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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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frequentare per lungo tempo scuole europee e di utilizzare lingue<br />

differenti dai loro idiomi? Accadde che furono impossibilitati di accedere<br />

alla tappa superiore delle loro lingue madri e, di conseguenza, di<br />

appropriaris totalmente della cultura tradizionale (orale) dei loro avi.<br />

“Senza uno sforzo duraturo di reimpregnazione restiamo, senza esserne<br />

coscienti, al di sotto di un livello di efficienza culturale della nostra<br />

lingua madre”. 84 A supportare il pensiero di Sylla si situa quello di J. L.<br />

Doneux, specialista di lingue africane, che così spiega il fenomeno:<br />

“Tutte le lingue hanno alla base una costruzione a piani e quando questa<br />

costruzione viene impedita, sono i livelli superiori che crollano per primi.<br />

Con un pò di fortuna si possono ancora incontrare anziani che sono in<br />

grado di raccontare miti, leggende, storia dei villaggi, proverbi, medicina<br />

tradizionale, costumi. Un uomo sui 40 anni ha ancora il linguaggio<br />

sufficiente per raccontare la vita sociale e morale di un popolo ma ciò che<br />

supporta le rappresentazioni mentali gli manca di già. Quanto invece ad<br />

un giovane di 20 anni, esso ha lo stesso registro espressivo proprio ad<br />

uno straniero che ha bene appreso la sua lingua madre, ovvero le<br />

espressioni della comunicazione base che è un livello sotto rispetto a<br />

quello in cui la cultura può perpetuarsi e, dunque, arricchirsi”. 85<br />

Questo fenomeno di menomazione nasce dunque con l'imposizione di<br />

lingue differenti e che si è protratto fino ai giorni nostri per cui la<br />

maggior parte dei popoli africani, che parla lingue europee, non ha la<br />

possibilità di accedere totalmente alla cultura dei loro avi.<br />

Per questo motivo la maggior parte degli intellettuali africani hanno la<br />

necessità e il bisogno costante di ricercare un qualcosa di perduto di cui<br />

esiste il mito nelle coscienze africane. 86 In realtà, in questa ricerca di<br />

qualcosa di perduto, l'intellettuale africano cerca di resuscitare un<br />

pensiero, una cultura che è sempre stata viva. Essa non è mai morta,<br />

semplicemente confonde quelli che sono i suoi limiti (creati dalla<br />

presenza di un sistema coloniale e dalla menomazione culturale e<br />

linguistica) con i limiti di una cultura che in realtà non è mai riuscito a<br />

penetrare a sufficienza; e nello sforzo di elaborare una filosofia<br />

“africana”, un sistema “africano”, cercherà inconsciamente di imitare<br />

quanto più possibile un modello europeo che porterà inevitabilmente a<br />

dei continui fallimenti. 87<br />

Come si diceva all'inizio del capitolo, l'etnia maggioritaria della regione<br />

del Senegambia, l'etnia wolof, mostra a livello lignuistico come gli<br />

scambi commerciali e culturali fossero le basi di questo popolo, con una<br />

presenza massiccia di termini di origine araba, francese, inglese e<br />

portoghese; e d'altronde le testimonianze dei viaggiatori portoghesi<br />

risalenti già al XV secolo dimostravano come i wolof fossero un popolo<br />

pacifico, aperto ed economicamente stabile: “Le piante coltivate erano<br />

variegate. I cereali costituivano la cultura principale e la base<br />

dell'alimentazione. Vi erano miglio, fave e legumi i più grossi e i più belli<br />

che si fossero mai potuti vedere. Fagioli, riso e cotone venivano importati<br />

dai paesi mandinga del sud. L'allevamento e la pesca, erano, dopo<br />

l'agricoltura, la seconda “mammella” dei wolof. Ogni contadino<br />

benestante poteva annoverare capre e mucche; i montoni erano rari ma i<br />

84 A.Sylla, op. cit., p. 26.<br />

85 J. L. Doneux, La parole et les langues africaines, in Afrique et parole, Présence Africaine, 1969, p. 41.<br />

86 A. N'Daw, Peut-on parler d'une pensée africaine, in Présence Africaine, n. 52, 1966, p. 32.<br />

87 P. Diagne, Bullettin de l'Ifan, série B, n. 3, 1970, p. 871.

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