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liane si aggira tra i 100-130 m<strong>il</strong>iardi di euro e<br />

almeno <strong>il</strong> 60% di questa ricchezza rientra nel<br />

circuito economico legale, <strong>il</strong> problema non è<br />

più l’economia criminale, ma la demarcazione<br />

del confine tra legale e <strong>il</strong>legale.<br />

Quando si colpisce una ‘ndrina a Gioia Tauro,<br />

un clan a <strong>Napoli</strong> o una cosca a Palermo e se<br />

ne ricostruiscono le attività imprenditoriali, si<br />

arriva in Em<strong>il</strong>ia, a M<strong>il</strong>ano, nel cuore di Roma.<br />

Se si ricostruiscono i flussi finanziari, si parte<br />

da una banca di provincia per arrivare in Germania,<br />

Russia, Australia, magari passando<br />

per qualche studio legale internazionale di<br />

Roma o M<strong>il</strong>ano.<br />

Se agli inizi del vecchio secolo e dopo la seconda<br />

guerra mondiale gli insediamenti mafiosi<br />

italiani nel mondo seguivano i flussi di<br />

emigrazione, oggi seguono i flussi finanziari.<br />

Per questo va smontata l’ipocrisia, che vale<br />

per le regioni del Nord dell’Italia come per i<br />

paesi europei, di chi non vede le mafie fino a<br />

quando non insanguinano le strade. E’<br />

quanto è successo a Duisburg con la strage di<br />

ferragosto del 2007. Lì gli uomini della<br />

‘ndrangheta c’erano da anni, ma per i tedeschi<br />

<strong>il</strong> problema era degli italiani e tale sarebbe<br />

rimasto se una notte non vi fossero<br />

stati sei ragazzi uccisi a scuotere l’opinione<br />

pubblica e a farne scoprire <strong>il</strong> volto violento<br />

nel cuore della Germania industriale. Ma Duisburg<br />

non è solo fabbriche e pizzerie: è a<br />

metà strada tra <strong>il</strong> porto di Rotterdam, uno dei<br />

più grandi d’Europa, e la Borsa di Francoforte,<br />

una delle più importanti del mondo. E tutti i<br />

più importanti protagonisti di quella strage,<br />

non sono stati arrestati a San Luca, ma ad<br />

Amsterdam.<br />

Se si ricostruisce la rete messa in piedi dall’Alleanza<br />

di Secondigliano, si parte dalla Zona<br />

Nord di <strong>Napoli</strong> ma si arriva a Madrid e Barcellona,<br />

a Parigi e Berlino, a Londra e Mosca,<br />

a Sidney e Toronto, in Cina e in Bras<strong>il</strong>e. E così<br />

la vecchia tradizione dei “magliari” napoletani<br />

si trasforma in un modello di multinazionale<br />

moderna, con un proprio Cda, <strong>il</strong><br />

“direttorio”, e dà vita ad un mercato parallelo<br />

delle merci contraffatte nel nuovo mercato<br />

globale. E’ l’altra faccia del “made in<br />

Italy” ma anche di un mercato che con l’irruzione<br />

delle produzioni cinesi ha cambiato totalmente<br />

natura e forme di competizione.<br />

Il problema è che queste mafie sono diventate<br />

soggetti economico- imprenditoriali moderni,<br />

viaggiano parallelamente alle trasformazioni<br />

sociali che mutano <strong>il</strong> rapporto tra economia,<br />

mercato e territorio e scelgono come territorio<br />

<strong>il</strong> mondo. Anche se non bisogna correre l’errore<br />

di pensare che la globalizzazione<br />

ridimensiona <strong>il</strong> peso del territorio d’origine:<br />

non esiste mafia senza un proprio territorio sul<br />

quale esercitare <strong>il</strong> proprio controllo economico<br />

e sociale, dal pizzo al condizionamento della<br />

politica, all’inquinamento della pubblica amministrazione.<br />

Abbiamo quindi un dovere in più, quello di<br />

sfidare le mafie nella dimensione locale e in<br />

quella globale: riconquistare i territori non<br />

solo con la repressione ma con nuove politiche<br />

sociali e risposte pubbliche alternative al<br />

lavoro e ai modelli sociali creati dalla criminalità<br />

e colpire i flussi finanziari e <strong>il</strong> riciclaggio<br />

su scala sovrannazionale. Serve un diritto<br />

penale minimo su scala europea, <strong>il</strong> riconoscimento<br />

del reato di associazione mafiosa, del<br />

sequestro e della confisca dei beni per mafiosi<br />

e corrotti in tutti i paesi dell’Unione. Ma<br />

occorre rendere trasparente <strong>il</strong> mercato e la<br />

tracciab<strong>il</strong>ità dei capitali. L’opposto di uno<br />

scudo fiscale, come quello voluto dal governo,<br />

che assicura l’anonimato ai capitali <strong>il</strong>leciti<br />

e criminali al loro rientro. Basta vedere<br />

quello che è successo con la ‘ndrangheta che<br />

ha portato i suoi capitali nel cuore di Fastweb<br />

e quindi di Telecom, grazie a una rete di manager<br />

e a un senatore come Di Girolamo, per<br />

capire quali sono i rischi reali del momento.<br />

Per questo non basta solo la repressione e<br />

l’azione giudiziaria e penale ma serve<br />

un’opera di verità sul modello economico, sul<br />

sistema delle imprese e sulla politica. Ma su<br />

questo, da destra a sinistra, i segnali non<br />

sono ancora dei più incoraggianti.<br />

In 368 pagine la mappatura<br />

degli interessi economici<br />

delle mafie in Italia e nel<br />

mondo.<br />

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