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Interceazioni: <strong>il</strong> d<strong>il</strong>emma del cronista<br />

Sono uli alla verità ma pericolose per la “privacy”<br />

di Giampaolo Longo<br />

Editoriali<br />

“Signor giudice, ho delle dichiarazioni da fare sull’omicidio di Giancarlo Siani”. Era <strong>il</strong><br />

1993 quando grazie alle dichiarazioni di Salvatore Migliorino, pentito del clan Gionta<br />

di Torre Annunziata, si accendeva la luce decisiva su un grande mistero italiano: la<br />

morte del cronista del “Mattino” Giancarlo Siani. Chi scrive seguì passo dopo passo lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo in picchiata dell’inchiesta: le dichiarazioni degli altri pentiti, le indagini tenaci<br />

dell’allora pm Armando D’Alterio, le intercettazioni ambientali e telefoniche nei<br />

confronti degli aff<strong>il</strong>iati al clan.<br />

Tre anni dopo, un’altra inchiesta, un altro processo: una delle tante storiacce di tangentopoli<br />

in provincia, uno dei tanti funzionari Asl arrestato per corruzione. “Lo avete<br />

giustiziato voi, con i vostri articoli, con tutte quelle dichiarazioni riportate dai giornali,<br />

con tutte quelle intercettazioni raccontate per f<strong>il</strong>o e per segno. Ma che c’entrano i nostri<br />

fatti di famiglia riportati pari pari sui vostri fottuti giornali?”. Le parole del figlio<br />

di quel funzionario mi inchiodarono: avevo seguito tutte le fasi delle indagini e io,<br />

come altri colleghi, avevo scritto l’impensab<strong>il</strong>e su quell’uomo, i suoi affari, i suoi colloqui<br />

di lavoro, le sue faccende private – anche quelle che con l’inchiesta non avevano<br />

nulla a che fare.<br />

Sono passati diciassette anni da quelle intercettazioni telefoniche sul caso Siani che<br />

mi riempirono d’orgoglio e sono passati quattordici anni da quei colloqui spiati di quel<br />

funzionario che ancora mi procurano un’ombra di vergogna.<br />

Oggi è passata tanta acqua sotto i ponti della giudiziaria, eppure le intercettazioni restano<br />

come pietra dello scandalo: sono ut<strong>il</strong>i a scoprire tangenti e accordi sottobanco<br />

destinati altrimenti a rimanere ignoti o sono devastanti perché – a meno che non si<br />

tratti di mafiosi inveterati e incalliti- rovinano famiglie, reputazioni, carriere?<br />

Dico subito che la legge che si prepara sulle nostre teste non mi piace. Pur ammettendo,<br />

come ho appena fatto, raccontando un’esperienza professionale di tanti anni fa,<br />

che ci sono state sbavature, forzature, ossessioni da cronisti giustizieri, dico che questa<br />

legge, con l’ipotesi del carcere per chi riporta brani intercettati, con la stretta sulle<br />

indagini che riduce <strong>il</strong> campo di applicazione di questo strumento investigativo, mi sembra<br />

una scelta peggiore del problema. La storia lo insegna ma purtroppo sembra che<br />

non si voglia capirlo: vietare non serve a risolvere, blindare non basta per impedire<br />

scassinamenti. Questo però non significa che chi scrive può scrivere tutto e <strong>il</strong> contrario<br />

di tutto in nome della libertà di stampa, sbandierata solo quando ci serve come un<br />

totem. Credo che noi giornalisti, la categoria intendo, e innanzitutto l’Ordine che in<br />

tanti vorrebbero eliminare, daremmo una buona prova di noi stessi e della nostra credib<strong>il</strong>ità<br />

– che non viaggia certo su alti valori – se ci dessimo delle regole, se stab<strong>il</strong>issimo<br />

una volta per tutte confini (reali) e sanzioni (vere) per chi non vuole informare, ma<br />

vuole l’inciucio, <strong>il</strong> disonore dell’indagato di turno, <strong>il</strong> fango nel vent<strong>il</strong>atore ut<strong>il</strong>e per annebbiare<br />

colpe e responsab<strong>il</strong>ità in un mare di veleni. E dobbiamo fare presto, non solo<br />

perché ne va del nostro futuro e della sorte della notizia in quanto tale ma perché i politici<br />

– di qualunque matrice essi siano – gongolano al solo pensiero di punirci, di sanzionarci,<br />

di metterci in riga. Non facciamo loro questo favore.<br />

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