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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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quando vedo i ragazzi della mia età è vedere che non hanno speranza. Sembra che non sia<br />

possibile realizzarsi se non attraverso qualcuno o qualcosa. Questo è il problema maggiore di<br />

noi senegalesi. E i giovani si convincono che per loro la realizzazione passa per forza<br />

attraverso la partenza o l'aiuto esterno. Non c'è l'idea che la realizzazione parte prima di tutto<br />

da se stessi. Io credo che la migrazione non è la risposta ai nostri problemi, fermo restando<br />

che il diritto alla scoperta dovrebbe essere garantito ad ogni essere umano. Quando ho iniziato<br />

a fare rap facevo parte di un gruppo, i BMG44, uno dei primi gruppi rap del Senegal.<br />

Eravamo quattro amici, legatissimi. Siamo partiti in Europa per dei concerti. Sono tornato<br />

solo io. Mi fa male ancora oggi e sai perché? Perché nessuno di loro avrebbe voluto restare in<br />

Europa, ma la pressione familiare e sociale era talmente forte che non avrebbero mai potuto<br />

ritornare. Quando la necessità ti porta via amici e sogni e ti ritrovi solo, sai cosa vuol dire<br />

cadere a terra, il vuoto tutt'attorno. Quando mi hanno visto tornare sono stato la vergogna<br />

della famiglia. Io che avevo avuto la possibilità che a tanti non è data, quella di mettere piede<br />

in Europa, avevo deciso di tornare per il rap. Mia mamma ha pianto tanto. Non ero voluto<br />

partire per gli Stati Uniti, dove mio fratello abitava da anni e non ero rimasto in Europa. Sì,<br />

per tutti ero uno sbandato, uno svogliato. Eppure ci credevo, credevo nel mio progetto. In<br />

Europa c'era già tutto, cosa avrei potuto portare in più, lì? Ma in Senegal, nel mio paese, ci<br />

sono ancora tante cose da fare, che io posso fare. Questo per me dovrebbe essere l'obiettivo di<br />

ogni uomo, creare, innovare, migliorare. In Senegal sapevo che avrei potuto essere utile. Se<br />

tutti scappano, perché è questo quello che fanno, diciamoci la verità, chi rimarrà a costruire il<br />

paese? Si punta troppo spesso il dito contro i giovani senza istruzione che si imbarcano in<br />

piroghe di fortuna, sbagliando. Non sono solo loro che lasciano il paese, anche gli<br />

intellettuali, i ricercatori corrono a gambe levate e sono i primi poi che dalle radio, dal web o<br />

dalle TV satellitari criticano il Senegal. Hanno poco da criticare loro che sono stati i primi ad<br />

arrendersi. Se tutti loro se ne vanno, chi rimarrà in Senegal? Solo una classe media, senza<br />

istruzione e sarà poi quella che ci governerà, quella che oggi ci governa e decide per noi. I<br />

senegalesi dovrebbero avere il coraggio di restare e di dimostrare al mondo che il loro paese<br />

non è solo quello degli stereotipi, della gente inaffidabile, non puntuale, bugiarda. Ma che è<br />

anche un paese dove la gente lavora, crea, innova. Io voglio un Senegal nuovo, differente. Un<br />

paese che non allunghi più la mano per chiedere, ma un paese che si pone come alternativa<br />

forte, con cui lavorare assieme. E ci credo davvero. Credo che l'hip hop possa essere un punto<br />

di partenza. La cultura non è solo intrattenimento, divertimento, balli e canti, alcol e droga. È<br />

prima di tutto impresa e impresa vuol dire posti di lavoro. Se io sono un rapper, avrò bisogno<br />

di un tecnico del suono, di un regista video, di un dj, di addetti alle relazioni, di una segretaria<br />

e via dicendo. Sono posti di lavoro. E perché non creare impresa, motore dello sviluppo di un<br />

paese? Questo è quello che facciamo ad Africulturban. Il problema dei senegalesi è anche<br />

questo, preferiscono essere impiegati che imprenditori. Hanno la convinzione che saranno<br />

sempre impiegati di qualcuno, accontentandosi dei 100 euro mensili che qualcun altro<br />

allungherà loro, piuttosto che pensare che potrebbero essere loro stessi i dirigenti. Il Senegal<br />

ha bisogno di giovani disposti a rischiare, a investire, a diventare imprenditori. Anche noi<br />

possiamo creare un prodotto che può fare concorrenza a quello europeo, basta crederci. E<br />

lavorare. E lavorare cercando la perfezione. Dobbiamo imparare a cambiare la mentalità della<br />

gente che deve sorpassare l'idea di sopravvivenza puntando invece al massimo, all'eccellenza.<br />

La gente deve smetterla di lamentarsi del governo e di dire che se il Senegal non va è colpa di<br />

chi ci governa. sta ad ognuno di noi cambiare il sistema, partendo dal basso. Noi lo<br />

dimostriamo tutti i giorni, lavorando senza che nessuno ci aiuti perché non è della carità che<br />

abbiamo bisogno, ma di gente che crede nel nostro progetto e che ha voglia di lavorare<br />

assieme a noi. <strong>Chiara</strong>, quanti giovani ci sono qui? E tutti vengono dalla periferia. In quanti<br />

hanno avuto la possibilità di partire? Sono ancora qui e questo a dimostrazione che non tutti i<br />

senegalesi vogliono partire. E lavoriamo sodo. A dimostrazione che tutti i senegalesi non<br />

stanno seduti a gambe incrociate. C'è chi, contro tutto e contro tutti, lavora sodo per cambiare<br />

l'immagine di un paese. Io lo faccio attraverso il rap e ne sono fiero. E mi sento la persona più<br />

ricca di questa terra perché faccio ciò che mi piace. Spesso le persone sono infelici perché<br />

associano la realizzazione al denaro. La riuscita è sì ricchezza, ma una ricchezza che va al di<br />

là del materiale, è una ricchezza d'animo, il sapere di aver creato qualcosa, di aver insegnato<br />

qualcosa a qualcuno, di essere stato d'esempio anche ad una sola persona. Quando vedo che<br />

Africulturban cresce, come associazione e come impresa, questa è la mia ricchezza. Quando<br />

vedo che la gente si fida di noi e del nostro lavoro, questa è la mia ricchezza. Quando vedo dei<br />

ragazzini che al posto di andare a rubare per strada vengono qui al centro a fare rap, questa è<br />

la mia ricchezza. Quando vedo che si parla di noi in Europa e con noi passa l'immagine di un<br />

Senegal differente, questa è la mia ricchezza. Quando vedo che tanti occidentali vengono qui<br />

ad Africulturban per lavorare con noi, questa è la mia ricchezza. Quando mando uno dei miei<br />

ragazzi a seguire uno stage in Europa e lo vedo tornare, questa è la mia ricchezza. Quando<br />

sento <strong>Chiara</strong> parlare di Matador, questa è la mia ricchezza. E per te e per tutti gli altri ragazzi<br />

di Africulturban sento che non posso fallire, che devo andare avanti, nonostante i momenti<br />

difficili. Te lo devo. Glielo devo. Sì, ho vinto il premio di miglior artista rap dell'anno, pochi<br />

giorni fa. In pochi avrebbero immaginato che sarei arrivato tanto lontano nel mio quartiere.<br />

Una volta dire che venivi da Thiaroye o da Pikine era motivo di vergogna. Oggi, anche<br />

attraverso la mia musica, è diventato motivo di fierezza. La gente è orgogliosa di venire dal<br />

ghetto. Questo è il mio premio più grande”. Una lacrima mi scende lungo la guancia. È

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