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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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clandestini, siamo adesso quelli che pensiamo seriamente a trasferirci in un paese straniero, a<br />

lasciare l'Italia. Già, noi che non sopportiamo i migranti, saremo i futuri migranti. La verità è<br />

che ognuno di noi dovrebbe arrendersi alla normale evoluzione del tempo e della storia, alla<br />

trasformazione culturale, cercando di proietterci nel futuro, piuttosto che cercare di vivere<br />

ancorati al passato, si perderebbe solo tempo ed energia perché, come ha scritto giustamente<br />

Eric Weiner nel suo libro, La geografia della gioia, “Come si può scelgiere qualcosa di nuovo<br />

-una nuova carriera, una nuova relazione, un nuovo approccio alle cose- senza prima lasciar<br />

andare il vecchio? È come cercare di tenere una busta della spesa quando abbiamo già le<br />

mani occupate. Con tutta probabilità ci cadrà tutto quanto, e rimarremo a mani vuote-” 56<br />

Un concetto semplice, quello di incontro e di meticciato proprio di<br />

Senghor. E anche per il famoso presidente poeta, l'uomo doveva liberarsi<br />

dall'idea di confine in quanto limite.<br />

Mamadou è un ragazzo senegalese che ho conosciuto proprio nel corso<br />

della mia ricerca all'UCAD, l'Università pubblica Cheikh Anta Diop di<br />

Dakar. Anche lui sta finendo un <strong>dottorato</strong> di ricerca ed è lui che mi ha<br />

introdotto allo studio dei grandi pensatori senegalesi come Senghor e<br />

Cheikh Anta Diop, per l'appunto. Così spiega il pensiero senghoriano nel<br />

corso dell'intervista fatta per la presente ricerca:<br />

“Quando io ho una cultura, ho un modo di vedere, ho un modo di fare, ho un modo di<br />

pensare, se arrivi tu e mi imponi un altro modo di pensare, di fare e di vedere, questo è un<br />

male ma è necessario nelle misura in cui bisogna riuscire ad evolversi. Senghor aveva capito<br />

che c'è un dinamismo dell'universo, un dinamismo della civilizzazione, un dinamismo della<br />

cultura. Niente è statico. La cultura al singolare è un concetto morto ormai da tempo. Non<br />

esistono frontiere nella cultura. Non puoi dire, questa è la mia cultura, stabilirti dentro a<br />

confini e restare isolato all'interno di ciò che tu stesso hai definito confini della tua cultura.<br />

Questo è un modo di pensare assolutamente negativo. Ora, se chi viene in contatto con noi ha<br />

un modo di vedere migliore, perché non imparare dal nuovo. La cultura è dinamismo, se non<br />

ti evolvi allora sei destinato a fossilizzarti, bisogna riuscire a partecipare al cambiamento del<br />

proprio tempo. Se nel cambiamento che si ha nell'incontro con l'altro vi è del positivo, se il<br />

punto finale è migliore rispetto al punto di partenza, allora davvero non ci vedo nulla di male.<br />

Questa era l'idea di Senghor, lo spirito di Senghor e io credo nella sua idea della civilizzazione<br />

dell'universale, l'incontro tra il dare e il ricevere, il meticciato culturale e il meticciato<br />

biologico al di là di tutti i sogni. Il futuro è questo e Senghor aveva visto lontano, non vi sono<br />

più confini tra le culture, tante infatti sono le culture e tra tutte queste culture dobbiamo<br />

arrivare alla sintesi di una cultura migliore […..]. Lui diceva che per il domani bisogna<br />

imparare oggi e per farlo dobbiamo conoscere e imparare dalla cultura dell'altro. Senghor<br />

aveva visto che il futuro era il meticciato, impossibile per lui pensare di rinchiudersi<br />

all'interno dei propri paesi. Questo vorrebbe dire regredire, retrocedere. Se osservi bene la<br />

cultura senegalese ti accorgerai di com'è ricca e questo perché ha assorbito dalle altre”.<br />

Oltrepassare l'idea di confine per incontrarsi e imparare<br />

vicendevolmente. Questo il passo necessario verso l'integrazione tra stati,<br />

come ha precisato anche Mamadou:<br />

“Il punto centrale dell'integrazione africana è riuscire ad abbandonare questa centralità delle<br />

caratteristiche peculiari di ognuno verso un concetto più semplice, sentirci tutti fratelli, poco<br />

importa se siamo senegalesi, gambiani, maliani. Perché l'integrazione avvenga le persone<br />

devono imparare a sentirsi africani e non senegalesi, gambiani, maliani. L'integrazione<br />

politica dovrà avvenire solo successivamente e come completamento dell'integrazione fatta<br />

dal basso, dalla gente. Le persone devono andare al di là dei confini, fossero anch'essi quelli<br />

del colore della pelle. Ma se continuiamo a sentirci senegalesi rispetto ai gambiani e gambiani<br />

rispetto ai senegalesi, allora non si potrà davvero mai ipotizzare una reale unione, nemmeno<br />

se cercassero di imporlo dall'alto, a livello politico. Ognuno di noi dovrebbe invece<br />

considerare l'altro come il suo riflesso in uno specchio. Il problema è che la gente ha<br />

costantemente in testa l'idea di confine ed è pericoloso. Il confine è una barriera<br />

all'integrazione culturale. I confini sono delgi ostacoli all'integrazione perché le persone<br />

56 C.<strong>Barison</strong>, La nuova forma di migrazione, http://blog.libero.it/Dakarlicious/, 2010.

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