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I «letterati che non chiedono scusa di esser tali»: l ... - CIRCE

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Secondo Luzi, la crisi dell’idealismo, maturata nel 1914, quando la<br />

polemica tra Croce e Gentile sulla «Voce» si andò delineando in tutte le<br />

sue sfaccettature – con la conseguente per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> «ogni possibilità <strong>di</strong>alettica»<br />

e l’attribuzione <strong>di</strong> un «significato forzoso e meccanico» alla storia,<br />

«da cui per altro l’estetica rimaneva interdetta» – aveva spinto Serra verso<br />

una «storia neutra e naturale, destinata ad eludere una tale problematicità».<br />

Infatti, «mentre la sua intelligenza, scaltra nel percepire le ragioni della<br />

sua maniera in<strong>di</strong>fesa d’incontrare l’eterno, si riconosceva insufficiente<br />

a denunziare quella crisi della cultura» e dell’umanesimo, «l’orgoglio operava<br />

in lui così intensamente da pervenire ad un’ostentazione sod<strong>di</strong>sfatta<br />

delle doti riconosciute più singolari». Così la coscienza della crisi della<br />

cultura si traduceva in «sentimentalismo dell’intelligenza nella cui espressione<br />

un nuovo testo […] si sovrapponeva a quello esaminato», in maniera<br />

da «lasciarsi avvenire attraverso i testi», letti <strong>non</strong> filologicamente,<br />

ma sempre in relazione «alla <strong>di</strong>sponibilità assoluta della sua anima».<br />

L’autore dell’Esame <strong>di</strong> coscienza «affidava quel tempo <strong>di</strong> assenza a un vagabondaggio<br />

a cui l’umanismo stesso dava degli itinerari e delle suggestioni<br />

più precisabili e la cronaca sentimentale degli elementi terreni,<br />

l’estensione». È un aspetto questo <strong>che</strong>, secondo Luzi, è spia <strong>di</strong> mancanza<br />

<strong>di</strong> coscienza letteraria, intesa naturalmente nel senso totalizzante proprio<br />

del contesto ermetico:<br />

La letteratura, è chiaro, <strong>non</strong> fu per Serra una vita e Serra<br />

<strong>non</strong> fu un letterato puro. Aveva bisogno per certificarsi davanti a<br />

un testo la cui verità gli apparve sempre relativa, <strong>di</strong> una circospezione<br />

alla quale servivano tutte le accezioni della vita quoti<strong>di</strong>ana e<br />

gli aspetti più familiari del reale.<br />

E questa scissione tra la vita e la letteratura, lo condusse a sentire<br />

«l’esigenza <strong>di</strong> cogliere all’esterno il gesto <strong>che</strong> avrebbe dovuto salvarlo<br />

[…]. La letteratura <strong>non</strong> aveva servito a nulla nella convalidazione <strong>di</strong> quella<br />

coscienza impossibile a puntualizzarsi». Inevitabile quin<strong>di</strong>, lo sbocco<br />

nel formalismo:<br />

Allora appare superfluo cercare nella sua opera critica la <strong>di</strong>rezione<br />

delle sue curiosità, la scoperta certissima <strong>di</strong> un valore <strong>che</strong><br />

potesse an<strong>che</strong> momentaneamente appagare la sua apprensione.<br />

Rimarrebbe irrime<strong>di</strong>abilmente alterato il senso <strong>di</strong> quella letteratura<br />

se noi cercassimo <strong>di</strong> coglierlo altrove <strong>che</strong> in quella sua con<strong>di</strong>zione<br />

improgressiva ed intransitiva <strong>che</strong> rivolgeva l’attività stessa<br />

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