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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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Intessuta di credenze animiste quella dei senegalesi è una fede semplice e<br />

forte allo stesso tempo; c'è un'adesione completa alla religione, un<br />

entusiasmo non filtrato attraverso ripensamenti critici, e la grande eredità<br />

della cultura umanista e del socialismo utopico lasciato da Senghor, oltre<br />

che un’estrema tolleranza culturale e religiosa, per cui i cattolici, pur<br />

essendo un’esigua minoranza, godono uguali diritti dei musulmani e ogni<br />

etnia, anche la più piccola, ha uguale dignità sociale e conserva le proprie<br />

tradizioni.<br />

Del resto Senghor, pur essendo cattolico, ha governato per 20 anni un<br />

paese dove il 90% della popolazione è musulmana; pur appartenendo<br />

all'etnia serere, che non è l'etnia maggioritaria del Senegal, è ricordato<br />

come una delle figure più importanti di tutto il paese.<br />

2009.<br />

“All'improvviso arriva un messaggio, è Matador, artista rap di Thiaroye (quartiere ghetto di<br />

Dakar) ma soprattutto il mio migliore amico. “C'è un tuo amico, Mamadou, chiede di te”.<br />

Sono sorpresa, Mamadou è un ragazzo senegalese conosciuto su Facebook grazie ai miei<br />

articoli. Internet è un autoparlante globale. Scrivo sul Senegal da quasi due anni e in tanti<br />

concoscono me attraverso le mie parole. La cosa mi fa sorridere, ne sono contenta. In un<br />

epoca in cui l'apparire e l'immagine fanno l'essenza della persona, mi fa piacere sapere che io<br />

sono in quanto ciò che so fare, scrivere, nulla di più, nulla di meno. E grazie ai miei scritti il<br />

mio piccolo grande mondo senegalese fa il giro della rete in un click, portando alla ribalta<br />

persone comuni, gesti, parole, frammenti di quotidinanità che altrimenti resterebbero dietro le<br />

quinte, invisibili. Matador è uno di questi, un moderno combattente della nuova resistenza.<br />

Quella contro l'ignoranza, la povertà, la schiavitù intellettuale, la paura di non riuscire, la<br />

voglia di emigrare ad ogni costo che pervade tutto un paese, il Senegal. Nato in un quartiere<br />

dei più degradati, ha rinunciato alla possibilità di restare in Europa, nonostante la sua musica<br />

ce l'avesse portato, per ritornare e portare avanti un progetto difficile e ambizioso,<br />

Africulturban, che si propone di creare sviluppo attraverso la cultura urbana. “L'impresa rap<br />

è una delle più redditizie, sia negli Stati Uniti che in Francia” mi dice “e dà da lavorare a<br />

tantissimpersone. Qui il rap è uno dei generi musicali più seguiti, perché non trasformarlo in<br />

impresa e creare posti di lavoro? Se poi pensi che la musica è anche un potente mezzo per<br />

veicolare messaggi, il rap potrebbe diventare la voce dei giovani per sensibilizzarli su<br />

tematiche sociali differenti e insegnare loro che la professionalità, unita all'impegno portano<br />

sempre a raggiungere grandi obiettivi, anche se si viene da un quartiere povero”. Matador ha<br />

ragione, lui che è rimasto nel suo quartiere per poter dare l'esempio ai giovani che un'altra<br />

possibilità c'è. Corro al centro, ho davvero voglia di incontrare Mamadou, è uno dei miei<br />

lettori e critici più attenti e puntigliosi. La sua parola parla già di lui. Arrivo e lo trovo seduto<br />

a chiacchierare con i ragazzi del centro. Lo abbraccio, è come se ci conoscessimo da sempre.<br />

Mamadou è uno dei tanti ragazzi emigrati in Italia da anni, semplice, a modo. “La situazione<br />

attuale italiana mi spaventa” mi dice a voce bassa e lo sguardo a terra “mi spaventa<br />

l'ignoranza della gente comune, l'abbruttimento delle persone, la crescita del razzismo”. Poi<br />

continua “eppure la gente crea problemi anche quando non ce ne sono. La convivenza non è<br />

mai facile ma può essere la base di una crescita comune, il punto di partenza per conoscere e<br />

imparare altro e per migliorarsi”. Annuisco. Penso al mio lavoro di ricerca, alla mia tesi di<br />

<strong>dottorato</strong> nata e scritta qui, in Senegal. Una tesi che è la voce delle persone, dei loro racconti,<br />

dei loro pensieri. Se non avessi mai viaggiato, se non avessi conosciuto un'altra cultura, se<br />

non mi fossi data il tempo di ascoltare, di mettere da parte i miei stereotipi occidentali per un<br />

momento, non avrei mai potuto vedere che c'è altro e che quell'altro è spesso<br />

sorprendevolmente arricchente. E' bastata l'umiltà dell'ascolto. Thierno Bokar, un saggio della<br />

regione di Bandiagara riassunse bene dicendo, se vuoi sapere chi sono, se vuoi che ti insegni<br />

ciò che so, cessa momentaneamente di essere ciò che tu sei e dimentica ciò che sai.<br />

“Ieri mia figlia è venuta da me e mi ha detto: papà voglio portare il velo. Ha solo 9 anni. L'ho<br />

accompagnata a comprarlo e oggi l'ha messo per andare a scuola. Frequenta una scuola<br />

privata cattolica. Quando è tornata a casa nel pomeriggio le ho chiesto se qualcuno le avesse<br />

detto qualcosa; se anche solo una persona avesse fatto battute o si fosse lamentata del fatto<br />

che portasse un velo a coprire il capo” racconta Mamadou “Con mio stupore mia figlia mi ha<br />

risposto: No papà, nessuno, perché?”. Poi continua “Ho realizzato solo allora di come<br />

riflettessi secondo lo schema italiano, per cui la differenza è una colpa. Non se ne parla mai<br />

ma qui in Senegal esiste ancora il rispetto verso l'altro e l'identità che si porta dietro. Un paese<br />

che ha avuto per vent'anni un presidente, Senghor, appartenente ad una minoranza etnica e

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