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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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affrontati differenti tematiche, dal disagio giovanile, alla mancanza di educazione civica, alle<br />

prossime elezioni presidenziali. Salutato il gruppo e scesa a Patte d'Oie, ho dovuto girare in<br />

tondo per più di mezz'ora per trovare un clandò che partisse nella mia direzione. I senegalesi<br />

hanno un brutto difetto. Non possono dire no. E non possono dire che non sanno. Allora<br />

dicono sempre sì, che sanno tutto quello che tu chiedi e sanno fare tutto quello di cui tu hai<br />

bisogno. Chiedi un'informazione su una direzione? Sappi che nel 90% dei casi non sapranno<br />

dov'è ma ti indirizzeranno da qualche parte. Verso dove, poi chissà. E quindi ho girato e girato<br />

in tondo, sono salita e scesa da almeno due clandò parcheggiati, finché mi sono ritrovata su<br />

quello buono. Come al solito la macchina era scassatissima, nessuna manopola per aprire il<br />

finestrino e il solito autista roots-underground con il bastoncino tra i denti. Ricordo che ho<br />

messo su le mie cuffie e ho canticchiato per un bel pezzo di strada. Ad un certo punto una<br />

telefonata dall'Italia. Chiuso il cellulare, una voce da dietro: “Sei bolognese?”. Ecco, penso,<br />

un altro senegalese che deve mostrare a tutti che parla italiano, che è stato in Italia o che è qui<br />

in vacanza. Che palle. “No, sono di Padova” ho rispondo secca partendo con le domande di<br />

rito: “E tu? Quanti anni sei stato in Italia? In che città hai abitato? Da quanto sei tornato? Che<br />

fai in Italia?”. Ogni tanto mi sento una maestrina all'asilo. Il ragazzo risponde tranquillo, è qui<br />

in vacanza, abita a Rimini dove fa l'ambulante e sono dieci anni che è emigrato. Non mi sono<br />

ancora girata per guardarlo. Incontro talmente tanti senegalo-italiani, come li chiamo io, che<br />

non ci faccio nemmeno più caso. Già dieci anni fa l'avevo detto alla mia relatrice di tesi. Il<br />

legame tra Senegal e Italia è forte e lo sarà sempre di più negli anni. Eppure la sua voce è<br />

diversa da tutti gli altri. Il tono non è il solito di chi vuole attirare attenzione. Al contrario<br />

sembra quasi che lui mi abbia messo nella posizione di chi è ridicolo nel fare domande banali<br />

e scontate. Mi giro a guardarlo. Nel buio lo intravedo appena, è un mio coetaneo, magrolino<br />

ma con un gran sorriso simpatico.<br />

“Mi chiamo Thierno ma a Rimini mi conoscono come Max”. “Piacere, <strong>Chiara</strong>” gli rispondo.<br />

Mi dice che scende a Dior, come me. Continuiamo a chiacchierare, Thierno è stupito di<br />

vedere un'immigrata fatou fatou italiana in Senegal, mi fa mille domande, sul perché della mia<br />

scelta, sul mio lavoro, sulle difficoltà incontrate. Poi mi racconta di lui, è di Kaolack una città<br />

a sud di Dakar, è li che vive la sua famiglia. A Dakar ha aperto due negozi, uno di telefonia<br />

mobile, dove lavora il fratello minore, anche lui arrivato da Kaolack e uno di vestiti importati<br />

dall'Italia, aperto in società con un amico senegalese di Rimini e gestito da un amico comune.<br />

“Vieni che te li faccio vedere”. Tentenno un pò, avrei un impegno. Alla fine cedo, non so<br />

perché ma Thierno ha l'aria rassicurante, simpatica. Arriviamo di fronte al negozio di vestiti e<br />

con mio grande stupore mi rendo conto che era il negozio che ogni mattina, andando a<br />

prendere il bus, attirava la mia attenzione: luminoso, carino, con dei gran bei vestiti. “Quindi<br />

questo è tuo!”. Bravo, penso. Poi scopro che Thierno è del '79, come me, ha già costruito una<br />

casa nella sua città natale e aperto due negozi. Mi sento una piccola nullità.<br />

A piedi ci dirigiamo verso la stazione di Dior. Vicino ad una delle zone snodo per eccellenza<br />

un altro piccolo negozio. In vetrina tutti gli ultimi modelli di telefonini. Dietro il bancone due<br />

ragazzi, più o meno della nostra stessa età. Sono tutti concentrati su Facebook. “Non dovevi<br />

inviare degli articoli?” mi chiede Thierno. “Sì, ma non ti preoccupare, poi vado al cyber”.<br />

Invece nel giro di cinque miunti fa alzare il fratello dalla sedia e mi da il suo pc. Teranga<br />

senegalese. Scrivo e nel frattempo chiacchiero. L'altro ragazzo è El Hadji, l'amico con cui<br />

Thierno ha aperto il negozio di vestiti. Anche lui lavora a Rimini e anche lui è qui in vacanza.<br />

Anzi, io le definirei vacanze-business. In molti ormai tornano qui per almeno due, tre mesi,<br />

chi per mancanza di lavoro, chi in congedo, chi in cassa integrazione e trafficano,<br />

commerciano, comprano, vendono, aprono attività.<br />

La combriccola che si è venuta a creare è davvero interessante. Potere magico del clandò. “Se<br />

non hai fretta ti mostro dove vivo, così parliamo ancora un pochino, poi ti accompagno a<br />

Yoff”. Tentenno. Non vado mai da nessuna parte con chi non conosco ma, ripeto, Thierno ha<br />

qualcosa di diverso. Decido di andare. Ci dirigiamo verso un immobile poco lontano, ben<br />

curato. Thierno ha affittato una stanza all'interno di un appartamento di proprietà di un<br />

emigrato in Spagna ed è la moglie che affitta e gestisce la casa. Ad aprirci proprio lei, una<br />

signorotta dall'aria simpatica che mi invita subito a cenare con lei e i bambini. La stanza è<br />

grande, tipica camera in affitto: un materasso a terra, vestiti e scarpe ben ordinati negli angoli,<br />

una televisione, uno stereo e un dvd.<br />

“Ho affittato questa stanza per mio fratello, ma quando sono qui vivo qui anch'io” poi<br />

continua “Pago 50 euro al mese, alle volte quando in Italia guadagno bene mando giù anche<br />

150 euro così può pagare subito tre mesi”.<br />

La solidarietà che i migranti dimostrano mi colpisce sempre. Questi ragazzi che partono<br />

all'estero e che spesso faticano, vendono per strada, sopravvivono alle mille difficoltà,<br />

riescono sempre a trovare il modo per mandare soldi a casa per aiutare i familiari. Questa<br />

caratteristica è quella che più ci differenzia da noi italiani, diventati ormai troppo egoisti,<br />

troppo legati ad una filosofia dell'ognun per sé, Dio per tutti.<br />

Thierno va a lavarsi poi torna. Per lui è tutto normale, come se fossimo amici di lunga data.<br />

Poi continua: “Sono partito dieci anni fa, con un visto comprato. Ho pagato l'equivalente di<br />

4.000 euro ad un cantante che è riuscito a farmi partire con lui e il suo gruppo in Francia.<br />

Pensa, in ambasciata, prima di rilasciarci il visto ci hanno fatto suonare per vedere se<br />

effettivamente eravamo musicisti”.<br />

“E com'è finita?” gli chiedo curiosa. “È finita che siamo partiti, suonavo il piccolo tamburo

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