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Gli altri Saviano, cronisti impegnati e minacciati<br />
Sono tanti i giornalisti che denunciano e restano nell’anonimato<br />
di Luca Romano<br />
Ci vuole coraggio a scrivere di mafie. Lettere<br />
minatorie, pedinamenti, botte, auto incendiate,<br />
sono frequenti segnali di pericolo per i<br />
cronisti che scavano nei domini di clan, cosche<br />
e ‘ndrine. Negli ultimi tre anni oltre duecento<br />
giornalisti hanno subito pesanti intimidazioni<br />
per le loro inchieste. In dieci sono costretti a<br />
vivere sotto scorta. I casi di Roberto Saviano,<br />
Rosaria Capacchione, Lirio Abate sono solo i<br />
più noti. La maggior parte lavora per testate<br />
locali del Mezzogiorno, i loro nomi e loro notizie<br />
sono spesso ignorati dai media nazionali.<br />
“I giornalisti impegnati contro la mafia vivono<br />
nell’isolamento. A decretarlo è l’atteggiamento<br />
di molti colleghi ‘normali’, quelli che<br />
non superano mai <strong>il</strong> limite di guardia. Quel coraggio<br />
suona come un’accusa al loro modo di<br />
intendere la professione, prudente e rassegnato”,<br />
accusa Alberto Spampinato, direttore<br />
di “Ossigeno per l’informazione”, l’osservatorio<br />
creato nel 2007 da Ordine e Federazione<br />
nazionale della stampa per monitorare <strong>il</strong> fenomeno.<br />
Suo fratello Giovanni, corrispondente<br />
dell’Ora e dell’Unità in Sic<strong>il</strong>ia è uno dei<br />
cronisti uccisi negli ultimi trent’anni perché sapevano<br />
e scrivevano troppo, oggi Alberto gira<br />
l’Italia per sensib<strong>il</strong>izzare e raccogliere denunce.<br />
“Tra i più esposti ci sono i collaboratori, quelli<br />
che vanno alla fonte delle notizie e spesso non<br />
hanno neppure un contratto. Senza alcuna<br />
forma di tutela è più fac<strong>il</strong>e cedere alla tentazione<br />
dell’autocensura. É una conseguenza<br />
aberrante”, conclude Spampinato.<br />
Di vera e propria censura parla invece Gianni<br />
Lannes, in pochi mesi è stato oggetto di tre attentati.<br />
Per anni collaboratore di importanti<br />
giornali nazionali, punta l’indice contro l’intero<br />
sistema dell’informazione: alcune sue inchieste,<br />
racconta, sono rimaste chiuse nei cassetti<br />
dei direttori per cui lavorava. “Nel nostro<br />
Paese non ci sono editori puri e i molteplici<br />
conflitti di interesse impediscono la pubblicazione<br />
di molte notizie. Il lavoro nero e lo sfruttamento<br />
giornalistico dei precari sono forme<br />
odiose attraverso cui si controlla la libertà di<br />
espressione”.<br />
Italia<br />
Pino Maniaci, giornalista<br />
“Dalla Capacchione a Lannes,<br />
aManiaci,un'esistenzavissuta<br />
pericolosamente per far<br />
conoscere la verità sui clan.<br />
Michele Albanese de Il<br />
quodiano di Calabria: vale<br />
davvero la pena connuare a<br />
rischiare?”<br />
Ha fondato un giornale on-line ‘Italia Terra<br />
Nostra’ con sede in Puglia. “Le minacce<br />
hanno investito anche i miei collaboratori. I<br />
responsab<strong>il</strong>i non sono stati individuati ma i<br />
moventi – spiega - vanno probab<strong>il</strong>mente ricercati<br />
nell’indagine tutt’ora in corso sulle<br />
‘navi dei veleni’ e in quella sulla tragedia insabbiata<br />
del Francesco Padre”.<br />
La prima riguarda lo smaltimento di tonnellate<br />
di rifiuti tossici e radioattivi attraverso<br />
l’affondamento di decine di navi mercant<strong>il</strong>i<br />
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