Origine ed evoluzione del genere Homo - ArcheoServer

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3.5 Australopithecus afarensis 68 mente sopra il tufo di Kanapoi e quindi ha una data leggermente posteriore. Tra il 1995 e il 1997 nuovi resti di Ominidi fossili sono stati rinvenuti sia a Kanapoi che a Allia Bay. In base ai fossili di Kanapoi e di Allia Bay, Meave Leakey e collaboratori hanno definito una nuova specie di Australopiteco, denominato Australopithecus anamensis (nella lingua turkana anam significa lago). La mandibola dell’anamensis ha una forma a U, con molari, premolari e canino allineati e paralleli, l’arcata dentaria del mascellare ha la classica forma quasi a ferro di cavallo come nelle scimmie antropomorfe. La simfisi mandibolare è fortemente inclinata posteriormente e forma un lungo piano dietro gli incisivi, con un toro superiore sviluppato e uno inferiore ben sviluppato (placca scimmiesca). Tuttavia, a differenza che nelle scimmie antropomorfe i canini non sopravanzano fortemente gli altri denti e non hanno forma conica, ma spatulata come negli Ominidi, inoltre è assente qualsiasi forma di diastèma. Lo smalto dei molari è più spesso che nel ramidus. La morfologia della tibia indica una locomozione bipede. Il capitato, il più voluminoso osso della regione carpale, è di tipo ominide e si differenzia nettamente da quello delle antropomorfe. Le dimensioni dei denti e della mandibola mostrano un chiaro dimorfismo sessuale, evidente soprattutto nella dimensione dei canini. L’Australopithecus anamensis è certamente un Ominide per l’acquisizione della locomozione bipede e per le caratteristiche dei denti, ma presenta ancora molti caratteri primitivi comuni alle antropomorfe mioceniche ed attuali. 3.5 Australopithecus afarensis Resti di Ominidi databili al periodo compreso tra 3,8 e 3 Ma sono stati scoperti in diverse zone della depressione dell’Afar in Etiopia: Hadar e medio Awash nelle località di Belohdelie e Maka; a Koobi Fora (Turkana orientale) e a Lomekwi (Turkana occidentale) in Kenya; a Laetoli nel nord della Tanzania. Questi Ominidi sono stati classificati come appartenenti alla specie afarensis del genere Australopithecus. Alla stessa epoca appartengono le impronte di Ominidi rinvenute a Laetoli. L’area di Laetoli si trova 25 km a sud di Olduvai, nella parte meridionale della piana di Serengeti. In precedenza era conosciuta con il nome di Garusi, il fiume che da Laetoli scorre verso sud gettandosi nel lago Eyasi. Nel 1935 Louis Leakey vi raccolse un canino che attribuì a un cercopiteco e che soltanto nel 1979 venne riconosciuto come appartenente a un Australopiteco adulto. Nel 1939 l’antropologo tedesco L. Kohl-Larsen rinvenne un frammento di mascellare di ominide conservante due premolari e separatamente un M3 in uno strato di arenaria lungo una falesia 500 m a nord-ovest del punto in Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A c○ 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università degli Studi di Milano

3.5 Australopithecus afarensis 69 cui il fiume Garusi entra nel lago. Nel 1974 Mary Leakey riprese le ricerche nella regione. Nel 1975 e 1976 furono scoperti numerosi resti di Ominidi, soprattutto denti, ma anche due mandibole (LH 4) e resti di scheletro di un bambino di quattro anni (LH 21). I fossili provengono dall’unità superiore degli strati di Laetoli, una formazione dello spessore di 50 m, ricca di orizzonti a lapilli e blocchi vulcanici e di strati di tufo, ed erano compresi tra due strati di tufo datati rispettivamente 3,77 Ma e 3,59 Ma. Nel 1976 Andrew Hill per primo riconobbe impronte di uccelli e di mammiferi su una superficie esposta dall’erosione. Negli anni 1977-1979 furono individuate sette zone con impronte sulla sinistra del fiume Garusi dislocate su una lunghezza di 4,5 km. Non tutte sono state indagate. Impronte di Ominidi sono venute alla luce nel 1977 nel sito A, datato a 3,6 Ma, e nel 1978 e 1979 nel sito G, dove sono state rinvenute due file di impronte lunghe 50 m e distanti circa 25 cm l’una dall’altra. Queste ultime sono state scavate prima da Tim White e poi da Ron Clarke e Mary Leakey. La conservazione delle impronte è dovuta a un complesso di circostanze del tutto particolari. Il vicino vulcano Sadiman ha eruttato ceneri leggere contenenti grandi quantità di natrocarbonatite, subito dopo l’eruzione una serie di precipitazioni atmosferiche ha raffreddato le ceneri appena deposte e subito dopo animali e Ominidi hanno camminato sopra gli strati di cenere ancora bagnata, lasciando le loro impronte. La superficie con le impronte si è poi asciugata al sole e la natrocarbonatite reagendo con l’acqua si è cementificata, conservando le impronte. Questa dinamica si è ripetuta più volte e il succedersi della caduta di ceneri e della pioggia atmosferica ha creato in uno spessore di soli 20 cm quindici superfici sovrapposte in cui si sono conservate le impronte. Sulle superfici con impronte fossili sono state osservate orme di antilopi, gazzelle, giraffe, elefanti, rinoceronti, cavallo tridattilo, suidi, iena, babbuino, lepre, uccelli, insetti. Su alcune superfici è possibile riconoscere perfino le impronte delle gocce di pioggia. Nel sito G le orme lasciate dagli Ominidi sono 22 in una fila e 12 nell’altra. Le prime sono lunghe 18,5 e larghe 8,8 cm e la distanza tra loro è di 38,7 cm. Nella seconda fila le impronte sono lunghe 21,5 e larghe 10 cm, mentre la falcata è di 47,2 cm; all’interno delle impronte ve ne sono altre più piccole appartenenti a un bambino. Le impronte lasciate dagli Ominidi hanno un contorno e una sagoma di tipo umano. Il tallone è arrotondato, l’arco plantare ben sviluppato, l’alluce rivolto in avanti e non divergente. L’andatura è quella di un individuo bipede che procede a grandi passi. Tenendo conto che la lunghezza del piede in genere corrisponde al 15% dell’altezza di un individuo, si può calcolare che l’individuo adulto più grande fosse alto 140 cm, quello più piccolo 120 cm. Sembra quindi possibile concludere che queste impronte siano state lasciate Origine ed evoluzione del genere Homo - Dispensa del corso di Preistoria modulo A c○ 2007 Cattedra di Preistoria e Protostoria, Università degli Studi di Milano

3.5 Australopithecus afarensis 69<br />

cui il fiume Garusi entra nel lago. Nel 1974 Mary Leakey riprese le ricerche<br />

nella regione. Nel 1975 e 1976 furono scoperti numerosi resti di Ominidi,<br />

soprattutto denti, ma anche due mandibole (LH 4) e resti di scheletro di un<br />

bambino di quattro anni (LH 21). I fossili provengono dall’unità superiore<br />

degli strati di Laetoli, una formazione <strong>del</strong>lo spessore di 50 m, ricca di orizzonti<br />

a lapilli e blocchi vulcanici e di strati di tufo, <strong>ed</strong> erano compresi tra due strati<br />

di tufo datati rispettivamente 3,77 Ma e 3,59 Ma.<br />

Nel 1976 Andrew Hill per primo riconobbe impronte di uccelli e di mammiferi<br />

su una superficie esposta dall’erosione. Negli anni 1977-1979 furono<br />

individuate sette zone con impronte sulla sinistra <strong>del</strong> fiume Garusi dislocate<br />

su una lunghezza di 4,5 km. Non tutte sono state indagate. Impronte di<br />

Ominidi sono venute alla luce nel 1977 nel sito A, datato a 3,6 Ma, e nel<br />

1978 e 1979 nel sito G, dove sono state rinvenute due file di impronte lunghe<br />

50 m e distanti circa 25 cm l’una dall’altra. Queste ultime sono state scavate<br />

prima da Tim White e poi da Ron Clarke e Mary Leakey.<br />

La conservazione <strong>del</strong>le impronte è dovuta a un complesso di circostanze<br />

<strong>del</strong> tutto particolari. Il vicino vulcano Sadiman ha eruttato ceneri leggere<br />

contenenti grandi quantità di natrocarbonatite, subito dopo l’eruzione una<br />

serie di precipitazioni atmosferiche ha raffr<strong>ed</strong>dato le ceneri appena deposte<br />

e subito dopo animali e Ominidi hanno camminato sopra gli strati di cenere<br />

ancora bagnata, lasciando le loro impronte. La superficie con le impronte<br />

si è poi asciugata al sole e la natrocarbonatite reagendo con l’acqua si è<br />

cementificata, conservando le impronte. Questa dinamica si è ripetuta più<br />

volte e il succ<strong>ed</strong>ersi <strong>del</strong>la caduta di ceneri e <strong>del</strong>la pioggia atmosferica ha<br />

creato in uno spessore di soli 20 cm quindici superfici sovrapposte in cui si<br />

sono conservate le impronte.<br />

Sulle superfici con impronte fossili sono state osservate orme di antilopi,<br />

gazzelle, giraffe, elefanti, rinoceronti, cavallo tridattilo, suidi, iena, babbuino,<br />

lepre, uccelli, insetti. Su alcune superfici è possibile riconoscere perfino le<br />

impronte <strong>del</strong>le gocce di pioggia. Nel sito G le orme lasciate dagli Ominidi<br />

sono 22 in una fila e 12 nell’altra. Le prime sono lunghe 18,5 e larghe 8,8<br />

cm e la distanza tra loro è di 38,7 cm. Nella seconda fila le impronte sono<br />

lunghe 21,5 e larghe 10 cm, mentre la falcata è di 47,2 cm; all’interno <strong>del</strong>le<br />

impronte ve ne sono altre più piccole appartenenti a un bambino.<br />

Le impronte lasciate dagli Ominidi hanno un contorno e una sagoma di<br />

tipo umano. Il tallone è arrotondato, l’arco plantare ben sviluppato, l’alluce<br />

rivolto in avanti e non divergente. L’andatura è quella di un individuo bip<strong>ed</strong>e<br />

che proc<strong>ed</strong>e a grandi passi. Tenendo conto che la lunghezza <strong>del</strong> pi<strong>ed</strong>e in<br />

<strong>genere</strong> corrisponde al 15% <strong>del</strong>l’altezza di un individuo, si può calcolare che<br />

l’individuo adulto più grande fosse alto 140 cm, quello più piccolo 120 cm.<br />

Sembra quindi possibile concludere che queste impronte siano state lasciate<br />

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