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Mafia connecon: un impero globale
Le holding del malaffare si estendono fino in Australia
di Francesco Forgione
C’è una dimensione della presenza e della natura
delle mafie italiane che continua ad essere
sottovalutata nell’analisi della sua
diffusione e pericolosità e per questo inadeguatamente
contrastata e combattuta. E’ la
dimensione internazionale e il suo salto di
qualità prodotto negli ultimi anni. Eppure,
proprio la presenza diffusa e ramificata delle
mafie italiane in Europa e nel mondo dovrebbe
farci interrogare, ben al di là degli
aspetti più prettamente “criminali” e giudiziari,
sulla natura delle mafie oggi e sul loro
peso in un’economia senza confini nazionali e
in una finanza globale senza controlli e vincoli
reali di trasparenza.
Si tratta di una delle facce del processo di globalizzazione
e delle politiche liberiste degli ultimi
decenni.
Lo scorso anno, in preparazione del G8 de
L’Aquila, le principali potenze economiche
mondiali dichiararono in pompa magna
guerra ai “paradisi fiscali”. Dopo un anno, ancora
si attende che venga stilata la lista nera
dei paesi-cassaforte dei capitali illeciti di tutto
il mondo. Ovviamente l’ostacolo non è rappresentato
solo dalla forza di pressione che i
rappresentanti della finanza nera delle diverse
mafie hanno sui governi e sulle istituzioni
internazionali, quanto dal fatto che
assieme ai capitali accumulati dalle mafie e
dai grandi cartelli del narcotraffico, negli
stessi “paradisi” si trovano i capitali prodotti
dalla corruzione politica, dalle grandi speculazioni
finanziarie e dal saccheggio spregiudicato
e illegale delle risorse mondiali in un
mercato senza regole.
Del resto la forza economica del narcotraffico
incide sulla politica, sulle istituzioni e sull’economia
di decine e decine di paesi, dall’America
Latina all’Africa all’Estremo Oriente, e
alcuni di questi si configurano come dei veri e
propri “narco-stati”. Da diversi anni, ormai,
non è più un problema di piccoli paesi produttori
di coca: quello che negli anni ’80 e ’90
del secolo scorso accadeva in Colombia, ora
avviene quotidianamente in Messico, con
circa 10.000 morti nella guerra tra i narcos
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Contributi
Francesco Forgione, ex presidente Commissione Anmafia
nello scorso anno e con quasi tutti gli stati
messicani, al confine con gli Stati Uniti, ormai
sotto il controllo dei nuovi “signori della
droga”.
Il Messico, che non produce cocaina, è però il
centro delle nuove rotte del traffico e la porta
d’accesso al principale mercato di consumo
mondiale assieme all’Europa, gli Stati Uniti.
Se un chilo di cocaina pura trasforma i 1.200
euro pagati al produttore nei 200.000 ricavati
sulle piazze dello smercio, la gestione di questa
potenzialità di riproduzione e accumulazione
finanziaria va necessariamente ben
oltre la pura dimensione “criminale” delle
strutture narcotrafficanti e delle mafie che
gestiscono il mercato per incrociare riciclatori,
notai, avvocati, commercialisti, direttori
di banche e di strutture finanziarie internazionali.
Si tratta di una borghesia mafiosa
senza le quali le mafie non avrebbero il potere
che hanno.
Non si può più occultare questo contesto globale
nel quale le mafie hanno ricollocato la
loro funzione e assunto un ruolo di impresa
e di moderne holding economico-finanziarie.
Se il fatturato annuo presunto delle mafie ita-