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L’auto di un giornalista faa esplodere<br />

cariche di rifiuti tossici nel Mediterraneo; la<br />

seconda, l’esplosione misteriosa di un peschereccio<br />

nell’Adriatico che nel 1994 causò<br />

la morte dei cinque membri dell’equipaggio e<br />

che, secondo la ricostruzione di Lannes, sarebbe<br />

avvenuta per colpa di m<strong>il</strong>itari impegnati<br />

in un’esercitazione della Nato.<br />

A esporre al rischio sono soprattutto le inchieste.<br />

Quelle impegnative e pericolose che<br />

raccontano l’evoluzione delle mafie, <strong>il</strong> tessuto<br />

sociale in cui si sv<strong>il</strong>uppano e gli intrecci<br />

con la politica, quando apparentemente sembra<br />

non stia succedendo nulla.<br />

“Inchieste che servirebbero sempre di più e<br />

che si fanno sempre di meno”, dice Pino Maniaci,<br />

editore e direttore della “più piccola televisione<br />

del mondo”, Telejato a Partinico, in<br />

Sic<strong>il</strong>ia. Nella regione che conta <strong>il</strong> numero<br />

maggiore di martiri giornalisti, Maniaci attacca<br />

i boss, denuncia i loro affari, li insulta,<br />

proprio come faceva Peppino Impastato da<br />

Radio Aut. Viene continuamente minacciato,<br />

una volta lo hanno pestato, ma non si arrende.<br />

Ha dovuto subire anche un processo<br />

per esercizio abusivo della professione, a seguito<br />

di una denuncia anonima, da cui è stato<br />

assolto: “Ora <strong>il</strong> tesserino ce l’ho. Ma mi<br />

chiedo perché tanti che hanno questa patente<br />

da più tempo di me di certi fatti sembrano<br />

non accorgersi”.<br />

Questa piccola emittente è diventata un riferimento<br />

per gli stati maggiori dell’antimafia,<br />

sono andati ospiti nelle sue trasmissioni<br />

Pietro Ingroia, Giancarlo Caselli, don Luigi<br />

58<br />

Italia<br />

Ciotti, ed è nato persino <strong>il</strong> comitato di solidarietà<br />

‘siamo tutti Pino Maniaci’. “È questa visib<strong>il</strong>ità<br />

a salvarci la vita, ci rende meno<br />

vulnerab<strong>il</strong>i. Quando attorno c’è <strong>il</strong> deserto è<br />

tutto più diffic<strong>il</strong>e. Ho visto tanti giovani partire<br />

con la schiena dritta e poi piegarsi o cambiare<br />

mestiere”.<br />

L’attenzione mediatica può essere uno<br />

schermo, ma la solitudine resta la condizione<br />

più diffusa dei giornalisti sul fronte della lotta<br />

alle mafie. Poco o nulla si sa dell’offensiva<br />

lanciata dalla ‘ndrangheta contro i giornalisti<br />

di diverse testate locali calabresi. Almeno<br />

una decina negli ultimi mesi hanno ricevuto<br />

pesanti avvertimenti a non ficcare più <strong>il</strong> naso<br />

negli affari dei boss. “Sono trent’anni che faccio<br />

questo mestiere, abbiamo sempre dovuto<br />

prendere <strong>il</strong> fuoco con le mani, ma un clima<br />

così pesante non lo avevamo mai vissuto”,<br />

racconta Michele Albanese, cronista de Il<br />

quotidiano di Calabria , minacciato per i suoi<br />

articoli sui retroscena criminali della cacciata<br />

degli immigrati da Rosarno. Le sue parole<br />

sono una richiesta di aiuto: “Cerchiamo di<br />

rompere <strong>il</strong> muro di s<strong>il</strong>enzio e omertà che fa<br />

comodo ai capi mafia, indaghiamo sul tessuto<br />

sociale e politico, cerchiamo di suonare una<br />

sveglia anche culturale, ma del nostro lavoro<br />

sembra non importare a nessuno. È in questi<br />

momenti che mi chiedo: vale davvero la pena<br />

continuare a rischiare?”.

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