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Tesi dottorato Transborder Policies Chiara Barison.pdf - OpenstarTs ...

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“È ricominciato il caldo a Dakar. Stamattina, tornando dal mio parrucchiere di fiducia, un<br />

ragazzino guineano di appena 17 anni, ho dovuto rifarmi la doccia, già completamente sudata<br />

dopo solo una piccola passeggiata nel quartiere. Quando mi ha visto arrivare si è messo a<br />

ridere, lui e i suoi capelli alla Snoop Dogg. Si è tolto le cuffiette dalle orecchie e mi ha detto<br />

“Non ti ho più vista, dov'eri sparita Diarra?”. “Ero tornata in Italia” ho risposto “ma adesso mi<br />

sono trasferita qui, per sempre”. “On est ensemble” (siamo insieme) mi ha detto dopo avermi<br />

fatto entrare nel suo piccolo garage adibito a negozio. Una tenda ingrigita dalla polvere e dal<br />

tempo, la porta d'ingresso. Una volta entrati, due grandi specchi alle pareti, due sedie, una<br />

grossa radio anni '80 e tutti gli attrezzi per tagliare i capelli. Certo, un barbiere di Fadia di<br />

sicuro non mette in preventivo di trovarsi un bel giorno di fronte ad una toubab, donna per<br />

giunta, che vuole rasarsi i capelli. Lo scorso anno avevo aperto all'improvviso la tenda di quel<br />

negozio, uguale a tanti sparsi un pò ovunque nelle periferia della capitale senegalese, piccole<br />

baracche di alluminio tirate su alla buona, pullulanti di ragazzi e musica a tutto volume. Senza<br />

il chiacchiericcio pesante delle comari di paese, sono praticamente i negozi di parrucchieri<br />

ideali. La mia entrata improvvisa aveva interroto la routine mattutina per almeno un paio di<br />

minuti, il tempo per tutti i presenti di chiedersi, “Ma da dove diavolo ?!?....Ma chi......?!”. Mi<br />

ero seduta come se niente fosse e avevo detto: “Devo rasarmi”. Il giovane Snoop non aveva<br />

fatto una piega, cogliendomi di sorpresa. Io che amo fare piccoli teatrini non avevo destato<br />

nessuna curiosità nel ragazzino-parrucchiere-proprietario-sosia di Snoop.<br />

Ma come? Nessuna battutina, nessuna frase, nessuna allusione al mio essere toubab?<br />

“Quanto costa?” avevo continuato cercando un appiglio per discutere. “1000 CFA” mi aveva<br />

risposto subito con un tono a metà tra il seccato e il sorpreso. Un euro e cinquanta. Ecco, mi<br />

aveva chiuso la bocca in meno di un secondo. Era stato onesto. “Non sei senegalese?” ho<br />

continuato io. “No. Sono della Guinea Konakry”. Il silenzio all'improvviso fu rotto da una<br />

sonora risata generale. Alle volte gli stereotipi possono aiutare a smorzare situazioni tese,<br />

buttando tutto sul gioco e la battuta (filosofia wolof docet). Dakar è un pullulare di comunità<br />

straniere, guineani (generalmente occupati nel piccolo commercio fatto di boutique e<br />

baracchini), sierra leonesi, ivoriani, liberiani, nigeriani (la maggior parte dei quali dediti al<br />

mercato della prostituzione, della droga o delle truffe online), libanesi (l'élite più ricca del<br />

paese con in mano il monopolio del commercio), cinesi (la comunità più silente eppure la più<br />

visibile), mauritani (anch'essi dediti al piccolo commercio) e la comunità europea (in costante<br />

aumento, impegnata soprattutto nella piccola imprenditoria, nel turismo o nel no profit).<br />

Il professor Pape Demba Fall, uno dei grandi nomi dell'IFAN (l'Istituto Fondamentale<br />

dell'Africa Nera) presso l'Università pubblica di Dakar, Cheikh Anta Diop, ci teneva a<br />

precisarlo sempre nelle sue conferenze sulla tematica migratoria. “Il Senegal è storicamente<br />

un paese di accolgienza di migranti, prima di essere una società di partenza di emigranti”. E io<br />

aggiungerei che continua tutt'oggi ad esserlo. Purtroppo la tragicità del fenomeno<br />

dell'emigrazione clandestina ha reso il fenomeno dell'emigrazione maggiormente visibile<br />

rispetto a quello dell'immigrazione. Un paese che insegna, il Senegal. L'integrazione tra<br />

comunità straniere è evidente. La politica all'immigrazione e il sistema sociale senegalese<br />

hanno saputo assorbire all'interno delle proprie reti sociali un numero sempre crescente di<br />

cittadini stranieri. Rari i casi di discriminazione arrivati all'opinione pubblica; se di razzismo<br />

si può parlare poi, è limitato ad un residuo astio nei confronti della colonizzazione passata e<br />

all'attuale politica all'immigrazione messa in piedi nei paesi occidentali, che genera un fastidio<br />

generale (e comprensibile) nei confronti degli stranieri liberi invece di venire in Senegal.<br />

Il problema, semmai, sembra essere il contrario, ovvero la chiusura da parte delle comunità di<br />

emigrati stessi, in se stesse. La comunità di italiani non ne è esente. E questo fa alquanto<br />

sorridere. Da noi si reclama a gran voce uno sforzo (se non addirittura un obbligo forzato) da<br />

parte dei migranti stranieri all'integrazione, all'accettazione e all'adeguamento alle nostre<br />

pratiche socio-culturali, nonché ad una perfetta conoscenza della lingua e della cultura<br />

italiana. Qui in Senegsal gli immigrati italiani (salvo rari casi) vivono in simbiosi tra loro,<br />

riadattando modelli propri della nostra società. La società senegalese (e quindi anche la<br />

cultura e la lingua wolof) sono vissute lo stretto necessario per l'ambito lavorativo.<br />

Per il resto le abitudini rimangono quelle italiane, indipendentemente dal numero di anni<br />

passati in Senegal. Un pullulare di differenze quindi che vivono in una sorta di armonica<br />

sopportazione le une dalle altre. La piaga continua ad essere l'emigrazione clandestina. Seppur<br />

con un lieve ribasso rispetto alle partenze di qualche anno prima, dovute ad un inasprimento<br />

dei controlli e delle pene rispetto al reato di clandestinità e alla crisi economica, numerosi<br />

sono ancora i giovani e meno giovani che tentano giornalmente di partire clandestinamente.<br />

Partire resta ancora uno dei sogni che accomuna tanti adolescenti senegalesi.<br />

Ieri ero a cena da Aminata, un'amica di Pikine. Era nervosa mentre preparava la cena. Io la<br />

osservavo pulire il pesce e tagliare le cipolle, il viso imbronciato. Non le ho chiesto nulla, poi<br />

all'improvviso ha posato il coltello, si è riempita un bicchiere d'acqua e mi ha detto: “Mio<br />

fratello ha chiamato dal Marocco. Ha detto che ha cambiato idea, non vuole più partire”.<br />

“Umm...” ho bisbigliato io mentre seguivo la fuga di un piccolo scarafaggio per terra.<br />

“Dove doveva andare?” le ho chiesto facendo finta di non capire. “In Spagna. È mio fratello<br />

maggiore che gli ha trovato il contatto. Lui è il più piccolo della famiglia, ha solo 23 anni ma

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