elaborazioni categoriali, non si discosta dalla<br />

visuale della ontologia antica, con la differenza che<br />

egli pone in disparte il problema aristotelico<br />

23


dell’unità dell’essere rispetto al molteplice reale<br />

delle .<br />

La grande svolta di Heidegger rispetto alla metafisica<br />

tradizionale consiste nel porre in primo piano il problema<br />

dell’essere in chiave esistenziale.<br />

Con Heidegger, l’essere cessa di porsi come un mero<br />

contenitore di cose, di enti confusi e immedesimati in un<br />

genere sommo dai tratti piuttosto vaghi.<br />

Il discorso speculativo heideggeriano basa il pensiero<br />

dell’essere sulla riflessione del modo proprio di essere<br />

dell’esser-ci, oDasein, termine che in tedesco significa<br />

anche esistenza.<br />

L’uso del termine “analitica” getta luce sull’esigenza di<br />

volgere in senso esistenziale il metodo fenomenologico, che<br />

si basava sull’interpretazione di eventi ontologici<br />

20 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p.18.<br />

24


individuati complessivamente sulla base dell’esperienza<br />

vissuta (“Erlebnis”).<br />

Esistono comunque rilevanti differenze che vanno ben oltre<br />

la pur significativa analogia di metodo tra fenomenologia<br />

husserliana e analitica heideggeriana, che riguardano il<br />

merito, ovvero la scelta di fini del tutto diversi e per taluni<br />

aspetti inconciliabili.<br />

L’esperienza vissuta di Husserl, a furia di utilizzare schemi<br />

e formule astratte, si allontanava da una comprensione<br />

autentica del vero significato dell’esistenza, la quale non<br />

può realizzarsi prescindendo dai dati emozionali e dalla<br />

situazione concreta sperimentabile sul piano dell’esser-<br />

Analitica è un termine che entra nel dizionario filosofico<br />

contemporaneo grazie a Kant, il quale lo conia riprendendo<br />

l’antico verbo greco “analùo”, che significa fare in parti –<br />

da cui il nostro verbo“analizzare”.<br />

25


Heidegger modifica il senso del termine analitica, con la<br />

semplice aggiunta di un aggettivo tutt’altro che decorativo,<br />

come esistenziale.<br />

L’analitica esistenziale è una metodologia di ricerca che<br />

vuole ribadire l’esigenza di un ritorno all’essere; come dic<br />

il nome, finalizzato a recuperare quell’eccezione ontolo<br />

che sfugge tanto alla scienza-tecnica moderna quanto alla<br />

metafisica tradizionale.<br />

Ma entrambi i punti di vista, metafisico e scientifico,<br />

hanno di fatto perso di vista il genuino e profondo<br />

significato della parola essere.<br />

Secondo Heidegger per poter indagare il senso dell’essere<br />

bisogna interrogare quell’ente peculiare che, per essere<br />

tale, deve necessariamente sperimentare e porre in<br />

discussione il suo essere. Pertanto solo l’esser-ci o<br />

esistenza (Dasein), può mettersi sulle tracce dell’essere; ed<br />

26


a ciò è destinato “perché gli è essenzialmente familiare il<br />

21<br />

domandare, e con il domandare, l’essere ”.<br />

L’esser-ci infatti è l’unico ente capace di interrogarsi<br />

completamente e compiutamente su se stesso, soggetto<br />

privilegiato e nello stesso tempo posto in gioco di<br />

continuo. “Questo essere che noi stessi siamo” - osserva<br />

Leonardo Amoroso – “il protagonista dell’analitica<br />

esistenziale, è introdotto e ribattezzato proprio in<br />

22<br />

riferimento al suo essere interrogante ”<br />

La stessaanalitica esistenziale non pretende di pervenire a<br />

risultati certi e inoppugnabili, è provvisoria almeno come il<br />

suo tema di indagine, l’esser-ci.<br />

L’analitica esistenziale rivela così i tratti di una forma del<br />

tutto inedita di discussione in merito alla questione<br />

dell’essere.<br />

21 L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino 1993, p. 71.<br />

22 Ibidem<br />

27


Con l’analitica esistenziale Heidegger ritiene di aver<br />

scoperto l’ontologia fondamentale, sulla quale può basarsi<br />

il pensiero dell’essere.<br />

L’analitica esistenziale getta le basi di un’ontologia che<br />

vuole superare la concezione metafisica.<br />

L’analisi dell’esistenza risponde all’interrogazione<br />

ineluttabile circa il nostro essere-nel-mondo. In questo<br />

senso, rinvia alla possibilità di una piena consapevolezza<br />

dell’esser-ci circa il proprio essere e il proprio riferimento<br />

al mondo; presuppone inoltre un approfondimento del<br />

concetto tradizionale di essere, che in fin dei conti porta a<br />

ridefinirlo in termini oggettivamente discordanti rispetto<br />

alla prospettiva metafisica antico-medioevale, e in parte a<br />

quella moderna.<br />

L’analitica esistenziale pertanto risulta il primo approccio<br />

necessario per tentare di rispondere alla domanda “che<br />

cos’è l’essere?”.<br />

28


L’interrogativo sollecita una riflessione fondata<br />

storicamente, che intende riproporre il problema del senso<br />

dell’essere.<br />

Individuando il programma di una riproposizione della<br />

questione dell’essere, l’analitica esistenziale sembra<br />

apparentemente riprendere dei temi di carattere<br />

tradizionale. Ma l’attenzione all’essere invocata da<br />

Heidegger non è rivolta nostalgicamente al passato ed è<br />

animata anzi dal proposito di revisionare l’approccio<br />

tradizionale, in considerazione del fatto che tutta la storia<br />

della metafisica ha parlato dell’essere in maniera<br />

inadeguata, confondendo l’essere con semplice la presenza .<br />

L’analitica esistenziale segue un orientamento ben preciso,<br />

che contempla l’elaborazione di una ricerca riguardante in<br />

prima istanza il rinvenimento del senso dell’essere. Non si<br />

tratta tuttavia di un’ontologia definitiva, anzi. Siamo di<br />

fronte ad una nuova analisi dell’essere che, diversamente<br />

29


da quelle tradizionali tendenti a costruire un compiuto e<br />

completo sistema di pensiero, viene a caratterizzarsi come<br />

incompleta e addirittura provvisoria.<br />

Heidegger, infatti, non mira a risolvere la questione<br />

dell’essere una volta per tutte, ma a sollevare l’attenzione<br />

su un modello d’interrogazione filosofica che per sua stessa<br />

natura sfugge a qualsiasi sistematicità, rispecchiando la<br />

struttura dinamica e flessibile dell’esistenza nel suo<br />

evidente legame con la verità e l’essere, due concetti che<br />

nel contesto heideggeriano risultano intimamente connessi<br />

tra di loro.<br />

“Se fin dai tempi più lontani la filosofia ha<br />

congiunto verità ed essere ” – puntualizza Amoroso a<br />

proposito della correlazione tra l’istanza veritativa e<br />

la problematica ontico-ontologica riproponendo – “<br />

la<br />

30


questione dell’essere, non può non riproporre anche,<br />

23<br />

al contempo la questione della verità ”.<br />

Nella prospettiva dell’analitica esistenziale non è possibile<br />

pensare l’essere al di fuori del suo rapporto alla verità.<br />

L’essere, descritto da Heidegger come un livello di realtà<br />

più profondo rispetto a come lo descrive la tradizione<br />

metafisica, confluisce e tende a confondersi con la verità<br />

stessa.<br />

Ma per Heidegger occorre ridefinire la verità classicamente<br />

intesa, in modo da porre le basi per una “riproposizione del<br />

24<br />

problema dell’essere ”.<br />

In altri termini, è necessario ristabilire il significato<br />

originario della verità come alètheia, “non nascondimento”,<br />

concetto che risulta più profondo dell’identificazione<br />

classica tra verità e adeguazione.<br />

23 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit, p. 24.<br />

24 Ibidem<br />

31


In tale prospettiva il concetto di verità cessa di essere<br />

connesso alla metafora della luce, cioè di un rischiaramento<br />

assoluto dei fenomeni, e, immedesimandosi con l’essere e il<br />

linguaggio come sua emanazione, viene presentata in modo<br />

molto peculiare come Lichtung, termine traducibile<br />

approssimativamente come radura.<br />

La Lichtung è appunto la radura in cui la luce della verità<br />

(Licht in tedesco) si mostra a macchia di leopardo.<br />

L’essere non è più una sostanza dai contorni netti e precisi,<br />

ma piuttosto una sintesi di ombra e luce, di trasparenza e<br />

nascondimento, di presenza e nulla.<br />

E il linguaggio, tornato protagonista dell’esperienza<br />

speculativa contemporanea, viene posto in risalto non già<br />

solo come modalità di espressione dell’uomo ma, in senso<br />

ermeneutico e dialettico, quale casa dell’essere e cifra di<br />

quell’interrogazione continua che costituisce l’essenza di<br />

32


un pensiero finalmente emancipato dall’ipoteca metafisica<br />

dalle sue facili certezze.<br />

5 - I pregiudizi ontologici<br />

Nell’interpretazione di Heidegger la questione ontologica<br />

richiede un ripensamento radicale, al fine di coglierne il<br />

valore di principio dinamico, libero dai condizionamenti<br />

della tradizione metafisica, per poi riuscire, mediante le<br />

risorse linguistiche dell’analitica esistenziale, non già a<br />

rimuovere i vari pregiudizi ontologici, ma a dar loro<br />

adeguata collocazione.<br />

Il supremo esercizio teoretico che vuole rispondere alla<br />

questione sull’essenza dell’essere può e deve avvalersi di<br />

presupposti apparentemente negativi, che sono appunto i<br />

vari pregiudizi metafisici.<br />

Questi travisamenti del modo corretto di impostare<br />

l’interrogazione dell’essere sono rivelativi nel certificare<br />

l’omissione della risposta alla questione fondamentale de<br />

33


filosofia, che è la tematica ontologica. Omissione che,<br />

affermando superficialmente la superfluità e<br />

l’improponibilità della risposta al quesito che “cos’è<br />

l’essere?”, consente tuttavia di trovare degli spunti<br />

positivi, come punto di partenza di un percorso finalizzato<br />

a ridefinire lo statuto della verità, in contrapposizione al<br />

pensiero metafisico tradizionalmente inteso.<br />

Non si tratta di semplici fraintendimenti da risolvere una<br />

volta per tutte, ma di presupposti indispensabili, che<br />

rendono possibile una preventiva ripetizione “<br />

esplicita del<br />

25<br />

problema dell’essere ”.<br />

BENCHÉ la rinascita della sia un<br />

vanto del nostro tempo, il problema dell’essere è<br />

oggi dimenticato. Si crede infatti di potersi sottrarre<br />

a una rinnovata .<br />

Eppure non si tratta di un problema qualsiasi. Esso<br />

ha ispirato il pensiero di Platone e Aristotele, anche<br />

25 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p.17.<br />

34


se ha senz’altro taciuto dopo di loro, come il<br />

26<br />

problema tematico di una vera ricerca .<br />

Heidegger ribatte ai pregiudizi ontologici peculiari della<br />

tradizione metafisica, argomentando che l’indefinibilità e<br />

la presunta ovvietà del concetto di essere rendono<br />

indispensabile un’indagine profonda e variegata per<br />

contenuti, temi e variazioni.<br />

Heidegger critica chi professa l’impossibilità per l’uomo<br />

di definire l’essere o chi lascia cadere il discorso<br />

ontologico, considerandolo superfluo, e del tutto indegno<br />

un’analisi speculativa sui generis .<br />

Dire infatti che “quello di è il più generale dei<br />

concetti, non equivale a dire che è anche il più chiaro e che<br />

non richiede alcuna ulteriore discussione. Il concetto di<br />

è anzi il più oscuro di tutti 27 ”.<br />

26 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p.17.<br />

27 Ibidem<br />

35


Per l’autore di Essere e tempo non bisogna fermarsi alle<br />

apparenze, ma scavare in fondo per risalire alle sorgenti<br />

stesse dei diversi equivoci ontologici, presenti addirittura<br />

prima che si coniasse la significativa espressione<br />

metafisica.<br />

Si dice: il concetto di è il più generale e<br />

vuoto di tutti e resiste perciò a qualsiasi tentativo di<br />

definirlo.<br />

D’altra parte, in quanto generalissimo, e come tale<br />

indefinibile, non ha neppur bisogno di essere<br />

definito.<br />

Tutti lo impiegano continuamente e anche già<br />

comprendono che cosa si intende con esso. In tal<br />

modo, ciò che, per il suo nascondimento, sospinse e<br />

mantenne nell’inquietudine il filosofare degli<br />

antichi, è divenuto chiaro e ovvio, a tal punto che<br />

36


colui che si ostina a farlo oggetto di ricerca è<br />

28<br />

accusato di errore metodologico .<br />

Gli stereotipi e i fraintendimenti della tradizione<br />

ontologica non agevolano il compito di chi intende sottrarre<br />

l’essere alla sua frequente equivocazione, per giungere a un<br />

rapporto più immediato e libero con la dimensione<br />

ontologica, in una ottica più concreta di rapporto con<br />

l’esistenza.<br />

Per Heidegger non è solo l’attuale punto di vista tecnico-<br />

scientifico ad adottare come dato di fatto la complessa e<br />

problematica vicenda dell’essere, senza assumersi l’onere<br />

di una ricerca che approfondisca il significato di quel<br />

29<br />

nascondimento insito già filosofare nel degli antichi .<br />

Come sottolinea Heidegger,<br />

[…] i pregiudizi che continuamente suscitano e<br />

alimentano la convinzione della non indispensabilità<br />

28 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, op. cit., p.17<br />

29 Ibidem<br />

37


di una ricerca intorno all’essere […] gettano le loro<br />

radici nella stessa ontologia antica; la quale, a sua<br />

volta, per essere adeguatamente interpretata, quanto<br />

al terreno in cui sono nati i suoi concetti ontologici<br />

fondamentali, alla fondatezza della legittimazione e<br />

alla completezza del numero delle sue categorie, non<br />

può far a meno del filo conduttore costituito dalla<br />

chiarificazione e dalla risoluzione del problema<br />

dell’essere 30 .<br />

Per Heidegger va compreso in tutta la sua profondità il<br />

peso che i vari pregiudizi ontologici hanno avuto sulla<br />

storia o il destino dell’essere.<br />

“Quello di è il concetto : . Illud<br />

quod primo cadit sub apprehensione est ens, cuius<br />

intellectus includitur in omnibus, quaecumque quis<br />

30 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., pp.17-18.<br />

38


apprehendit. Ma<br />

la dell’ non è quella del<br />

genere 31 .<br />

Heidegger parla di un vero e proprio dogma metafisico, che<br />

nello stesso tempo proclama il carattere accessorio o<br />

sostanzialmente indefinibile dell’essere, caratteri che<br />

sarebbero semmai indice di un’oscura e remota enigmaticità<br />

che deve indurci verso la questione ontologica e non ad<br />

allontanare lo sguardo da essa.<br />

Il concetto di è indefinibile. Questo<br />

carattere venne dedotto dalla sua estrema generalit<br />

Non è possibile definire l’essere muovendo da<br />

concetti più alti, né presentarlo muovendo da più<br />

bassi. Diremo allora che l’ non pone<br />

nessun problema? Niente affatto. L’unica<br />

31 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit, p.18.<br />

39


conseguenza legittima è questa: l’<br />

non è<br />

qualcosa come l’ente. Ecco perché quel modo di<br />

determinare l’ente, la della logica<br />

tradizionale che entro certi limiti è da considerarsi<br />

fondata e che trova la sua ragion d’essere<br />

32<br />

nell’ontologia antica, non è applicabile . all’essere<br />

La denuncia heideggeriana si rivolge principalmente a<br />

quanti scorgono nel concetto di essere qualcosa di<br />

suscettibile di una possibile definizione.<br />

Per Heidegger la gravosità dell’impresa di definire l’essere<br />

non costituisce una scappatoia per evitare di pensarlo, anzi<br />

pensare l’essere resta una sorta di imperativo categorico<br />

dal quale nessun pensatore può esimersi.<br />

L’analisi dell’essere dovrà dunque prendere le mosse<br />

dall’impossibilità di definire questo termine secondo i<br />

consueti metodi e le strategie acquisite, per partire da zero,<br />

cioè a prima della dialettica platonica e della metafisica<br />

32 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., pp. 18-19<br />

40


aristotelica. Infatti, per Heidegger, “l’indefinibilità<br />

dell’essere non dispensa dal problema del suo senso, ma al<br />

33<br />

contrario, lo rende necessario .<br />

Nell’interpretazione heideggeriana la metafisica è,<br />

storicamente, la matrice, di un razionalismo esasperato ed<br />

esasperante confluito poi nella scienza e in saperi ad essa<br />

satelliti.<br />

Per Heidegger i grandi filosofi hanno fatto distogliere<br />

l’interesse dall’essere pur parlandone, paradossalmente, di<br />

continuo! Tanto che, a furia di discutere e chiosare, si è<br />

giunti presto a sorvolare sul significato effettivo della<br />

dimensione ontologica, e a trattare come ovvietà quel che<br />

invece andava considerato una priorità.<br />

Quello di è un concetto ovvio. In ogni<br />

conoscere ogni asserzione, in ogni comportamento<br />

[che ci pone in rapporto] con l’ente, in ogni<br />

33 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 19<br />

41


comportamento che ci pone in rapporto con noi stessi<br />

si fa uso di , e l’espressione è<br />

34<br />

.<br />

Il primato dell’essere smentisce, di fatto, la sua pretesa<br />

ovvietà: come si può infatti giudicare superfluo qualcosa<br />

che ha a che fare con il fondamento stesso della realtà?<br />

Il richiamo all’ovvietà, relativamente al concetto<br />

dell’essere, può assolvere però un ruolo significativo<br />

qualora l’ovvio venga interpretato e trasformato in quei<br />

giudizi segreti della ragione comune (Kant) la cui<br />

elaborazione per Heidegger “deve diventare e rimanere il<br />

tema esplicito dell’analitica esistenziale )".<br />

34 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, op. cit., p. 19.<br />

35 Ibidem<br />

42


II. ONTOLOGIA E <strong>L<strong>IN</strong>GUAGGIO</strong><br />

NEL “PRIMO <strong>HEIDEGGER</strong>”<br />

1 - Pre-comprensione e medietà<br />

Heidegger non vuole liberarsi del tutto dai pregiudizi<br />

ontologici, relativi alla genericità, all’indefinibilità e<br />

ovvietà di ogni interrogazione sull’esser-ci, ma prenderli<br />

per quello che sono: dei pre-giudizi, cioè dei giudizi che<br />

precedono la conoscenza effettiva dell’essere, di carattere<br />

indicativo e provvisorio, e non assoluto.<br />

I vari pregiudizi metafisici rinviano al concetto di pre-<br />

comprensione che assume un duplice significato, ontolog<br />

e linguistico.<br />

In senso ontologico, la pre-comprensione è definita anche<br />

da Heidegger comprensione media.<br />

La pre-comprensione, nella forma della comprensione<br />

media, non è incomprensione. Manifesta il fenomeno che,<br />

43


nei diversi comportamenti e modi di essere, ci pone a<br />

contatto con “l’ente in quanto ente”.<br />

Heidegger sottolinea l’estrema incidenza dell’idea di pre-<br />

comprensione in rapporto alla ricerca del senso autentico<br />

dell’essere.<br />

L’Esserci non è una tabula rasasganciata<br />

dal mondo, ma,<br />

da un certo punto di vista, è esso stesso mondo. Non si può<br />

quindi comprendere l’essere prescindendo dalla pre-<br />

comprensione. La pre-comprensione indica il dato che<br />

siamo già immersi nella dimensione comprendente<br />

dell’essere “e che, nel contempo, il senso dell’essere<br />

continua a restare avvolto nell’oscurità”, attestando, “la<br />

necessità fondamentale di una ripetizione del problema del<br />

senso dell’ ”.<br />

Come base di un processo gnoseologico ed ontologico<br />

libero dal tradizionale schema di un io che conosce la<br />

36 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 19.<br />

44


ealtà entrando nel mondo, l’esserci come essere-gettato<br />

comprende in virtù di un’originaria pre-comprensione vers<br />

sé stesso e gli altri, e quindi il Dasein come spazio comune<br />

dell’esser-ci e del con-essere Mit-sein). (<br />

“In questo contesto, l’apertura dell’esser-ci e lo<br />

scoprimento dell’ente vengono ripensati<br />

rispettivamente come Offenständigkeit, come uno<br />

stare aperto (da parte dell’uomo) e come Offen-<br />

barkeit, come un essere-manifesto (da parte<br />

dell’ente): l’uomo è aperto o <br />

all’esperienza dell'ente che gli è accessibile in quanto<br />

37<br />

gli si mostra e lo coinvolge”<br />

La pre-comprensione, implicita nell’idea di comprensione<br />

che emerge nell’analitica esistenziale, rispetto ai success<br />

sviluppi di Essere e tempo acquista senz’altro un valore<br />

fondante.<br />

37 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino 1993, op. cit., p. 26<br />

45


La pre-comprensione è quell’apertura orizzontale che non<br />

trattiene la comprensione ma in un certo senso la schiude,<br />

rendendola disponibile e utilizzabile da parte dell’esse<br />

Come i pregiudizi riguardanti l’essere, i vari presupposti,<br />

pur suscitando interferenze e fraintendimenti di carattere<br />

non solo linguistico, vanno integrati entro una prospettiva<br />

di ampio respiro che dia loro una funzione rivelatrice e<br />

costruttiva del vero senso dell’essere.<br />

Per Heidegger l’operazione ermeneutica di interpretazione<br />

e comprensione reale dell’essere deve necessariamente<br />

prendere avvio dai presupposti connessi ai pregiudizi, alla<br />

pre-comprensione e alla medietà.<br />

Ma cosa vuol dire partire dalla medietà? Il concetto indica<br />

il complesso, sulle prime eclettico e confuso, delle<br />

possibilità reali o ipotetiche a disposizione dell’uomo<br />

46


“come una sorta di media statistica delle maniere in cui<br />

38<br />

singoli uomini si determinano nel mondo ”.<br />

Heidegger elabora la problematica dell’esistenza, cioè del<br />

modo di essere proprio dell’esser-ci, analizzandola<br />

attraverso la lente privilegiata della medietà<br />

(Durchschnittlichkeit), non completamente separabile dalla<br />

stessa (Alltäglichkeit).<br />

L’analitica esistenziale si rivolge alla maniera di rivelarsi<br />

dell’esserci innanzitutto e per lo più, non con un teorizzare<br />

astratto ed avulso dalla verità della vita.<br />

Per Heidegger occorre ammettere una differenza<br />

fondamentale tra la dimensione<br />

47<br />

inautenticadell’esistenza,<br />

la quale genera artificiose determinazioni fisse e rigide<br />

tipiche talvolta della tradizione metafisica, e la dimensione<br />

autentica di essa, immediatamente riconducibile<br />

all’effettività o fatticità dell’esperienza (Fättlichkeit), che<br />

38 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari 2002, op.cit., p. 19.


si riferisce costitutivamente all’essere dell’uomo, cioè<br />

all’esser-ci o esistenza Dasein). (<br />

La prospettiva legata all’analisi esistenziale,<br />

approfondendo le strutture dell’essere, rinvia al piano<br />

ontologico, mentre la prospettiva metafisica classica è<br />

contrassegnata dal piano ontico, riguardante la<br />

considerazione dell'ente in quanto tale, ma che non ne pone<br />

in discussione l’essere.<br />

Ontico e ontologico non sono due piani contrapposti, la<br />

loro è una differenza di grado, di maggiore o minore<br />

aderenza all’idea di un approfondimento del senso<br />

dell’essere realizzabile solo al di fuori dello schema<br />

metafisico tradizionale.<br />

Il piano ontico giunge al massimo alla descrizione dell’ente<br />

intramondano, mentre l’interpretazione dell’essere di<br />

questo ente pertiene al piano ontologico. Ma anche una<br />

conoscenza dell’ente in generale contempla una media e<br />

48


provvisoria consapevolenza del significato dell’essere: la<br />

verità ontologica fonda quella ontica.<br />

Essere e tempo indaga la tematica esistenziale seguendo un<br />

percorso speculativo estremamente originale; questo non<br />

esclude la presenza di modelli significativi a cui<br />

richiamarsi.<br />

Heidegger attinge, oltre che al pensiero aurorale dei<br />

Presocratici (soprattutto Eraclito e Anassimandro) e di<br />

alcuni contemporanei (Dilthey, Husserl e Yorck), alla<br />

lezione di un esistenzialista ante-litteram come il danese<br />

Sören Kierkegaard. Heidegger lo considera un pensatore<br />

autorevole, l’unico che “ha esplicitamente affermato e<br />

accuratamente penetrato il problema dell’esistenza come<br />

39<br />

problema esistentivo ”.<br />

39 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op.cit, p. 13<br />

49


Kierkegaard, per quanto ancora lontano da una presa di<br />

coscienza ontologica, è comunque riuscito a fare<br />

dell’esistenza materia d’interrogazione filosofica,<br />

anticipando i temi e le proposte dell’analitica esistenziale.<br />

Non solo, ma, come scrive Vattimo, “Kierkegaard viene<br />

esplicitamente richiamato proprio in alcuni punti nodali<br />

dello sviluppo di Essere e tempo, a proposito del concetto<br />

40<br />

di angoscia e di quello di temporalità ”.<br />

Il rapporto tra Heidegger e Kierkegaard è cruciale, in vista<br />

della scoperta del dirompente valore euristico della<br />

situazione affettiva, della cura, etc… tutti elementi estran<br />

al discorso filosofico tradizionale, in genere propenso a<br />

separare artificiosamente pensiero ed esistenza.<br />

L’importanza di Kierkegaard consiste nell’aver posto<br />

l’accento sulla quotidianità, quella quotidianità che per<br />

Heidegger è l’ingrediente indispensabile di ogni<br />

speculazione sull’essere connotato in senso esistenzial<br />

40 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op.cit, p. 13<br />

50


La quotidianità è infatti la dimensione in cui l’esistenza<br />

vive in concreto e sperimenta quell’essere-nel-mondo che<br />

non le è affatto estraneo.<br />

2 - Dal mondo alla mondità<br />

L’esistenza è determinata da un universo di molteplici<br />

possibilità che spesso e volentieri rimangono irrealizzate,<br />

come già in Kierkegaard; ma Heidegger, muovendosi<br />

nell’ambito dell’ermeneutica, ritiene di dover approfondir<br />

la tematica del poter-essere, o, per maggior precisione,<br />

della possibilità come essenza dell’essere, attraverso<br />

un’analisi comprendente dei suoi presupposti.<br />

Decidendo di muovere da un modo di essere calato e reso<br />

possibile nel contatto con la quotidianità, che la<br />

presuppone, Heidegger sceglie la realtà umana così com’è,<br />

nella sua concretezza.<br />

La nozione di medietà, il fatto che noi stessi in qualche<br />

modo già possediamo un’idea vaga e media delle cose ancor<br />

51


prima di averne diretta esperienza, è un presupposto<br />

necessario della comprensione, e dell’essere-nel-mondo a<br />

cui questa si applica. La medietà, infatti, prepara la<br />

comprensione su un piano corrivo e generico, al quale sono<br />

associate le diverse modalità di essere dell’esser-ci.<br />

Per Heidegger il mondo precede le cose, che sono tali in<br />

quanto rimandano al mondo come mezzi. Il mondo precede<br />

anche i significati propri peculiari delle cose,<br />

rappresentando il complesso dei significati parziali che<br />

queste manifestano.<br />

Il mondo può essere compreso perché noi in maniera<br />

originaria ereditiamo determinate idee e pregiudizi che ci<br />

permettono di conoscere; qui entra ancora una volta in<br />

gioco il concetto di pre-comprensione, elemento<br />

indispensabile alla comprensione stessa.<br />

La comprensione dell’essere cui tende l’analitica<br />

esistenziale, non può non radicarsi che sulla pre-<br />

52


comprensione, “un certo orizzonte preliminarmente aperto<br />

e disponibile che, più che limitare la libertà della<br />

41<br />

comprensione, la rende possibile ”.<br />

La pre-comprensione schiude in qualche modo le varie<br />

possibilità dell’esistenza, che si articola in connessione a<br />

strutture basate sul poter-essere e l’apertura.<br />

L’essere-nel-mondo si realizza nel segno del “progetto”;<br />

anche la pre-comprensione si attua in questo modo,<br />

intendendo appunto il progetto sia come una sorta di guida<br />

delle nostre idee che nel significato corrente di abbozzo o<br />

piano di lavoro, che per essere realizzato necessita di<br />

elaborazioni successive, esattamente come quel che, per<br />

esempio, accade in vista della costruzione di una struttura<br />

edilizia o d’altro genere.<br />

Comprendere è progettare dal momento che include anche<br />

la disposizione e la programmazione di tutto un complesso<br />

41 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op.cit., p. 20.<br />

53


di significati che formano (costituiscono, rap-presentano)<br />

mondo.<br />

“L’impossibilità di uscire dalla prospettiva che già<br />

sempre abbiamo del mondo e dei significati una volta<br />

che sia caduto il presupposto delle cose come<br />

semplici presenze,” – osserva Vattimo – “non è più<br />

qualcosa di negativo o di limitante, ma viene a<br />

costituire la nostra stessa possibilità di incontrare il<br />

mondo 42 ”.<br />

Anche la medietà e la quotidianità dell’esistenza si<br />

mostrano particolarmente nella forma dell’essere-nel-<br />

mondo. Tuttavia occorre precisare che per “mondo”<br />

Heidegger non intende l’ente secondo l’ottica della<br />

semplice presenza, ma una realtà intrinseca all’esistenza<br />

Gli enti intramondani, presenti cioè all’interno del mondo<br />

in cui noi stessi siamo, non sono dei passivi oggetti di<br />

42 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 30.<br />

54


conoscenza, ma rappresentano dei mezzi attivamente<br />

coinvolti nel “progetto” dell’esistenza.<br />

L’esser-ci si realizza come essere-nel-mondo mediante le<br />

varie possibilità di cui dispone, in quanto ente<br />

“progettante” che utilizza le cose nell’ambito di un<br />

progetto che le vuole strumenti ontologici.<br />

Pure la datità, l’aspetto di semplici-presenze assunto dalle<br />

cose, dipende strettamente dai modi in cui l’esser-ci si<br />

accosta ad esse, interpretandole in senso strumentale.<br />

Rispetto all’esser-ci la cosa è mezzo, non nell’accezione di<br />

un oggetto isolato e “staccato” dall’esistenza; ogni cosa è<br />

mezzo in vista dell’agire e del pensare umano, mezzo-per. è<br />

Il mondo non è una totalità composta di semplici-presenze,<br />

di cose date, ma la condizione esistenziale nella quale le<br />

cose risultano mezzi utilizzabili dall’esser-ci.<br />

Nell’essere-nel-mondo il suoessere caratteristico è reso<br />

possibile grazie all’esistenza, la quale fa sì che il mondo<br />

55


venga reinterpretato in maniera del tutto originale come<br />

parte integrante dell’essere dell’esser-ci.<br />

Per Heidegger anche il fenomeno del conoscere “si fonda<br />

preliminarmente in quell’esser-già-presso-il-mondo che<br />

43<br />

costituisce come tale l’essere dell’Esserci ”.<br />

“Questo esser-già-presso” –specifica – “non è<br />

originariamente un’inerte contemplazione di<br />

semplici-presenze. L’essere nel mondo, in quanto<br />

prendersi cura, è coinvolto nel mondo di cui si<br />

prende cura<br />

44 ”.<br />

L’essere-nel-mondo partecipa della situazione concreta<br />

dell’Esserci, è immedesimato nella dimensione di realtà di<br />

cui prende cura, non è qualcosa di estraneo ad essa.<br />

Anche la conoscenza del mondo non è un momento isolato<br />

dell’esperienza dell’Esser-ci.<br />

43 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, op. cit., p. 86.<br />

44 Ibidem<br />

56


L’analisi delle cose che formano il mondo è insufficiente,<br />

perché pertiene peculiarmente al piano ontico, ed è quindi<br />

qualcosa di ben diverso dalla ricerca ontologica intorno al<br />

mondo.<br />

L’interpretazione mondo del implica la scoperta dell’essere<br />

dell’ente che agisce dentro il mondo e non fuori del mondo<br />

stesso.<br />

Nel processo aperto dell’interpretazione del mondo<br />

incontriamo il concetto mondità di del mondo , che assume i<br />

caratteri di un esistenziale, cioè di una delle nuove<br />

categorie imposte al discorso filosofico contemporaneo<br />

dall’analitica esistenziale.<br />

Scrive Heidegger:<br />

“La è un concetto ontologico e denota<br />

la struttura di un momento costitutivo dell’essere-<br />

nel-mondo. Ma questo ci è apparso come una<br />

57


determinazione esistenziale dell’Esserci. La<br />

45<br />

è quindi essa stessa un esistenziale .<br />

In Essere e tempo Heidegger chiarisce i rapporti tra esserci<br />

e mondo, tra esistenza e mondità, che si pongono<br />

all’insegna della continuità.<br />

Quando si pone il problema del , a quale<br />

ci si riferisce? Non a questo o a quello,<br />

46<br />

ma alla mondità del mondo in generale .<br />

Da questo passo, emerge chiaramente che il mondo rinvia al<br />

concetto di .<br />

Il neologismo heideggeriano è il presupposto necessario<br />

utile a comprendere quel “mondo comune in cui, in realtà,<br />

[già di fatto] siamo 47 ”.<br />

45 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 89.<br />

46 Ibidem<br />

47 Ibidem<br />

58


Diversamente che nella tradizione metafisica in cui il<br />

mondo era visto come un oggetto contrapposto al punto di<br />

vista del soggetto, per Heidegger mondo ed esser-ci sono<br />

posti in un rapporto che non è più di prossimità o di<br />

contrapposizione, ma di identificazione.<br />

Ovviamente Heidegger non intende tornare alla prospettiva<br />

idealistica, che confondeva esistenza e mondo e che<br />

scorgeva nella realtà una libera produzione dello spirito,<br />

ma si muove in una visione ermeneutica di partecipazione<br />

“condivisa" dell’ esser-ci come esistenza all’essere-nel-<br />

mondo, partecipazione da intendere in quella forma<br />

caratteristica che è la comprensione.<br />

In realtà il mondo (Welt) è una struttura ontologica<br />

implicita nella dimensione “aperta” dell’esser-ci, ma che in<br />

questa apertura-dischiudente mantiene innegabilmente la<br />

propria autonomia e specificità.<br />

59


Quando indaghiamo ontologicamente , il<br />

non abbandoniamo per nulla il campo tematico<br />

dell’analitica dell’Esserci. Ontologicamente il<br />

non è affatto una determinazione<br />

dell’ente difforme dall’Esserci, ma è, al contrario,<br />

un carattere dell’Esserci stesso che non esclude però<br />

che la via lungo la quale procede la ricerca, intorno<br />

al fenomeno del , passi attraverso l’ente<br />

48<br />

intramondano e il suo essere .<br />

Il fenomeno del mondo si può descrivere utilizzando il<br />

neologismo mondità (Weltlichkeit), che non è una qualità<br />

del mondo ma piuttosto il modo di essere con cui il mondo<br />

si mostra all’esser-ci e in qualche maniera lo determina:<br />

La è un concetto ontologico e denota la<br />

struttura di un momento costitutivo dell’essere-nel-<br />

48 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 89.<br />

60


mondo. Ma questo ci è apparso come una<br />

49<br />

determinazione esistenziale dell’Esserci<br />

.<br />

Il suo punto di partenza è una fondamentale domanda su<br />

“che cos’è il mondo?” e su come sia possibile identificare<br />

mondo ed esistenza senza cadere nel soggettivismo:<br />

“Il sarà forse un carattere d’essere<br />

dell’Esserci?” si – chiede Heidegger – “Ogni Esserci<br />

non ha forse,, un suo mondo? Ma il<br />

non diviene in tal caso qualcosa di<br />

?<br />

Per Heidegger è necessario riflettere non sui mondi<br />

individuali propri di ogni singolo, né sul mondo inteso, al<br />

contrario, come realtà collettiva e spersonalizzante, ma su<br />

49 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 89.<br />

50 Ibidem<br />

61


quella che egli definisce eloquentemente mondità del<br />

51<br />

mondo in generale .<br />

La mondità è inseparabile dal mondo (come dall’esser-ci),<br />

di cui costituisce il presupposto.<br />

Ma la mondità è tale relativamente a quale mondo?<br />

In realtà Heidegger concepisce il mondo in maniera<br />

parzialmente autonoma sia rispetto al piano ontico che a<br />

quello ontologico, essendo in effetti presupposto da queste<br />

due significative espressioni:<br />

Né la descrizione ontica dell’ente intramondano né<br />

l’interpretazione ontologica dell’essere di questo<br />

ente investono come tali il fenomeno del.<br />

In ambedue questi , il fenomeno<br />

del , se pur in modi diversi, è già<br />

.<br />

51 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, op. cit., p. 89.<br />

52 Ibidem<br />

62


Questa presupposizione del fenomeno del mondo, che<br />

precede i momenti ontico ed ontologico come modalità<br />

interpretative dello stesso ente, correlata anche alla pre-<br />

comprensione, non è ancora una nota definitoria, ma la<br />

traccia di un percorso che conduce a quattro diverse<br />

possibili definizioni.<br />

La prima definizione è quella espressa dalla tradizione<br />

metafisica, che scorge nel mondo nient’altro che un insieme<br />

di semplici presenze. Si tratta di un concetto del mondo di<br />

carattere sostanzialistico, rivelativo di quel piano ontico<br />

che, pur assolvendo un ruolo significativo, può e deve<br />

essere superato:<br />

Mondo può essere inteso come un concetto ontico e<br />

significa allora la totalità dell’ente semplicemente-<br />

53<br />

presente all’interno del mondo .<br />

53 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 90.<br />

63


Ma “mondo funge anche da termine ontologico e significa<br />

54<br />

allora l’essere dell’ente ”, nella fattispecie, quell’ente che<br />

costituisce l’oggetto dell’analitica esistenziale: l’esser-<br />

Come si è già visto, nella prospettiva di Essere e tempo il<br />

mondo è inteso quale parte integrante della dimensione<br />

esistenziale, non un corpo estraneo da osservare<br />

dall’esterno.<br />

Un’altra definizione individua nel mondo una struttura che<br />

contiene a sua volta una molteplicità di enti particolari.<br />

Mondo è, nel linguaggio matematico, “la regione degli<br />

55<br />

oggetti possibili della matematica ”.<br />

La quarta definizione, che vede il mondo come la totalità<br />

56<br />

dell’ente semplicemente-presente all’interno del è mondo<br />

orientata a stabilire un senso dell’idea di mondo che non<br />

denota più “l’ente che l’Esserci essenzialmente non è e che<br />

54 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 90.<br />

55 Ibidem<br />

56 Ibidem<br />

64


si incontra nel mondo, ma ciò in cui un Esserci effettivo<br />

come tale 57 ”.<br />

Questo è il significato del mondo considerato<br />

58<br />

preontologicamente esistentivo . Il termine esistentivo<br />

indica il valore di problema quotidiano e concreto del<br />

mondo come casa comune in cui l’esser-ci si trova a vivere<br />

e ad operare.<br />

Il mondo così inteso ha carattere pre-ontologico, nel senso<br />

che, come presupposto, rende possibile<br />

quell’approfondimento ontologico che Heidegger ritiene<br />

indispensabile al rinvenimento dell’autentica immagine de<br />

mondo, la quale non può non prescindere dalla mondità del<br />

mondo, che viene definita in maniera molto duttile e<br />

dinamica.<br />

La mondità è infatti modificabile in base ai vari mondi di<br />

cui è indice e segno, e nello stesso tempo rappresenta<br />

57 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 90.<br />

58 Ibidem<br />

65


qualcosa oltre se stessa, come “l’apriori della mondità in<br />

generale 59 ”.<br />

Tuttavia Heidegger accentua la differenza che intercorre tr<br />

l’essere-nel-mondo, come fenomeno relativo al mondo<br />

genericamente inteso, e la metafora della natura.<br />

È piuttosto l’esser-ci a indagare l’ente e quindi a rendere<br />

ragione della natura, non viceversa. Infatti la natura è<br />

conosciuta dall’esser-ci in quanto modalità peculiare del<br />

suo esser-nel mondo:<br />

Questo conoscere ha il carattere di una determinata<br />

demondificazione del mondo. La, come<br />

insieme categoriale delle strutture ontologiche di un<br />

determinato ente incontrato come intramondano, non<br />

60<br />

può mai rendere comprensibile la mondità .<br />

59 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 90<br />

60 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 91<br />

66


L’esser-ci conosce attraverso la demondificazione del<br />

mondo che lo circonda, cioè una messa tra parentesi del<br />

mondo stesso, che non è una negazione dell’essere del<br />

mondo, ma indica semplicemente una modalità d’approccio<br />

al mondo che ne interpreta i caratteri in senso tutt’altro che<br />

naturalistico.<br />

Analogamente al mondo, pure la natura viene incontro<br />

all’esserci in forme del tutto diverse rispetto al punto di<br />

vista religioso o scientifico.<br />

Anche il fenomeno, ad esempio nel senso<br />

del concetto romantico della natura, è comprensibile<br />

ontologicamente solo a partire del concetto di mondo<br />

61<br />

e cioè dell’analitica dell’Esserci .<br />

Per Heidegger anche la prospettiva romantica, qui intesa in<br />

un senso lontano dall’idealismo filosofico e semmai<br />

61 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 91.<br />

67


prossima alle vedute dell’arte e della letteratura, percepiva<br />

nella natura una proiezione della visione del mondo<br />

dell’uomo, di quello che l’analitica esistenziale definisce<br />

come esserci.<br />

In termini più aderenti all’impostazione heideggeriana, si<br />

direbbe che il Romanticismo abbia trattato la natura come<br />

un utilizzabile, come un elemento di cui fare uso.<br />

Chiariamo tuttavia ulteriormente che il concetto di<br />

utilizzabilità va inteso in senso lato, e non ha niente di<br />

utilitaristico: anche sogni, fantasie, trasfigurazioni di<br />

eventi o fenomeni naturali, possono considerarsi a loro<br />

modo degli utilizzabili intramondani, tali perché inscritti<br />

per così dire nel codice dell’esser-ci che li utilizza quali<br />

mezzi-per.<br />

L’aspetto più interessante di questa teoria è che ingloba o<br />

identifica in maniera del tutto originale ed inedita il mondo<br />

interpretato in accezione ontologica al dominio dell’esser-<br />

68


ci, senza cadere nell’idealismo ma anzi tenendosi in<br />

collegamento, fenomenologicamente, con le cose stesse, e<br />

quindi con la concretezza dell’esperienza vissuta.<br />

3 - L’essere-nel-mondo<br />

L’essere-nel-mondo descrive ermeneuticamente la<br />

condizione del Dasein, dell’essere inteso in chiave<br />

esistenziale.<br />

L’essere-nel-mondo non è un confuso amalgama di cose<br />

disparate che vengano a riunirsi in un secondo momento,<br />

ma una realtà uniforme ed originaria. Non può in alcun<br />

modo essere considerato l’esito della banale constatazione<br />

dell’esperienza umana, soggetta alle dinamiche di un<br />

mondo concepito, “cartesianamente, come l’estensione di<br />

62<br />

una sostanza corporea ”.<br />

L’essere-nel-mondo indica nello specifico una condivisio<br />

fattuale e non nominale,per cui il “chi” dell’esistenza e il<br />

62 cfr. C. Esposito, L’analitica dell’esistenza, in Aa. Vv., Guida a Heidegger, a c. di F. Volpi, Laterza,<br />

Roma-Bari II edizione 2002, p. 133 (nota 42).<br />

69


“che cosa” del mondo si fondano in un unico progetto<br />

ontologico 63 . È il progetto dell’esser-ci, e come tale<br />

“gettato” nel mondo.<br />

L’esistenza si presenta quale un presupposto molto<br />

peculiare, che non andrebbe nella maniera più assoluta<br />

confuso con altri luoghi comuni, “né con un archetipo<br />

originario quanto irrecuperabile, o con un’idea<br />

64<br />

indeterminata quanto inesperibile della ”. vita<br />

Finalità dell’analisi dell’esser-ci è appunto<br />

l’interpretazione dell’essere-nel-mondo: “il compito<br />

dell’analitica sarà dunque quello di guadagnare l’intero di<br />

65<br />

questa struttura attraverso i suoi momenti costitutivi ” -<br />

osserva acutamente Esposito - “e cioè la ,


mondo>> e infine la stessa struttura ontologica dell’ come tale 66 ”.<br />

La tradizione metafisica aveva spiegato il mondo in<br />

relazione alla categoria dello spazio, ridefinita in età<br />

moderna da Cartesio come res extensa, che<br />

caratterizzerebbe un ente dotato di estensione. In questa<br />

prospettiva anche il mondo era considerato semplice<br />

presenza.<br />

“Per Heidegger, invece, l’analitica deve mostrare<br />

che – lungi dall’essere una categoria teoretica – la<br />

mondità è essa stessa un esistenziale” – scrive<br />

Esposito – “e deve farlo a partire da quel mondo<br />

.<br />

66 cfr. C. Esposito, L’analitica dell’esistenza, op. cit., p. 132.<br />

67 Ibidem<br />

71


L’essere-nel-mondo è l’autentico fondamento<br />

dell’esperienza filosofica raccontata Sein in und Zeit, di<br />

cui gli elementi fondamentali ineriscono al mondo-<br />

ambiente, quel mondo che ci circonda e in cui siamo in<br />

qualche modo gettati a vivere, quel mondo che non è più un<br />

oggetto contrapposto al soggetto, secondo l’indirizzo<br />

metafisico tradizionale, ma un utilizzabile dell’esser-ci, al<br />

pari degli altri enti intramondani.<br />

Le strutture di base e le modalità quotidiane che sono parte<br />

in causa del discorso heideggeriano sull’esser-ci sono<br />

diverse e di diverso tipo, ma risultano tutte accomunate dal<br />

fatto di essere sperimentate non in astratto, ma attraverso<br />

l’esperienza concreta contemplata dal concetto di essere-<br />

nel-mondo e dei vari aspetti ad esso correlati.<br />

Heidegger elabora la questione del senso dell’essere in<br />

chiave ontologica, cioè privilegiando quella domanda<br />

consapevole ed autointerrogante che coinvolge in prima<br />

72


persona l’esser-ci. Ogni singolo uomo non è un “che cosa”<br />

ma un “chi”, un esser-ci, il quale sperimenta<br />

esistenzialmente il suo essere-nel-mondo (In-der-Welt-<br />

sein). L’esser-ci non è semplicemente-presente nell’essere-<br />

del-mondo, come la parte discreta di una totalità o l’acqua<br />

contenuta all’interno del bicchiere.<br />

Per Heidegger l’esistenza (Existenz) si accosta all’essere-<br />

nel-mondo nella modalità dell’apertura-dischiudente ad<br />

esso, o Erschlossenheit, ovvero in quanto vi è stato<br />

“gettato” a vivere e se ne prende-cura.<br />

4 - Realtà,cura, deiezione<br />

Come nel caso dei pregiudizi ontologici, che costituiscono<br />

il punto di partenza per elaborare quell’approfondita<br />

ricerca sulla fondamentale domanda sull’essere avanzata<br />

nel primo grande capolavoro heideggeriano, anche essere- l’<br />

nel-mondo ha i caratteri di un presupposto che affonda le<br />

sue radici non sull’esistenza autentica, bensí su un<br />

73


elemento apparentemente negativo, quale potrebbe essere<br />

considerata l’esistenza in-autentica.<br />

Quell’essere del mondo a cui l’esistenza è sempre aperta<br />

non si manifesta come un insieme ontico di realtà<br />

semplicemente date (Vor-handenheit) o disponibili-<br />

sottomano, o, ancora, sganciate dalla situazione emotiva<br />

dell’esser-ci.<br />

La situazione emotiva non rappresenta qualcosa di isolato<br />

rispetto all’essere-nel-mondo, anzi rinvia alla sua<br />

condizione originaria di progetto-gettato, alla costitutiva<br />

gettatezza (Geworfenheit) dell’esser-ci resa possibile<br />

dall’ineludibile apertura alla “mondità del mondo”.<br />

La situazione emotiva esposta da Heidegger rimanda ad una<br />

analisi dei vari problemi esistenziali in correlazione a<br />

spunti di carattere “ermeneutico”, riguardanti il legame<br />

74


d’incontro e d’intermediazione tra più mondi: essere,<br />

dimensione spazio-temporale e linguisticità.<br />

Il comprendere (Verstehen) è una proiezione attiva,<br />

progetto (Entwurf) o interpretazione (Auslegung) di<br />

qualcosa che rinvia a qualcos’altro, secondo gli schemi<br />

della rimandatività o della significatività presupposti dallo<br />

stesso essere-nel-mondo.<br />

Per questa via il Da-sein o esser-ci abita nel mondo non<br />

come un ospite distaccato ma prendendosene-cura,<br />

attraverso il commercio-ambientale con i vari enti<br />

intramondani.<br />

Più in generale, il rapporto tra esistenza autentica ed<br />

esistenza inautentica rinvia al più complesso rapporto tra<br />

realtà e cura.<br />

Per Heidegger, infatti, la nozione di realtà è impensabile<br />

senza cura, intesa come il fenomeno esistenziale del<br />

prendersi-cura:<br />

75


“Il reale è accessibile solo come ente intramondano.<br />

Ogni accesso a tale ente è fondato ontologicamente<br />

nella costituzione fondamentale dell’Esserci,<br />

nell’essere-nel-mondo. Più originariamente<br />

nell’essere-nel-mondo ha la costituzione la Cura<br />

(avanti-a-sé esser-già-in-un-mondo in quanto esser<br />

68<br />

presso l’ente intramondano )”.<br />

Alla luce di queste considerazioni, gli enti intramondani,<br />

vigenti a vario titolo nel mondo e nel suo orizzonte ontico-<br />

ontologico, in relazione cioè alla semplice-presenza<br />

(Vorhandenheit) e all’esser-ci come approfondimento del<br />

senso dell’essere, nell’ottica dell’esistenzialismo<br />

heideggeriano non rappresentano “dei più semplici dati di<br />

fatto o degli oggetti contrapposti ad un soggetto<br />

conoscente, bensì sulla base di quella struttura d’essere<br />

68 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, op. cit., p. 252.<br />

76


dell’esserci che consiste (Besorgen)<br />

di essi 69 ”.<br />

In verità tali fenomeni acquistano una valenza significativa<br />

solo relativamente alla loro reale “significatività”<br />

(Bedeutsamkeit), di “ciò con cui si a ha che fare”, cioè gli<br />

utilizzabili (Zuhandenheit), enti intramondani posti a<br />

nostra disposizione in quanto interroganti dell’essere.<br />

Per Heidegger occorre superare il concetto di un mondo<br />

esterno, oggettivo e da conoscere come controparte del<br />

soggetto conoscente.<br />

“Il è impostato nel<br />

senso dell’ente intramondano (le cose e gli oggetti).<br />

Di conseguenza queste discussioni si avvolgono in<br />

70<br />

una problematica ontologica inestricabile<br />

”.<br />

69 cfr. C. Esposito, L’analitica dell’esistenza, op. cit., p. 132.<br />

70 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p.253<br />

77


L’analisi del reale non è un tipo d’indagine che possa<br />

prescindere dall’esser-ci, ma deve rinviare ad una struttura<br />

circolare e “aperta”, in cui venga sorpassato il categorico<br />

schema di soggetto-oggetto:<br />

[…]“l’analisi della realtà”[…]”è”[…]”possibile<br />

sul fondamento di un accesso adeguato al reale. La<br />

conoscenza intuitiva è da tempo immemorabile<br />

l’organo specifico della conoscenza del reale. Tale<br />

conoscenza uno stato dell’anima, della<br />

coscienza 71 ”.<br />

La connessione tra realtà e cura è assai rilevante per<br />

comprendere il punto di vista heideggeriano in merito alla<br />

questione dell’essere-nel-mondo, come si evince da questo<br />

ulteriore passaggio:<br />

Il problema se, in generale, sussista un mondo e se il<br />

suo essere possa esser dimostrato, è senza senso<br />

71 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 251.<br />

78


come problema posto dall’Esserci in quanto essere-<br />

nel-mondo; e chi mai, d’altronde, potrebbe porlo?<br />

Tale problema è per di più affetto di equivocità.<br />

Manca infatti la distinzione fra nel senso<br />

di dell’in-essere e nel senso<br />

dell’ente intramondano, cioè del <br />

72<br />

dell’immedesimazione prendente . cura<br />

La cura del prendersi-cura è la maniera in cui ci<br />

approcciamo all’esser-ci, e che contempla quel<br />

, o Umgang, consistente nel<br />

trattare l’ente che ci viene incontro come mezzo-per.<br />

Heidegger giunge persino ad affermare che la <br />

(Sorge) s’identifica in tutto e per tutto con l’esistenza, e,<br />

di concerto con la stessa “significatività”, al mondo-<br />

ambiente (Um-welt) in cui siamo gettati come progettanti<br />

dell’essere in senso ontologico.<br />

72 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 252<br />

79


Il termine cura, in tedesco Sorge - da cui il verbo Besorgen<br />

deriva - ha in tedesco una significativa ambiguità semantica<br />

che nell’italiano attuale si è in parte persa.<br />

Sorge è traducibile come cura, attenzione partecipe ad una<br />

determinata cosa o persona, ma anche come angoscia,<br />

preoccupazione, apprensione.<br />

La Cura ha infatti i caratteri di quell’ansietà connessa al<br />

nostro modo di prenderci cura del mondo e degli enti<br />

intramondani che esso ospita, sottolineando che questa cura<br />

non è del tipo della datità o semplice presenza, la quale<br />

scorge nell’ente un oggetto passivo da interpretare<br />

dall’esterno, secondo il punto di vista di un soggetto<br />

autonomo e scollegato da esso.<br />

Oltre alla significatività, la “cura” determina l’effettività<br />

(Faktizität) o la “finitezza esistenziale”, ossia il fatto che<br />

il suo essere sia di volta consegnato e vincolato al mondo.<br />

80


L’importanza della nozione di Cura per i suoi risvolti<br />

ermeneutici si manifesta chiaramente nel momento in cui<br />

viene assunto da Heidegger come criterio per<br />

l’interpretazione dell’esser-ci e la comprensione del<br />

significato autentico del tempo Zeit), ( che è la temporalità<br />

(Zeitlichkeit).<br />

La temporalità determina un differente rapporto di<br />

profondità con la sequenza temporale del presente, del<br />

passato e del futuro, da non intendere più in senso<br />

cronologico, come scansione ordinata di più tempi, bensì<br />

come un’unità estatica delle tre dimensioni del tempo.<br />

Come progetto-gettato l’esser-ci si rivolge soprattutto alla<br />

dimensione del futuro.<br />

Nella maniera in cui l’uomo ad-viene, infatti, esce da sé<br />

stesso; questa “ek-stasis” indica una fuga o un<br />

trascendimento capace di definire gli orizzonti del passato<br />

e del futuro, tutti giocati tra l’effettività del trascendere,<br />

81


dell’andare-avanti-a-sé-essendo-già-in, e quel paradossale<br />

salto che è la decisione.<br />

La temporalità, più originaria del tempo, deve tale suo<br />

primato al fatto che in essa e solo in essa si manifesta la<br />

storia o il destino dell’essere.<br />

La tradizione metafisica non è riuscita a cogliere in tutta la<br />

sua pregnanza il valore di un approccio all’essere partendo<br />

dalla semplice presenzao<br />

sostanza da incontrare nel<br />

presente. Questa è la ragione per cui la metafisica si è poi<br />

cristallizzata all’essere-presente, omettendo la co-<br />

originarietà di passato, presente e futuro.<br />

Da qui derivano i pregiudizi sull’essere, i quali dipendono<br />

essenzialmente dal carattere deiettivo o difettivo<br />

dell’essere come e in quanto esser-ci.<br />

82


La difettosità inerente all’essere è detta da Heidegger<br />

Verfallen, “deiezione”, termine che potrebbe rendersi solo<br />

con una certa approssimazione come caduta:<br />

Il termine, che non importa alcuna valutazione<br />

negativa, sta a significare che l’Esserci è innanzi<br />

tutto e per lo più presso il di cui si<br />

prende cura. Questa immedesimazione in… ha per lo<br />

più il carattere dello smarrimento nella pubblicità<br />

del Si. L’Esserci è, innanzi tutto, sempre già de-<br />

caduto da se stesso come autentico poter-essere e<br />

deietto nel. Lo stato di deiezione presso<br />

il equivale all’immedesimazione<br />

nell’essere-assieme dominato dalla chiacchiera,<br />

73<br />

dalla curiosità e dall’equivoco .<br />

73 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 221.<br />

83


Heidegger mette giustamente in guardia da non intendere<br />

l’espressione nel senso di una condanna moralistica<br />

dell’esistenza in-autentica.<br />

La deiezione indica il decadere dell’esserci nelnon-poter-<br />

essere-se-stesso, che viene travolto nel vortice di un<br />

mondo che distoglie l’uomo dall’esistenza autentica, e nel<br />

quale abbondano i fenomeni di tipo deiettivo, legati al si<br />

impersonale e alla pubblica opinione, come la chiacchiera,<br />

la curiosità, e l’ambiguità.<br />

Questi esistenziali, non si presentano come determinazioni<br />

semplicemente-presenti nell’esserci, ma anzi ne<br />

costituiscono l’essere.<br />

Il si impersonale e gli altri esistenziali di carattere<br />

deiettivo, in sé e nella loro “connessione ontologica<br />

manifestano quel modo fondamentale dell’essere della<br />

84


quotidianità che noi chiamiamo la deiezione<br />

dell’Esserci 74 ”.<br />

In queste modalità di esistenza inautentica, l’esser-ci si<br />

riduce a cosa-presente Vor-handenes) (<br />

o cosa-Io (Ich-ding),<br />

coscienza soggettiva, “senza mondo”.<br />

La deiezione impedisce il realizzarsi dell’esistenza<br />

autentica da parte dell’esser-ci. Tale realizzazione si basa<br />

sull’essere-per-la-morte, e non è certo un caso. Uno dei<br />

tratti salienti diEssere e tempo riguarda la connessione tra<br />

ontologia e nichilismo, essere e nulla.<br />

Se il punto di partenza dell’analitica esistenziale<br />

(ciò che ne fa la propedeutica adeguata per una<br />

possibile ontologia alternativa) è la considerazione<br />

del rapporto dell’uomo con l’essere, il punto<br />

d’arrivo, per così dire, della medesima analitica<br />

esistenziale (quello che permette di indicare nella<br />

74 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 221.<br />

85


temporalità il senso dell’esistenza) è il rapporto<br />

dell’uomo col nulla, ovvero il progetto<br />

dell’, progetto che non è né<br />

una realizzazione, né un’attesa, ma una<br />

, ovvero un’assunzione liberante<br />

del che pervade costitutivamente il<br />

75<br />

proprio essere .<br />

Tra tutte le varie possibilità a disposizione dell’esser-ci,<br />

solo la morte è inesorabile, propria e costitutiva di ognuno.<br />

Prendere coscienza della morte schiude all’esser-ci la<br />

possibilità di concepirsi non come puro dato, ma come “un<br />

insieme di possibilità, la possibilità della morte è, per lui,<br />

la possibilità più propria, perché lo sovrasta in tutta la sua<br />

esistenza e riguarda la sua esistenza stessa come tale, è la<br />

possibilità insuperabile ed estrema, perché è, per l’esse<br />

la possibilità di non esserci più. Anticipare (vorlaufen:<br />

75 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino 1993, op. cit., pp.21-22.<br />

86


) questa possibilità significa appropriars<br />

76<br />

come possibilità ”.<br />

Per l’esser-ci prendersi coscienza di questa sua più estrema<br />

ed autentica possibilità vuole poter dire finalmente<br />

diventare davvero se stesso e quindi raggiungere una libert<br />

non apparente ma reale e concreta.<br />

“L’essere-per-la-morte è così una sorta di<br />

,” - afferma Amoroso - per quanto<br />

paradossale 77 ”.<br />

Ovviamente Heidegger pone l’accento non sulla morte come<br />

tale, ma soprattutto sulla possibilità che l’evento dischiude<br />

per l’esser-ci, che si trova appunto proiettatoin-avanti-a-<br />

sé-essendo-già-in, grazie alla spinta propulsiva derivante<br />

da una decisione precorritrice che investe tutto il<br />

76 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 22.<br />

77 Ibidem<br />

87


movimento dell’esistenza ed influisce sull’opzione<br />

fondamentale tra autenticità ed inautenticità.<br />

5 - “Segno” e “rimando”<br />

Il commercio ambientale, la contrattazione infinita tra noi e<br />

gli enti intramondani che pur presuppone una base comune<br />

qual è l’essere-nel-mondo come tale, ci fa vedere<br />

chiaramente che“ogni cosa viene utilizzata - all’interno di<br />

una totalità di cose – come uno strumento o un (Zeug) qualcos’altro, di modo che, prima di<br />

qualsiasi considerazione teoretica, l’ente intramondano c<br />

si mostra da se stesso proprio nel “modo di essere”<br />

78<br />

dell’utilizzabilità (Zuhandenheit)<br />

”.<br />

L’utilizzabilità rinvia in modo originario alla nostra<br />

visione ambientale, o Umsich, più che all’elaborazione<br />

logico-concettuale, che si applica a un’idea di mondo come<br />

sostanza che Heidegger giudica riduttiva, in quanto non<br />

78 cfr. C. Esposito, L’analitica dell’esistenza, in Aa. Vv., Guida a Heidegger, a c. di F. Volpi, Laterza,<br />

Roma-Bari II edizione 2002, op. cit., p. 133.<br />

88


ende sufficientemente conto del fatto che il mondo non è<br />

solo una somma di semplici presenze, ma di mezzi-per, di<br />

strumenti ontologici.<br />

Il mezzo-per “ha il carattere del rimando. Esso non<br />

rimanda solo all’uso specifico per cui è fatto, ma anche,<br />

per esempio, alle persone che lo usano, al materiale di cui<br />

79<br />

è costituito, etc …”<br />

Tuttavia, osserva ancora Vattimo, il mezzo-per “non è fatto<br />

per manifestare tali rimandi” . In genere la sua funzione è<br />

legata all’uso che se ne fa, e niente affatto a fini<br />

d’informazione.<br />

Tra i vari mezzi-per, va riconosciuta la specificità di una<br />

tipologia molto peculiare di essi, che presentano proprio<br />

una valenza informativa, cioè ci rinviano a qualcos’altro.<br />

Evidentemente la teoria dei segni rimanda alla più<br />

complessa questione del linguaggio, e, ancor più<br />

79 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit, p. 26.<br />

89


all’Ermeneutica, come prassi dell’interpretazione e della<br />

mediazione linguistica.<br />

In quest’ottica, l’idea di comprensione si svela quale punto<br />

nevralgico dell’Ermeneutica Essere di e tempo, che solo in<br />

parte s’identifica con l’analitica esistenziale, in quanto<br />

propedeutica non risolutiva della domanda sull’essere.<br />

In tale prospettiva, non più esistenziale ma che vira già in<br />

direzione della successiva Svolta ermeneutica, il<br />

“comprendere” (Verstehen) non rappresenta un elemento<br />

accessorio o casuale dell’esperienza filosofica, diventa<br />

un fenomeno costitutivo essere-nel-mondo.<br />

dell’<br />

Dall’analisi dei temi suggeriti dall’essere-nel-mondo,<br />

emerge il cruciale problema dei rapporti tra segno in<br />

generale e rimando, concetti estremamente rilevanti per<br />

chiarire in qualche modo i caratteri e la situazione dei<br />

differenti enti intramondani. È infatti soprattutto intorno a<br />

90


questa questione che prende forma la particolarissima<br />

Ermeneutica diEssere e tempo, come intreccio di spunti<br />

linguistici ed esistenziali, e che avrà espliciti sviluppi in<br />

seguito, all’epoca della Svolta.<br />

“Nel segno, l’utilità coincide con la<br />

; il segno non ha altro uso che<br />

quello del rimandare. In tal modo, nel segno viene in<br />

luce in modo particolarmente chiaro ciò che è<br />

proprio in generale di tutte le cose intramondane,<br />

cioè il rimando nel senso della connessione con<br />

altro 80 ”.<br />

Come mezzi-per o strumenti di un certo tipo, gli enti<br />

intramondani, per loro stessa natura, “rinviano ad altro da<br />

sé 81 ”.<br />

80 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari 2002, op. cit., p. 26.<br />

81 Ibidem<br />

91


La caratteristica del segno riguarda principalmente il suo<br />

82<br />

“costitutivo essere-in-rapporto ” […] “che si presenta in<br />

primo piano, nell’identità di utilizzabilità e<br />

rimandatività 83 ”.<br />

Il segno rivela così un duplice volto: come mezzo-per e<br />

come rimando, capace di far emergere l’essenza nascosta di<br />

ogni ente intramondano, che non è semplicemente cosa o<br />

“ousìa” nel senso della semplice presenza, ma traccia di<br />

percorsi ulteriori.<br />

Heidegger si propone di comprendere più a fondo il<br />

fenomeno del segno, con un’indagine ovviamente<br />

complicata dalla molteplicità dei segni possibili:<br />

Heidegger poi precisa che con il termine segno “si<br />

intendono molte cose: non solo le diverse specie di<br />

segni, ma anche l’esser segno di…che può esser<br />

formalizzato in un genere universale di relazione,<br />

82 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 26.<br />

83 Ibidem<br />

92


sicché la struttura stessa del segno può offrire il filo<br />

conduttore ontologico per una <br />

84<br />

dell’ente in generale ”.<br />

In Essere e tempo il segno è definito in primo luogo come<br />

un “mezzo in cui si possono rintracciare in<br />

85<br />

vari sensi.<br />

Nel contesto di Essere e tempo, Heidegger distingue il<br />

segno come rimando dai “segni di riconoscimento”, mentre<br />

i rimandi identificano l’utilizzabilità dell’ente da un punto<br />

di vista ontologico, e sono infatti le peculiari<br />

determinazione dei utilizzabili vari<br />

intramondani .<br />

“Fra i segni” – scrive Heidegger – “ci sono i<br />

sintomi, i presagi, le tracce, le insegne, i segni di<br />

riconoscimento in cui la maniera di indicare è<br />

86<br />

sempre diversa ”.<br />

84 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, op. cit., p. 104.<br />

85 Ibidem<br />

86 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 105.<br />

93


Ma il rimandare è qualcosa di differente dall’indicare,<br />

perché quest’ultimo termine non individua “la struttura<br />

87<br />

ontologica del segno in quanto mezzo ”, che è essenziale al<br />

fine di un superamento dell’ente come semplice presenza, e<br />

in vista di un approfondimento ontologico implicito<br />

nell’analitica esistenziale dell’esser-ci.<br />

Ma esistono molti altri segni che possono essere<br />

“facilmente formalizzati”a causa del loro carattere<br />

“relazionale-formale”.<br />

“Noi siamo oggi particolarmente inclini,” –spiega<br />

Heidegger – “sulla scorta dello schema della<br />

, a sottoporre ogni ente a<br />

un’, che è sempre <br />

perché, in realtà, vuota, come avviene anche per lo<br />

88<br />

schema abusato di forma e contenuto ”.<br />

87 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 105<br />

88 Ibidem<br />

94


Heidegger tiene a distinguere i segni che rinviano ad altro<br />

da sé, cioè i rimandi, dai segni d’indicazione, “la traccia,<br />

le vestigia, il monumento, il documento, la testimonianza,<br />

89<br />

il simbolo, l’espressione, l’apparizione, il significato ”, e<br />

dopo avere precisato che “il segno è sempre la cosa<br />

significata 90 ”, afferma “Il segno è un utilizzabile ontico<br />

che, in quanto è questo determinato mezzo, funge nel<br />

contempo da qualcosa che rende manifesta la struttura<br />

ontologica dell’utilizzabilità, della totalità dei rimandi e<br />

91<br />

della mondità ”.<br />

Da parte sua C. Esposito chiarisce che il rimando è “il<br />

fondamento ontologico del segno, ma non è un segno esso<br />

stesso 92 ”.<br />

Importante è che, secondo Heidegger, è ilSein del Da-sein,<br />

cioè l’essere dell’esserci, a dare un senso all’ente,<br />

89 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 105<br />

90 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 110<br />

91 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 111<br />

92 cfr. C. Esposito, L’analitica dell’esistenza, cit., p. 133 .<br />

95


facendone un utilizzabile, il “ciò-in-vista-di-cui” Worum(<br />

willen) si realizzano le possibilità insite nel progetto<br />

esistenziale dell’uomo.<br />

Il significato del rimando allora consiste in ciò: “che<br />

l’essere dell’utilizzabile abbia la struttura del rimando<br />

significa che esso ha in se stesso il carattere dell’essere-<br />

rimandato 93 ”. Quel che caratterizza l’essere<br />

dell’utilizzabile è la sua “appagatività” Bewandtnis). (<br />

Ma<br />

essa non può essere risolta in sé stessa, dal momento che in<br />

ultima istanza “sfocia” nell’orizzonte ontologico<br />

dell’esser-ci, che Heidegger definisce significativamente<br />

l’ Wozu) ( dell’utilità.<br />

93 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., pp. 112-13<br />

96


6 - Sein und Zeit <br />

e la prassi dell’interpretazione<br />

Attraverso le tematiche sopra delineate ecco che Heidegger<br />

avvia una rilettura in chiave ermeneutica dell’essere, che<br />

pone in primo piano l’esistenza, la temporalità e il<br />

linguaggio, superando la tradizionale riflessione metafisi<br />

sull’essere legata alla sostanza e alla semplice presenza.<br />

Per Heidegger ontico ed ontologico non rappresentano due<br />

momenti che si escludono a vicenda, quanto espressioni<br />

della complessità e della polisemia strutturale della realtà<br />

Quel che sta a cuore del filosofo diSein und Zeit è il senso<br />

della domanda sul “che cos’è dell’essere?”, la quale impone<br />

una risposta adeguata in vista del superamento di una<br />

tradizione pur gloriosa e certamente venerabile come quella<br />

metafisica, ma incapace di tematizzare adeguatamente il<br />

pensiero dell’essere.<br />

97


È chiaro però che Heidegger si muove in una direzione che<br />

può definirsi post-moderna, in quanto intende la propria<br />

riflessione solo come un avvio in un cammino che non può<br />

essere concluso con qualche definizione più o meno<br />

precisa.<br />

Andare oltre la metafisica dunque non significa<br />

semplicemente rimuoverla, ma attraverso il percorso<br />

originale dell’ analitica esistenziale dell’esser-ci, instaura<br />

una riflessione caratterizzata da un’attenzione non del tutto<br />

marginale per il linguaggio.<br />

Infatti la tematica linguistica è ampiamente e variamente<br />

presente anche nel primo Heidegger, tuttavia qui il<br />

linguaggio non era ancora il filo conduttore principale.<br />

Essere e tempo privilegiava la domanda sul primato<br />

ontologico dell’esistenza.<br />

Ma lo stesso linguaggio, se inteso come una delle possibili<br />

vie dischiuse nell’ambito dell’essere-nel-mondo, si mostra<br />

98


come indissolubilmente correlato alla dimensione<br />

ermeneutica, che fonde motivi di ordine linguistico ed<br />

esistenziale.<br />

Heidegger non ritrattò maiEssere e tempo, valorizzandone<br />

soprattutto il significato di un tentativo di meditare sul<br />

senso (Sinn) dell’essere in rapporto all’esistenza<br />

dell’uomo.<br />

E tuttavia, per ammissione del suo stesso autore, l’opera<br />

presenta indubbiamente un grave “difetto” teoretico,<br />

derivante dal fatto di non aver approfondito il problema del<br />

linguaggio in relazione all’essere, e quindi di aver<br />

concepito il linguaggio senza coglierne fino in fondo<br />

l’essenziale significato ontologico riconosciuto in seguito<br />

da Heidegger.<br />

In Essere e tempo la prospettiva linguistica emerge quindi<br />

in chiave ermeneutica, come a proposito dei rapporti tra<br />

99


segno e rimando, o nella circolarità di “comprensione” e<br />

“pre-comprensione”, mediante il quale inavvertitamente<br />

l’ente “ci raggiunge”.<br />

La pre-comprensione rappresenta in effetti il presupposto<br />

ontologico della “significatività” dell’ente intramondano<br />

“grazie al fatto che l’esserci stesso esiste come il<br />

94<br />

”.<br />

Anche se in Essere e tempo gli spunti esistenziali dominano<br />

su quelli linguistico-dialettici, il linguaggio è comunque<br />

un’importante fonte d’ispirazione, dettando in qualche<br />

modo sin d’ora molte delle linee-guida che Heidegger<br />

svilupperà nel corso del suo percorso di pensiero.<br />

Affrontare la problematica relativa al senso dell’essere<br />

implica il rivolgersi alla connessione tra l’esser-ci (Da-<br />

sein) o l’essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein) e alcuni<br />

esistenziali che rinviano direttamente alla prassi<br />

94 cfr. C. Esposito, L’analitica dell’esistenza, in Aa. Vv., Guida a Heidegger, a c. di F. Volpi, Laterza,<br />

Roma-Bari II edizione 2002, op. cit., p. 133.<br />

100


dell’interpretazione, come la chiacchiera, il discorso, la<br />

comprensione.<br />

Tali esistenziali di carattere ermeneutico specificano<br />

sempre le vie in cui si muove l’esser-ci relazionandosi con<br />

gli altri esser-ci e gli utilizzabili dei quali fa esperienza<br />

nell’ottica del prendersi-cura.<br />

Anche la stessa analisi degli esistenziali coinvolti nel Si<br />

impersonale, come la curiosità e l’opinione pubblica, rivela<br />

un sorprendente indirizzo ermeneutico che dev’essere preso<br />

in seria considerazione, dal momento che prepara da vicino<br />

il complesso itinerario della Kehre (“la svolta”) o<br />

addirittura ne fa già parte, se non ufficialmente almeno sul<br />

piano dello sviluppo delle idee, in vista di quel cammino<br />

verso il linguaggio che prende avvio già Essere in e tempo .<br />

L’analisi del linguaggio prende le mosse dalla riflessione<br />

sulla chiacchiera, modalità linguistica propria del dominio<br />

della quotidianità, che in quanto tale caratterizza il<br />

101


discorso ermeneutico diEssere e tempo, alla luce di una<br />

trattazione rigorosa e niente affatto banale o scontata.<br />

Per Heidegger, la chiacchiera “non ha alcun significato<br />

. Il termine si limita a indicare “un<br />

fenomeno positivo che costituisce il modo di essere della<br />

comprensione e dell’interpretazione dell’Esserci<br />

quotidiano 96 ”.<br />

L’importanza della chiacchiera in prospettiva ermeneutica<br />

risiede nel rapporto privilegiato con il linguaggio e con il<br />

discorso, uno degli esistenziali più complessi, e a cui<br />

Heidegger assegna la funzione concomitante del<br />

comprendere Verstehen) (<br />

e dell’interpretare (Auslegen).<br />

“Per lo più il discorso si esprime, e si è già<br />

sempre espresso, in parole. È linguaggio. Ciò che è<br />

95 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 211.<br />

102


espresso presuppone sempre la comprensione e<br />

l’interpretazione 97 ”.<br />

La dimensione linguistica, connessa alle facoltà espressive<br />

dell’uomo ma anche al suo essere-nel-mondo, è essa stessa<br />

portatrice di un codice ermeneutico di cui pure è oggetto.<br />

Il discorso quotidiano contiene in sé non solo i presupposti<br />

della sua interpretazione, ma di ogni interpretazione in<br />

generale, la quale in primo luogo ha a che fare con l’esser-<br />

ci e il prendersi-cura Besorgen). (<br />

Il discorso presenta una familiarità con gli utilizzabili di<br />

cui l’esser-ci fa uso. Per Heidegger il discorso quotidiano è<br />

l’elemento cardine di una dimensione dialettica che si pone<br />

sia dentro sia fuori dal linguaggio, verso quella<br />

comprensione autointerrogante dell’esser-ci al quale il<br />

fenomeno linguistico si lega a doppia mandata.<br />

97 cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 211-212.<br />

103


Il discorso è linguaggio vivo, articolato e “manifesto”; in<br />

esso emergono degli aspetti utili alla comprensione<br />

dell’esser-ci:<br />

“Il linguaggio, in quanto espressione, porta con sé<br />

un’interpretazione stabilita della comprensione<br />

dell’Esserci. Questa situazione interpretativa non è<br />

semplicemente-presente, come non lo è il linguaggio; il<br />

suo essere è conforme all’Esserci. L’Esserci, innanzi<br />

tutto ed entro certi limiti, è completamente rimesso a<br />

questa interpretazione stabilita, che regola e ripartisc<br />

le possibilità della comprensione media e della relatva<br />

98<br />

situazione emotiva ”.<br />

Heidegger considera quindi il linguaggio come chiave di<br />

lettura per l’interpretazione dell’esistenza dell’uomo, non<br />

come semplice strumento di conversazione.<br />

98 cfr. Martin Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano, 1970, op. cit., p. 212.<br />

104


Per Heidegger l’essere del linguaggio, oltre a contemplare<br />

una certa prassi dell’interpretazione e della comprensione,<br />

presenta una conformità di fondo con l’Esser-ci, di cui<br />

costituisce l’interessata e partecipe manifestazione.<br />

105


III. <strong>ESSERE</strong> E <strong>L<strong>IN</strong>GUAGGIO</strong><br />

NEL “SECONDO” <strong>HEIDEGGER</strong><br />

1 - I presupposti della “Svolta”<br />

Nell’analisi del problema del linguaggio Heidegger rinvia<br />

ad una sostanziale revisione del tradizionale modello di<br />

conoscenza. Come osserva giustamente Vattimo, per il<br />

filosofo di Messkirch “la conoscenza non è il rapporto di<br />

un soggetto con un oggetto esterno a lui, ma invece<br />

l’articolazione di cui l’esserci dispone già sempre, e nella<br />

99<br />

quale è già sempre in rapporto col mondo ”.<br />

Per questa via, oltre ad abbattere il confine tra soggetto ed<br />

oggetto, la particolare ermeneutica heideggeriana non<br />

separa artificiosamente un tipo di sapere presunto vero da<br />

uno falso, né considera una modalità linguistica come il<br />

discorso capace di arrivare alle cose superiore alla<br />

chiacchiera quotidiana, uno dei principali esempi di<br />

99 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 40.<br />

106


fenomeno deiettivo tipico dell’esistenza (Dasein)<br />

inautentica.<br />

Discorso e chiacchiera sono coinvolti allo stesso modo<br />

nelle dinamiche della comprensione: anche la sfera della<br />

deiezione si costituisce su precise basi ermeneutiche,<br />

rientra in un progetto onnicomprensivo che ingloba<br />

l’essere-nel-mondo e l’esser-ci.<br />

A proposito del circolo ermeneutico tra precomprensione,<br />

comprensione e interpretazione, per Heidegger, in esso “ si<br />

nasconde una possibilità positiva del conoscere più<br />

originario, possibilità che è afferrata in modo genuino solo<br />

se l’interpretazione ha compreso che il suo compito primo,<br />

durevole ed ultimo è quello di non lasciarsi mai imporre<br />

pre-disponibilità, pre-veggenza e precognizione [sono i<br />

termini costitutivi della precomprensione] dal caso o dalle<br />

107


opinioni comuni, ma di farle emergere dalle cose stesse,<br />

100<br />

garantendosi così la scientificità del proprio ”. tema<br />

Per Heideggerpensiero dell’essere e pensiero linguistico<br />

coincidono soprattutto sul piano dell’ermeneutica, che<br />

rappresenta senz’altro “una delle parole-guida di tutto il<br />

suo pensiero 101 ”. L’interesse per la prassi<br />

dell’interpretazione risale a ben prima della Svolta, e “si<br />

ricollega all’origine teologica della speculazione<br />

heideggeriana 102 ”.<br />

Diversamente da come comunemente si ritiene, l’idea di<br />

una ermeneutica come illuminazione Lichtung), ( del valore<br />

linguistico dell’essere del valore ontologico del<br />

linguaggio, è in qualche maniera già presente in Essere e<br />

tempo, in una prospettiva che anticipa Svolta. la<br />

100 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari 2002, op. cit., p. 41.<br />

101 cfr. G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, op. cit., p. 126.<br />

102 Ibidem<br />

108


Basti pensare alla tematica dell’essere-nel-mondo, alla<br />

funzione del linguaggio non come strumento di espressione<br />

o d’informazione, immediatamente riferibile ad una realtà<br />

oggettiva esterna all’esser-ci, linguaggio che per<br />

Heidegger non si limita a nominare le cose ma che<br />

addirittura assegna loro la propria significatività.<br />

Lo stesso Heidegger è consapevole della rilevanza che la<br />

tematica linguistica assume nella sua opera del 1927, come<br />

testimonia questo passo: “[…]Sein und Zeit (§ 34) contiene<br />

un rinvio alla dimensione essenziale del linguaggio,<br />

toccando questa semplice domanda: in quale modo<br />

dell’essere il linguaggio è di volta in volta in quanto<br />

linguaggio? 103 ”<br />

In altre parole, Heidegger perviene sin da subito ad<br />

individuare alcuni temi di carattere ermeneutico che<br />

saranno poi sviluppati all’epoca della Svolta, e che<br />

103 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’ [1947], in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, p. 272.<br />

109


verteranno sempre più sul linguaggio come modalità di un<br />

incontro immediato e trasparente con la verità.<br />

2 - Arte come verità<br />

Com’è noto, alla fine degli anni Quaranta, Heidegger<br />

modificò l’impostazione generale del suo pensiero, sia<br />

attraverso la ripresa di temi già affrontati nelle opere<br />

precedenti, specialmente Essere in e tempo, che soprattutto<br />

introducendo nuovi argomenti, collegati al linguaggio e a<br />

quel complesso fenomeno linguistico –ma anche<br />

ontologico– che è l’arte.<br />

104<br />

In “Sentieri interrotti ” (1950) Heidegger elabora una sua<br />

estetica che comunque presenta chiare attinenze con<br />

l’ermeneutica dell’essere, espressione utilizzabile come<br />

sigla complessiva del percorso delineato nella Kehre, con<br />

opere che hanno segnato e trasformato il paesaggio<br />

filosofico della Contemporaneità.<br />

104 cfr. Martin Heidegger, Sentieri interrotti, trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1998.<br />

110


Nell’essenziale scritto pubblicato nel 1950 il fenomeno<br />

artistico viene riscoperto come via d’accesso alla verità<br />

dell’essere e come chiave di volta in vista<br />

dell’interrogazione del suo misterioso significato.<br />

La riflessione estetica heideggeriana, ispirata ai temi<br />

dell’essere e del linguaggio, si potrebbe sintetizzare nella<br />

formula tutt’altro che banale arte come verità .<br />

Come scrive Leonardo Amoroso, “la verità come<br />

disvelamento non , a differenza della verità<br />

metafisicamente intesa, ma accade. Uno dei modi<br />

fondamentali in cui la verità come disvelamento accade<br />

105<br />

(geschieht) storicamente (geschtlich) è ”. l’arte<br />

La messa in opera della verità, che l’opera d’arte manifesta<br />

in maniera essenziale e costitutiva, realizza a sua volta<br />

l’apertura all’evento dell’essere.<br />

105 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino 1993, op. cit., p. 30<br />

111


“[…]l’arte - spiega Amoroso - è per Heidegger<br />

quell’evento col quale la verità viene ”.<br />

In questo senso, Heidegger afferma la connessione tra<br />

l’opera d’arte e la verità – che è poi la verità dell’essere –<br />

nei termini di un rapporto di continuità.<br />

L’opera d’arte apre, a suo modo, l’essere dell’ente.<br />

Nell’opera ha luogo questa apertura, cioè lo<br />

svelamento, cioè la verità dell’ente. Nell’opera<br />

d’arte è posta in opera la verità dell’ente. L’arte è il<br />

107<br />

porsi in opera della verità .<br />

L’esperienza estetica è rivalutata in quanto veicolo della<br />

verità ontologica, la quale si dispiega diventando “evento”<br />

e quindi anche prendendo forma di opera d’arte.<br />

106 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 30.<br />

107 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1998, op. cit., p.25<br />

112


La connessione arte-verità è molto importante per chiarire<br />

in che cosa consiste esattamente l’essenza dell’opera<br />

d’arte, e il suo determinante impatto col pensiero<br />

ontologico, quel pensiero che pensa l’essere come verità e<br />

la verità come essere. E l’opera d’arte si apre proprio a<br />

entrambi, sia all’essere che alla verità. Per Heidegger<br />

“l’opera d’arte “istituisce” , un collocandolo al<br />

contempo sulla ”.<br />

Heidegger individua una duplicità dell’opera d’arte, dovuta<br />

al suo carattere di esposizione e pro-duzione (Her-stellung;<br />

cfr. ancheherstellen, “porre-qui):<br />

“[…] l’opera, allo stesso modo che richiede una<br />

esposizione nel senso dell’erezione votante-<br />

celebrante (poiché l’esser opera dell’opera consiste<br />

nella esposizione di un mondo), implica anche<br />

necessariamente un porre-qui (herstellen), poiché<br />

108 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 30.<br />

113


l’esser-opera dell’opera ha nel contempo il carattere<br />

109<br />

del porre-qui .”<br />

L’opera d’arte, aprendo un mondo, ne autorizza il suo<br />

particolare manifestarsi, come evento di verità che si<br />

collega all’essere:<br />

“L’opera, in quanto opera, espone un Mondo.<br />

110<br />

L’opera mantiene aperta l’apertura del ”. Mondo<br />

Heidegger rifiuta l’identificazione tra arte ed evasione; per<br />

il filosofo tedesco l’arte non è fine a sé stessa, ma<br />

rappresenta una via privilegiata per raggiungere la verità.<br />

Il bello artistico, in quanto portatore di una forte istanza<br />

veritativa, non è affatto fonte di disimpegno, anzi, la sua<br />

funzione di “sorpresa” o “straniamento” (Befremdung)<br />

risulta estremamente rivelativa del mistero dell’essere e de<br />

motivi importantissimi che ad esso si accompagnano.<br />

109 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, op. cit., p. 31.<br />

110 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, op. cit., p. 30.<br />

114


Questa intuizione, che coglie un valore altissimo<br />

nell’esperienza estetica come modalità di accesso ad una<br />

verità di carattere ontologico, rappresenta uno degli aspetti<br />

più rilevanti della prospettiva heideggeriana.<br />

Le riflessioni ermeneutiche di Heidegger sul problema<br />

dell’arte si segnalano anche per un certo rigore scientifico<br />

nel momento in cui scorgono in qualsiasi opera d’arte, non<br />

solo poetica o letteraria, una struttura testuale che può<br />

essere interpretata nelle sue molteplici espressioni ed<br />

articolazioni.<br />

Un’altra caratteristica essenziale dell’opera d’arte è la sua<br />

segnicità, cioè il fatto di costituirsi come segno o realtà<br />

allegorico-simbolica capace di rinviare a qualcos’altro. Ciò<br />

pone in qualche maniera l’opera oltre sé stessa, in una<br />

dimensione comprendente la quale schiude una pluralità di<br />

sensi e significati. Un elemento, questo, che denota la<br />

ricchezza inesauribile di ogni opera d’arte.<br />

115


3 - L’essenza dell’opera d’arte<br />

Nella raccolta Sentieri interrotti , Heidegger approfondisce<br />

in senso ermeneutico la questione dell’essenza dell’opera<br />

d’arte, individuando le diverse dimensioni di senso<br />

attribuibili ad ogni produzione estetica.<br />

Infatti, in quanto tale, l’opera d’arte assume una duplicità<br />

di significati che in qualche modo dialettizzano tra di loro,<br />

e che vengono indicati da Heidegger mediante le eloquenti<br />

metafore della Terra e del Mondo.<br />

All’interno dell’opera d’arte viene riconosciuta una sorta<br />

lotta o conflitto tra una dimensione di senso verticale,<br />

sotterranea e profonda, ed una di superficie.<br />

La caratteristica saliente dell’opera è d’arte di essere “una<br />

Auf-stellung, una di un mondo storico e<br />

111<br />

una Her-stellung, una pro-duzione della ”. terra<br />

111 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 30.<br />

116


L’opera è definibile come esposizione di un mondo e come<br />

produzione della “terra” , termine simbolico che indica la<br />

dimensione profonda dell’opera d’arte, la quale custodisce<br />

nel sottosuolo quei tesori nascosti che sono l’oro, le gemme<br />

e le altre pietre preziose, e i metalli, e nello stesso tempo è<br />

il substrato su cui anche poggiano e vivono le varie specie.<br />

Per Heidegger la Terra è “ciò in cui l’opera si ritira e ciò<br />

che, in questo ritirarsi, essa lascia emergere […]”. “Essa è<br />

la emergente-custodente. La Terra è l’assidua-infaticabi<br />

non-costretta. Su di essa ed in essa l’uomo storico fonda il<br />

112<br />

suo abitare nel mondo.”<br />

L’opera d’arte è come la Terra, in quanto ricca di<br />

significati occulti che occorre attingere per cogliere il<br />

valore di veicolo di verità che essa avanza come suo tratto<br />

specifico.<br />

112 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, op. cit., p. 31.<br />

117


Il modo inautentico e fuorviante di interpretare l’opera<br />

d’arte è simboleggiato invece dalla metafora del Mondo,<br />

cioè il mondo dell’uomo ormai incapace di vedere al di là<br />

della superficie e che non riesce ad andare oltre gli aspetti<br />

visibili e subito accessibili dell’esperienza estetica,<br />

deprivandone la ricchezza e la fecondità di significati<br />

pressoché infiniti ed indisgiungibili da essa.<br />

Heidegger scorge nel Mondo “l’autoaprentesi apertura<br />

delle ampie vie delle opzioni semplici e decisive nel destin<br />

di un popolo storico 113 ”. Questo va inteso sempre in<br />

relazione all’opera d’arte, e allo stesso “storicizzarsi<br />

114<br />

dell’esser opera”.<br />

Ma la Terra, sfuggendo agli aspetti<br />

umani propri del Mondo, può essere definita al di fuori del<br />

contesto storico in cui si situa l’opera, come “la non<br />

113 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, op. cit., p. 33.<br />

114 Ibidem<br />

118


costretta apparizione del costantemente autochiudentesi,<br />

115<br />

cioè del coprente-custodente ”.<br />

Il contrapporsi di Terra e Mondo viene presentato da<br />

Heidegger nei termini di una lotta aperta, non “come<br />

contesa e rissa 116 ”, ma nel senso di una sorta di necessità<br />

reciproca.<br />

È, in sostanza, una lotta autenticamente connotata, in cui<br />

Mondo e Terra, lottando contro, giungono ad elevarsi in<br />

vista di un’autoaffermazione della loro peculiare essenza.<br />

L’opera d’arte è l’attizzatrice di questa lotta di Terra e<br />

Mondo, la quale, riguarda anche l’ente che volta in volta è<br />

messo in luce e l’essere di cui noi stessi siamo parte.<br />

“Nella misura in cui l’opera è l’esposizione di un<br />

mondo e il porre-qui la Terra essa […] è [...]<br />

117<br />

l’attizzatrice di questa .” lotta<br />

115 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, op. cit., p. 33.<br />

116 cfr. M. Heidegger, Sentieri interrotti, op. cit., p. 34.<br />

117 Ibidem<br />

119


La Luce e l’Oscurità proprie del disvelamento originario<br />

dell’essere sono poste in rapporto ai due concetti di Terra e<br />

Mondo, strettamente correlati alla duplice natura, verticale<br />

ed orizzontale, dell’opera d’arte.<br />

Sarebbe limitativo e fuorviante considerare la ricerca di<br />

Heidegger sull’essenza dell’opera d’arte, e della<br />

produzione artistica intesa come espressione di carattere<br />

ontologico-linguistico, solo in riferimento all’estetica<br />

In effetti, pur avendo indubbiamente offerto un contributo<br />

notevole in questo senso, Heidegger si è spinto ben oltre<br />

l’estetica, coinvolgendo diversi ambiti del sapere e<br />

segnalando di un comune, originalissimo, indirizzo di<br />

pensiero, diretto al superamento della metafisica e della<br />

filosofia classicamente intesa.<br />

120


4 - “Nichtung” e “Lichtung”:<br />

in cammino oltre la metafisica<br />

Nella “Lettera sull’umanismo” , pubblicata nel 1947 ed<br />

indirizzata al filosofo francese Jean Beaufret, Heidegger<br />

rifiuta di essere accostato all’umanismo, inteso come una<br />

forma di esistenzialismo antropocentrico. Tale rifiuto<br />

heideggeriano della prospettiva umanista si basa in parte su<br />

un’accentuazione dell’interesse per l’essere.<br />

Con il termine Svolta (Kehre) Heidegger indica non già un<br />

nuovo percorso di idee, ma il suo svolgersi in tutt’altra<br />

direzione.<br />

La differenza tra l’approccio Sein di und Zeite<br />

quello della<br />

Kehre è legato ad una nuova visione del problema della<br />

verità: “[…] se nei limiti dell’analitica esistenziale la<br />

nozione primaria di era indicata nell’apertura<br />

dell’esserci, adesso quest’apertura viene ricondotta,<br />

insieme alla manifestazione dell’ente, alla dimensione di<br />

121


un nel quale soltanto l’una e l’altra possono<br />

aver luogo<br />

118 […]”.<br />

Questa dimensione di apertura è la Lichtung, la quale viene<br />

riletta approfondendone comunque i risvolti ermeneutici.<br />

Heidegger riflette sul fatto che la stessa verità<br />

gnoseologica – cioè la verità della proposizione – ammette<br />

la verità comeLichtung, come apertura-dischiudente e come<br />

manifestazione illuminante: “se dev’essere possibile<br />

un’asserzione su qualcosa, occorre infatti che prima lo si<br />

, se ne faccia un’esperienza, e dunque che quel<br />

119<br />

qualcosa si manifesti per quello che .” è<br />

Ma il concetto di Lichtung non è legato soltanto alla<br />

Svolta: affonda le radici già in Sein und Zeit, in quel tema<br />

speculativo tipicamente heideggeriano che è l’essere-per-<br />

118 cfr. Leonardo Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino 1993, op. cit., p.26<br />

119 Ibidem<br />

122


la-morte, in un certo senso “punto d’arrivo 120 ”<br />

dell’analitica esistenziale, che continuerà ad essere un<br />

fenomeno centrale anche dopo la Svolta, nella forma di un<br />

rapporto dinamico tra l’essere e il nulla.<br />

La Lichtung, la radura luminosa in cui la verità si<br />

manifesta a macchia di leopardo, è possibile a partire<br />

dall’idea dellapeculiare rivelatività del nulla, in quanto<br />

, .<br />

Il niente, inteso etimologicamente come non-ente, e quindi<br />

negazione dell’essere come semplice-presenza, è<br />

accessibile all’esser-ci tramite l’angoscia Sorge), ( la quale<br />

diversamente dalla paura non si applica a qualcosa di<br />

determinato, ma alla stessa esistenza (Dasein) e al<br />

fenomeno esistenziale del prendersi-cura Besorgen). (<br />

120 cfr. Leonardo Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 22.<br />

121 Ibidem<br />

123


È l’angoscia che schiude la possibilità radicale del niente<br />

all’esser-ci, e“ , in quanto ci lascia<br />

sospesi [lä t uns schweben] >> e, così, ” […].<br />

Lo spaesamento causato dall’angoscia originaria connessa<br />

all’essere, diventa per converso una sorta di<br />

manifestazione 123 .<br />

Per Heidegger il niente dell’angoscia(Nichtung)è<br />

l’humus<br />

che alimenta l’originaria apertura-illuminante Lichtung) (<br />

capace di gettare una luce crepuscolare di verità sull’ente,<br />

che naturalmente non ha niente a che fare con l’accecante<br />

bagliore della metafisica della luce, ma che risulta<br />

maggiormente determinante ai fini di una definizione della<br />

verità dell’essere, al di fuori dei tradizionali schemi<br />

metafisici correlati semplice alla presenza .<br />

122 cfr. Leonardo Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 23.<br />

123 Ibidem<br />

124


Esiste una certa contiguità tra la Nichtung, cioè la<br />

nientificazione intesa significativamente come essenza del<br />

niente, e la Lichtung, l’illuminazione lampeggiante da essa<br />

determinata.<br />

Occorre tuttavia specificare il ruolo svolto dalla<br />

nientificazione originaria che Heidegger denomina<br />

Nichtung, e che in quanto tale non si identifica affatto con<br />

dei concetti apparentemente affini, come l’“annientamento<br />

(Vernichtung) e la “negazione”<br />

125<br />

(Verneinung).<br />

La Nichtung rimanda direttamente alla Lichtung, nei suoi<br />

aspetti di apertura e diradamento che individuano il vero<br />

volto dell’ente – cioè l’essere – non più oggetto o cosa<br />

semplicemente-presente sottomano Vorhanden). (<br />

“Se il pensiero dimentica la Nichtung e la<br />

Lichtung,” – spiega Amoroso – “gli enti vengono<br />

necessariamente irrigiditi in oggetti […]. Solo


attraverso la Nichtung e la Lichtung viene aperto,<br />

124<br />

invece, un accesso all’essere […]”.<br />

L’interrogazione del senso dell’essere è resa possibile solo<br />

pensando fino in fondo la Nichtung e la Lichtung come<br />

modi diversi – e contrapposti – di una stessa apertura<br />

all’essere.<br />

La questione del senso dell’essere si collega<br />

all’individuazione dei limiti della metafisica, riassumibili<br />

nella mancata elaborazione della diversità tra i piani<br />

ontologico ed ontico:<br />

“[…] la metafisica rappresenta l’ente nel suo essere,<br />

e pensa così anche l’essere dell’ente. Ma essa non<br />

pensa l’essere come tale, non pensa la differenza tra<br />

125<br />

l’essere e l’ente”.<br />

124 cfr. Leonardo Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 23.<br />

125 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’, in Segnavia, Adelphi Milano 1987, op. cit., p. 276.<br />

126


Da questo passo merge un dato interessante che smentisce<br />

la prospettiva di Sein und Zeit, in cui nell’esserci (Dasein)<br />

era ritenuto risiedere l’essenza dell’uomo, adesso concepit<br />

in relazione all’essere ma da esso distinta:<br />

“La metafisica non si interroga sulla verità<br />

dell’essere. Perciò, essa non si chiede neppure mai<br />

in che modo l’essenza dell’uomo appartenga alla<br />

126<br />

verità dell’essere ”.<br />

Andare oltre l’umanismo implica un analogo superamento<br />

della metafisica, considerate obsolete e del tutto inadegu<br />

alla ricerca del vero significato dell’essere:<br />

“L’essere attende ancora di divenire esso stesso<br />

127<br />

degno per l’uomo di essere pensato ”.<br />

126 cfr. Martin Heidegger, Lettera sull’, op. cit., p. 276.<br />

127 Ibidem<br />

127


Il carattere dell’essere si lega ora al diradante splendore<br />

della Lichtung da cui la dimensione ontologica emerge e<br />

prende forma .<br />

Il concetto dell’essere come impensato, che si collega alla<br />

Frage (domanda o interrogazione) sul senso dell’essere<br />

presupposta nell’analitica esistenziale e considerata<br />

praticamente inesauribile, è un problema essenziale per il<br />

“secondo” Heidegger, perché determina una certa idea di<br />

essere che non va disgiunta dal tema del linguaggio…<br />

5 - “Verso” il linguaggio<br />

L’ermeneutica del “secondo” Heidegger si sviluppa a<br />

partire dalla formula“il linguaggio è la casa dell’essere”,<br />

che costituisce lasumma e nello stesso tempo il manifesto<br />

programmatico della Kehre:<br />

“Il pensiero porta a compimento il riferimento<br />

(Bezug) dell’essere all’essenza dell’uomo. Non che<br />

128


esso produca o provochi questo riferimento. Il<br />

pensiero lo offre all’essere soltanto come ciò che gli è<br />

stato consegnato dall’essere. Questa offerta consiste<br />

nel fatto che nel pensiero l’essere viene al linguaggio.<br />

Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora<br />

128<br />

abita l’uomo[…]”.<br />

Definendo il linguaggio “casa dell’essere” Heidegger non<br />

vuole ricadere in un anacronistico schema metafisico, nel<br />

quale l’uomo non abbia possibilità di agire sul fenomeno<br />

linguistico: “invece, il linguaggio come casa dell’essere è<br />

129<br />

al contempo la in cui ”.<br />

La strutturazione linguistica dell’esistenza, ammessa in<br />

qualche modo già nelle pagine di “Sein und Zeit”, è ora<br />

sviluppata individuando nel linguaggio un elemento<br />

128 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’, op. cit., p. 267.<br />

129 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 153.<br />

129


decisivo, in quanto privilegiata espressione della verità<br />

dell’essere.<br />

Ma l’attenzione rivolta da Heidegger al linguaggio come<br />

dimora dell’essere e quindi dell’uomo non deriva neanche<br />

da un atteggiamento umanistico, che Heidegger considera<br />

proprio della concezione metafisica, come affermato<br />

chiaramente nella Lettera “<br />

sull’umanismo ”.<br />

A partire da quest’opera, la dimensione linguistica viene<br />

fatta coincidere con la struttura della realtà, una realtà<br />

sottratta alle definizioni della dialettica e della metafisica<br />

ed interpretata in prospettiva ermeneutica.<br />

Alla luce della “Kehre”, l’esperienza linguistica va intesa<br />

in maniera molto diversa rispetto alla situazione Essere di e<br />

tempo. La stessa considerazione di un fenomeno<br />

esistenziale, ad esempio, come la nozione di dimensione<br />

pubblica, che corrisponde in qualche modo al concetto di Si<br />

impersonale dell’analitica, è adesso interpretata in linea<br />

130


con una nuova prospettiva di carattere ermeneutico e<br />

linguistico.<br />

Heidegger sottolinea come la dimensione pubblica abbia<br />

130<br />

ormai invaso del tutto gli spazi dell’esistenza privata .<br />

Questa tipologia di esistenza testimonia di un crescente<br />

asservimento alla dimensione pubblica, che si pone nel<br />

131<br />

segno di una “incondizionata oggettivazione di tutto”,<br />

che non risparmia neanche il linguaggio:<br />

[…] il linguaggio cade al servizio della funzione<br />

mediatrice delle vie di comunicazione per le quali<br />

l’oggettivazione, come uniforme accessibilità di tu<br />

a tutti, si estende in spregio a ogni limite. Così il<br />

linguaggio cade sotto la dittatura della dimensione<br />

pubblica 132 .”<br />

130 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’, op. cit., p. 271<br />

131 Ibidem<br />

132 Ibidem<br />

131


La nozione di dimensione pubblica presuppone l’analisi del<br />

Si impersonale svolta in Essere e tempo, le quali, per<br />

ammissione dello stesso Heidegger, non rappresentavano u<br />

“occasionale contributo alla sociologia 133 ”, ma<br />

contenevano in realtà un implicito “rinvio all’iniziale<br />

134<br />

appartenenza della parola all’essere ”.<br />

Ma la connessione tra parola ed essere, sia pure<br />

individuata, non costituiva ancora il fondamento della<br />

riflessione heideggeriana. Giustamente il filosofo di “Sein<br />

und Zeit” parla di un “rinvio all’iniziale appartenenza<br />

all’essere 135 ”, che potrebbe essere interpretato, in fondo,<br />

come l’annuncio di un pensiero diverso e di una diversa<br />

prospettiva ermeneutica. In questo senso, il ruolo di dimora<br />

dell’essere assegnato al linguaggio non è più legato<br />

133 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’, op. cit., p. 272.<br />

134 Ibidem<br />

135 Ibidem<br />

132


soltanto alle modalità dell’esistenza, ma assume una<br />

dimensione ben più ampia, universale.<br />

Il “secondo” Heidegger considera il linguaggio una realtà<br />

enigmatica, ineffabile, che nel suo gioco di ombre e luci fa<br />

intravedere l’apertura-illuminante Lichtung, della cioè la<br />

sfuggente verità dell’essere.<br />

Tuttavia sarebbe ingenuo scorgere in questa concezione del<br />

linguaggio come mistero una qualche concessione alla<br />

metafisica tradizionale o alla prospettiva idealistico-<br />

romantica. Per Heidegger, infatti, il linguaggio non rinvia<br />

all’Assoluto, ma è mistero in virtù della sua enigmatica<br />

profondità.<br />

Il linguaggio non “è”, ma, in linea con la nozione di evento<br />

(Ereignis), “accade”, nel mondo e intorno a noi.<br />

133


Il linguaggio è quindi un mistero vivo, concreto, che<br />

incontriamo giorno per giorno, e di cui ci serviamo nella<br />

nostra esperienza:<br />

“Secondo una tradizione antica, noi, proprio noi,<br />

siamo gli esseri che sono in grado di parlare e che<br />

perciò già possiedono il linguaggio. Né la facoltà di<br />

parlare è nell’uomo solo una capacità che si ponga<br />

accanto alle altre, sullo stesso piano delle altre. È la<br />

facoltà di parlare che fa l’uomo uomo. Questo tratto<br />

136<br />

è il profilo stesso del suo essere”.<br />

E, sottolinea Heidegger:<br />

“Si dice che l’uomo è per natura parlante, e vale per<br />

acquisito che l’uomo, a differenza della pianta e<br />

dell’animale, è l’essere vivente capace di parola.<br />

Dicendo questo, non s’intende affermare soltanto ch<br />

l’uomo possiede, accanto alle altre capacità, anche<br />

quella del parlare. S’intende dire che proprio il<br />

136 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, trad. it. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti,<br />

Mursia, Milano 1973, op. cit, p. 189<br />

134


linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli<br />

è in quanto uomo. L’uomo è uomo in quanto<br />

parla 137 ”.<br />

Il linguaggio è generalmente considerato uno strumento di<br />

espressione, e la sua importanza è quindi da collegare alla<br />

138<br />

scontata affermazione: l’uomo parla.<br />

Ma, in realtà, per Heidegger non è l’uomo a fare uso del<br />

linguaggio, ma è piuttosto il linguaggio usare ad l’uomo:<br />

“Il linguaggio non è qualcosa di posseduto<br />

dall’uomo,” – afferma P. Chiodi – “poiché, al<br />

contrario, è l’essere – come parola – che pretende e<br />

possiede l’uomo: il linguaggio è linguaggio<br />

dell’essere 139 ”.<br />

La dimensione linguistica è irriducibile alle consuete<br />

categorie della logica o della grammatica, come a qualsiasi<br />

137 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, op. cit., p. 27.<br />

138 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, op. cit., p. 189<br />

139 cfr. P. Chiodi, “Presentazione”, in M. Heidegger, Sentieri interrotti, op cit., p. 5<br />

135


definizione volta a suggerire “un’idea di ciò che è il<br />

140<br />

linguaggio in universale ”.<br />

Heidegger insiste sulla necessità di superare il punto di<br />

vista della Filosofia del Linguaggio, perché non consider<br />

idonea ad effettuare l’interrogazione originaria dell’e<br />

del fenomeno linguistico in rapporto all’Essere:<br />

“Quando […] la verità dell’essere è divenuta per il<br />

pensiero degna di essere pensata, anche la<br />

meditazione sull’essenza del linguaggio deve<br />

raggiungere un altro livello. Non può più essere<br />

141<br />

mera filosofia del linguaggio .”<br />

Per Heidegger occorre rispettare l’aspetto di ineffabilità<br />

della prospettiva linguistica, concetto irriducibile<br />

all’indefinibilità. Infatti il linguaggio è ineffabile, nel<br />

140 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, op. cit, p. 27<br />

141 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’, op. cit., p. 272.<br />

136


senso che presenta un certo alone di mistero, ma non è<br />

indefinibile.<br />

Del linguaggio si può fornire una definizione, se per<br />

definizione intendiamo l’interrogazione di un termine al<br />

fine di appropriarci del suo significato. Però tale<br />

definizione del linguaggio è, in qualche modo, una<br />

impossibile possibilità , su cui comunque è indispensabile<br />

scommettere a tutti i costi, se si vuole comprendere fino in<br />

fondo l’essere e la sua verità.<br />

Heidegger determina il significato del linguaggio<br />

ricorrendo ad unastridente tautologia, ma che, adottando il<br />

suo peculiare punto di vista, cessa di essere tale,<br />

diventando più eloquente di qualsiasi altra definizione:<br />

“Il linguaggio è il linguaggio. Il linguaggio<br />

parla. Se ci lasciamo cadere nell’abisso evocato da<br />

questa affermazione, non precipitiamo nel vuoto.<br />

Cadiamo in un’altezza, la cui altitudine apre una<br />

137


profondità. L’una e l’altra costituiscono lo spazio e la<br />

sostanza di un luogo nel quale vorremmo farci di casa<br />

142<br />

per trovare una dimora per l’essenza dell’uomo ”.<br />

Del linguaggio possiamo dire soltanto che è linguaggio:<br />

questa tautologia , “che sarebbe immediatamente rifiutata<br />

dalla logica metafisica abituata a definire le cose mediante<br />

il rinvio alle loro cause vuole significare che non si può<br />

rifare ad altro per definire il linguaggio, perché ogni<br />

catena causale, ogni rinvio alle origini è possibile solo<br />

entro un ambito linguistico, usando un linguaggio piuttosto<br />

che un altro, per cui il linguaggio è il luogo (Ort) che<br />

ospita ogni possibile discorso, ogni indagine causale o<br />

no 143 ”.<br />

Il compito dell’uomo è di ascoltare la voce del linguaggio,<br />

non come qualcosa di fine a sé stesso, ma come voce<br />

dell’essere che nel linguaggio si manifesta:<br />

142 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, trad. it. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti,<br />

Mursia, Milano 1973, p. 27<br />

143 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, Mursia, Milano 1997, p. 230<br />

138


“Riflettere sul linguaggio significa pervenire al<br />

parlare del linguaggio in modo che questo parlare<br />

avvenga come ciò in cui all’essere dei mortali è dato<br />

144<br />

ritrovare la propria dimora ”.<br />

La riflessione sul linguaggio è considerata da Heidegger la<br />

necessaria via per conseguire un rapporto autentico con la<br />

Lichtung, la “radura luminosa” della verità come non-<br />

nascondimento (a-lètheia), che è poi la stessa verità<br />

dell’essere emancipata dalla metafisica, e restituita al suo<br />

carattere di Evento ontologico Ereignis). (<br />

Dal punto di vista heideggeriano, il linguaggio dev’essere<br />

valorizzato al di là della sua rilevanza di mezzo espressivo.<br />

Ridurre il linguaggio a espressione implica un inautentico<br />

ridimensionamento del suo ruolo, come anche delle sue<br />

connessioni con il pensiero dell’essere e l’evento della<br />

verità che la linguisticità porta con sé.<br />

144 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, op. cit., p. 27<br />

139


In Unterwegs zur Sprache emerge una concezione che<br />

considera il linguaggio come una forza attiva e non come<br />

oggetto passivo dell’iniziativa umana, come voce che parla<br />

e non come tacito ascoltatore di parole altrui. Il linguaggio<br />

è “ciò che sta alle origini e da cui tutto si origina 145 ”.<br />

Il carattere originario del linguaggio è legato anche alla<br />

sua capacità di dar vita a sempre nuove articolazioni di<br />

parole.<br />

Ma il linguaggio non è solo o prevalentemente espressione,<br />

ma significa molto di più. È una dimensione di senso<br />

verticale, che abbraccia ed apre in rapporto alla verità una<br />

molteplicità di significati, manifestando l’abissale<br />

profondità dell’essere, cui è possibile accedere mediante le<br />

risorse infinite Dire del originario :<br />

“Questo dire (Sagen) originario, che dice<br />

evocando, chiamando presso di sé, da cui ogni<br />

145 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, op. cit., p. 231<br />

140


esplicito dire prende le mosse, e a cui ritorna come<br />

alla propria possibilità, Heidegger lo chiama<br />

Sage 146 ”.<br />

corrisponde al greco “epos”, da cui deriva il<br />

nome di quel genere letterario noto come “epica”; come<br />

l’epos dei Greci, Sage significa sia leggenda che canto. La<br />

saga è quel canto epico che narra le gesta di un popolo, e<br />

così facendo ne celebra i valori peculiari e ne preserva<br />

l’identità. Alla saga ogni popolo fa ritorno, per ritrovare le<br />

proprie origini.<br />

“In quanto dire originario, entro cui ogni discorso, ogni<br />

parola, ogni enunciazione esplicita diventa possibile,” –<br />

sottolinea Galimberti –“la saga, come ogni leggenda che<br />

parla delle origini e delle origini teogoniche,<br />

cosmogoniche o, più semplicemente, etniche o popolari,<br />

146 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, op. cit., p. 231.<br />

141


dischiude un mondo e le cose che, solo in quanto incluse in<br />

147<br />

quel mondo, sono significanti ”.<br />

Per Heidegger la “saga” o il Dire originario non operano<br />

mediante il significare (bedeuten), ma nelle modalità<br />

dell’indicare zeigen), ( del far apparire, e del mostrare.<br />

Il significato, invece, spetta alle parole, le quali rinviano<br />

alla saga come Dire originario.<br />

“Dalla Sage come linguaggio originario nasce<br />

ogni discorso esplicito, ogni Aus-sage che enuncia,<br />

dichiara in linea col discorso originario, ma senza<br />

risolverlo in sé, per cui ogni discorso (Aus-sage) sul<br />

linguaggio (Sage) è sempre un discorso dal<br />

148<br />

linguaggio (Aus-sage), nel linguaggio ;[…]”.<br />

Il Dire originario rappresenta un concetto importante<br />

proprio per la sua funzione di evento che apre ogni<br />

147 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, op. cit., p. 231.<br />

148 Ibidem<br />

142


discorso, e rende possibile all’infinito l’esperienza del<br />

linguaggio come avviamento alla verità dell’essere.<br />

La Sage è il canto epico dell’essere, a cui occorre dare<br />

ascolto per comprendere la verità nella sua essenza.<br />

Per Heidegger questa comprensione spetta in primo luogo<br />

alle due figure affini del poeta e del pensatore.<br />

A poeti e pensatori Heidegger affida il ruolo di custodi<br />

della “casa dell’essere” , il Linguaggio:<br />

“Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora<br />

abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di<br />

questa dimora. Il loro vegliare è il portare a<br />

compimento la manifestatività dell’essere: essi,<br />

infatti, mediante il loro dire, la conducono al<br />

linguaggio e nel linguaggio la custodiscono. Il<br />

pensiero non si fa azione perché da esso scaturisca un<br />

effetto o una applicazione. Il pensiero agisce in<br />

143


quanto pensa. Questo agire è probabilmente il più<br />

semplice e nello stesso tempo il più alto, perché<br />

149<br />

riguarda il riferimento dell’essere . all’uomo<br />

I poeti e i pensatori, con la sola forza della parola,<br />

incidono sulla verità dell’essere, e la conducono a<br />

compimento. Il linguaggio poetico non va pensato<br />

separatamente dal pensiero, ma poetare e pensare rinviano<br />

alla stessa realtà linguistica, sono forme diverse del Dire<br />

originario che, nella molteplicità dei sensi e dei significati,<br />

custodisce la verità dell’essere.<br />

Solo un pensiero che parla con la voce del linguaggio è<br />

capace di andare verso le cose:<br />

“Affinchè le cose possano essere riproposte per<br />

quello che sono e non per quello che valgono,<br />

affinchè possano essere sottratte al loro essere<br />

oggetto di rappresentazione o risultato di<br />

149 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pp. 267-268.<br />

144


produzione è necessario un pensiero capace di<br />

arrischiare nell’aperto dis-chiuso del pensiero che<br />

pensa 150 ”.<br />

Questo pensiero che pensa è certamente libero dai<br />

condizionamenti della semplice-presenza, e vede i vari enti<br />

intramondani come orizzonti da attraversare e non come<br />

muti enti incapaci di dire e di farsi reclamare dall’essere.<br />

Al pensiero che pensarinvia<br />

il Dire originario, cioè quel<br />

“dire che non è mero calcolare e numerare, e che, dicendo,<br />

pone la cosa in relazioni che, oltrepassando nel recinto<br />

delimitato del calcolo, chiama in gioco i mortali e i divini,<br />

il cielo e la terra 151 ”.<br />

Il Dire originario è affare dei poeti, che non “cantano” per<br />

una ragione particolare, ma in nome del nulla. “Questo<br />

nulla non è il niente, ma ciò che dal pensiero che calcola è<br />

150 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, Mursia, Milano 1997, op. cit., p. 229<br />

151 Ibidem<br />

145


taciuto. (H. – Hw, 293), dicono<br />

quella totale assenza di protezione che l’uomo tenta invano<br />

di mascherare col calcolo e col progetto, con la previsione<br />

e con l’anticipazione, quando non osa sporgere nell’aperto<br />

152<br />

e arrischiare sensi imprevisti ”.<br />

Compito fondamentale dei poeti è di purificare la parola<br />

emancipandola dalle reti della grammatica. Heidegger<br />

denuncia la “decadenza” o la “devastazione del linguaggio ,<br />

153<br />

che rapidamente si estende ovunque”.<br />

Tale devastazione<br />

“non consuma solo la responsabilità estetica e morale che<br />

si ha in ogni uso del linguaggio 154 ”, ma rischia di<br />

travolgere la stessa essenza dell’uomo.<br />

Facendo sue le parole di Hölderlin, Heidegger afferma che<br />

155<br />

“il linguaggio è il più pericoloso dei beni ”.<br />

152 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, op. cit., p. 229<br />

153 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’ , op. cit., p. 271<br />

154 Ibidem<br />

155 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 156<br />

146


Heidegger spiega quest’affermazione sostenendo che il<br />

linguaggio è esposto alla “minaccia dell’essenza<br />

dell’uomo 156 ”, “minaccia” legata al non riconosciuto - ma<br />

non per questo meno pericoloso - dominio della semplice<br />

presenza sull’essere.<br />

L’essere, si manifesta nel linguaggio ma nello stesso tempo<br />

occulta la possibilità del suo manifestarsi diventando<br />

evento della verità:<br />

“Aprendo la storia, il linguaggio è esso stesso<br />

evento: il suo è un storico<br />

157<br />

che coinvolge al contempo l’essere dell’uomo ”.<br />

Per Heidegger, nell’odierno, avanzato stadio decadenza di<br />

158<br />

del linguaggio,<br />

è necessario allontanarsi dalla metafisica<br />

pensata a partire dal soggetto, e quindi acquisire quella<br />

156 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’ , op. cit., p. 271.<br />

157 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 156.<br />

158 cfr. M. Heidegger, Lettera sull’, op. cit., p. 272<br />

147


disposizione al silenzio e all’ascolto così essenziale per<br />

giungere non già a dire qualcosa sull’esperienza<br />

linguistica, ma ad avviarci sulla via di tale esperienza:<br />

Cammino verso il linguaggio – l’espressione suona<br />

come se il linguaggio fosse lontano da noi, in un<br />

qualche luogo, per raggiungere il quale noi<br />

159<br />

dovremmo metterci in cammino .<br />

L’espressione “in cammino verso il linguaggio” Unterwegs (<br />

zur Sprache) ha dunque il significato di un percorso<br />

tutt’altro che lineare per accedere alle risorse linguistiche,<br />

tradizionalmente considerate patrimonio di tutti, e<br />

connaturate in qualche modo alla nostra specificità di<br />

esseri umani. In realtà il linguaggio non è considerato da<br />

Heidegger un possesso saldo, che acquisiamo alla nascita, è<br />

qualcosa che non appartiene all’uomo, ma che l’uomo è<br />

chiamato ad ascoltare. Il linguaggio presuppone un rapport<br />

159 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, trad. it. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti,,<br />

p. 189, Mursia, Milano 1973.<br />

148


di ascolto e risposta, la sua è una struttura aperta basata sul<br />

dialogo (Gespräch), termine che nel contesto heideggeriano<br />

assume un significato molto peculiare. Il dialogo, infatti,<br />

non è un momento isolato dell’esperienza linguistica, ma la<br />

160<br />

modalità in cui il linguaggio accade autenticamente .<br />

Il dialogo non è soltanto una delle maniere in cui ha luogo<br />

il linguaggio, è la condizione che rende essenziale la<br />

dimensione linguistica.<br />

Heidegger critica l’idea del linguaggio come “un fondo<br />

[Bestand] di parole e di regole per la loro connessione 161 ”,<br />

perché questo rappresenta solo un aspetto esteriore che non<br />

rende ragione del carattere di dialogo della linguisticità,<br />

prospettiva ereditata dalla tradizione ermeneutica, ma che<br />

il filosofo approfondisce a contatto con l’opera del poeta<br />

romantico Friedrich Hölderlin (1770-1843).<br />

160 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg & Sellier, Torino 1993, op. cit., p. 156.<br />

161 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 157.<br />

149


Per Heidegger noi uomini non partecipiamo di un dialogo,<br />

ma “siamo un dialogo”:<br />

“Come già l’analitica esistenziale insegna, noi non<br />

solo siamo nel tempo e nella storia, ma, prima di<br />

162<br />

tutto, siamo noi stessi tempo e storia ”.<br />

L’aspetto linguistico dell’esistenza è sottolineato dal fatto<br />

che essa costituisce un dialogo, un raccogliersi in unità, a<br />

cui rinviano gli atti del parlare e dell’ascoltare. Proprio<br />

quel che Hölderlin indica scrivendo che“siamo un dialogo<br />

163<br />

e l’un dell’altro ascoltiamo .”<br />

La lezione di Hölderlin è sfruttata da Heidegger anche in<br />

vista della determinazione del senso principalmente<br />

linguistico dell’essere.<br />

Se la metafisica parla un linguaggio inadeguato a<br />

comprendere la verità dell’essere, la poesia viene assunta<br />

162 cfr. L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, op. cit., p. 206.<br />

163 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il lingaggio, op. cit., p. 210.<br />

150


come modello di una comunicazione autentica, che non si<br />

riduce a strumento d’informazione.<br />

La poesia è il linguaggio dell’essere, e come tale rinvia<br />

alla questione della verità.<br />

Nel linguaggio della poesia come anche nel linguaggio del<br />

pensiero si manifesta la disposizione a quel Dire originario<br />

(“Die Sagen”) che, si è visto, ha il potere di evocare o più<br />

esattamente di “aprire un mondo”:<br />

“La parola poetica, come l’opera d’arte, è un<br />

cominciamento assoluto,” afferma – Galimberti – “è<br />

l’aprirsi di un mondo, in cui qualcosa di<br />

164<br />

assolutamente nuovo viene all’essere […]”.<br />

Questa concezione dell’esperienza linguistica come<br />

apertura manifesta il vero volto del nostro rapporto con<br />

l’essere, a cui non possiamo accedere immergendoci in un<br />

mondo di cose ma diventando pensatori e poeti,<br />

164 Cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, op. cit, p. 227.<br />

151


percorrendo i sentieri di un impervio cammino verso il<br />

linguaggio.<br />

Il poetare non è un atto linguistico disgiunto dal pensare; il<br />

poeta pensa, perché ha familiarità con le parole e le cose<br />

intese nella loro concretezza di enti intramondani, la quale<br />

impedisce di concepirle come semplici-presenze.<br />

Heidegger sottolinea il valore di verità dell’arte in genere;<br />

questo valore è particolarmente presente nella poesia, il cui<br />

linguaggio è capace di aderire alla realtà e nello stesso<br />

tempo di realizzare l’apertura illuminante all’essere.<br />

La poesia rispecchia al meglio quella connessione tra<br />

essere e linguaggio che è il fondamento della prospettiva<br />

ermeneutica heideggeriana, oltre a rappresentare la<br />

negazione evidente dell’idea comune del linguaggio come<br />

strumento di espressione, informazione e comunicazione.<br />

152


“[..]il linguaggio poetico non è che rinvia<br />

a qualcosa che è già dato, ma è il luogo in cui<br />

165<br />

l’essere si dà, si eventua”.<br />

Il linguaggio rinvia così al concetto di Ereignis, o Evento,<br />

che è uno dei più complessi del pensiero heideggeriano.<br />

Il senso della Svolta heideggeriana prende avvio proprio da<br />

un ripensamento dell’idea di essere che ne mette in rilievo<br />

il carattere di evento Ereignis). (<br />

Il termine “Evento” illustra la specificità dell’essere non<br />

più letto in chiave esistenziale, e connesso invece in modo<br />

inseparabile alla questione del linguaggio. Infatti è nel<br />

linguaggio, e, nello specifico, nel Dire originario dei poeti<br />

e dei pensatori che si manifesta la voce dell’essere.<br />

L’Evento è una realtà del presente e del futuro, che segna<br />

l’avvento dell’essere. Come tale, l’Ereignis può<br />

manifestarsi in molte forme, tra cui anche nel Dire<br />

originario.<br />

165 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, op. cit., p. 227.<br />

153


Il rapporto tra evento e linguaggio è presentato da<br />

Heidegger in termini di vicinanza. Il linguaggio è la forma<br />

in cui la verità dell’essere viene a compimento, e si<br />

manifesta come Evento:<br />

“Dimora dell'Essere è il linguaggio, perché il<br />

linguaggio, come Dire originario, è il modo<br />

dell’Ereignis 166 ”.<br />

Questa correlazione tra evento e Dire originario come<br />

Dimora dell’Essere è ribadita con parole molto pregnanti e<br />

significative per comprendere la particolare ermeneutica<br />

heideggeriana, fondata sul rapporto essere-linguaggio e<br />

sviluppata con esiti molto originali:<br />

Il Dire originario è il modo in cui l’Ereignis parla:<br />

modo non tanto come maniera, quando piuttosto come<br />

, come il canto che dice cantando. Il Dire<br />

166 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, op. cit., p. 211.<br />

154


originario, nel suo appropriare, porta la cosa<br />

presente ad apparire secondo la realtà che le è<br />

propria, ne è la lauda che la innalza alla sua propria<br />

verità.<br />

Anche qui il canto, il linguaggio poetico, è invocato come<br />

modello di pensiero, che si contrappone al pensiero che<br />

167<br />

calcola, e calcolando fonda e assicura . Il nuovo pensiero<br />

dell’essere si identifica col Dire originario e l’idea del<br />

linguaggio come bene pericoloso e senza fondamento.<br />

Il percorso filosofico heideggeriano si chiude come era<br />

iniziato: con la domanda essenziale (Frage) sul senso<br />

dell’essere. Questa domanda rimane senza risposta, perché<br />

il Dire originario rinvia ad una interrogazione continua,<br />

inesauribile come le risorse del linguaggio e la verità<br />

dell’essere. Tuttavia è possibile rileggere tutta l’opera di<br />

Heidegger alla luce della prospettiva ermeneutica.<br />

Naturalmente Heidegger non è interessato all’ermeneutica,<br />

167 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, Mursia, Milano 1997, op. cit., p. 229.<br />

155


se intesa scolasticamente, come tecnica per interpretare<br />

testi o discorsi ragionevoli, secondo la tradizione<br />

medioevale e moderna di questa disciplina.<br />

Per Heidegger l’ermeneutica così intesa, mirando<br />

all’esplicitazione totale di significati oscuri, si rivela<br />

inadeguata ai fini di una comprensione reale, incapace<br />

com’è “di far incontrare qualcosa di nel senso<br />

di autentico, perché si limita a sistemare i vari <br />

168<br />

secondo i criteri scientifici della ragione .” fondante<br />

Heidegger propone una diversa idea di interpretazione,<br />

basata sull’esercizio ermeneutico, che sosta nei dintorni de<br />

linguaggio non per chiarirne o esplicitarne i termini, “ma<br />

per far venire in luce il non-detto che nella parola risuona<br />

e che ne costituisce la forza. Questa ermeneutica non<br />

169<br />

spiega la parola, l’ascolta .”<br />

168 cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, op. cit., p. 233.<br />

169 Ibidem<br />

156


Heidegger tuttavia non rifiuta l’Ermeneutica, ma intende<br />

ricondurla in qualche modo alle origini; come infatti spiega<br />

in questo passo:<br />

.<br />

Sulla via che conduce al linguaggio c’è un luogo in cui,<br />

a un certo punto, ci si deve fermare e avviare una<br />

discussione, che può esseresul linguaggio soltanto finchè<br />

proviene dal linguaggio . Qualsiasi riflessione sull’essenza<br />

170 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, op. cit., pp. 104-105.<br />

157


del linguaggio, infatti, non può prescindere dal linguaggio<br />

che la esprime. Come più volte ribadito l’unica definizione<br />

possibile del linguaggio è “il linguaggio è il linguaggio”:<br />

“Dire due volte nient’altro che la stessa cosa:<br />

linguaggio è linguaggio, come è possibile che questo<br />

ci porti avanti? Ma noi non vogliamo andare avanti.<br />

Vorremmo soltanto ci fosse dato di giungere là dove<br />

già siamo<br />

171 ”.<br />

171 cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, op. cit., p. 28.<br />

158


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Gianni Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza,<br />

Roma-Bari, 2002.<br />

161


Indice<br />

I. LA RIFLESSIONE <strong>HEIDEGGER</strong>IANA<br />

F<strong>IN</strong>O A “<strong>ESSERE</strong> E TEMPO”.……………………………... 1<br />

1. Dall’essere al linguaggio ………………………………….... 1<br />

2. Il superamento del neokantismo ………………………… 5<br />

3. Fatticità e storicità della ….…………………………. vita<br />

7<br />

4. L’Analitica esistenziale …………………………………...… 16<br />

6. I pregiudizi ontologici …………………………………...…... 33<br />

II. ONTOLOGIA E DIMENSIONE L<strong>IN</strong>GUISTICA<br />

NEL “ PRIMO <strong>HEIDEGGER</strong>” …………………………….. 43<br />

1. Pre-comprensione e medietà ………………………………. 43<br />

2. Dal mondo alla mondità……………………………………... 51<br />

3. L’essere-nel-mondo …………………………………..……….. 69<br />

4. Realtà,“cura”, “deiezione”…………………………….... 73<br />

5. Segno e rimando…………………………………..…………….. 88<br />

6. “Sein und Zeit”<br />

e la prassi dell’interpretazione …………………………. 97<br />

III. <strong>ESSERE</strong> E <strong>L<strong>IN</strong>GUAGGIO</strong><br />

NEL “SECONDO” <strong>HEIDEGGER</strong> …….………………… 106<br />

1. I presupposti della Svolta …….……………………………. 106<br />

2. Arte come verità…….…………………………….…….……… 110<br />

3. L’essenza dell’opera …….…………………………. d’arte<br />

116<br />

4. “Nichtung” e “Lichtung”:<br />

in cammino oltre la metafisica …….………………………… 121<br />

5. “Verso” il linguaggio …….…………………………….…….. 128<br />

Bibliografia…….…………………………….…….…………….………... 159<br />

162

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