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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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l'orrida Fadia ma ridatemi i miei piccoli mondi conosciuti.<br />

Per fortuna hanno inventato gli mp3. Le mie cuffie enormi mi aiutano a isolarmi ma allo<br />

stesso tempo a vivermi tutto quello che mi sta attorno, tagliando di netto voci, vocine,<br />

sussurri, frasi e insulti. Oltre al doversi reintegrare all'interno di un sistema di quartiere ho<br />

dovuto ricominciare ad imparare strade e percorsi, compresi quelli che da Yoff mi avrebbero<br />

portato a Sandaga. Risultato che mi sono ritrovata in mille posti differenti a dover fare<br />

scarpinate a piedi per ritrovare la strada. E poi c'è Gardaland, ovvero come andare sulla<br />

montagne russa prendendo i mezzi pubblici. Il numero magico è il 23. Prendetelo dalla<br />

stazione di Dior fino in città. Chiamarla avventura è dir poco, correre dietro al bus che di<br />

mattina in mattina si ferma un pò prima, un pò dopo rispetto alla fermata, non si ferma<br />

proprio e ancora, la rissa per salire, la gente che ti sale in groppa pur di prendere un posto,<br />

manate, gomitate, ginocchiate. A Trieste, con le vecchie pazze avevo pensato di aver visto<br />

tutto, moribonde alla fermata, diventavano iene appena il bus apriva le porte, bastoni alzati e<br />

voci minacciose. Qui c'è una tipologia di cerca-posti-nel-bus ben peggiore: le signore drianke.<br />

Avvolte nei loro bubù colorati, così distinte e femminili nell'attesa, si trasformano in lupi<br />

famelici non appena l'autobus si ferma. Queste donnone sono capaci di passarti sopra senza la<br />

minima esitazione, facilitate dalla potenza dei loro enormi sederi. Una mossa d'anca a destra e<br />

una a sinistra e ti ritrovi seduto vicino all'autista. Riescono nell'impossibile, corrono dentro il<br />

mezzo in movimento pur di accaparrarsi l'unico posto libero e se il posto non c'è, fanno finta<br />

che ci sia e si siedono tra i poveri malcapitati. Questi ultimi, impauriti dalla stazza della<br />

donnona di turno cercano di stringersi il più possibile ma senza riuscita. Il piccolo spazio che<br />

si crea è sufficiente per coprire lo spazio di una mezza chiappa. Le drianke non fanno la ben<br />

che minima piega. Si siedono e punto. I vicini allora schizzano fuori come bottoni di una<br />

camicia che partono per la troppa ciccia. Come è successo a me stamane. Dopo essermi<br />

conquistata un posto a sedere è arrivata lei, la signorotta di turno, il foulard a coprire le spalle<br />

e il ventaglio e tante, troppe chiappe, come sempre. Piazzate sul sedile, il suo vicino, che era<br />

poi il mio vicino, ha dovuto piombare dalla mia parte e, di conseguenza, io dalla parte<br />

dell'altro mio vicino. Tre idioti schiacciati e seduti uno sull'altro e la driankona spaparanzata<br />

tranquilla a comandare che le aprissimo il finestrino, le comprassimo un giornale, le<br />

allungassimo un sacchetto d'acqua.<br />

Se dovessi dire una delle cose che caratterizzano questo paese oltre al banale thiebou dienn, al<br />

caffé Touba, ai baye fall, a Sandaga, ai car rapide, allo 'mbalax, a Youssou'n'Dour io direi<br />

anche i sederi. Sì, non fate sempre i pudici censori. Qui tutto è chiappe. E che chiappe.<br />

Chiappine, chiappette, chiappone, chiappazze. Sederi talmente rialzati che potrebbero servire<br />

da porta vassoi, non a caso i bambini legati dietro la schiena delle mamme non scivolano mai<br />

come capitava invece a me quando legavo mia figlia con il foulard. Alle senegalesi i bambini<br />

stanno su come se stessero seduti su uno sgabello, potrebbero quasi sdraiarsi in tutta<br />

tranquillità, giocare ai lego, chiamare gli amici e fare una partita a carte, tanto di posto ce n'è e<br />

in abbondanza davvero. Esteticamente bello da vedere, su questo non ci piove, d'altronde chi<br />

non vorrebbe un bel paio di chiappe così? A lungo andare però diventa anche un incubo, io<br />

sono diventata fobica dei sederi delle signore drianke. Sederi ovunque, sederi che ti spingono<br />

per passare, sederi sempre in vista perché qui sono sempre piegate per raccogliere qualcosa,<br />

per scopare per terra, per vedere le magliette al mercato, per provare le scarpe.<br />

Stò aspettando solo che inizino a parlare. Ormai ho l'incubo di culi parlanti. E vi chiederete,<br />

cosa c'entra Gardaland? Prendete il 23, come dicevo. La prima volta, felice per aver trovato<br />

un posto a sedere, mi ero rilassata con un libro di antropologia davanti ed ecco che comincia<br />

la sagra. Buche, sassi, autisti pazzoidi e l'autobus si trasforma in una montagna russa, salti dai<br />

sedili di mezzo metro, gente spalmata contro i finestrini, anziani che volano da una parte<br />

all'altra. L'unico che rimane sempre composto è il venditore di biglietti, piazzato in una gabbia<br />

al centro dell'autobus. Un mito. Con la mia schiena che urlava di gioia e con il mio vicino in<br />

braccio ho capito che dovevo riporre il mio libro nella borsa, me la sarei tirata da intellettuale<br />

un altro giorno. Però che bello, come una bambina ridevo sotto i baffi, vivendomi il mio<br />

Gardaland senegalese con di sottofondo la canzone Real Jamaicans. Il viaggio in bus qui è<br />

dancehall pura. Ma chi cambierebbe mai questo paese per tornare in Italia? Anche adesso che<br />

scrivo seduta nel mio piccolo negozio a Sandaga, immersa nella musica reggaeton di Pape, il<br />

mio vicino di boutique, mi rendo conto che l'anti socialità per eccellenza, miss <strong>Chiara</strong>-Diarra-<br />

Ciara-Mame Diarra, è obbligata ad aprirsi al mondo. Il Senegal mi ha imposto con forza il<br />

contatto con gli altri, in maniera dura a volte, ma mi ha aiutato come se fosse uno psicologo di<br />

reputata fama a riscoprire la mia socialità. Qui parlo, mi confronto, ballo, canto, discuto,<br />

mangio assieme agli altri, saluto le persone. No, non è banale. In Italia abbiamo perso tante<br />

cose. Non parliamo più con la gente che incontriamo per strada, non ci confrontiamo più, non<br />

balliamo più all'improvviso, non cantiamo più, mangiamo spesso soli e non ci salutiamo<br />

nemmeno più. Qui mi capita ancora di chiudermi ma è davvero troppo difficile. Questo mio<br />

adorato Senegal mi ha rieducato che si vive assieme, che si condivide, che la parola non costa<br />

nulla. E che la socialità salva l'uomo.<br />

Ieri, tornando verso casa, stretta tra la gente nel bus osservavo le persone parlare tra di loro<br />

seppur non conoscendosi, passarsi i giornali, passarsi soldi e biglietti e mi sono chiesta,<br />

perché noi non lo facciamo più? Perché noi abbiamo paura del prossimo? Più agiati forse, ma<br />

più soli, più tristi. Naturalmente anche ieri sera mi sono persa e dalla fermata dove avrei<br />

dovuto scendere sono finita nel bel mezzo di Yoff villaggio, una specie di incrocio tra Pikine e

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