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In alcuni Paesi non esiste neanche il reato di
associazione mafiosa. In Italia è nato dopo
l’uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa. In
Europa si comincia ora a portare l’attenzione
sull’argomento. È importante, perché si
tratta di un fenomeno che esiste anche in
altri Paesi, ma non è percepito in questi ter-
“Sisonofapassiavannella
loa, specie in Sicilia. Il
fenomenomafiosoèpresen
ancheinaltripaesidell’Unione
Europea”
mini. Bisogna spingere l’UE a guardarlo attraverso
la giusta chiave di lettura, anche
perché la mafia ha cambiato pelle, approfittando
della globalizzazione. Oggi ci sono legami
con le mafie storiche di altri Paesi, ad
esempio con quelli dell’Est, che operano in
Italia e non potrebbero farlo senza il sostegno
locale della criminalità organizzata e viceversa.
C’è, quindi, bisogno di nuove normative in
materia a livello europeo?
In Europa serve una legge come quella nazionale
per la confisca dei beni ai mafiosi e il
loro uso sociale. In Italia da questo punto di
vista ci sono molte esperienze positive, possiamo
dare molto agli altri Paesi, ed è necessario
che si colleghino con una legislazione
comune, come è accaduto per l’accesso ai
conti o per le rogatorie internazionali. Se non
ci sono più confini in Europa, non devono essercene
neanche da questo punto di vista.
Anche Eurojust, unità di cooperazione giudiziaria
dell’UE ed Europol, l’ufficio europeo di
polizia, si inseriscono in questa ottica.
In Italia, da anni, nelle scuole di ogni ordine
grado, si insegna educazione alla legalità. E
negli altri paesi dell’Unione?
In Europa non se ne sente la necessità, nelle
scuole non è previsto. Invece sarebbe importante,
perché serve a dotare le nuove generazioni
degli strumenti culturali corretti, delle
coordinate per capire e interpretare i fenomeni.
Anche da questo punto di vista l’Italia ha
esperienze significative che possono contribuire
a migliorare la situazione europea.
Interviste
I giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Il personaggio
Paolo Borsellino, magistrato simbolo della
lotta alla mafia vittima della strage di via
d’Amelio. Dopo l’uccisione del suo amico e
collega Giovanni Falcone nella strage di Capaci,
Cosa nostra decide la sua morte. Totò
Riina incarica Salvatore Biondino, suo uomo
di fiducia, che a sua volta si rivolge a uomini
legati a Bernardo Provenzano. Una condanna
a morte presa di comune accordo dalle due
fazioni della mafia siciliana.
Il 19 luglio del 1992 Paolo Borsellino è a Villagrazia
di Carini, località di mare dove la sua
famiglia passa le vacanze, ma decide di rientrare
a Palermo per fare visita alla madre. Salvatore
Biondino, l’uomo di Riina, controlla i
suoi spostamenti e avverte i killer già pronti
in via D’Amelio. E’ stato un attimo. Un boato.
Un’esplosione forte. Poi il rumore assordante
delle sirene.
Con il magistrato Paolo Borsellino perdono la
vita anche gli agenti di scorta Emanuela Loi,
Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter
Eddie Cusina e Claudio Traina. Per sono stati
condannati in via definitiva 47 persone, 25
delle quali all’ergastolo. Tra le persone implicate
anche Totò Riina, Giuseppe Graviano,
Carlo Greco e Salvatore Biondino.
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