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Le donne e la camorra, pentite o first lady?<br />

Ricoprono ruoli chiave nello scacchiere della malavita<br />

di Chiara Marasca<br />

Carmela arriva in carcere con l’accusa di associazione<br />

mafiosa. Per la legge, cura i contatti<br />

tra <strong>il</strong> marito detenuto e gli aff<strong>il</strong>iati in<br />

libertà: pizzini e messaggi dal carcere all’esterno,<br />

e viceversa. Dopo pochi giorni ottiene<br />

i domic<strong>il</strong>iari: è mamma di un bimbo di<br />

soli due anni. Quando torna a casa, ad attenderla,<br />

ci sono anche le due figlie adolescenti.<br />

Ma non è <strong>il</strong> rientro che lei aveva immaginato.<br />

Le ragazze la incalzano, le chiedono “che vita<br />

è questa?”, vogliono una mamma diversa,<br />

una donna che trovi <strong>il</strong> coraggio di pentirsi. E<br />

lei lo trova, perché ha paura che le portino via<br />

i figli. La collaborazione di Carmela Iuculano<br />

inizia nel maggio del 2004 e le sue testimonianze<br />

vengono raccolte dal pm Michele Prestipino,<br />

allora nella Dda palermitana, oggi a<br />

Reggio Calabria. La donna accusa di omicidio<br />

<strong>il</strong> marito, Pino Rizzo, boss mafioso legato ai<br />

corleonesi di Bernardo Provenzano, racconta<br />

i traffici criminali, svela come dalla cella si comunica<br />

con l’esterno, fa i nomi degli uomini<br />

della cosca. Grazie alle sue dichiarazioni scattano<br />

importanti arresti e viene anche sciolto<br />

<strong>il</strong> consiglio comunale di Cerda. “Una scelta<br />

sincera, compiuta fino in fondo”, commenta <strong>il</strong><br />

magistrato che ha seguito passo passo la storia,<br />

“sebbene diffic<strong>il</strong>issima. La sua è una svolta<br />

simbolica, che infrange <strong>il</strong> tabù dell’ineluttab<strong>il</strong>ità,<br />

dell’impossib<strong>il</strong>ità di interrompere la continuità<br />

dell’appartenenza mafiosa”, conclude<br />

Prestipino.<br />

Prima di Carmela Iaculano la mafia ha conosciuto<br />

altre “pentite”, come Giusy Vitale, e testimoni<br />

preziose, come Rita Atria, la giovane<br />

morta suicida una settimana dopo l’omicidio<br />

di Paolo Borsellino, che aveva scelto di allontanarsi<br />

da una famiglia nei cui “valori” non si<br />

riconosceva. Ma secondo l’attuale procuratore<br />

aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone,<br />

a lungo nell’antimafia di Palermo,<br />

«le donne, nell’universo della mafia sic<strong>il</strong>iana,<br />

molto masch<strong>il</strong>ista, hanno un peso ancora del<br />

tutto marginale. La presenza femmin<strong>il</strong>e nei<br />

ranghi dell’organizzazione», aggiunge <strong>il</strong> magistrato,<br />

“è ancora poco diffusa, e comunque<br />

poco significativa”.<br />

Italia<br />

Giusy Vitale<br />

Il 15 marzo scorso, in tutte le parrocchie della<br />

Diocesi di Locri-Gerace venivano lette queste<br />

parole: “Madri e mogli della Locride che soffre,<br />

se voi volete, potete recuperare tanti vostri<br />

mariti e figli alla legalità, all’osservanza<br />

della legge, al rispetto della persona e del lavoro<br />

altrui, al risanamento di tante nostre<br />

piaghe sociali, quali l’usura e l’estorsione, perché<br />

voi possedete le chiavi del loro cuore e<br />

potrete muovere le loro volontà e spingerle<br />

alla conversione e al bene”.<br />

Un appello alle donne che vivono in terra di<br />

’ndrangheta firmato dal vescovo Giuseppe<br />

Fiorini Morosini. Perché troppo spesso queste<br />

donne restano in s<strong>il</strong>enzio o, peggio, prestano<br />

i loro servizi alla causa criminale:<br />

“Svolgono ruoli sostanziali all’interno degli<br />

equ<strong>il</strong>ibri dell’organizzazione”, spiega ancora<br />

Pignatone, “nascondono latitanti e k<strong>il</strong>ler, trasmettono<br />

messaggi e direttive dal carcere all’esterno,<br />

e partecipano anche all’assunzione<br />

di decisioni importanti per gli affari della<br />

cosca”. Già nei primi anni Novanta, infatti,<br />

una collaboratrice di giustizia spiegava che<br />

“tutte le cose che si svolgevano, erano sempre<br />

tramite noi donne” e, più indietro nel<br />

tempo, “già negli atti di alcuni processi del<br />

primo Novecento”, racconta Ombretta Ingrascì,<br />

una delle massime esperte del fenomeno<br />

e autrice nel 2007 di Donne d’onore. Storie di<br />

mafia al femmin<strong>il</strong>e, “compaiono casi di donne<br />

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