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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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Poi mi fermo e penso, in quanti paesi sarebbe possibile trovare le stesse differenze in<br />

un'armonia così sconcertante? In pochi davvero. Il Senegal è un paese che ha tanto da<br />

insegnare dal punto di vista della tolleranza e del rispetto dell'altro. Sebbene si insinuino<br />

ancora stereotipi difficili da estirpare, specie quelli legati ai toubab (ai bianchi), visti ancora<br />

come vache au lait, come dicono qui, mucche da mungere il più possibile e un razzismo<br />

sottile nei confronti dei non senegalesi, toubab o gnak che siano (bianchi e africani dei paesi<br />

del centro Africa). Nei confronti dei bianchi questa forma di razzismo è, volente o nolente,<br />

legata ancora ad un rancore ancora non sopito nei confronti del colonialismo francese, mentre,<br />

per quanto riguarda gli altri africani, è piuttosto una sorta di arroganza nel sentirsi e ritenersi<br />

sempre e comunque superiori (o come i senegalesi spesso dicono, sono gli altri africani che<br />

sono gelosi di loro).<br />

Nonostante questo il Senegal è un paese in cui si intrecciano differenti etnie e culture, che si<br />

ritrovano a convivere in maniera pacifica. Non immaginatevi assolutamente l'integrazione<br />

ipocrita spesso gridata dai governi europei, ma una vera e propria vita comune in cui tutti<br />

rispettano (o, almeno cercano di rispettare) gli altri, senza dovere subire o “sopportare” per<br />

forza di cosé le differenze.<br />

Convivenza ma senza insofferenza, musulmani, cristiani e animisti che festeggiano assieme<br />

tutte le feste religiose, dal Ramadan al Natale, alla Pasqua; etnie differenti come wolof,<br />

pulaar, soninké e mandinga che sono riuscite nel tempo a mescolarsi armoniosamente;<br />

africani e occidentali, bianchi, neri e meticci, lavorano, studiano, si divertono assieme;<br />

senegalesi conservatori e liberali dialogano senza troppi problemi e per strada, donne velate<br />

passeggiano a fianco di ragazze con i seni strizzati in top provocatori.<br />

Ieri, uscita dall'università, stanca dopo una giornata passata davanti al PC, ho deciso di tornare<br />

a casa con il clandò, una delle forma di trasporto comune tipiche del Senegal. Il meccanismo<br />

è semplice: in alcuni punti strategici macchine di privati passano, effettuando determinati<br />

tragitti. Lungo le strade le persone fanno segno, come per fare l'autostop e fermano il clandò.<br />

La macchina si riempie piano piano ed effettua una specie di servizio di taxi comune. Arrivati<br />

a destinazione si fa cenno all'autista di accostare e gli si allungano i soldi della corsa. In linea<br />

di massima a Dakar città e periferia i tragitti sono brevi e i costi variano dai 50 ai 100 CFA<br />

(20 centesimi di euro), mentre esistono clandò che effettuano servizio extra urbano a prezzi<br />

più alti (per esempio per andare a Thiès, città ad un'ora di Dakar, da Buntu Pikine, periferia<br />

della città, si pagano all'incirca 1000 CFA (un euro e 50) a persona e la macchina parte una<br />

volta che si è riempita.<br />

Il problema principale per chi è nuovo in Senegal è di come riconoscerli dalle altre macchine.<br />

In effetti non c'è un modo preciso per farlo, è questione di farci l'occhio. In linea di massima<br />

si riconosco perché sono macchine vecchie o malmesse o perché hanno il punto di partenza o<br />

di fermata in alcuni posti precisi, proprio come la via a fianco dell'istituto dove lavoro.<br />

Preso il mio zaino, sempre con quell'aria da turista che mi porto dietro, ho attraversato la<br />

piccola stradina che dalla porta principale dell'IFAN porta ad un'uscita laterale che da sulla<br />

strada e mi sono diretta verso un gruppo di macchine ferme sul ciglio della strada. A fianco di<br />

ogni macchina un gruppetto di persone; studenti che si informano sul percorso dei clandò e<br />

autisti che si inviano clienti gli uni con gli altri a seconda della loro destinazione.<br />

Mi sono diretta veloce alla prima macchina e ho detto all'autista che andavo verso Saveur<br />

d'Asie, un ristorante cinese per asporto (ebbene sì, i cinesi sono proprio dappertutto), punto<br />

conosciuto dagli autisti di clandò e il più vicino a casa mia, a Baobab. “Monte la-bas” , “Sali<br />

nell'altra macchina” mi ha risposto secco e io mi sono prestata al solito meccanico<br />

comportamento, dopo aver detto la mia direzione, sono salita nella macchina in attesa di altri<br />

clienti e ho salutato chi già vi era seduto con un educato, “Assalamalekoum”. Nel giro di<br />

cinque minuti siamo partiti, stretti, come spesso si sta nei clandò, l'aria dei finestrini<br />

spalancati dritta negli occhi, che mi impediva di guardare bene il mare che costeggia la strada<br />

e le migliaia di senegalesi intenti a fare ginnastica nelle spiagge e nelle vie lungo la Corniche<br />

(la zona vicino l'università).<br />

Non so per quale ragione ma sono sempre felice quando prendo il clandò, stretta alla gente e<br />

osservo tutto quello che appare di fronte a me. Respirando a piene narici mi sono girata quasi<br />

per caso ad osservare le persone che condividevano con me questo piccolissimo viaggio, ed<br />

ecco lì di fronte a me la società senegalese: l'autista senegalese con i suoi pantaloni sportivi<br />

consumati e la canotta senza maniche; il bastoncino per pulire i denti tenuto stretto tra le<br />

labbra; al suo fianco una studentessa, jeans aderenti e una maglietta che lasciava intravedere<br />

le spalle nude, i capelli raccolti in mille piccole treccine, ordinate, a toccare le spalle, il<br />

lucidalabbra trasparente a dare luce ad una bellissima bocca carnosa. Dietro, al mio fianco,<br />

una signora di mezza età, robusta, fasciata nei suoi mille strati di velo colorato mi guardava e<br />

sorrideva; vicino, un anziano vestito con una lunga tunica bianca ed un cappellino ad<br />

incorniciare la testa, in mano il tipico chapelet (una sottospecie di versione islamica del nostro<br />

rosario) faceva scorrere tra le dita una pallina dopo pallina, mormorando, molto<br />

probabilmente, qualche preghiera in arabo.<br />

Io, zaino sopra le gambe, bianca, europea, con le spalle tatuate. Tutti assieme ridevamo,<br />

parlavamo, fino a che ognuno raggiungeva la propria destinazione e veniva salutato dal<br />

gruppo con grande educazione.<br />

Questo semplice piccolo viaggio è stato per me un grande insegnamento di vita. In questi<br />

giorni ci ho ripensato spesso e mi sono chiesta: e se anche le altre società facessero un giro

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