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"carme della vecchiaia di Saffo". - Talaros

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Dossografia<br />

Dei due papiri che compongono il cosiddetto ‘Papiro <strong>di</strong> Colonia’, il primo, composto<br />

da due frammenti rispettivamente <strong>di</strong> 7 x 8 cm e <strong>di</strong> 9 x 7 cm, proviene dal cartonnage <strong>di</strong> una<br />

mummia ed è stato e<strong>di</strong>to da Michael Gronewald e Robert W. Daniel (2004a) a breve <strong>di</strong>stanza<br />

dal secondo, composto invece <strong>di</strong> un unico frammento (2004b). Gli stu<strong>di</strong>osi sono concor<strong>di</strong><br />

circa il periodo <strong>di</strong> composizione dei due papiri, che presentano ancora una scrittura<br />

parzialmente «epigraphisch» 1 e sono pertanto databili intorno all’inizio del III sec. a.C.<br />

Acquistati dalla Kölner Papyrussammlung <strong>di</strong> Colonia, e infine e<strong>di</strong>ti come P. Köln 429 e 430,<br />

hanno da subito beneficiato del lavoro <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi quali W. Blümel, R. Kassel, B. Manuwald,<br />

R. Merkelbach.<br />

Nel complesso, i frammenti ci restituiscono trentatré versi, sud<strong>di</strong>visi in due colonne,<br />

riconducibili probabilmente a tre <strong>di</strong>versi componimenti: i primi due saffici, il terzo quasi<br />

certamente non saffico e <strong>di</strong> tuttora incerta paternità. Mentre il primo e il terzo erano sino ad<br />

allora sconosciuti, il secondo coincide per buona parte con alcuni versi trà<strong>di</strong>ti dal P. Oxy. XV<br />

1787, risalente alla metà del II sec. d.C (cf. Hunt 1922), che Eva-Maria Voigt (1971) ha<br />

catalogato come fr. 58 2 . Il primo dei due frammenti che costituiscono ora il P. Köln 429<br />

riporta do<strong>di</strong>ci righi finali <strong>di</strong> una colonna <strong>di</strong> scrittura; nel secondo si leggono i primi <strong>di</strong>eci righi<br />

<strong>della</strong> colonna successiva. Per quanto riguarda il P. Köln 430, esso contiene versi riconducibili<br />

in <strong>di</strong>versa misura a tutti e tre i componimenti. Sono leggibili, infatti, poche lettere del margine<br />

destro <strong>della</strong> prima colonna <strong>di</strong> scrittura (relative al primo componimento) e <strong>di</strong>ciotto versi<br />

dell’inizio <strong>della</strong> seconda. Questi ultimi sono sud<strong>di</strong>visibili fra i primi cinque, che<br />

rappresentano gli ultimi versi del secondo componimento, e i rimanenti tre<strong>di</strong>ci che<br />

costituiscono l’incipit del terzo componimento, non saffico. A questi tre frammenti se ne<br />

aggiungono altri due, <strong>di</strong> ridotte <strong>di</strong>mensioni, rispettivamente <strong>di</strong> 0,5 x 2 cm e 1,5 x 5,5 cm, la<br />

cui collocazione è ancora incerta. Gli e<strong>di</strong>tores principes hanno supposto che il primo (che<br />

riporta cinque righi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile interpretazione) possa collocarsi nella prima colonna sopra il<br />

primo frammento del P. Köln 429, mentre il secondo (che sembra contenere nove righi <strong>di</strong><br />

1 «Seine Schrift ist eine Buchschrift mit teilweise noch “epigraphischen” Buchstabenformen» (Gronewald-<br />

Daniel 2004, 1), simile a GMAW 52. Presentano ancora un forte grado <strong>di</strong> epigraficità le lettere , simili a<br />

quelle del papiro <strong>di</strong> Timoteo (PMG 791). Il terzo componimento, in realtà, non è universalmente ricondotto alla<br />

stessa mano dei primi due, come sostengono gli e<strong>di</strong>tores principes. Magnani (2005, 41s.) sostiene che la mano<br />

sia la stessa, ma che esso sia stato scritto «con calamo inchiostrato <strong>di</strong> fresco».<br />

2 Da ora in avanti il numero dei frammenti saffici riportati farà riferimento a questa e<strong>di</strong>zione.<br />

1


scrittura, dei quali solo cinque sono leggibili) restituirebbe parte dei versi finali del terzo<br />

componimento, collocandosi sul lato destro del P. Köln 430 e sotto il P. Köln 429.<br />

Per quanto riguarda il metro, i primi due componimenti presentano agesicorei con<br />

doppio inserto coriambico (˰hipp 2c ) 3 , che si suppone costituissero il<br />

metro proprio del IV libro dell’e<strong>di</strong>zione alessandrina dei canti <strong>di</strong> Saffo. Diversamente, il terzo<br />

componimento presenta un metro apparentemente incompatibile con la lirica eolica ed è sulla<br />

base <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>scordanza metrica che si è esclusa una sua possibile paternità saffica. La<br />

successione <strong>di</strong> 4-5 sillabe brevi nella prima parola del componimento ( ) è infatti<br />

«incongruente con quanto sappiamo <strong>della</strong> metrica lesbia» (Magnani 2005, 44).<br />

In particolare, sarà qui preso in esame il secondo dei componimenti <strong>di</strong> Saffo, <strong>di</strong> cui i<br />

papiri <strong>di</strong> Colonia riportano in tutto 12 versi, già frammentariamente noti grazie alla<br />

testimonianza <strong>di</strong>retta del P. Oxy. XV 1787 4 (= fr. 58) in cui essi figurano dopo altri <strong>di</strong>eci versi<br />

e sono seguiti da ulteriori quattro. Alla luce dei nuovi papiri <strong>di</strong> Colonia, però, tale assetto è<br />

stato rimesso in <strong>di</strong>scussione: in particolare, è stata esclusa l’appartenenza al medesimo <strong>carme</strong><br />

dei <strong>di</strong>eci versi che in P. Oxy. XV 1787 precedono i 12 trasmessi anche in P. Köln 429 5 , ed è<br />

sorto un vivace <strong>di</strong>battito sulla ben più controversa questione riguardante il tetrastico finale,<br />

pure non comune. Esso è noto non soltanto grazie alla tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>retta del P. Oxy. XV 1787<br />

ma anche a quella in<strong>di</strong>retta, tramite un passo <strong>di</strong> Ateneo (XV 687a-c), che cita Clearco (fr. 41<br />

Wehrli), in cui compaiono gli ultimi due versi del frammento trasmesso dal P. Oxy.: ῖς<br />

ς ῆς ς<br />

ὖ ς ᾐ ῆς ς ῖ<br />

“ ς<br />

”, ῦ ᾶ ς ῦ ῆ<br />

ῇ ῦ ʼ ῖ ῆς ῆς L’interpretazione <strong>di</strong> questa testimonianza in<strong>di</strong>retta<br />

3 Altrimenti detti anche «innen durch zwei Choriamben erweiteter Hipponacteus» (Gronewald-Daniel 2004a, 1),<br />

parasclepiadei (cf. Nicolosi 2005), «acephalous Hipponacteans with internal double-choriambic expansion»<br />

(Skinner 2009, 3), o tetrametri ionici.<br />

4 Più in particolare, si tratta dei frr. 1,1-25 e 2,1. Il papiro è stato trovato nel 1906 da B.P. Grenfell e A.S. Hunt<br />

durante gli scavi svolti fra il 1898 e il 1907 in una <strong>di</strong>scarica nella periferia <strong>della</strong> città <strong>di</strong> el-Bahnasa (l’antica<br />

Ossirinco), nell’Egitto centrale, precisamente nel kôm Ali el Gamman. Oggi si trova nelle Papyrology Rooms<br />

<strong>della</strong> Sackler Library <strong>di</strong> Oxford. Sotto la catalogazione P. Oxy. XV 1787, vennero successivamente pubblicati da<br />

Lobel nel 1961 (nel volume XXVI dei P. Oxy.) anche nuovi frammenti (attribuiti a Saffo) frammisti ai papiri<br />

nr. 2442 (contenenti brani pindarici). Mentre Hunt e Lobel negano l’attribuzione ad un unico scriba dei gruppi <strong>di</strong><br />

frammenti 1787 e 2442, a Funghi-Messeri Savorelli (1992, 49) «sembra possibile proporre <strong>di</strong> identificare in una<br />

stessa persona gli scribi <strong>di</strong> A [scil. frr. 1787-2442] e B [scil. frr. 1788-1604-2445]».<br />

5 Già prima <strong>della</strong> pubblicazione dei nuovi papiri <strong>di</strong> Colonia, erano state espresse posizioni <strong>di</strong>vergenti in merito<br />

alla collocazione dell’incipit del <strong>carme</strong>. Gallavotti (1957) era convinto che il componimento iniziasse al v. 11 del<br />

P. Oxy. XV 1787 e così anche Di Benedetto (1985b). Lobel (1925) e Snell (1976), invece, ritenevano che esso<br />

avesse inizio due versi dopo, al v. 13.<br />

2


e l’esegesi saffica <strong>di</strong> Clearco in essa contenuta non sono univoche, e sono state ampiamente<br />

<strong>di</strong>scusse dagli stu<strong>di</strong>osi.<br />

Il tema del frammento in esame riguarda la senilità dell’io parlante (da cui la definizione<br />

<strong>di</strong> ‘Carme <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>’: d’ora in poi CV) che, dopo un probabile appello iniziale ad un<br />

gruppo <strong>di</strong> fanciulle ( ), affronta la realtà del proprio deca<strong>di</strong>mento fisico, riportando alla<br />

memoria del suo pubblico il mito <strong>di</strong> Titono ed Eos, già presente nell’epos omerico e in<br />

Esiodo 6 . Lo schema del <strong>carme</strong> pare quin<strong>di</strong> quadripartito:<br />

vv. 1s.: appello dell’io poetico ad alcune ragazze affinché onorino le Muse per i<br />

<strong>di</strong> cui sono state fatte oggetto 7 ;<br />

vv. 3-6: considerazioni dell’io poetico sul proprio invecchiamento, in contrapposizione<br />

alla freschezza <strong>della</strong> giovinezza (in<strong>di</strong>viduabili nell’espressione ʼ<br />

);<br />

vv. 7s.: riflessione sulla sofferenza dell’invecchiamento agganciata ad una gnome sulla<br />

con<strong>di</strong>zione umana, inevitabilmente destinata ad invecchiare;<br />

vv. 9-12: esposizione del mito <strong>di</strong> Titono ed Eos (illustrans <strong>della</strong> propria con<strong>di</strong>zione).<br />

Come si è detto, ai do<strong>di</strong>ci versi comuni ai due papiri se ne aggiungono quattro non<br />

concordemente accettati dalla critica come conclusione del CV. In essi (che costituirebbero<br />

un’ipotetica quinta sezione <strong>della</strong> poesia) l’io parlante ritornerebbe alla descrizione <strong>della</strong><br />

propria con<strong>di</strong>zione in relazione al mito appena descritto.<br />

Prima <strong>della</strong> scoperta del papiro <strong>di</strong> Colonia, non si era posto il problema <strong>di</strong> dove il CV<br />

avesse termine. Lobel (1925), infatti, sul margine a sinistra del testo, stampa al v. 26 del<br />

frammento 1 (= fr. 58) una coronide e cataloga <strong>di</strong> conseguenza i successivi tre versi del fr. 2<br />

come 2 (= fr. 59). La presenza <strong>di</strong> tale coronide nel papiro, però, è tutt’altro che certa. Già Di<br />

Benedetto (1985b, 152) aveva fatto notare la mancanza <strong>di</strong> prove paleografiche, sostenendo<br />

che «contrariamente a quanto affermato, in corrispondenza con la fine del fr. 58 e l’inizio del<br />

fr. 59 non è stata conservata nel fr. 2, mutilo a sinistra, la coronide, mentre c’è traccia <strong>di</strong> un<br />

tratto orizzontale sotto dell’inizio <strong>di</strong> fr. 58,26. Nel P. Oxy. XV 1787 la paragraphos viene<br />

segnata dopo ogni coppia <strong>di</strong> versi: non c’è quin<strong>di</strong> una base paleografica per affermare, ma<br />

6 Il. XI 1, XX 237, Od. V 1, H. Hom. Ven. 218-238 e Hes. Th. 984s.<br />

7 I primi quattro versi sono i più frammentari e, per la mancanza dei loro incipit nei frammenti <strong>di</strong> Ossirinco e in<br />

quelli <strong>di</strong> Colonia, sia contenuto che significato sono solo ipotizzabili.<br />

3


nemmeno per negare, che ci fosse fine <strong>di</strong> <strong>carme</strong> con il v. 26 del fr. 58» 8 . Come ha rilevato<br />

West, però, la congettura <strong>di</strong> Lobel avrebbe indotto anche i successivi e<strong>di</strong>tori a considerare il<br />

tetrastico e i versi che lo precedono parte <strong>di</strong> uno stesso <strong>carme</strong>: la «naughty coronis», assunta<br />

acriticamente dagli e<strong>di</strong>tori successivi, avrebbe ‘intaccato’ tutte le rispettive e<strong>di</strong>zioni 9 .<br />

A séguito <strong>della</strong> pubblicazione dei P. Köln, la continuità del tetrastico dei vv. 23-26 con<br />

quelli precedenti è stata messa in <strong>di</strong>scussione. Per quanto gli e<strong>di</strong>tores principes abbiano<br />

continuato a <strong>di</strong>fenderla, la mancata presenza del tetrastico nel P. Köln 429 ha spinto a<br />

riconsiderare l’intera questione. Gronewald-Daniel (2004a) strutturano su tre punti-chiave la<br />

loro tesi ‘unitaristica’:<br />

l’improbabilità <strong>di</strong> un componimento <strong>di</strong> soli quattro versi, quale <strong>di</strong>verrebbe il tetrastico<br />

se non lo si considerasse parte integrante del CV;<br />

la conclusione «sehr abrupt» del componimento in mancanza dei vv. 23-26; qualora<br />

non si accettasse la presenza del tetrastico nel CV, si presenterebbe un finale in cui l’io<br />

poetante farebbe cenno alla vicenda <strong>di</strong> Titono (come paragone mitico <strong>della</strong> propria<br />

esistenza) senza ritornare a parlare <strong>della</strong> propria con<strong>di</strong>zione (come invece avviene, per<br />

esempio, nel celebre fr. 16); inoltre, gli e<strong>di</strong>tores principes rimandano a pubblicazioni<br />

relative al fr. 58 precedenti il ritrovamento dei papiri <strong>di</strong> Colonia, in cui viene messo in<br />

risalto il collegamento fra il mito <strong>di</strong> Titono e il tetrastico successivo 10 ;<br />

la maggiore affidabilità <strong>della</strong> testimonianza del papiro <strong>di</strong> Ossirinco rispetto a quello <strong>di</strong><br />

Colonia, <strong>di</strong>mostrata con considerazioni <strong>di</strong> tipo e<strong>di</strong>toriale: nonostante il papiro<br />

oxoniense sia <strong>di</strong> circa 500 anni più recente, esso rappresenterebbe infatti l’«autoritativ<br />

gewordener Sapphotext», redatto dalla scuola filologica alessandrina; <strong>di</strong>versamente, il<br />

papiro <strong>di</strong> Colonia farebbe parte <strong>di</strong> una raccolta antologica anteriore nella quale sarebbe<br />

stata lecita una «Verkürzung» dei singoli componimenti in ossequio a un <strong>di</strong>verso fine<br />

e<strong>di</strong>toriale: una raccolta tematica <strong>di</strong> passi tratti da poesie su un argomento prescelto (la<br />

<strong>vecchiaia</strong> e la morte, in questo caso), senza la necessità <strong>di</strong> riportarle per intero 11 .<br />

8 Queste considerazioni sono riba<strong>di</strong>te da Luppe (2004), West (2005a), Livrea (2007). Una <strong>di</strong>fferente<br />

interpretazione, in linea con le posizioni <strong>di</strong> Lobel, è recentemente sostenuta da Hammerstaedt (2009) e Lar<strong>di</strong>nois<br />

(2009); al riguardo, cf. infra p. 10.<br />

9 West (2005a, 3): «Lobel, moreover, printed a coronis before line 26, marking it as the end of a poem, and<br />

detached the following remnants as a separate fragment ( 2 = 59 L.-P. and V.). He had no manuscript authority<br />

for this, and in Lobel-Page the coronis is put behind a bracket to in<strong>di</strong>cate its conjectural nature. But it remained a<br />

consensus that the poem <strong>di</strong>d end there, with the quotation-fragment».<br />

10 Gronewald-Daniel fanno riferimento a Preisshofen (1977), Liberman (1995), Nagy (1990).<br />

11 Gronewald-Daniel (2004a, 2): «der ungefähr 500 Jahre spätere P. Oxy. repräsentiert den autoritativ<br />

gewordenen Sapphotext, dessen Ge<strong>di</strong>chte innerhalb der einzelnen Bücher wohl, wie Lobel, introd. XV,<br />

angenommen hat, nach alphabetischen Gesichtspunkten geordnet waren, während P. Köln nach Art einer<br />

Anthologie eine eher assoziative Verknüpfung von Tod und Alter zu zeigen scheint und alles in den Rahmen<br />

4


Di Benedetto (2004a), a pochi mesi dall’e<strong>di</strong>tio princeps dei P. Köln, ha preso posizione a<br />

favore <strong>della</strong> separazione del tetrastico dal CV, mo<strong>di</strong>ficando la sua precedente posizione al<br />

riguardo 12 . Lo stu<strong>di</strong>oso si contrappone punto per punto alle ragioni unitaristiche <strong>di</strong><br />

Gronewald-Daniel, con i seguenti argomenti:<br />

verosimiglianza <strong>di</strong> un componimento <strong>di</strong> quattro versi, che sarebbe confermato<br />

dall’analogia con il fr. 55, considerato anch’esso come un <strong>carme</strong> integro;<br />

chiusura del <strong>carme</strong> affatto comprensibile alla luce delle nuove scoperte papiracee,<br />

grazie alle quali «la evocazione <strong>di</strong> un atteggiamento <strong>di</strong> sofferta e accorata<br />

rassegnazione si è concettualmente rafforzata», e indebolisce l’ipotesi <strong>di</strong> un<br />

conclusivo «proiettarsi verso una prospettiva gratificante», quale emergerebbe nel<br />

tetrastico 13 ;<br />

eines ununterbrochenen Singens und Musizierens gestellt hat, wobei er auch eine Verkürzung des einzelnen<br />

Ge<strong>di</strong>chts in Kauf nimmt». Magnani (2005, 45) arricchisce questa ipotesi facendo notare come il componimento<br />

che segue i versi del fr. 58 nel P. Köln 429 sia eterometrico rispetto al precedente: una prova in più per supporre<br />

che il papiro <strong>di</strong> Colonia provenga da una raccolta antologica che non teneva conto delle <strong>di</strong>fferenze metriche<br />

nell’agglomerare i carmi. La coronide, posta sulla parte sinistra <strong>della</strong> seconda colonna del papiro che separa il<br />

secondo dal terzo dei componimenti, in<strong>di</strong>cherebbe «il passaggio <strong>di</strong> componimento in eterometria, fenomeno che<br />

non trova riscontro né nel dettato <strong>di</strong> Efestione, né nella prassi delle testimonianze papiracee post-aristofanee».<br />

Burzacchini (2007a, 103) concorda con Magnani: «che tale segno nei testi lirici […] assolva sovente la funzione<br />

<strong>di</strong> organizzare gruppi <strong>di</strong> versi, metricamente caratterizzati e marcati da paragraphoi, in aggregati più ampi, è<br />

cosa ben nota […]. Dal momento che il rotolo <strong>di</strong> Colonia conteneva, a quanto pare, un’antologia, oltre tutto –<br />

come si è accennato – <strong>di</strong> testi non esclusivamente saffici, non si può escludere che la scelta antologica<br />

comprendesse, all’occorrenza, anche citazioni parziali, e che la coronide in<strong>di</strong>casse semplicemente la fine <strong>di</strong><br />

citazione <strong>di</strong> un determinato testo (o <strong>di</strong> una sezione <strong>di</strong> testi) <strong>di</strong> Autorschaft saffica e il passaggio al testo lirico non<br />

saffico che leggiamo nel proseguo <strong>della</strong> colonna». Liberman (2007) giunge a sostenere (senza però apportare<br />

prove convincenti), che il P. Köln potrebbe essere stato una <strong>della</strong> e<strong>di</strong>zioni cui gli alessandrini attinsero per<br />

re<strong>di</strong>gere l’e<strong>di</strong>zione «scientifique» dei carmi <strong>di</strong> Saffo.<br />

12 Di Benedetto (1985b) scriveva che «sono soprattutto ragioni <strong>di</strong> contenuto e soprattutto il tono conclusivo dei<br />

vv. 25-26 […] che inducono a ritenere che il <strong>carme</strong> finisse con il v. 26: un’ipotesi che anch’io ritengo giusta,<br />

anche se è doveroso avvertire che essa non ha conferma paleografica».<br />

13 In un articolo pubblicato sul quoti<strong>di</strong>ano «La Stampa» del 25.8.2004, Di Benedetto ripropone le stesse<br />

considerazioni: «è in gioco una cosa <strong>di</strong> grande importanza: se Saffo era in grado <strong>di</strong> enunciare il <strong>di</strong>sagio<br />

dell’esistenza umana senza contestualmente introdurre una compensazione. Io credo <strong>di</strong> sì». Anche Luppe (2004,<br />

8), seppure con maggiore cautela, si trova concorde con Di Benedetto quando scrive: «es wäre doch möglich,<br />

daß sich das Ge<strong>di</strong>cht le<strong>di</strong>glich auf das Alter der Dichterin bezieht und das Thema mit dem Verweis auf den<br />

alternden Tithonos (Vers 20 bzw. 22) abgeschlossen wurde. Dann wäre ein Ge<strong>di</strong>chtende nach<br />

keineswegs ,sehr abrupt’, wie <strong>di</strong>e Herausgeber meinen. Inhaltlich spricht also m.E. nichts dagegen, daß<br />

das Ge<strong>di</strong>cht mit endete». West (2005a, 6) giunge a elogiare la supposta chiusura « ’<br />

» come un “intenso passaggio” per la comprensione <strong>della</strong> poesia dopo i quattro versi <strong>di</strong><br />

Titono, considerati un «weak en<strong>di</strong>ng to the poem». Ancora Di Benedetto (2006, 10), per quanto ammetta che la<br />

<strong>di</strong>stanza ideologica fra il CV e il tetrastico sia ridotta, afferma che nel tetrastico «Saffo non era tenuta a rinnegare<br />

se stessa e a <strong>di</strong>smettere le sue convinzioni […]. Nel <strong>carme</strong> <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, dopo la descrizione dei sintomi Saffo<br />

perviene a una enunciazione <strong>di</strong> una ‘legge’ (v. 8 ’ , in<br />

concomitanza con v. 7 ;) che si pone come definitiva e coinvolge tutta l’umanità e questa ‘legge’<br />

si associa a uno stato <strong>di</strong> consapevole rassegnazione. Il mito viene introdotto per confermare una tale ‘legge’ […].<br />

Sarebbe improprio che dopo il mito Saffo si mettesse ancora <strong>di</strong> nuovo a teorizzare e ad enunciare leggi o norme<br />

<strong>di</strong> carattere generale». Sull’ipotesi <strong>di</strong> un finale gratificante nel CV si esprime invece favorevolmente Bettarini<br />

(2005, 33): «l’ampia sezione finale incentrata sul mito <strong>di</strong> Aurora e Titono […] esemplifica nel modo più<br />

appropriato il lamento <strong>della</strong> poetessa per l’ineluttabile destino <strong>di</strong> deca<strong>di</strong>mento che è proprio <strong>della</strong> con<strong>di</strong>zione<br />

umana».<br />

5


<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> «ipotizzare per il papiro <strong>di</strong> Colonia uno statuto particolare, nel senso <strong>di</strong><br />

una maggiore flui<strong>di</strong>tà», senza prove esaustive.<br />

West, nell’appoggiare le considerazioni <strong>di</strong> Di Benedetto, separa il tetrastico dal CV 14 (che<br />

intitola «Tithonus poem»), ipotizzandone una pertinenza al fr. 59, del quale offre una<br />

possibile ricostruzione 15 . Si tratta <strong>di</strong> un’ ipotesi papirologicamente plausibile, dal momento<br />

che i pochi resti del fr. 59 si trovano nello stesso frammento (fr. 2) del P. Oxy. XV 1787.<br />

Bernsdorff (2005), per <strong>di</strong>mostrare che il tetrastico non è compreso nel CV, riporta un elenco<br />

<strong>di</strong> paralleli letterari tratti dalla lirica classica, attestanti l’usanza, nell’antichità, <strong>di</strong> terminare un<br />

<strong>carme</strong> con una chiusura «offen», con cui il poeta sceglieva <strong>di</strong> concludere una poesia con un<br />

esempio mitico illustrans senza che ad esso seguisse il corrispettivo illustrandum <strong>della</strong><br />

propria figura 16 . Per Santamaria Álvarez (2007, 792s.): «más bien parece que Safo se refiere a<br />

sí misma de forma in<strong>di</strong>recta, me<strong>di</strong>ante la comparación con Titono y sugiriendo una<br />

conclusión implícita que el lector deberá intuir». Per lo stu<strong>di</strong>oso la <strong>di</strong>fferenza che intercorre<br />

fra Titono (che rimarrà vecchio per l’eternità) e Saffo (che invece dovrà morire) avrebbe<br />

spinto la poetessa a omettere una «causa probable de tristeza y no de consuelo» 17 . Puelma-<br />

Angiò (2005), al contrario, accolgono l’ipotesi unitaristica attraverso un confronto fra il CV e<br />

gli epp. 13, 16 e, soprattutto, 52 A.-B. <strong>di</strong> Posi<strong>di</strong>ppo <strong>di</strong> Pella 18 :<br />

14 West (2005a). La teoria si trova anche in West (2005b): «when we had only the Oxyrhynchus portion, we had<br />

only line-ends, preceded and followed by line-ends of other poems, and it was not clear where one poem ended<br />

and the next began; the left-hand margin, where this would have been signalled, was missing. That question is<br />

now settled. We have a poem of twelve lines, made up of six two-line stanzas».<br />

15 Lundon (2007b), Ferrari (2007), Austin (2007) e Bettarini (2008) accolgono tale ipotesi. Mentre i primi si<br />

limitano a sottolineare la ragionevolezza <strong>di</strong> questo collage, Austin ha tentato <strong>di</strong> ricostruirlo quasi integralmente<br />

per via congetturale, in una sorta <strong>di</strong> personale <strong>di</strong>vertissement (cf. infra p. 42).<br />

16 «Es kann festgehalten werden: Legt man <strong>di</strong>e nach dem Kölner Neufund gebotene Ge<strong>di</strong>chtabtrennung<br />

zugrunde, folgt das Altersge<strong>di</strong>cht der Sappho einer Technik des Ge<strong>di</strong>chtschlusses, <strong>di</strong>e zum Repertoire lyrischer<br />

Formen gehört zu haben scheint, und ist für uns zugleich der früheste Beleg für <strong>di</strong>ese Technik, sieht man von<br />

dem unsicheren Alkaios-Fragment 44 V. ab. Es hat sich also noch ein weiterer Grund dafür ergeben, <strong>di</strong>e<br />

Bedenken gegen <strong>di</strong>e neue Ge<strong>di</strong>chtabtrennung fallenzulassen». Oltre al fr. 44 V. <strong>di</strong> Alceo, e a tre passi pindarici<br />

(O. 4, N. 1, Pae. 4 M.), Bernsdorff riporta numerosi esempi tratti dalla poesia <strong>di</strong> Orazio, nel tentativo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare che fu proprio in ossequio alla poesia dei lirici eolici che il poeta latino utilizzò costantemente questa<br />

tecnica: «ist deutlich geworden, daß Horazens Vorliebe für <strong>di</strong>e Technik des offenen Ge<strong>di</strong>chtschlusses sich auf<br />

eine Tra<strong>di</strong>tion berufen konnte, <strong>di</strong>e auch seine äolischen Modelle umfaßte». Edmunds (2009), al contrario, critica<br />

la scelta <strong>di</strong> Bernsdorff <strong>di</strong> eleggere Pindaro e Orazio a termini <strong>di</strong> confronto per la poesia <strong>di</strong> Saffo, per le evidenti<br />

<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> lingua, stile, metro e contesto performativo in cui tali poeti si inseriscono.<br />

17 Santamaria Álvarez ricorda, a questo proposito, il fr. 4 W. 2 <strong>di</strong> Mimnermo e Inc. Auct. fr. 18(b) V.<br />

18 Come ricordato dagli stessi Puelma-Angiò, al confronto fra i due testi aveva già accennato Di Benedetto<br />

(2003).<br />

6


I tre epigrammi, infatti, presentano nel <strong>di</strong>stico conclusivo una formula comprendente i termini<br />

ed , che compaiono pure al v. 26 del frammento saffico. Inoltre, anche la<br />

tematica e la struttura dei componimenti sembrerebbero ricalcare il CV <strong>di</strong> Saffo: la<br />

contrapposizione giovinezza-<strong>vecchiaia</strong> si <strong>di</strong>pana in una composizione che vede prima il<br />

richiamo alla giovinezza, poi alla <strong>vecchiaia</strong> e infine il riferimento all’amore e al sole 19 . Questi<br />

innegabili richiami spingono gli stu<strong>di</strong>osi a ipotizzare «Vorbild-Verhältnisse» fra i due<br />

componimenti; le molteplici analogie potrebbero riguardare anche la posizione dei versi,<br />

confermando – nel caso – la natura conclusiva del v. 26 rispetto al CV 20 . Concorde è Livrea<br />

(2007, 69s.), che oltre a riba<strong>di</strong>re l’improbabilità <strong>di</strong> un poema <strong>di</strong> soli quattro versi, e<br />

nonostante il tentativo <strong>di</strong> Bernsdorff <strong>di</strong> «contrapporre numerosi casi <strong>di</strong> “offene<br />

Ge<strong>di</strong>chtsschlüsse” nella poesia antica», sostiene (al contrario <strong>di</strong> Di Benedetto) che mai in<br />

Saffo sarebbe potuta mancare una visione consolatoria dopo l’accenno al mito <strong>di</strong> Titono:<br />

«nessun poema saffico finisce con una nota <strong>di</strong> “Verzweiflung”, e nessuna figura mitica vi<br />

appare senza una visione para<strong>di</strong>gmatica profonda e personale» 21 . Volendo accre<strong>di</strong>tare la sua<br />

congettura, Livrea fa riferimento al passo <strong>di</strong> Clearco-Ateneo nel quale, a suo avviso,<br />

l’« » raffigura l’’amore per la vita’ che Saffo esternerebbe a fine <strong>carme</strong>: un<br />

“desiderio <strong>di</strong> vivere” che si concretizza nel dono delle Muse, la poesia, che non viene toccata<br />

dall’invecchiamento fisico 22 . Proposta, questa <strong>di</strong> Livrea, accolta anche da Burzacchini (2007a,<br />

108), secondo il quale «dopo la descrizione dei gravosi effetti psicofisici <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> e il<br />

19 Di Benedetto (2006, 10) critica queste considerazioni, sostenendo che gli stu<strong>di</strong>osi «procedono con forzature»,<br />

dando per scontate alcune accezioni dei vocaboli <strong>di</strong> Posi<strong>di</strong>ppo senza un esplicito riscontro testuale.<br />

20 «Zusätzlich wurde auf der einen Seite Sapphos nur bruchstückhaft überlieferte Altersode eine nicht<br />

unwesentliche Stütze für <strong>di</strong>e Aufnahme der Athenaios-Verse als Ge<strong>di</strong>chtabschluss erhalten». Il <strong>di</strong>scorso è valido,<br />

ovviamente, a patto che non si consideri il tetrastico come un componimento a sé stante, e non lo si integri nel<br />

fr. 59 come fa West. Su questa linea <strong>di</strong> pensiero si schierano il già citato Di Benedetto (2004a) e Di Benedetto<br />

(2006), appoggiato da Ferrari (2005). Luppe e Bernsdorff si limitano a <strong>di</strong>chiarare il componimento estraneo al<br />

CV, senza specificare una possibile collocazione alternativa.<br />

21 Simile la considerazione <strong>di</strong> Tsantsanoglou (2009b, 6): «it is <strong>di</strong>fficult to believe that Sappho ended referring to<br />

her personal case with “but what could I possibly do?” The mythical exemplum should normally provide a<br />

counterpart for her own situation. The Tithonus story teaches that it would be unwise to ask for immortality,<br />

much less for everlasting youth».<br />

22 Secondo Livrea «Saffo va in cerca <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> inattaccabile dal tempo e vincente sul<br />

deca<strong>di</strong>mento fisico, in una sfera umana che escluda tanto un’irraggiungibile immortalità quanto un utopico<br />

ringiovanimento», rappresentato da Faone cui, secondo lo stu<strong>di</strong>oso, Saffo alluderebbe ai vv. 23s. Alla correttezza<br />

dell’esegesi <strong>di</strong> Clearco-Ateneo crede poco Austin (2007, 124): «je me méfie toujours des philosophes et la<br />

prouve que Cléarque s’est fourvoyé, c’est qu’il cherche à donner à la volupté de Sappho un sens moral».<br />

7


ichiamo al malinconico mito <strong>di</strong> Titono, la pericope del tetrastico introduce, con uno<br />

straor<strong>di</strong>nario sussulto <strong>di</strong> vitalità, un toccante recupero in positivo. L’obiettiva constatazione<br />

dell’ineluttabilità <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> e dei suoi mali non impe<strong>di</strong>sce a Saffo <strong>di</strong> affermare, in modo<br />

sorprendentemente efficace e originale, una sorta <strong>di</strong> pervicace attaccamento alla vita, <strong>di</strong><br />

inesausta voglia <strong>di</strong> vivere, capace <strong>di</strong> fruire <strong>della</strong> bellezza e dello splendore dell’esistenza al <strong>di</strong><br />

là <strong>di</strong> qualsiasi insi<strong>di</strong>a degli acciacchi e del tempo».<br />

Negli ultimi tempi, oltre alle tesi <strong>di</strong>visioniste e unitariste, ha preso piede una terza<br />

ipotesi, che non esclude la possibilità <strong>di</strong> giungere a una risposta definitiva sull’appartenenza<br />

del tetrastico al ‘<strong>carme</strong> <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>’ 23 . Essa considera le due versioni (ossirinchita e<br />

coloniense) come conclusioni <strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong> uno stesso <strong>carme</strong> saffico, confluito in <strong>di</strong>verse<br />

e<strong>di</strong>zioni a seguito <strong>di</strong> rimaneggiamenti scoliastici in ambito simposiale 24 . Yatromanolakis<br />

(2008) adduce numerose testimonianze che potrebbero avvalorare questa ipotesi. Prima fra<br />

tutte quella relativa al fr. 249 V. <strong>di</strong> Alceo:<br />

23 A queste «recent reservations about the usual efforts to reconstruct the original setting of Sappho» si<br />

contrappone Bierl (2010, 9), che afferma: «such postmodern skepticism against uni<strong>di</strong>rectional construct of grand<br />

narratives and fictionalizations would exclude any possibility of understan<strong>di</strong>ng the primary context and<br />

intention. On the contrary, even with all the new, <strong>di</strong>achronic emphasis on reception, I regard it as even more vital<br />

to regain glimpses of the original meaning and context of the poem».<br />

24 Cf. Nagy (2009, 177): «an essential aspect of Sappho’s reception in Athens, I argue, was the tra<strong>di</strong>tion of<br />

performing her songs in a sympotic context, which <strong>di</strong>fferentiated these songs from what they once had been in<br />

their primarily choral context».<br />

8


Il frammento è stato tramandato da due fonti: il P. Oxy. 2298 (fr. 1) e il passo incluso nel XV<br />

libro dei Deipnosofisti <strong>di</strong> Ateneo 25 . Come è avvenuto per il CV, anche in questo caso la<br />

tra<strong>di</strong>zione non è concorde, dal momento che il papiro <strong>di</strong> Ossirinco presenta una versione più<br />

lunga del <strong>carme</strong> alcaico e alcune <strong>di</strong>vergenze <strong>di</strong>alettali rispetto al passo corrispondente dei<br />

Deipnosofisti. Questa <strong>di</strong>screpanza, afferma Yatromanolakis (2008, 247), mostra «how a part<br />

of an archaic song could be performed as a skolion in <strong>di</strong>fferent symposiastic contexts» 26 . Lo<br />

stu<strong>di</strong>oso nota come anche in P. Mich. inv. 3498 r (risalente al II sec. a.C.) siano presenti incipit<br />

<strong>di</strong> carmi appartenenti ad Alceo e Anacreonte; questo papiro, oltre a consolidare l’ipotesi <strong>di</strong><br />

‘rimaneggiamenti’ poetici dei carmi eolici (e non solo) del VII e del VI a.C. in contesti<br />

simposiali successivi, testimonierebbe l’esistenza <strong>di</strong> antologie «connected with sympotic and<br />

other performance occasions» in epoca ellenistica; antologie che avrebbero raccolto gli skolia<br />

ellenistici <strong>di</strong> celebri passi poetici (compresi quelli dei poeti eolici del VI secolo) recitati in<br />

occasione dei simposi, o, in generale, passi poetici sparsi con finalità puramente performative.<br />

Un ulteriore esempio, il P. Leiden inv. 510, contiene in sequenza due passi dell’Ifigenia in<br />

Aulide euripidea, che nella trage<strong>di</strong>a si trovano alquanto <strong>di</strong>stanti l’uno dall’altro 27 ; l’antologia,<br />

«connected with performances by probably a virtuoso singer of celebrated lyric passages from<br />

a late-fifth-century play», non tiene conto dell’opera <strong>di</strong> Euripide nella sua integralità, ma si<br />

limita a riportarne alcuni passi scelti (spesso estrapolati dal loro contesto) da cantare in<br />

occasioni <strong>di</strong>verse 28 . Con queste riflessioni, Yatromanolakis consolida l’ipotesi degli e<strong>di</strong>tores<br />

25 Ath. XV 695d (= Carm. conv. PMG 891).<br />

26 «Sappho’s poetry was envisaged in later antiquity as being performed in a sympotic or <strong>di</strong>nner-party context.<br />

Despit the fact these sources are very late, it has most often been thought that they reflect early practice»,<br />

Yatromanolakis (2009, 221). Nello stesso volume, p. 226: «during the classical and early Hellenistic periods –<br />

the earlies phases of her reception – the figure and the poetry of Sappho were recontextualised in complex and<br />

multi-layered ways. The ancient receptions of Sappho provide a fertile but underexplored area for<br />

inter<strong>di</strong>sciplinary investigation of the synchronic socio-cultural contexts that defined her figure». Cf. anche Bierl<br />

(2010, 2s.): «Anakreon, Alkaios, Sappho, and other Archaic and Classical poets were recited as well, in a<br />

thematic arrangement of poems performed one after the other. It goes without saying that, already at this point of<br />

history, we recognize a shift from a female to a male public and interests. Athens becomes the center of<br />

Panhellenic values, and the texts now gain a new cultural status. In the symposium, they are assimilated to short<br />

skolia capped by sayings of wisdom; whereas at large, public festivals, some poems are adapted to showcase<br />

citharo<strong>di</strong>c spectacles. Also in the context od festivals, one poem arises from the prece<strong>di</strong>ng poem in relay form,<br />

and in the latter Panathenaic venue we might have long performances of multiple selections arranged by subject.<br />

The great me<strong>di</strong>a revolution from a predominantly oral culture in reception to a literate culture, starting with the<br />

late fifth century and culminating in the new, Hellenistic culture with the estabilishment of the great Alexandrian<br />

library, is another decisive step in the reception of Sappho».<br />

27 Essi inoltre si trovano invertiti: il primo passo, che contiene i versi 1500-1509 <strong>della</strong> trage<strong>di</strong>a (appartenenti al<br />

<strong>di</strong>alogo fra Ifigenia e il Coro) precede il secondo, che contiene i versi 784-794 (appartenenti al secondo stasimo).<br />

28 «The order of excerpts in<strong>di</strong>cates that the compilation had nothing to do with a performance of the play, but<br />

rather with some sort of concert performance of musical highlights. Both passages are emotional utterances of a<br />

woman, though of a chorus in one case, in the other mainly of the heroine of the tragedy. Who was to perform<br />

these excerpts? No doubt a solo singer – a man, not a woman, as is shown by the vocal register».<br />

9


principes sui P. Köln 429-430, offrendo testimonianze <strong>di</strong> antologie pre-alessandrine composte<br />

su base tematica, come <strong>di</strong>mostra il contenuto affine dei tre componimenti 29 . Non esclude,<br />

inoltre, che i frammenti dei papiri <strong>di</strong> Colonia potessero appartenere ad un’antologia<br />

specificamente saffica, e che il terzo, certamente non saffico, vi sia stato compreso in base a<br />

una prassi attestata dell’epoca ellenistica 30 . Nel 2009, The new Sappho on Old Age: Textual<br />

and Philosophical Issues raccoglie altri stu<strong>di</strong> relativi alla Saffo dei papiri <strong>di</strong> Colonia. Come<br />

emerge <strong>di</strong> séguito, in buona parte essi appoggiano l’ipotesi <strong>della</strong> ‘doppia versione’.<br />

Nell’introduzione, M. Skinner (2009, 4) afferma che «instead of postulating a single<br />

“original” text, we might adopt the premise that alternative forms of the same poem may have<br />

been circulating as early as the archaic period, each suited to particular performance contexts.<br />

Both versions, then, could be termed in some sense “authentic”» 31 . Lar<strong>di</strong>nois <strong>di</strong>fende l’ipotesi<br />

<strong>della</strong> ‘doppia versione’ adducendo tre motivazioni. In primo luogo, citando un intervento <strong>di</strong><br />

Hammerstaedt all’interno dello stesso volume, riprende in considerazione l’ipotesi <strong>della</strong><br />

coronide al v. 26 del P. Oxy. 1787 32 . A suo avviso, «the relative length of the line gave Lobel<br />

the idea that it was part of the cross bar of a coronis and not the end of a paragraphos» 33 : se<br />

così fosse, il v. 26 sarebbe certamente conclusivo <strong>di</strong> un ipotetico tetrastico (secondo l’ipotesi<br />

<strong>di</strong> De Benedetto), oppure sarebbe la prova che lo scrittore del papiro considerava il tetrastico<br />

parte integrante del «Tithonos poem». In secondo luogo, Lar<strong>di</strong>nois sostiene l’effettiva<br />

pertinenza <strong>della</strong> citazione <strong>di</strong> Ateneo sopra riportata al tema del «Tithonos poem». Infine,<br />

riba<strong>di</strong>sce la rarità nella poesia antica <strong>della</strong> ‘chiusura aperta’ 34 . Anch’egli afferma che «the<br />

textual transmission of archaic Greek poetry throughout the classical and early Hellenistic<br />

29 Secondo Yatromanolakis, il trait d’union fra i tre componimenti consisterebbe nella musica, ravvisabile nella<br />

nonché nel ‘canto incessante e senza tempo’ <strong>di</strong> Saffo nel primo componimento, nel mito <strong>di</strong> Titono nel<br />

secondo e nell’accenno ad Orfeo nel terzo.<br />

30 «In the context of the practice of attributing newly composed poems to Sappho during the classical and<br />

Hellenistic periods, the anonymous composition may have similarly been transmitted or taken as a poem (even a<br />

skolion) of Sappho. In an anthology that, as far as evidence allows us to see, included two songs of Sappho – one<br />

of them perhaps in abbreviated form –, the third composition may have been viewed as a poem of hers».<br />

31 Nello stesso volume, Obbink accoglie le considerazioni <strong>della</strong> Skinner, giu<strong>di</strong>cando il papiro <strong>di</strong> Colonia una<br />

versione ‘meno formale’ <strong>di</strong> quella ossirinchita, probabilmente una «early anthology of poems constructed for<br />

private use or of a copy-book for practice, perhaps in a school setting».<br />

32 Per Hammerstaedt (2009, 24), «Lobel and subsequent e<strong>di</strong>tors up to and inclu<strong>di</strong>ng Voigt regarded the last three<br />

versions of fr. 2 as the beginning of a new poem (now Sappho fr. 59 V.). However, the horizontal stroke beneath<br />

the first line of fr. 2 is not necessarily part of a coronis, but can just as easily be interpreted as a mere<br />

paragraphos, like the one the e<strong>di</strong>tors recognized after the next two lines». Lar<strong>di</strong>nois (2009, 45s.) riba<strong>di</strong>sce la sua<br />

posizione: «if one looks carefully at P. Oxy. XV 1787 fr. 2, which preserves traces of the first letters of line 26,<br />

one can see that below these letters a line is drawn, which is slighty longer than the paragraphos that appears two<br />

lines lower on the papyrus. This length of the line is not conclusive and the stroke could represent just as well the<br />

end of a paragraphos as the cross bar of a coronis».<br />

33 Lar<strong>di</strong>nois (2009, 46).<br />

34 «It is highly unusual, though not entirely unprecedented, for archaic Greek songs to end on a para<strong>di</strong>gmatic<br />

story and not to return to the speaker on the present situation». Inutile riba<strong>di</strong>re, pertanto, la contrarietà dello<br />

stu<strong>di</strong>oso nei confronti delle tesi <strong>di</strong> Bernsdorff (2005).<br />

10


period was much less stable than is generally assumed», e pur ipotizzando che il tetrastico<br />

faccia parte del CV <strong>di</strong>chiara che esso potrebbe essere stato mo<strong>di</strong>ficato «for a performance at a<br />

symposium but without the positive twist Sappho had provided it» 35 . D. Boedeker (2009, 74-<br />

76), nel sostenere l’ipotesi <strong>della</strong> ‘doppia versione’, chiama in causa il concetto <strong>di</strong><br />

«mouvance», mutuato dalla filologia me<strong>di</strong>evale, che consiste nelle «textual variations in<br />

manuscripts of me<strong>di</strong>eval poetry and prose» spiegabili in quanto riflessi delle «variations in the<br />

oral performance of those works». Sull’esempio <strong>di</strong> G. Nagy (1996), che aveva utilizzato il<br />

termine a proposito <strong>della</strong> trasmissione del testo omerico in epoca ellenistica 36 , Boedeker<br />

ritiene che i versi comuni al P. Oxy. XV 1787 e al P. Köln siano lo stesso <strong>carme</strong> eseguito con<br />

<strong>di</strong>verse modalità in “due <strong>di</strong>versi contesti poetici”, nei quali si sarebbero potuti aggiungere o<br />

togliere versi alla poesia in base alle esigenze (tematiche, sociali, culturali) <strong>della</strong><br />

performance 37 . A questo proposito, Boedeker richiama il <strong>di</strong>stico teognideo 949s.: gli stessi<br />

due versi si trovano in Teognide 1278c-d, in un contesto erotico che nulla ha a che vedere con<br />

quello in cui si collocano i versi paralleli. La stu<strong>di</strong>osa conclude che, per quanto «both<br />

rea<strong>di</strong>ngs appear to be paleographically and poetically defensible», il testo privo del tetrastico<br />

si sarebbe prestato a una breve performance simposiale sul tema popolare <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>,<br />

mentre il testo col tetrastico sarebbe stato più appropriato ad un occasione centrata sulla<br />

benevolenza <strong>di</strong>vina: «the coexistence of Cologne and Oxyrhynchus Sapphos, in sum, may<br />

well give us glimpse of more fluid transmission of archaic poetic songs than our texts<br />

normally lead us to assume, with <strong>di</strong>fferent versions suitable for <strong>di</strong>fferent occasions and<br />

au<strong>di</strong>ences». Anche Nagy appoggia l’idea <strong>di</strong> una doppia versione 38 e immagina quella con il<br />

tetrastico all’interno <strong>di</strong> una probabile «performance in the context of oral singing and dancing<br />

at public events like the festivals of Lesbos». Al contrario, la versione priva del tetrastico,<br />

senza una «expression of hope for an afterlife», sarebbe «more appropriate for performance in<br />

the context of mono<strong>di</strong>c singing at (1) public events like the competition of citharodes at the<br />

festival of Panathenaia in Athens or at (2) private events like the competition of symposiasts<br />

and symposia».<br />

35 Lar<strong>di</strong>nois (2009, 47s.).<br />

36 Nagy (1996, 9ss.). Cf. anche Gentili (1984, 309-312).<br />

37 Cf. Gentili (2006, 80): «il poeta arcaico non si poneva il problema dell’unità organica <strong>della</strong> composizione. La<br />

finalità pratica <strong>della</strong> performance gli imponeva <strong>di</strong> volta in volta <strong>di</strong> adattare il canto, nella forma e nel contenuto,<br />

alle esigenze concrete dell’occasione e alle richieste del committente e dell’u<strong>di</strong>torio. In un siffatto contesto<br />

culturale, non ha più senso riproporre il problema dell’unità con criteri estetici moderni, un problema ovviamente<br />

insolubile, date le sue premesse metodologiche incentrate sulla falsa alternativa tra unità logica e unità estetica».<br />

38 «I think that the shorter and the longer texts of Sappho’s “song of Tithonos” are actually two versions of the<br />

same song, and that both the shorter and the longer versions can be considered definitive. This definitiveness,<br />

however, has to be viewed in terms of performing the song, not in terms of writing the text of the song».<br />

11


Il testo del P. Köln 429-430:<br />

]<br />

Il tetrastico finale presente all’interno del P. Oxy. XV 1787, parzialmente ricostruito grazie<br />

alla citazione <strong>di</strong> Clearco (fr. 41 W.) all’interno <strong>di</strong> Ath. XV 687a-c:<br />

12<br />

,


Commento<br />

1. : “onorate, o fanciulle, i bei doni<br />

delle Muse dal seno <strong>di</strong> viola”. Il primo verso è frammentario e rimane poco più del secondo<br />

emistichio.<br />

Pressoché certo, alla luce dei P. Köln, è , già congetturato da Stiebitz<br />

(1926), in alternativa a<br />

39 , e appoggiato da Di Benedetto (1985b) 40 : è un<br />

aggettivo più volte attestato in Saffo (compare altre quattro volte, nei frr. 21,13, 30,5, 103,3 e<br />

4), riferito a soggetti femminili da celebrare, sia <strong>di</strong>vini (è il caso <strong>di</strong> Afro<strong>di</strong>te nel fr. 103), che<br />

umani (nel fr. 30,5 è riferito probabilmente alla sposa protagonista dell’imeneo) 41 .<br />

Composto da , termine botanico per la ‘viola’, e , ‘seno’, è un «epiteto composto <strong>di</strong><br />

ascendenza epica» (Nicolosi 2005, 90), e in tutta la letteratura greca si trova solamente nei<br />

carmi superstiti <strong>di</strong> Saffo. Come notato da Di Benedetto (1985b, 148), il termine , in<br />

composizione con altri termini, ricorre frequentemente nei lirici per in<strong>di</strong>care le Muse<br />

( , , , etc.), secondo la tipica aggettivazione composta<br />

(aggettivo + nome) <strong>di</strong> sapore epico, utilizzata spesso in Saffo con valore celebrativo degli<br />

dèi 42 .<br />

Il sintagma è forse l’in<strong>di</strong>zio più significativo per ipotizzare la presenza <strong>di</strong><br />

al v. 1, dati i numerosi paralleli testuali: Hes. Th. 103, Arch. fr. 1,2 W. 2 , Sol. fr.<br />

13,51 W. 2 , Alcm. PMGF 59b,1, Anacr. PMG 346,8s., Mel. adesp. PMG 959, Theogn. 250,<br />

nonché Bacch. Dith. 5,3s. Ir., fr. dub. 55,2 M. e, in particolare, Sapph. fr. 44A,5 (se si tiene<br />

conto <strong>della</strong> integrazione <strong>di</strong> Treu [ ). Per “doni delle Muse” si è soliti<br />

39 Anch’esso congetturato da Stiebitz (1926) in analogia con H. Hom. Ven. 257 e Pind. P. 1,12.<br />

40 «Si resta invece incerti tra e . Se trova riscontro in Pind. Pyth. 1,12<br />

(questo passo è stato ricordato dallo stesso Stiebitz), a favore <strong>di</strong> gioca il<br />

fatto che l’aggettivo era particolarmente caro a Saffo, mentre non è attestato in ciò che ci<br />

è pervenuto <strong>della</strong> poetessa <strong>di</strong> Lesbo. E per l’associazione viole/Muse si ricor<strong>di</strong> naturalmente Pind. Pyth. 1,1-2<br />

… , Isthm. 7,23 , Bacch. 5,3, etc. e anche in particolare Theogn. 250<br />

(in un componimento che sembra avere tutti i crismi dell’autenticità) ».<br />

41 Il fr. 21, mal conservato, non permette <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare il soggetto <strong>di</strong> . Tuttavia il nesso<br />

successivo, con il verbo <strong>di</strong> richiamo epico, fa pensare a un soggetto comunque degno <strong>di</strong> essere cantato e,<br />

probabilmente, celebrato. Anche il fr. 21, quin<strong>di</strong>, può rientrare nei canoni dell’uso saffico del termine sopra<br />

descritto.<br />

42 Cf. e.g. fr. 1,1, 33,1, 44,33, 44A,3, 73,4. Nel fr. 53 e nel CV è presente il termine , “dalle braccia<br />

<strong>di</strong> rosa” (riferito rispettivamente alle “venerande Cariti” e all’Aurora, che nell’epos veniva già definita<br />

): come in , anche in questo aggettivo ad una parte del corpo viene abbinato il nome <strong>di</strong><br />

un fiore. Waern (1972, 4s.) ritiene che la ‘viola’ cui Saffo fa riferimento sia la specie definita Viola lesbiaca, <strong>di</strong><br />

colore bianco-giallo, <strong>di</strong>versa da quella Viola odorata cui fanno riferimento Pindaro (I. 7,23), Teofrasto (HP I<br />

13,2) e Teocrito (10,28).<br />

13


intendere il canto del poeta che, secondo una prassi documentata fin dalle prime attestazioni<br />

letterarie greche, attingeva <strong>di</strong>rettamente dalle dee protettrici del canto la propria ispirazione 43 .<br />

Il termine , in posizione enfatica alla fine del verso incipitario, ricorre tre<strong>di</strong>ci<br />

volte in Saffo, ed è utilizzato in <strong>di</strong>verse accezioni 44 . Come è stato notato già dagli e<strong>di</strong>tores<br />

principes dei papiri <strong>di</strong> Colonia 45 , esso introduce il primo termine del paragone che sorregge<br />

l’intera poesia: quello costruito sulla contrapposizione tra la giovinezza e la <strong>vecchiaia</strong>. Risulta<br />

<strong>di</strong>fficile offrire un’identità definita a queste fanciulle: l’incertezza sulla performance dei carmi<br />

<strong>di</strong> Saffo lascia dubbiosi a proposito dell’identificazione del suo u<strong>di</strong>torio e dei suoi<br />

interlocutori 46 .<br />

Per la ricostruzione <strong>della</strong> prima parte del verso, Di Benedetto (1985b) ha<br />

convincentemente ipotizzato l’imperativo <strong>di</strong> , in connessione con ς,<br />

interpretato quin<strong>di</strong> come vocativo 47 : letteralmente il verbo significa ‘attribuire un ’,<br />

quin<strong>di</strong> ‘onorare’ (cf. Hesych. 425 L.), ma Di Benedetto nota come tale significato originario<br />

passi ad un uso più largo del termine, «nel senso <strong>di</strong> onorare qualcosa <strong>di</strong> relativo agli dei, in<br />

particolare attraverso la festa o la danza» (Di Benedetto 1985b, 148). I paralleli testuali ne<br />

confermano l’uso in contesti celebrativi <strong>di</strong> uomini e dèi 48 . La congettura <strong>di</strong> Di Benedetto<br />

43 L’invocazione alle Muse rimanda al «profetismo oracolare» sottolineato da Gentili (2006, 27s.), secondo il<br />

quale «il canto è inteso come riflesso imme<strong>di</strong>ato dell’ispirazione apollinea». In base a questa teoria, che non<br />

nega la necessità <strong>della</strong> tecnica, ma la <strong>di</strong>chiara insufficiente, il poeta «sia epico che lirico, invasato dalla <strong>di</strong>vinità,<br />

nell’atto del comporre <strong>di</strong>viene l’interme<strong>di</strong>ario <strong>di</strong>retto dell’afflato <strong>di</strong>vino che egli trasmette al suo u<strong>di</strong>torio».<br />

Cf. Il. II 484-486, Hes. Th. 1, 22, 29-34.<br />

44 Può essere semplicemente ‘fanciullo/a’, ma anche ‘figlio/a’. Cf. Calame 1983, XI: «pais […] designa sia il<br />

bambino che la bambina; la funzione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care il genere è delegata all’articolo. Le cose cambiano con<br />

l’adolescenza; se si continua a utilizzare il termine pais per designare gli adolescenti ancora puberi, i giovani e le<br />

giovinette formano sia linguisticamente che socialmente due gruppi precisi» (anche nel fr. 27, il vocabolo<br />

sembra utilizzato a designare il ricordo <strong>della</strong> fanciulla ancora molto giovane). Inoltre, può riferirsi tanto a esseri<br />

umani quanto a dèi (cf. frr. 102,2 e 103,3 dove il termine fa riferimento ad Afro<strong>di</strong>te). Il vocativo plurale del<br />

termine compare solamente nel CV e nel fr. 18,2, <strong>di</strong> incerta paternità saffica.<br />

45 Gronewald-Daniel (2004a, 7): «<strong>di</strong>e Anrede „Mädchen” geschieht im Hinblick auf <strong>di</strong>e folgende<br />

Altersschilderung, zu welcher sie einen wirkungsvollen Konstrast bildet». Considerazioni simili in West (2005a,<br />

4): «the two couplets clearly contained an opposition between the happy young girls, with their music and song,<br />

and Sappho herself, who is growing old and no longer able to join in the dancing»; West (2005b, 8): «here she<br />

[scil. Saffo] addresses a group of younger women or girls, whom she calls (to translate literally) “children”,<br />

contrasting their blithe singing and dancing with her own heaviness of heart and limb»; Janko (2005, 19): «we<br />

move from a contrast between the addressees’ singing and dancing and the ageing speaker’s inability to join the<br />

dance, to an antithesis between old age and immortality».<br />

46 Riguardo all’inquadramento <strong>di</strong> Saffo all’interno del suo contesto sociale e culturale, si vedano, tra gli altri,<br />

Page (1955), Hallet (1979), Parker (1993), Bennett (1994), Lar<strong>di</strong>nois (1994), Greene (1996), Ferrari (2003),<br />

Caciagli (2007).<br />

47 Di Benedetto (1985b, 148): «in ogni caso, se l’integrazione dello Stiebitz [scil. ] coglie nel segno,<br />

resta all’inizio del verso , uno spazio molto adatto ad un imperativo <strong>di</strong> seconda persona plurale da legare a<br />

ῖ ». Santamaria Álvarez (2007, 787): «el vocativo hace probable que el modo del(os) verb(os) finit(os) que<br />

falta(n) sea l’imperativo más que el in<strong>di</strong>cativo, pues éste serviría para describir un hecho, lo que no casa del todo<br />

bien con el vocativo».<br />

48 Ai passi già citati da Di Benedetto (1985b, 148), H. Hom. Merc. 60, 429, 432 e Ar. Th. 961, si può aggiungere<br />

Orph. Arg. 616 ’ (per quanto riguarda il significato più letterale del<br />

14


accentuerebbe il rapporto tra , che in<strong>di</strong>ca più in particolare il ‘regalo per onore’, e<br />

, che invece definisce un più generico tipo <strong>di</strong> regalo, ponendo in rilievo il concetto del<br />

verbo dare/donare 49 . All’interno del primo verso verrebbe dunque alla luce una specularità fra<br />

la persona loquens che onora le Muse, e le Muse che a loro volta offrono un dono <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa<br />

natura: l’ispirazione. Gronewald-Daniel (2004a) ipotizzano invece (o )<br />

. L’integrazione, oltre ad apparire piuttosto banale, non sod<strong>di</strong>sfa, e secondo Har<strong>di</strong>e<br />

(2005, 27) « sits uneasily with Sappho as interme<strong>di</strong>ary between Muses and child-<br />

choros» 50 . Gli e<strong>di</strong>tores principes adducono come parallelo alla loro integrazione Pind. P. 2,3s.<br />

… / , che (giustamente) non convince Di Benedetto<br />

(2004a, 5): «il modello pindarico del recarsi <strong>di</strong> città in città […] mi sembra poco pertinente».<br />

West (2005a) integra con , nell’intento <strong>di</strong> creare un’antitesi fra il<br />

pronome <strong>di</strong> seconda persona plurale e quello integrato due versi dopo, ’<br />

15<br />

51 : nella<br />

prima proposizione il verbo comparirebbe all’inizio del verso successivo ( ) 52 .<br />

Tale congettura, per quanto tenti <strong>di</strong> ricreare un parallelismo antitetico fra i primi due perio<strong>di</strong><br />

(in linea con la contrapposizione tematica <strong>vecchiaia</strong>-giovinezza che regge l’intero <strong>carme</strong>) non<br />

verbo). Per il significato più generico, Di Benedetto (1985b, 148) cita Pind. O. 5,5, Hdt. V 67,5 e Plat. Leg.<br />

799a; anche in questo caso, sono presenti molti altri paralleli testuali, fra i quali Pind. O. 3,2 e Bacch. Ep. 2,13.<br />

Tutti questi paralleli vengono tuttavia giu<strong>di</strong>cati carenti da Har<strong>di</strong>e 2005, 27: « […] lacks<br />

convincing parallels».<br />

49 «”Cadeau”, avec un sense très général et très concret, se <strong>di</strong>t de cadeaux faits à un homme, d’offrandes faites à<br />

un <strong>di</strong>eu» (Chantraine, DELG 280). Il termine deriva dalla stessa ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> ,*deh3, ed è imparentato<br />

con il lat. donum (con l’unica <strong>di</strong>fferenza che alla ra<strong>di</strong>ce indoeuropea il greco aggiunge un suffisso - -, mentre il<br />

latino un suffisso -no-). Quanto a ς, etimologicamente, è imparentato con (’<strong>vecchiaia</strong>’), dalla<br />

comune ra<strong>di</strong>ce *gerh2, il cui significato originario è ‘maturare, essere anziani’. Come scrive Chantraine (DELG<br />

216), il geras è «“part d’honneur, don d’honneur, privilège” notamment part du prêtre dans les sacrifices […];<br />

désigne originellement la part d’honneur réservé au , mais le terme est devenu de bonne heure<br />

indépendant». Il rapporto etimologico fra i due termini sussiste ancora in Omero, nelle formula<br />

(Il. IV 323, IX 422). Considerazioni analoghe in Zucchelli (1995, 3s.): «la chiara parentela tra in<br />

greco “<strong>vecchiaia</strong>” e “porzione d’onore” (nella spartizione del bottino), “dono onorifico”,<br />

“privilegio”, “autorità”, si spiega con la concezione che attribuisce alla persona attempata – la cui presenza<br />

doveva essere in quell’epoca nettamente più scarsa che nell’età classica – un ruolo e un prestigio che è<br />

caratteristico <strong>di</strong> molte società primitive». Dal momento che si trova due versi dopo, la congettura <strong>di</strong> Di<br />

Benedetto è ulteriormente avvalorata da questo richiamo intertestuale: un «verbal and thematic echo» che si<br />

andrebbe ad aggiungere a quelli già elencati da Janko (2005, 20). Una riprova <strong>della</strong> <strong>di</strong>stinzione intenzionale fra i<br />

due termini si può riscontrare anche nel fr. 1,22: i doni <strong>di</strong> Saffo che l’amata non accetta sono definiti (non<br />

), in allitterazione e figura etimologica con il seguente (cf. Degani-Burzacchini 2005, 130).<br />

50 Al contrario, Yatromanolakis (2008, 243) afferma: «Gronewald and Daniel proposed<br />

] [ ] | ] , which is interesting,<br />

since it creates a contrast between the young age of the children and the ς of the singing voice, which<br />

although no more young and no more with nimble knees resorts to music-making and singing – an idea that is<br />

echoed in the myth of Tithonos».<br />

51 Questa ricostruzione è appoggiata da Rawles (2006a, 1): «the substance of his supplementation seems to me<br />

convincing; I believe that my arguments below do not require it to be correct in detail».<br />

52 West (2005a, 4): «I would prefer to have the antithesis pointed up by contrasting pronouns, with in 11.<br />

The two short syllables needed between and will be easily supplied by a preposition such as<br />

. The verb, whether in<strong>di</strong>cative or imperative, must then have stood at the beginning of 12; e.g.<br />

] ».


convince: come già colto da Livrea (2007, 68), resta isolato, dal momento che non regge<br />

nulla all’interno <strong>della</strong> frase 53 ; inoltre, «il verbo è poco adatto. Non si vede perché<br />

Saffo avrebbe dovuto evidenziare questo aspetto <strong>della</strong> cosa, che cioè che si faceva (o si<br />

facesse: il West stesso lascia la cosa nel dubbio) sul serio, che le ragazze ce la mettevano tutta<br />

e non imbrogliavano. E il West dovrebbe anche darci la documentazione adeguata <strong>della</strong><br />

costruzione del verbo con un accusativo quale è » 54 . Di Benedetto tuttavia accoglie<br />

la proposta <strong>di</strong> West <strong>di</strong> ricostruire una corrispondenza fra le del v. 1 e l’espressione<br />

dell’io parlante ( ) che aveva ipotizzato per il v. 3 (1985b, 149), e ricostruisce pertanto<br />

, sottintendendo nel primo verso una forma del verbo : congettura<br />

che sembra però meno calzante <strong>di</strong> quella da lui precedentemente offerta 55 . Livrea (2007)<br />

congettura per il primo verso , suggerendo un paragone incipitario fra la<br />

figura dell’io poetante e l’immagine <strong>della</strong> cicala, che compare in una versione del mito <strong>di</strong><br />

Titono a partire da Ellanico (FGrHist 4 F 140). La cicala sarebbe l’«in<strong>di</strong>spensabile trait<br />

d’union fra il mito <strong>di</strong> Titono e la <strong>vecchiaia</strong> <strong>di</strong> Saffo» 56 : tuttavia la similitu<strong>di</strong>ne animale non<br />

sembra ‘in<strong>di</strong>spensabile’, dal momento che il collegamento fra i due potrebbe consistere nella<br />

sola <strong>vecchiaia</strong>, senza riguardare anche la <strong>di</strong>mensione canora <strong>di</strong> Titono-cicala e <strong>della</strong> persona<br />

loquens del <strong>carme</strong>. Bisognerebbe poi certificare l’esistenza <strong>di</strong> tale versione del mito in area<br />

eolica nel VII-VI sec. a.C.: le prime attestazioni <strong>della</strong> trasformazione <strong>di</strong> Titono in cicala (per<br />

quanto in àmbito eolico) non si datano che dopo il V sec. a.C. 57 . Il rimando <strong>di</strong> Livrea al<br />

53 Anche Di Benedetto (2005, 17s.) appare critico: «E’ infatti poco cre<strong>di</strong>bile il dopo . Le ragazze<br />

devono impegnarsi sui doni delle Muse insieme con le Muse? Il genitivo dovrebbe essere usato due<br />

volte e con valenza sintattica <strong>di</strong>versa. E questo per creare un’immagine pittoresca e credo non documentata».<br />

Cf. Santamaria Álvarez (2007, 787): «a continuación postula , que dependería de , verbo poco<br />

poético que no está documentado en los líricos y no lleva complementos con / ».<br />

54 Di Benedetto (2005, 18).<br />

55 Di Benedetto integra al secondo verso . Appare fuori<br />

luogo, però, il , che (rapportato al primo verso) verrebbe svuotato <strong>di</strong> ogni valenza oppositiva (il valore<br />

continuativo ricordato da Denniston 1954, 162-165 non appare qui appropriato). La traduzione che offre Di<br />

Benedetto (2005, 18), in cui si traduce la particella in chiave copulativa, non convince. Tutta la traduzione dei<br />

primi due versi ricostruiti offerta dal filologo, del resto, è poco chiara: “A voi, o ragazze, sono cari i bei doni<br />

delle Muse dal cinto viola, e non è sconveniente prendere l’armoniosa lira amante del canto”. A chi è<br />

sconveniente suonare? All’io loquens, alle ragazze del v. 1 o (meno verosimilmente) si tratta <strong>di</strong> una gnome<br />

generale? E soprattutto, perché viene tradotto ‘in negativo’ «non è sconveniente» piuttosto che nel<br />

positivo “si ad<strong>di</strong>ce”? Non si vede il motivo per cui Saffo dovrebbe <strong>di</strong>chiarare la ‘non sconvenienza’ del canto.<br />

Per Santamaria Álvarez (2007, 788): «el v. 1 queda sobrecargado con tres adjetivos y resulta rara la unión de un<br />

verbo elíptico en in<strong>di</strong>cativo (v. 1) y un verbo modal como ».<br />

56 Livrea (2007, 78): «il tertium comparationis non va infatti ad<strong>di</strong>tato genericamente nella senilità, ma<br />

nell’effusione canora che la caratterizza nei due casi, nella poetessa come nell’esito delle metamorfosi <strong>di</strong> Titono,<br />

<strong>di</strong> cui già H. Hom. Ven. 237s. narrava ’ ’<br />

».<br />

57 Anche Rawles (2006a, 6), pur sostenendo che «seems to me more likely than not that of story of the<br />

metamorphosis was known to Sappho and her au<strong>di</strong>ence», <strong>di</strong>chiara che «we cannot, however, be certain of it, as<br />

the earliest author whom we know to have referred to it explicity is the fifth century historian from Lesbos,<br />

16


prologo degli Aitia callimachei, inoltre, è rischioso: che Callimaco alludesse a Titono nei<br />

vv. 32-40 degli Aitia è ipotesi <strong>di</strong> Crane (1986), il quale suppone che in Titono si identifichi il<br />

«secondo Callimaco» ipotizzato da Rostagni (1928) 58 ; ne consegue che la -Titono, nel<br />

CV, non trova richiami sicuri nemmeno a posteriori 59 . Il ragionamento <strong>di</strong> Livrea rischia la<br />

petitio principii: la parentela poetica fra i due testi viene affermata sulla base <strong>di</strong> reciproci<br />

richiami che si fondano su congetture, e non su prove testuali. Austin (2007, 116) anticipa<br />

a inizio verso e pospone l’esortativo , secondo un’ipotesi già suggerita<br />

da Har<strong>di</strong>e (2005, 27): «( -) (‘show forth’) is possible […] but <strong>di</strong>fficult to<br />

accomodate», anche alla luce del confronto con Alcm. PMGF 59(b)<br />

17<br />

60 . La congettura (per quanto<br />

plausibile) manca <strong>di</strong> una quantità convincente <strong>di</strong> paralleli testuali ed è stata ripresa da<br />

Santamaria Álvarez (2007, 788) che ha ipotizzato, sempre con il verbo ,<br />

61 .<br />

Hellanicus», e che la «retrojection of awareness of the story of the metamorphosis of the cicada into the time of<br />

Sappho is plausible, then, but conjectural». Dell’ipotesi che Saffo conoscesse già la versione <strong>della</strong> metamorfosi<br />

<strong>di</strong> Titono in cicala sembra essere sicuro Janko (2005, 19): «the myth of Tithonus was the standard explanation<br />

for the cicada’s extraor<strong>di</strong>nary life and song, and originated in Sappho’s own part of Greece. She surely know it<br />

too. It would have attracted her, since the idea of poetic immortality pervades her work». Già Kakri<strong>di</strong>s (1964,<br />

25-38) si era sbilanciato a favore <strong>della</strong> presenza del mito già nell’Inno omerico ad Afro<strong>di</strong>te, con motivazioni a<br />

tratti convincenti, cui si sono aggiunte quelle <strong>di</strong> King (1986, 27-32). Càssola (1975, 556), al contrario, resta più<br />

cauto a riguardo. Bettarini, invece, ipotizza che la vulgata <strong>di</strong> Titono ed Eos con l’invecchiamento del primo<br />

possa esser stata introdotta dall’autore dell’inno omerico. In Il. XI 1 e Od. V 1, infatti, non c’è alcun accenno<br />

all’incipiente <strong>vecchiaia</strong> <strong>di</strong> Titono, e tutte le mattina Eos si alza dal letto dello sposo per <strong>di</strong>ffondere la luce sulla<br />

terra. Il tragico invecchiamento <strong>di</strong> Titono sarebbe stato aggiunto in séguito, all’interno dell’inno, per creare una<br />

opposizione fra il mito ‘positivo’ <strong>di</strong> Ganimede (felicemente immortale e sempre giovane) e quello tragicamente<br />

conclusosi <strong>di</strong> Titono. A prescindere dalla datazione del mito comprendente la metamorfosi <strong>di</strong> Titono in cicala,<br />

occorre ricordare che la data <strong>di</strong> composizione dell’Inno ad Afro<strong>di</strong>te è ancora incerta, e alcuni stu<strong>di</strong>osi (Bentman<br />

1955) l’hanno collocata in epoca ellenistica. Brillante (1987, 55s.) informa dell’esistenza <strong>di</strong> un’altra versione<br />

meno fantasiosa (Ath. XII 548f, schol. Od. V 1, Tzetz. Ad Lyc. 18) in cui l’eroe è un personaggio che dorme <strong>di</strong><br />

giorno e veglia <strong>di</strong> notte, talora in qualità <strong>di</strong> astronomo; <strong>di</strong>ventato vecchio è messo in una culla come un bambino<br />

oppure in un canestro sospeso in aria, forse una gabbia. Sulla conoscenza <strong>della</strong> trasformazione in cicala <strong>di</strong> Titono<br />

in epoca precedente a Ellanico si <strong>di</strong>chiara convinta anche Rodríguez Somolinos (2005).<br />

58 Rostagni 1928 (= 1951, 280s.): «lui, Callimaco, si augura d’essere il minuscolo, l’alato animaletto che si pasce<br />

<strong>di</strong> rugiada […]. Anche Callimaco era, o ironicamente si considerava (come abbiamo detto), un vecchio Titono».<br />

59 Lo stesso <strong>di</strong>scorso vale anche per il fr. 101A <strong>di</strong> Saffo ’ / /<br />

/ in cui il termine viene abbinato al canto <strong>della</strong><br />

cicala (sull’esempio <strong>di</strong> Hes. Op. 582) pur senza che il nome dell’animale sia effettivamente attestato (l’accenno<br />

alle ali, tuttavia, ne rende possibile il riferimento).<br />

60 I due paralleli addotti da Har<strong>di</strong>e (Alcm. PMGF 4.1,6 e Theogn. 769-771) e quello proposto da Austin (Pind.<br />

Hymn. fr. 32 M.) sono certamente meno rappresentativi, e non particolarmente convincenti.<br />

61 L’altra ipotesi proposta dallo stu<strong>di</strong>oso, , pare meno convincente. L’articolo sarebbe separato dai<br />

secondo una costruzione che non sembra essere attestata in Saffo, né svolgerebbe una funzione tale<br />

da giustificare la <strong>di</strong>stanza dai “bei doni” cui è riferito (per es. una funzione <strong>di</strong>mostrativa, nel senso <strong>di</strong> “onorare<br />

proprio questi bei doni delle Muse”).


2. : “avendo io preso in mano la lira<br />

armoniosa amica del canto”. Chiude il verso l’accenno alla (letteralmente<br />

‘tartaruga’), forma eolica per , che si ritrova solamente in Erinna (fr. 4,5, 7, 16 N. 62 ). Il<br />

termine proviene dalla forma che compare in un altro <strong>carme</strong> saffico (fr. 118,1) e in uno<br />

alcaico (fr. 359,4) 63 a designare la lira, strumento musicale anticamente costruito con il guscio<br />

<strong>di</strong> una tartaruga secondo l’esempio del <strong>di</strong>o Hermes (come testimoniato nel quarto Inno<br />

omerico a lui de<strong>di</strong>cato 64 ). Con l’Inno omerico il CV con<strong>di</strong>vide anche l’accostamento del<br />

termine al verbo del canto (H. Hom. Mer. 25 … ), non attestato altrove nella<br />

letteratura greca, ma frequente nelle letteratura latina (Stat. Silv. IV 3,119 chely, iam repone<br />

cantus, CLE 1113,6 fraternos planctus incinit icta chelys, Sen. Tro. 321 levi canoram<br />

verberans plectro chelyn), e pertanto potenzialmente <strong>di</strong>ffuso anche fra i poeti ellenici.<br />

I due aggettivi riferiti alla lira, invece, ricorrono frequentemente insieme nella<br />

letteratura greca (da Il. XIV 290 a Theocr. 17,113) e gli e<strong>di</strong>tores principes (2004a, 7) hanno<br />

notato che il nesso «bildet zusammen mit ein seltenes doppeltes<br />

Epitheton», come nel fr. 95,12 gli aggettivi riferiti alle rive<br />

dell’Acheronte 65 . La scelta <strong>di</strong> Saffo <strong>di</strong> impiegare più <strong>di</strong> un emistichio per l’aggettivazione<br />

<strong>della</strong> lira denota l’accento che il <strong>carme</strong> ripone nel tema <strong>della</strong> musica, ravvisabile del resto<br />

anche negli altri frammenti superstiti dei P. Köln. 429 e 430 66 .<br />

Per il primo emistichio (mutilo) del verso, Di Benedetto (2004a) ha ipotizzato<br />

, che crea un interessante binomio fra il canto e la danza delle al<br />

v. 1. La presenza <strong>di</strong> era già stata ipotizzata da Ferrari (2003), che si asteneva da una<br />

ricostruzione completa del verso, ipotizzando<br />

62<br />

Nel quarto frammento <strong>di</strong> Erinna è tuttavia certo, grazie a Bowra (1933), che il termine in<strong>di</strong>chi non già la ‘lira’<br />

quanto la ‘tartaruga’, nel suo significato originario. Cf. Neri (2003, 242-253).<br />

63<br />

Il termine presenta il suffisso - , che secondo Chantraine (1933, 208) deriva dalla<br />

terminazione - con raddoppiamento <strong>della</strong> nasale.<br />

64<br />

H. Hom. Merc. 24-51. Il quarto inno omerico, probabilmente databile intorno al IV secolo a.C., ricorda passo<br />

per passo la costruzione <strong>della</strong> lira da parte del <strong>di</strong>o Hermes; già nel VII a.C. sono presenti raffigurazioni del <strong>di</strong>o<br />

con tale strumento, «affiancato dall’iscrizione nella coppa a figure nere <strong>di</strong> Archite e Glaucite» (Càssola<br />

1975, 166s.); pertanto, è ipotizzabile e probabile che sia la poetessa lesbia che l’autore dell’inno omerico<br />

attingessero a una tra<strong>di</strong>zione mitica già ben consolidata in epoche precedenti. Per una descrizione dello<br />

strumento musicale, cf. Càssola (1975, 167).<br />

65<br />

Per una ‘doppia e rara’ aggettivazione si può richiamare anche il celeberrimo inizio del <strong>carme</strong> saffico fr. 1,1<br />

dove la iunctura ’ ( ), rivolta ad Afro<strong>di</strong>te, è sia doppia che rara come rilevano Degani-<br />

Burzacchini (2005, 125): « […] è un , e significa la regalità <strong>della</strong> dea», citando a loro volta<br />

Longo (1965, 346), «la rientra nella pratica comune dell’invocazione <strong>di</strong>vina». Si può<br />

ragionevolmente supporre che il doppio epiteto attribuito alla lira sia frutto dell’obiettivo poetico <strong>di</strong> rendere<br />

l’incipit del CV più simile alla enfatica forma classica <strong>di</strong> epiclesi <strong>di</strong>vina; il riferimento alle Muse nel verso<br />

precedente conferma questa ipotesi.<br />

66<br />

Cf., in particolare, Gronewald-Daniel (2005) e Rawles (2006b). Per l’importanza <strong>della</strong> musica nelle poesia<br />

saffica e arcaica e la sua interazione con il mito e con il rito, cf. Havelock (1983, 124) e Aloni (1997, 28).<br />

18


come Pind. P. 7,11 ’ . Per quanto il verbo non abbia occorrenze in<br />

Saffo 67 , la congettura è linguisticamente accettabile poiché il termine è attestato nella<br />

poetessa (frr. 70,10, 94,27 68 ) ed è improbabile che non ne conoscesse il verbo denominativo 69 .<br />

Meno convincente è la presenza <strong>di</strong> un imperativo aoristo, quando al primo verso si era<br />

ipotizzato un presente: i due imperativi sembrano essere sullo stesso piano, e non trova<br />

spiegazioni una simile variatio del modo verbale 70 . Gronewald-Daniel (2004a) congetturano<br />

per il v. 2 (o ) (con assimilazione progressiva del ), che sembra<br />

la congettura più riuscita. Il nesso trova infatti un parallelo in H. Hom. Merc. 499s.<br />

’ / e anticiperebbe al secondo verso la<br />

contrapposizione fra le e la persona loquens. Per queste ragioni, sottolineerei<br />

maggiormente l’aspetto ‘contrappuntistico’ del primo <strong>di</strong>stico, ipotizzando al v. 2 ’<br />

, con l’accento posto sul pronome <strong>di</strong> prima persona,<br />

sulla scia <strong>di</strong> numerosi loci similes saffici (frr. 16,3, 26,11, 40,1, 46,1, 48,1, 94,6, 168B,4).<br />

Altre congetture sono state avanzate da Austin (2007) e Livrea (2007) 71 . Il primo ricostruisce<br />

il secondo verso con ’ ., ricordando Pind. N. 10,21 ’<br />

che, però, appare piuttosto banale.<br />

. Il secondo congettura (o )<br />

3s. ’ ’ / ’<br />

: “a me, invece, la <strong>vecchiaia</strong> già ha inari<strong>di</strong>to la pelle un<br />

tempo tenera: i capelli, da neri, <strong>di</strong>ventano bianchi”. Per quanto siano andati perduti gli incipit<br />

del <strong>di</strong>stico, l’accenno alla <strong>vecchiaia</strong>, alla pelle e ai capelli ne rende facilmente intuibile il<br />

contenuto: la persona loquens riflette sulla sua senilità e si sofferma sulla descrizione del<br />

proprio deperimento fisico con tono esplicitamente nostalgico 72 . I due versi introducono nel<br />

67 È attestato invece il verbo , in Inc. Auct. frr. 16,2, 35,8 e, in particolare, nel CV: il termine, però, in<strong>di</strong>ca<br />

l’atto <strong>di</strong> danzare, <strong>di</strong>versamente dal verbo che significa più specificamente ‘formare un coro’ (Chantraine,<br />

DELG 830).<br />

68 Secondo la congettura <strong>di</strong> Lobel-Page.<br />

69 Per quanto riguarda la costruzione <strong>di</strong> con l’accusativo con valore <strong>di</strong> complemento <strong>di</strong> modo, cf. fr. 17,12.<br />

70 Per questo troverei più efficace un imperativo presente . Cf. Santamaria Álvarez (2007, 787s.), per il<br />

quale le proposte <strong>di</strong> Di Benedetto (2004a) sono convincenti: «aunque tienen el problema de que los dos<br />

imperativos no están coor<strong>di</strong>nados y de que uno está en presente y otro en aoristo». Lo stu<strong>di</strong>oso congettura<br />

, «con el valor <strong>di</strong> ‘cantar y bailar’».<br />

71 Per le congetture <strong>di</strong> West (2005a) e Di Benedetto (2005), si rimanda al commento del primo verso.<br />

72 Per la modalità <strong>della</strong> descrizione sintomatologica dei vv. 3-6 valgono le riflessioni che Di Benedetto<br />

(1987, 26) ha elaborato per i vv. 7-16 del fr. 31: «si ha […] la sequenza dei “sintomi”, riportati in modo fattuale<br />

e con nessuna ricerca dello stile ornato. E notevole è anche il proce<strong>di</strong>mento per cui la struttura sintattica è più<br />

volte <strong>di</strong>ssociata rispetto alla struttura metrica e l’attacco <strong>di</strong> un nuovo segmento <strong>di</strong> frase interviene non all’inizio<br />

ma all’interno <strong>di</strong> un singolo verso, con la rottura <strong>di</strong> quell’effetto d’onda tendenzialmente armonico che la<br />

19


CV il tema <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, che ricorre frequentemente nei lirici greci arcaici (che si sono<br />

approcciati ad essa secondo molteplici prospettive 73 ) insieme all’elencazione fisica dei suoi<br />

mali 74 . Per quanto riguarda la poesia <strong>di</strong> Saffo, Burzacchini (1995, 90-94) nota che la poetessa<br />

affronta il tema secondo due prospettive: una ‘<strong>di</strong>retta’, che presuppone una trattazione<br />

esplicita dell’argomento, e una ‘trasversale’ che implica la nozione <strong>di</strong> «<strong>di</strong>vario<br />

generazionale» 75 . Il CV rientra nella prima ed è facilmente accostabile al fr. 21,6-8:<br />

ς<br />

Come nel CV, la pelle raggrinzita <strong>di</strong>venta il primo correlativo oggettivo <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, la sua<br />

più evidente manifestazione 76 ; l’avverbio , da parte sua, accentua in climax la<br />

rassegnazione che culminerà nella chiusura del v. 7 ; 77 . L’avverbio si<br />

ritrova anche in Arch. fr. 188 W. 2 , in cui compare il motivo <strong>della</strong> pelle afflitta dalla <strong>vecchiaia</strong>:<br />

corrispondenza metrico-sintattica produce». Come si ricava da Pisi (1995, 450) i sintomi elencati ai versi 3-6 del<br />

CV rispondono a una convenzione letteraria che ha agganci con la me<strong>di</strong>cina greca antica, legata a sua volta alle<br />

«teorie antropologiche elaborate dai filosofi presocratici all’interno <strong>della</strong> loro ricerca sulle ». Sullo spunto<br />

<strong>della</strong> filosofia <strong>di</strong> Talete e Anassimandro, gli ippocratici «proposero […] una ipotesi esplicativa riconducibile alla<br />

“dottrina umorale”» in base alla quale la <strong>vecchiaia</strong> sarebbe un processo <strong>di</strong> raffreddamento associato al<br />

<strong>di</strong>sseccamento. Santamaria Álvarez (2007, 789s.) ha messo in luce come «la variación entre los cuatro efectos de<br />

la vejez está conseguida me<strong>di</strong>ante los tiempos verbales, el segundo aoristo ( , y el primero<br />

probablemente también), el tercero perfecto ( ) y el cuarto presente ( )» e come Saffo non parta<br />

«de una reflexión general sobra el hombre («todos envejecen») para luego aplicarla a sí misma, sino que su<br />

punto de partida es el análisis de un sentimiento particular doloroso, que la lleva, en una línea inductiva, a un<br />

pensamiento universal expresado en la sentencia del v. 8».<br />

73<br />

Burzacchini (1995, 69): «nel variegato panorama <strong>della</strong> lirica greca arcaica, non appare possibile ridurre ad<br />

unità la valenza ideologica <strong>della</strong> nozione <strong>di</strong> <strong>vecchiaia</strong>, né la funzionalità del relativo tema poetico». Cf. Linea<br />

(1995, 125ss.) per quanto riguarda il concetto <strong>di</strong> <strong>vecchiaia</strong> nella lirica tardo-arcaica <strong>di</strong> Pindaro, Simonide e<br />

Bacchilide.<br />

74<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista stilistico, questa sezione del CV non può non riportare alla memoria il fr. 31 <strong>di</strong> Saffo (ai<br />

vv. 5-16) in cui la poetessa elenca i sintomi fisici che la colgono nel guardare una fanciulla non ben identificata<br />

(cf. anche Bernsdorff 2004, 28s.). Cf. le considerazioni <strong>di</strong> Di Benedetto (1985b, 148) a proposito del fr. 31:<br />

«l’uso <strong>della</strong> paratassi, con una serie, a partire dal v. 9, <strong>di</strong> sette proposizioni introdotte con il , trova un preciso<br />

riscontro nel proce<strong>di</strong>mento paratattico, spesso realizzato con , usato per la descrizione sintomatologica nei<br />

trattati me<strong>di</strong>ci. Lo stesso proce<strong>di</strong>mento paratattico si trova in Aesch. Pr. 877-866, quando Io, dopo una<br />

interiezione, descrive con una serie <strong>di</strong> sei proposizioni, connesse tra loro con il , i sintomi <strong>della</strong> sua imminente<br />

follia».<br />

75<br />

Non ci si soffermerà in maniera specifica su quest’ultima. Burzacchini (1995, 91) nota che nella poesia saffica<br />

spesso la <strong>vecchiaia</strong> trova posto in absentia, per il ricordo <strong>della</strong> propria giovinezza (fr. 98A,1ss.), o <strong>di</strong> quella altrui<br />

(fr. 24A,2 e fr. 27,4ss.) o «in attinenza con il rapporto fra i sessi, come nel fr. 121 V., dove la persona loquens è<br />

una donna in età che respinge un partner, invitandolo a cercarsi una compagna meno attempata».<br />

76<br />

Anche in Od. XIII 430 la prima metamorfosi che Atena compie sul corpo <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo per trasformarlo in<br />

vecchio è l’avvizzimento <strong>della</strong> pelle.<br />

77<br />

La parentela tematica e lessicale fra i due componimenti in esame è rimarcata anche da Albini (1997, 40s.).<br />

Nel frammento citato ricorrono richiami testuali al CV: il termine al v. 13 e l’intero sintagma<br />

20


L’avverbio ricorda il del CV, che insieme all’ poco successivo traduce<br />

linguisticamente l’incrociarsi <strong>di</strong> passato e presente, in cui il ricordo si scontra con<br />

l’ineluttabile invecchiamento dell’io loquens 78 . Riguardo al motivo dell’incanutirsi dei<br />

capelli, Burzacchini (1995, 93) ha notato come fra i lirici arcaici esso sia particolarmente caro<br />

ad Anacreonte, che lo utilizza in almeno quattro componimenti 79 , fra i quali PMG 395,1-6:<br />

Oltre al tema dei capelli bianchi 80 , il passo anacreonteo con<strong>di</strong>vide con il CV l’elencazione dei<br />

sintomi <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> (vengono citati anche i denti “vecchi” 81 ) e il ricordo <strong>della</strong> giovinezza<br />

“leggiadra”, con<strong>di</strong>viso da Saffo al v. 6 nel ricordo nostalgico del danzare giovanile 82 .<br />

ς alla fine del v. 6. Anche la tematica del verso è in linea con il CV: nei frammenti che ci sono rimasti<br />

del <strong>carme</strong>, si possono leggere riferimenti al lamento ( ) e al tremore ( ), tipico segno <strong>della</strong><br />

senilità (cf. Eur. Ph. 300s. / e<br />

Eur. HF 230s. / ). Per una<br />

riflessione sulle particelle temporali nel CV, cf. Stehle (2009, 118-130).<br />

78 Per le declinazioni linguistiche dello scorrere del tempo in Saffo, Di Benedetto (1987) associa la sua<br />

sensibilità nei confronti del passato al forte attaccamento alla vita intesa come fruizione <strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità. La<br />

nuova <strong>di</strong>mensione del tempo è per Fränkel (1997, 209s.) uno dei principali elementi che <strong>di</strong>stinguono l’epos<br />

omerico dalla poesia post-omerica: «la poesia lirica è in un certo senso al servizio del giorno […]. Il giorno che<br />

<strong>di</strong>o ci manda mo<strong>di</strong>fica perfino la nostra mente (noos), il centro del nostro sé».<br />

79 Anacr. PMG 358: /<br />

Anacr. PMG 420:<br />

che presenta la duplice cromia, presente anche nel CV, <strong>di</strong> bianco e nero; Anacr. PMG fr. 379(a):<br />

, dove non sono i capelli ma la<br />

barba a incanutire.<br />

80 Definiti in questo caso, me<strong>di</strong>ante duplice sineddoche, “tempie canute” e “bianco capo”, accortamente <strong>di</strong>sposti<br />

in un chiasmo che gioca sulla sottile <strong>di</strong>fferenza fra le <strong>di</strong>verse tonalità <strong>di</strong> bianco e (cf. Degani-<br />

Burzacchini 2005, 259). Il passo presenta numerosissimi richiami testuali con Tyrt. fr. 10,15ss. W. 2 :<br />

21


Di Benedetto (1985b) riprende ( ) già congetturato da Snell, pur con<br />

alcuni suggerimenti, come l’inserimento <strong>di</strong> e <strong>di</strong> altri due possibili verbi, e<br />

83 . Lo stu<strong>di</strong>oso ha seguentemente aggiustato la propria ricostruzione, inserendo<br />

nel primo verso l’«impostazione contrappositiva» concretizzata nel (teorizzata in quel<br />

«modulo del “ma”» che il filologo aveva esposto in 2004, 33-38), congetturando ’<br />

, sull’esempio <strong>di</strong> Od. XIII 433, H. Hom. Ven. 249, Mimn. fr. 3,1 W. 2 , Eur. Tro.<br />

581, Ar. Vesp. 1063ss. e posticipando al v. 4 il verbo che «presuppone<br />

evidentemente Od. XVIII 252» 84 . West (2005a, 4) concorda pienamente con Di Benedetto sul<br />

v. 3 («Di Benedetto’s ’ is perfect») ma giu<strong>di</strong>ca l’aoristo <strong>di</strong> «too<br />

strong» e ipotizza una duplice ricostruzione: «perhaps (cf. Alc. fr. 112,12 V.<br />

]), or, as that looks rather long for the space, », appoggiato da<br />

Santamaria Álvarez (2007, 788). Interessante anche la congettura <strong>di</strong> Gronewald-Daniel<br />

(2004a, 7), che integrano la lacuna facendo riferimento al già citato fr. 188 W. 2 <strong>di</strong> Archiloco:<br />

«Erg. ex. gr. [ ’ ] nach Archil. fr. 188,1f. W. ’ ῶς ς<br />

/ ς ς ῖ . Snell hatte<br />

ergäntz [ . Mit denselben Worten ῆ ς hat Sappho sich über das<br />

-<br />

Da notare il v. 27, in cui ricompaiono le due gradazioni <strong>di</strong> bianco ( e ) ancora riferite al capo e, in<br />

questo caso particolare, alla barba.<br />

81 Il particolare dei denti non compare nella sintomatologia <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> <strong>di</strong> Saffo (così come il riferimento a<br />

particolari eccessivamente cru<strong>di</strong>), ma che essi costituissero per lei un elemento importante <strong>della</strong> bellezza<br />

giovanile si evince dalla valorizzazione metonimica del sorriso, che nel fr. 1,14 è associato ad Afro<strong>di</strong>te (in<br />

sintonia con una tra<strong>di</strong>zione già consolidata: cf. e.g. Il. XIV 211) e nel fr. 31,5 esalta la bellezza <strong>della</strong> fanciulla.<br />

82 Da notare, anche in questo componimento, l’utilizzo degli avverbi e che ricorrono ben due volte in<br />

pochi versi. Un probabile accenno al ricordo <strong>della</strong> giovinezza si riscontra anche nel fr. 24.<br />

83 Di Benedetto (1985b, 149): «ritengo molto probabile che l’attacco del v. 13 si realizzasse con . D’altra<br />

parte, come si è accennato [al v. 3], oltre al verbo è possibile che Saffo abbia usato, per esempio, un<br />

verbo come , o forse anche […]. In un caso come questo si ha tutto un ventaglio <strong>di</strong><br />

possibilità. Tra queste: ( ) ( ) (sulla falsariga dello Snell), ,<br />

] ( = ?), ] .».<br />

84 Nicolosi (2005, 91) appoggia questa ricostruzione, ricollegandosi anche a Od. XIII 431 e XVIII 251s. Inoltre,<br />

ricorda Anacr. PMG fr. 75. Anche Livrea (2007) accetta le integrazioni <strong>di</strong> Di Benedetto per il v. 3 ma propone<br />

per l’incipit del v. 4<br />

22


Alter 21,6 geäußert» 85 . Personalmente, anche alla luce delle ricostruzioni precedentemente<br />

offerte, trovo la congettura <strong>di</strong> Austin (2007 ’ ] particolarmente efficace:<br />

l’imperativo del verbo all’inizio del v. 3 (sulla scia <strong>di</strong> Alcmane e Aristofane 86 ) riprende<br />

il tono esortativo <strong>della</strong> poesia già evidente al v. 1; inoltre, sottolinea il carattere <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong><br />

ciò che viene detto dopo, ossia l’esperienza universale <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> <strong>di</strong> cui la persona<br />

loquens si fa portatore para<strong>di</strong>gmatico. Accolgo anche la ricostruzione <strong>di</strong> Austin (2007, 117)<br />

all’inizio del verso successivo, in cui vengono rielaborate due idee già espresse da Di<br />

Benedetto (1985b): «Au début du vers je combine de façon nouvelle deux idées <strong>di</strong>stinctes<br />

déjà proposées par Di Benedetto, à savoir et . Bruno Snell, le premier, avait bien<br />

vu qu’une forme du verbe s’imposait ici. Il lisait l’aoriste ( ), Gronewald et<br />

Daniel le parfait ’ mais, avec , le present semble plus expressif, comme dans la<br />

citation d’Archiloque ci-dessus [scil. Arch. fr. 188,1 W. 2 ], et nous retrouvons un présent au<br />

v. 5 avec ’ ».<br />

La congettura <strong>di</strong> Hunt (1922, 29) ’<br />

23<br />

87 al v. 4 è concordemente<br />

accettata, salvo l’unico rilievo formulato da Di Benedetto (1985b) sulla scia <strong>di</strong> Lobel<br />

(1927) 88 : gli stu<strong>di</strong>osi ipotizzano ’ ] , con al posto <strong>di</strong> . Per Di Benedetto<br />

(1985b, 149s.), il in Saffo e Alceo «serve ad unire non delle proposizioni, ma invece<br />

sostantivi con funzione <strong>di</strong> soggetto o complemento […]. Non c’è nessun esempio in Saffo <strong>di</strong><br />

un che assolva alla funzione <strong>di</strong> connettere una proposizione a un’altra precedente […].<br />

Stando così le cose, è certamente immeto<strong>di</strong>co introdurre per congettura in Sapph. 58, 14 un<br />

con la funzione <strong>di</strong> connettere due proposizioni (ed è <strong>di</strong>fficilmente pensabile che esso potesse<br />

servire ad unire ad un altro aggettivo». Il , accettato nella ricostruzione <strong>di</strong> West<br />

(2005a, 5) ed esplicitamente appoggiato da Austin 89 e da Nicolosi 90 , convince anche perché<br />

85<br />

In ossequio al parallelo archilocheo, inoltre, gli e<strong>di</strong>tores principes ipotizzano per l’incipit del v. 4 ’<br />

La congettura non sod<strong>di</strong>sfa Luppe (2004, 8), che definisce «unvermittelt» il passaggio dal v. 2 al successivo.<br />

86<br />

Austin (2007, 117): «Je lirais volontier ’, “voyez”. On peut rapprocher cette formulation de ;<br />

dans le Parthénée d’Alcman (PMGF 1, 50) et de ; dans les Thesmophories d’Aristophane (v. 1029)».<br />

87<br />

A proposito dell’incanutirsi dei capelli, Gronewald-Daniel (2004a) citano Anacr. PMG 50 e un passo<br />

dell’Antigone <strong>di</strong> Sofocle (vv. 1092ss.). Danielewicz (2006) confronta il quarto verso del CV con Bacch.<br />

fr. 20A,3-12 M., e ipotizza un prestito del poeta da Saffo, per arrivare a concludere (in relazione alle somiglianze<br />

lessicali dei due carmi), che «the Bacchylidean ’ supports the supplement ’ with a<br />

new argument, making the old conjecture of Hunt (mo<strong>di</strong>fied by Lobel), pratically unquestionable».<br />

88<br />

Di Benedetto (1985b, 149): «<strong>di</strong>sturba solamente il<br />

l’eccezione <strong>di</strong> Lobel».<br />

che pure è stato generalmente accolto dagli stu<strong>di</strong>osi, con<br />

89<br />

Austin (2007, 117): «Au vers suivant, Hunt avait pensé à ’ ] , comme dans un<br />

passage de l’Antigone <strong>di</strong> Sopochle [scil. Hunt 1922, 42 e Gronewald-Daniel (2004a, 7)]. En fait, il faut lire<br />

non ’, comme l’a tacitement fait Edgar Lobel».<br />

’,<br />

90<br />

Nicolosi (2005, 91): «si conferma la bontà del palmare supplemento congetturato già da Hunt nell’e<strong>di</strong>tio<br />

princeps del papiro ossirinchita [scil. P. Oxy. 1787] ’ ] ., da ritoccare soltanto con


(Di Benedetto 1985b, 150) «d’altra parte, il modulo paratattico del appare usato, appunto<br />

nella descrizione dei sintomi <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, sia da Archiloco in SLG 478 b, 2-3 sia da<br />

Anacreonte (PMG 395). E nel contesto lacunoso del fr. 58 <strong>di</strong> Saffo il raffiora al v. 15<br />

’ . Questo modulo paratattico con l’enumerazione dei vari ‘sintomi’ <strong>della</strong><br />

<strong>vecchiaia</strong> è comparabile con il proce<strong>di</strong>mento per cui nei testi me<strong>di</strong>ci i sintomi appaiono<br />

allineati […] uno all’altro» 91 .<br />

Vv. 5s. ’ ’ / ’<br />

’ : “l’animo si è fatto pesante, e le ginocchia più non reggono, un<br />

tempo agili nella danza come cerbiatte”. Grazie al ritrovamento dei papiri <strong>di</strong> Colonia, a<br />

<strong>di</strong>fferenza dei primi quattro versi, i vv. 5s. sono integri.<br />

Il nesso … è stato da subito messo in relazione dagli e<strong>di</strong>tores principes<br />

con il saffico fr. 42 (che al primo verso recita<br />

probabilmente a delle colombe 93 ) e con Mimn. fr. 2,11 W. 2<br />

24<br />

92 , relativo<br />

94 . Come ha scritto Nicolosi (2005, 91), «uno degli elementi <strong>di</strong> maggior rilievo è la<br />

presenza, al v. 5, del termine ; il vigore giovanile oramai spento è in<strong>di</strong>cato con un<br />

vocabolo che normalmente in<strong>di</strong>vidua, nella lirica arcaica e nella stessa Saffo, la sede del<br />

coinvolgimento emozionale (anche dell’amore, cf. Sapph. fr. 1,18 V.)»; lo stesso che<br />

spinge Bernsdorff (2004, 27) ad affermare che «Sappho mit dem auch eine innere<br />

Instanz vom Alter betroffen sein läßt» 95 . Non si hanno altre attestazioni nella lirica arcaica<br />

l’accoglimento, in luogo <strong>di</strong><br />

Di Benedetto».<br />

, del più funzionale , proposto dal Lobel e sostenuto con vali<strong>di</strong> argomenti da<br />

91<br />

Per similarità fra carmi saffici e testi me<strong>di</strong>ci, cf. Di Benedetto (1985a).<br />

92<br />

O, forse,<br />

sulla base dei frr. 61,1 e 68,2.<br />

’ , come stampa Voigt (1971, 65) seguendo l’esempio <strong>di</strong> Blomfield (1813),<br />

93<br />

Come testimonia lo scolio alla prima Pitica pindarica (1,10a).<br />

94<br />

Un’attestazione del nesso paragonabile al CV si trova in Theocr. 1,96<br />

un’analisi dettagliata del v. 5, cf. Bernsdorff (2004).<br />

Per<br />

95<br />

Bernsdorff nota come questa istanza interiore <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> si <strong>di</strong>fferenzi dalla comune sintomatologia<br />

limitata ai suoi mali fisici. Lo stu<strong>di</strong>oso ritiene che anche abbia una ascendenza omerica in Il. IV<br />

316ss., passo con cui il CV con<strong>di</strong>vide il richiamo alle ginocchia, e stabilisce dei legami fra il CV e Mimn. frr.<br />

1,7s., 2,11a, 5,8 W. 2 Per Di Benedetto (2004a, 5) « è usato a livello <strong>di</strong> elementarità animalesca, per<br />

in<strong>di</strong>care l’impulso intimo, lo slancio che induce il movimento», secondo la definizione <strong>di</strong> Snell (1971, 29)<br />

relativa al termine nei poemi omerici: «Thymòs […] è l’organo interno del movimento» (cf. pp. 29-46). Lidov<br />

(2009, 95-96), alla luce del fatto che «thumos in the Lesbians refers to the organ which generates desires that can<br />

be acted on and gives impulse to motion», offre una spiegazione particolarmente ‘me<strong>di</strong>ca’ del nesso<br />

: «the general sensation that … [ ] describes […] is what we call not a “heavy heart” but a<br />

“slowing of the blood” (or a low thyroid-count) and Sappho explicates it imme<strong>di</strong>ately as a problem of motion».<br />

Nell’elencazione dei sintomi <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, a mio parere, lo non riveste un ruolo a parte. L’“animo”<br />

viene in un certo senso ‘corporizzato’: già in Omero si parla <strong>di</strong>aletticamente al proprio animo, conferendogli una<br />

alterità rispetto a se stessi. Allo stesso modo, nel CV, Saffo lo concepisce come un ‘altro da sé’, passibile <strong>di</strong>


<strong>della</strong> iunctura in grado <strong>di</strong> confermare il valore che Saffo intendeva realmente assegnarle, ma<br />

pare che in essa l’aggettivo ς (hapax saffico) esprima sinteticamente tutta l’ambivalenza<br />

concreta e metaforica <strong>della</strong> ‘pesantezza’ 96 . Per ritrovare i due termini insieme occorre<br />

attendere Euripide (Med. 176) che, come Callimaco (Del. 215, Cer. 80), li fonde<br />

nell’aggettivo composto .<br />

L’accostamento delle ginocchia al , al contrario, non è isolato: come notato da<br />

Bernsdorff (2004, 32) e Nicolosi (2005, 93), i termini ricorrono insieme già in àmbito epico in<br />

ll IV 313-316, XVII 451s., nonché in Od. XVIII 133 (cf. Burzacchini 1995, 70); per quanto<br />

riguarda la lirica, si ritrova in Tyrt. fr. 10,15ss. W. 2 . Il tema del vigore delle ginocchia, «in cui<br />

si riassume l’efficienza fisica tout court» 97 , ricompare anche in Theogn. 977s. 98 e loci similes<br />

sono ll. XXIII 627-629, Alc. fr. 33c,3 V., nonché Alcmane (PMGF 26) 99 :<br />

’<br />

’ ’<br />

A si sostituisce : un termine che, pur significando più in generale ‘corpo umano,<br />

membra’, in questo contesto riveste il significato affine <strong>di</strong> “organi che reggono un corpo<br />

anziano” 100 ; inoltre, gioca un duplice ruolo nel contesto del CV: oltre a essere parte integrante<br />

dei sintomi <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> insieme ai capelli, è l’elemento da cui scaturisce il ricordo del<br />

passato dell’io loquens.<br />

.<br />

Il v. 6 chiude l’elencazione fisica dei sintomi <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, riprendendo<br />

strutturalmente il v. 3: i versi «se asemejan también en el léxico: adj. + ' (3),<br />

riflessione. Nella sua accezione fisica, il binomio richiama la pesantezza <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> espressa in H. Hom.<br />

Ven. 233s. e in Eur. HF. 638-640.<br />

96<br />

Una doppia valenza analoga è quella del nesso formulare omerico (cf. Bernsdorff 2004, 27s.).<br />

Si veda Bernsdorff (2004, 28): «ein Attribut [scil. ς] das eigentlich dem Körper zukommt, ist also auf eine<br />

innere Instanz übertragen. Diese Übertragung suggeriert einen Zusammenhang zwischen einer körperlichen und<br />

einer inneren Verfassung: Die Seele ist von derselben ‘Schwere’ erfaßt, <strong>di</strong>e im den Körper betreffenden<br />

Ausdruck von 15b [scil. il secondo emistichio del v. 7] implizierd wird».<br />

97<br />

Burzacchini 1995, 70.<br />

98<br />

Il tema sarà poi vitale anche in epoca ellenistica (cf. Theocr. 14, 70) e in area latina (cf. Hor. Epod. 13,4).<br />

99<br />

Di Benedetto (2004a, 5) ricorda anche Ap. Rh. I 40-44. L’analogia tra i versi <strong>di</strong> Alcmane e del CV è affrontata<br />

anche da Bernsdorff (2004).<br />

100<br />

Il termine ben attestato già nell’epica (e.g. Il IV 230, XIII 85), deriva da una antica ra<strong>di</strong>ce (molto<br />

produttiva in greco) che ha valore ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> ‘ricurvo, flessibile’ (come possono essere le membra umane). Al<br />

neutro plurale si è specializzato nel significato che ritroviamo nel passo citato <strong>di</strong> ‘membra del corpo’.<br />

(cf. Chantraine, DELG 239-241). Differentemente, in<strong>di</strong>ca precisamente le ginocchia, ma in questo caso si<br />

tratta <strong>di</strong> sineddoche per gambe o per membra.<br />

25


etomado en + adj. + (6)» 101 . Per quanto è pervenuto <strong>della</strong> letteratura greca, il<br />

paragone fra la giovane persona loquens danzante e la cerbiatta non è attestato prima <strong>di</strong> Saffo.<br />

La scelta <strong>della</strong> poetessa <strong>di</strong> alludere alla giovinezza tramite l’immagine <strong>di</strong> questo animale è<br />

felice e asseconda ulteriormente il tono nostalgico che caratterizza i versi in questione 102 .<br />

L’animale, del resto, è «simbolo <strong>di</strong> scioltezza (cf. H. Hom. II 174-178, Bacch. Fr. 13,87-90) e<br />

<strong>di</strong> giovinezza (cf. Arch. fr. 196a,47 W. 2 , Anacr. PMG 63» 103 . Ad esso fa riferimento (ma non<br />

a livello grammaticale) il termine , composto dal prefisso intensivo e<br />

dall’aggettivo<br />

105 , che sta a in<strong>di</strong>care l’agilità derivante dalla salute e dal vigore fisico<br />

e si ritrova in Omero (correlato alle ginocchia) in due espressioni formulari:<br />

’ (Il. X 358, XV 269, XXII 24, XXII 144) e …<br />

(Il. XX 93; XXII 204) 106 . All’interno del verso merita attenzione anche , terza<br />

persona dell’imperfetto lesbio <strong>di</strong> , che rafforza la testimonianza dell’iscrizione <strong>di</strong> Ege del<br />

III sec. a.C. e certifica l’esistenza delle forma in àmbito lesbio 107 .<br />

V. 7. ;: “Per quel che m’accade spesso<br />

gemo, ma che posso fare?”. Il v. 7 è stato restituito pressoché integro dal papiro <strong>di</strong> Colonia.<br />

L’unica lacuna riguarda l’incipit, in cui manca una sillaba. Gronewald-Daniel (2004a, 8)<br />

hanno ipotizzato ‹ › , «zu verstehen als inneres Objeckt im Sinne von „deshalb” =<br />

, welches sich in der Nachahmung Anakreons findet» 108 , oppure ‹ὂ ›, con =<br />

in tmesi con il successivo verso<br />

109 . West (2005a, 4) preferisce ‹ ›, che era<br />

stato giustamente scartato da Gronewald-Daniel poiché il compare già nel verso<br />

101<br />

Santamaria Álvarez (2007, 789).<br />

102<br />

Santamaria Álvarez (2007, 799): «un me<strong>di</strong>o de mitigar el posible hastio de una enumeración es la<br />

comparación de sus ro<strong>di</strong>llas antaño ágiles con las de los cervatillos, la qual cierra elegantemente esta parte del<br />

poema con un término inesperado que aviva la imaginación del oyente alejándolo por un momento de una<br />

realidad triste».<br />

103<br />

Per ulteriori paralleli, cf. Gronewald-Daniel (2004a, 8).<br />

104<br />

Cf. Hesych. 1 L. .<br />

105<br />

L’aggettivo deriva a sua volta dall’avverbio , <strong>di</strong> incerta etimologia e dal significato <strong>di</strong> ‘subito’. Per il<br />

suffisso - cf. Chantraine (1979, 231s.).<br />

106<br />

I omerici trovano un parallelo nei <strong>di</strong> Pindaro (N. 10,63) fino a Licofrone (v. 245),<br />

passando per Euripide (Hec. 1039, El. 549, Hel. 555) e Bacchilide (fr. 20C,9 M.).<br />

107<br />

Cf. Bettarini (2008, 34-36).<br />

108<br />

La congettura è accolta da Livrea (2007) e Austin (2007, 117): « dans le sens de “voilà pourquoi” est<br />

un tournure i<strong>di</strong>omatique qui correspond bien au ’ dans la phrase d’Anacréon, ’ ».<br />

109<br />

Il verbo si ritrova in Il. X 9, e gli e<strong>di</strong>tores principes lo mettono a confronto con in Anacr. PMG<br />

50 (per una spiegazione dell’hapax, cf. Degani-Burzacchini (2005, 259); la congettura può essere rafforzata dalla<br />

presenza, nel verso successivo, dell’avverbio , etimologicamente connesso al presente al verso in<br />

esame del CV. Per quanto riguarda la tmesi, cf. Sapph. fr. 48,2. Tsantsanoglou cita per altre attestazioni del<br />

verbo l’epica tardo-ellenistica <strong>di</strong> Quint. Sm. II 634, X 253 e Nonn. D. XX 17, XXIV 192.<br />

26


precedente 110 . Burzacchini (2007a, 100s.) ipotizza ‹ ›, «con impiego <strong>di</strong> ‹ › in<br />

riferimento a ciò che precede» 111 o ‹ › (con ;), «che avrebbe lo stesso significato<br />

e anticiperebbe più da vicino l’Anacreonte del fr. 36,7 Gent.», riproponendo una tmesi con<br />

: quest’ultima congettura è stata in<strong>di</strong>pendentemente formulata anche da Lundon<br />

(2007a, 1-3), il quale ipotizza un‘aplografia dello scriba 112 . Führer (2007, 11) propone invece<br />

; 113 : l’inizio del v. 7 «muß also vokalisch anlauten» dal momento che alla fine del verso<br />

precedente compare il efelcistico ( ) 114 . Tsantsanoglou (2009a, 1) congettura<br />

, poiché « ( ) referring to what precedes is all to common in the epic» 115 . Una<br />

ulteriore ricostruzione potrebbe essere , crasi per , con un accusativo <strong>di</strong> relazione<br />

che riprenderebbe la congettura <strong>di</strong> West ma che accentua, anche all’inizio del v. 7, la<br />

<strong>di</strong>mensione intimista del CV: “per queste cose che mi riguardano, frequentemente gemo” 116 .<br />

Il verbo , <strong>di</strong> chiaro sapore epico (in Omero compaiono tre<strong>di</strong>ci<br />

attestazioni), in<strong>di</strong>ca «il pianto sommesso e personale, il pianto degli affetti perduti e delle<br />

sventure sofferte […], qui legato alla consapevolezza <strong>della</strong> propria debolezza fisica» 117 . Nel<br />

CV viene affiancato dall’avverbio , derivante dall’aggettivo (a sua volta<br />

derivato dalla forma avverbiale alternativa e più frequente<br />

27<br />

118 ) e forse connesso<br />

110 La congettura <strong>di</strong> West non convince nemmeno Lundon (2007, 2).<br />

111 Burzacchini (2007a, 100): «il senso sarebbe: “ciò lamento spesso” (con transitivo, come<br />

probabilmente in Od. I 243), ovvero, se si assegna a valore avverbiale e si intende come<br />

intransitivo, “perciò spesso gemo”».<br />

112 «Ich habe den Verdacht, daß der Schreiber beim Kopieren das Wort am Anfang der Zeile versehentlich<br />

ausgelassen hat». Per Lundon la congettura comporterebbe tre vantaggi. In primo luogo risulterebbe facile<br />

<strong>di</strong>mostrare l’aplografia dello scriba, per la somiglianza grafica <strong>di</strong> e ; in secondo luogo, «daß mittels der<br />

Präposition eine explizite kausale Verbindung zwischen den in den vorangehenden Versen beschriebenen<br />

Alterserscheinungen und den Gefühlen der Dichterin hergestellt wird»; infine, verrebbero coronate le già<br />

molteplici corrispondenze con Anacr. PMG 395, secondo la quadruplice corrispondenza dei termini ~<br />

’ ~ ~ ~<br />

113 Come ricordato dallo stu<strong>di</strong>oso, in incipit <strong>di</strong> verso compare anche in Sapph. fr. 95,5 e<br />

Alc. frr. 143,5, 382,1 V.<br />

114 A séguito <strong>di</strong> questa osservazione, accetta quin<strong>di</strong> anche la congettura <strong>di</strong> Gronewald-Daniel ‹ὂ › e scarta<br />

‹ › e ‹ ›. L’argomentazione <strong>di</strong> Führer non convince Lundon (2007a, 2), per il quale «das bewegliche<br />

Ny kann bekanntlich auch vor folgendem Konsonant stehen. An <strong>di</strong>eser Stelle tritt es sogar am Strophenende und<br />

ganz am Schluß der Aufzählung der Alterssymptome auf, wo <strong>di</strong>e Erste<strong>di</strong>toren ein Komma setzen»; inoltre,<br />

Lundon non giu<strong>di</strong>ca convincenti i paralleli <strong>di</strong> Führer e afferma che «sein findet außerdem keine<br />

Entsprechung in der Nachahmung Anakreons». Solamente la seconda critica <strong>di</strong> Lundon sembra davvero efficace.<br />

Sulla prima, bisogna ammettere che sussiste un fondo <strong>di</strong> verità nell’interpretazione <strong>di</strong> Führer: è vero che lo stato<br />

frammentario <strong>della</strong> corpus saffico non garantisce certezze ma, sulla base <strong>di</strong> quanto è pervenuto, si nota come la<br />

tendenza sia quella affermata da Führer (cf. fr. 31,1s. e fr. 132,1s.). Per quanto riguarda la terza, occorre<br />

ricordare che il rapporto con Anacreonte è solamente ipotetico e non certo.<br />

115 Cf. e.g. Il. IV 176, Od. XIII 427, XIV 363, XV 31.<br />

116 Questo genere <strong>di</strong> crasi è attestata due volte in Saffo, al fr. 41,1 e 163,1.<br />

117 Nicolosi (2005, 92).<br />

118 L’avverbio, già omerico ed esiodeo, è attestato anche fra i lirici arcaici (Sol. fr. 4,33 W. 2 , Alc. fr. 72,6 V., e<br />

Anacr. PMG 395,8) e tardo-arcaici (ricorre molteplici volte in Pindaro).


etimologicamente al verbo<br />

119 . L’intero periodo svolge nella poesia un importante<br />

ruolo <strong>di</strong> ‘cintura’ fra l’elencazione dei mali fisici dei versi precedenti e il secondo emistichio<br />

del verso, che racchiude la domanda (culmine <strong>della</strong> climax dei versi precedenti)<br />

Già Di Benedetto (1985b, 150) aveva notato come la «domanda retorica» che<br />

«esprime il <strong>di</strong>sincanto circa la con<strong>di</strong>zione umana» 120 ricor<strong>di</strong> Sapph. fr. 31,17, in cui<br />

all’elencazione dei sintomi fisici «segue una frase con che acquista un carattere<br />

autoriflessivo» 121 . L’espressione è para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> quel «modulo del ma» teorizzato da Di<br />

Benedetto (2004, 33-38), che si rapporta con Il. XIX 90 , pur con una<br />

innovativa presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza 122 .<br />

V. 8. ’ : “Non è possibile essere uomini<br />

immuni da <strong>vecchiaia</strong>”. Il verso, restituito completo dai papiri <strong>di</strong> Colonia, risponde sotto forma<br />

<strong>di</strong> gnome alla domanda retorica del v. 7 123 . L’io loquens prende implicitamente atto <strong>della</strong><br />

fugacità <strong>della</strong> giovinezza 124 e dell’inevitabile arrivo <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, e si avvia alla descrizione<br />

del mito <strong>di</strong> Titono. La posizione centrale che il verso ricopre all’interno del <strong>carme</strong> <strong>di</strong>mostra<br />

119 Cf. Chantraine, DELG 421. L’aggettivo (hapax saffico) è una forma molto rara, che in tutta la fase<br />

<strong>di</strong>alettale greca non si ritrova (isolatamente) che in Hipp. Superf. 25,13.<br />

120 Nicolosi (2005, 92).<br />

121 Sulla base delle similarità espresse fra i due frammenti, la sententia al v. 8 del CV <strong>di</strong>venta un’esplicita<br />

testimonianza a favore <strong>della</strong> presenza <strong>di</strong> una gnome in seguito all’affermazione del<br />

fr. 31,17. Per un confronto fra i due carmina, cf. Lar<strong>di</strong>nois (2009, 48-51).<br />

122 «Non è necessario pensare che qui Saffo avesse presente il verso dell’Iliade. L’espressione “ma cosa ci posso<br />

fare?” doveva far parte <strong>della</strong> lingua d’uso, e da essa devono averla presa sia l’autore dell’Iliade che Saffo. Ma<br />

nell’Iliade questa espressione è associata da Agamennone alle considerazione che è la <strong>di</strong>vinità che <strong>di</strong>spone <strong>di</strong><br />

ogni cosa. E anche in questa associazione fra il “ma cosa ci posso fare” e il “tutto <strong>di</strong>pende dagli dèi” l’autore<br />

dell’Iliade doveva <strong>di</strong>pendere, con ogni probabilità, da un modulo espressivo comune, proprio del linguaggio e<br />

del pensiero <strong>di</strong> ogni giorno. E invece Saffo reagisce all’inevitabilità <strong>di</strong> questo nesso, e innova coraggiosamente.<br />

L’operato degli dèi (in particolare <strong>di</strong> Zeus) viene infatti puntualmente evocato nei vv. 19-24 del fr. 58, ma per<br />

essere messo tra parentesi e per mostrarne la non attualità per la situazione personale <strong>di</strong> Saffo […]. Ciò che la<br />

<strong>di</strong>vinità può dare non viene negato, e Saffo non intende affrontare qui la problematica del rapporto uomo/<strong>di</strong>o.<br />

Ella, invece, <strong>di</strong> fronte agli dèi vuole ritagliarsi uno spazio autonomo: gli dèi, certo, va bene, ma per me ciò che<br />

conta è il mio mondo <strong>di</strong> sentimenti e <strong>di</strong> fruizioni». La Voigt, in apparato, al v. 17 rimanda al fr. 140,1, dove si<br />

legge ;, che tuttavia, come ha osservato Di Benedetto (1985b, 162), «si pone in una <strong>di</strong>mensione<br />

mitico-rituale del tutto estranea a questo passo».<br />

123 Che la <strong>vecchiaia</strong> sia un male incurabile inflitto dagli dèi è confermato dalla narrazione esiodea delle età<br />

dell’uomo, in cui la stirpe aurea si <strong>di</strong>stingue dalle successive proprio per la mancanza del dolore e <strong>della</strong> triste<br />

<strong>vecchiaia</strong> (Op. 109-114). Per quanto riguarda il ruolo <strong>della</strong> gnome nella lirica greca, cf. Neri (2004, 95s.): «La<br />

sentenza (gnóme) […] è la modalità principale con cui la poesia greca visualizza e <strong>di</strong>scute il proprio patrimonio<br />

etico […]. Di ampia <strong>di</strong>ffusione già nell’epos è il tema universale <strong>della</strong> grandezza <strong>di</strong>vina e dei limiti <strong>della</strong><br />

con<strong>di</strong>zione umana […]. Tra i limiti più evidenti e insuperabili dell’esistenza fa spicco, con la morte, la<br />

<strong>vecchiaia</strong>».<br />

124 Sotto questo profilo, rispetto alla lirica arcaica (Mimnermo e Alceo in primis) non sono ravvisabili in Saffo<br />

analoghe riflessioni sconsolate sul tempo che fugge, da cui l’invito alla spensieratezza e al carpe <strong>di</strong>em. La<br />

poetessa sembra piuttosto concentrarsi sulla bellezza del vissuto (proprio e delle compagne), idealizzato dal filtro<br />

del ricordo che lo rivitalizza (frr. 24,1-5, 49, in part. 16,15-20, 94; questo anche se il ricordo è struggente: cf. fr.<br />

96,1-5).<br />

28


l’accento riposto da Saffo sul suo significato e l’importanza che esso riveste nell’àmbito <strong>della</strong><br />

struttura complessiva: esso funge da ‘laccio’ fra i vv. 3-7 (incentrati sulla soggettività dell’io<br />

loquens), e i vv. 9-12 (focalizzati sulla vicenda mitica, dunque universale, <strong>di</strong> Titono) <strong>di</strong>sposti<br />

specularmente 125 . Se non si tiene conto dell’incertissimo Stesich. PMGF S11,9 l termine<br />

, «enfatizado al colocarse a comienzo de verso y lo más lejos posible de su verbo<br />

copulativo» 126 , ricorre qui per la prima volta con certezza nella lirica greca arcaica; in Omero<br />

ed Esiodo presenta numerose attestazioni, quasi tutte declinate all’interno <strong>della</strong> formula<br />

(spesso con ). A proposito del passo, Di Benedetto<br />

(2004a, 5) afferma che «al v. 8 […] Saffo ha usato in un contesto originale un concetto che è<br />

la struttura portante <strong>della</strong> cultura greca arcaica per ciò che attiene ai concetti etici. La nozione<br />

che è resa con l’espressione del v. 8 (cf. Simonide, Erodoto) Saffo non la<br />

utilizza per gli altri, per ammonirli e non superare i limiti dell’umano, ma la utilizza per se<br />

stessa, per crearsi come una linea <strong>di</strong> resistenza: a fronte <strong>della</strong> smoderatezza <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong><br />

che aggre<strong>di</strong>sce la sua persona», e Gronewald-Daniel (2004b, 2) mettono a confronto il v. 8<br />

con Bacch. Dith. 3,88 Ir. (che a sua volta mette in luce la contrapposizione gioventù-<br />

<strong>vecchiaia</strong>):<br />

’ [ ]<br />

ῆ [ ]<br />

Il sintagma ricorre anche nel fr. 16,21 127 , che Boedeker (2009, 76-81)<br />

ha messo a confronto con il CV e il fr. 17 per il comune tema dell’adynaton.<br />

Vv. 9s. / ’<br />

’ ᾶ : “E infatti si raccontava che un tempo Eos dalle<br />

braccia <strong>di</strong> rosa, lasciate le re<strong>di</strong>ni per amore, portando via Titono giunse ai confini <strong>della</strong><br />

terra”. Il <strong>di</strong>stico in esame, che introduce la vicenda mitica <strong>di</strong> Titono ed Eos, è integro nei<br />

125 Cf. Bettarini (2007, 3): «il v. 8, a <strong>di</strong>mostrazione <strong>della</strong> sapienza con cui è costruito il <strong>carme</strong>, costituisce una<br />

splen<strong>di</strong>da cerniera, in quanto concettualmente riferibile (e, mio avviso, riferito) sia a quanto segue sia a quanto<br />

precede: ’ , principio valido sia per Saffo ai vv. 3-7 sia per<br />

Titono ai vv. 9-12».<br />

126 Santamaria Álvarez (2007, 790).<br />

127 Burzacchini (1995, 93) suggerisce il confronto anche con Sapph. fr. 96,21-23 …<br />

. Per l’espressione cf. anche Simon. PMG 542,21s. ’<br />

/ .<br />

29


papiri <strong>di</strong> Colonia 128 . Il mito riflette su un piano universale le riflessioni <strong>della</strong> poetessa,<br />

‘oggettivandole’ me<strong>di</strong>ante la propria funzione <strong>di</strong> «macrotesto <strong>di</strong> riferimento <strong>di</strong> tutta la cultura<br />

arcaica» 129 . Nel CV, Titono sembra svolgere la funzione <strong>di</strong> alter ego mitico <strong>della</strong> persona<br />

loquens: l’io parlante, dopo aver riflettuto sulla <strong>vecchiaia</strong>, pare rispecchiarsi nel personaggio,<br />

exemplum universale <strong>della</strong> con<strong>di</strong>zione in cui versa 130 . Il personaggio è molto antico e compare<br />

già nell’epos e nell’Inno omerico ad Afro<strong>di</strong>te (vv. 218-238) 131 . Figlio <strong>di</strong> Laomedonte e<br />

128 Già Lobel (1923) e Stiebitz (1925), prima <strong>della</strong> testimonianza dei papiri <strong>di</strong> Colonia, avevano ipotizzato la<br />

presenza del mito ai versi 9-12 del CV. La descrizione del mito ricopre quattro versi («Sappho is very<br />

economical with the myth giving it just four lines», West 2005b), una cifra anomala secondo gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Canter<br />

(1933, 220s.), secondo il quale solamente il 10% dei «mythological para<strong>di</strong>gms» nella letteratura greca<br />

occuperebbe dai 3 ai 5 versi (o più <strong>di</strong> 50).<br />

129 Aloni (1997, XXXVIII). La funzione del mito nella letteratura greco-latina viene ben sintetizzata da Canter<br />

(1933, 201s.): «the use of para<strong>di</strong>gm […] is one of the more important rhetorical means offered, by nature as it<br />

were, to a speaker or writer for giving to his hearer or reader illustration, amplification, and reinforcement of the<br />

subject under <strong>di</strong>scussion, as also for imparting embellishment to his material. Its employment constitutes at the<br />

same time a means for securing persuasion, carrying conviction, or establishing proof in the mind of hearer or<br />

reader as to that about which the speaker or writer wishes to effect persuasion, conviction, or proof. More<br />

specifically the effect of the para<strong>di</strong>gm is to confirm general principles, statements, inferences, and conclusions<br />

[…] as natura, self-explanatory, and true […]. Thus, as an instrument for illustrating general principles the<br />

example makes for vividness of presentation through the specific and the concrete […]. Finally, in ad<strong>di</strong>tion to<br />

the para<strong>di</strong>gm’s significance as a means of effectively presenting the views of the speaker, its employment has the<br />

advantage of gripping and hol<strong>di</strong>ng the interest or the hearer».<br />

130 «It is obvious that the reference to the legendary persons is introduced to illustrate a personal theme» (Page<br />

1955, 130). Janko (2005, 19) si è interrogato sulla paternità saffica del CV proprio per la narrazione del mito <strong>di</strong><br />

Titono: «if, in this ode, the speaker is a woman, the situation become far more complex, because the genders in<br />

the myth are reversed. The fact that the speaker compares herself to Tithonus might seem to suggest that the<br />

poem is after all by a man, and so not by Sappho. Although some archaic lyrists probably <strong>di</strong>d write in the<br />

personae of others, even of the opposite sex, there is no definitive case in Sappho’s oeuvre where she does this.<br />

On the contrary, the narrator often identifies herself with the author, and sometimes makes others address her as<br />

“Sappho”». Per quanto alla fine anche lo stu<strong>di</strong>oso non metta in dubbio che è il <strong>carme</strong> è saffico, la questione pare<br />

un po’ oziosa: perché la poetessa non avrebbe potuto paragonarsi (in prima persona, o tramite l’io loquens) non<br />

tanto a un uomo, quanto a un personaggio mitico <strong>di</strong> sesso maschile? Data la scarsa quantità <strong>della</strong> poesia <strong>di</strong> Saffo<br />

pervenuta, se si vuole davvero dubitare <strong>della</strong> prassi, non ci si può fondare solamente sulla mancanza <strong>di</strong><br />

testimonianze.<br />

131 Titono, in origine probabilmente un <strong>di</strong>o <strong>della</strong> luce solare forse anatolico (anche per l’incertezza fra e ), e<br />

in<strong>di</strong>cante l’Aurora. Le testimonianze a riguardo sono numerose: Call. fr. 21,3 Pf., Lyc. 941, varie attestazioni<br />

lessicografiche, fra cui Hesych. 1001 C. (in 470 H. Titono viene definito , con un chiaro accenno<br />

alla luminosità). Cf. anche Et. M. 758,27 T . Cf. Càssola (1975, 555s.), Kretschmer (1925, 308-<br />

310), Chantraine (DELG 1122), Kakri<strong>di</strong>s (1964, 25). Il personaggio ricorre spesso nella letteratura latina, dove lo<br />

si ritrova per la prima volta in Plauto (Men. 853). Virgilio ricalca l’espressione <strong>di</strong> Il. XI 1s. e Od. V 1s. (<br />

/ ) in ubi pallida surget<br />

Tithoni croceum linquens Aurora cubile (Georg. I 477, Aen. IV 585, IX 458). Spesso associato a Nestore per la<br />

comune <strong>vecchiaia</strong> leggendaria (e.g. Prop. II 25,10, Sen. Apoc. 4,14, Stat. Silv. IV 3,145), in Orazio (I 28,7s.)<br />

sembra non essere più immortale: occi<strong>di</strong>t et Pelopis genitor, conviva deorum, / Tithonusque remotus in auras<br />

(cf. Pieri 2004 per il <strong>di</strong>battito su una possibile corruzione del testo e per un’ipotesi alternativa al testo trà<strong>di</strong>to).<br />

Properzio (II 18a,7-18) ribalta l’Inno omerico ad Afro<strong>di</strong>te, raffigurando un’Aurora non spernens Tithoni<br />

senectam, abbracciata all’amante, che “non si vergognò <strong>di</strong> dormire con un vecchio e <strong>di</strong> baciare ripetutamente i<br />

bianchi capelli”. Titono si ritrova frequentemente anche nell’iconografia antica (non solo greca, ma etrusca),<br />

sempre legato alla figura <strong>di</strong> Eos, soprattutto nel V sec. a.C, dove «bevorzugt wird hier <strong>di</strong>e Präsentation des T. als<br />

Schulknabe oder Jüngling mit Musikinstrument» (Kossatz-Deissmann 1997, 36), come notano Rawles (2006a,<br />

6) e Har<strong>di</strong>e (2005, 28), dal momento che quest’ultimo lo definisce «Trojan prince-musician». Invecchiato, è<br />

invece raffigurato seduto e stanco, in atteggiamento assorto e malinconico, con lo sguardo spento e il bastone in<br />

mano, segnale <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> (cf. Od. XIII 430-438), in compagnia anche del figlio Memnone il quale, in abiti<br />

guerreschi, sottolinea per contrasto il deca<strong>di</strong>mento paterno.<br />

30


fratellastro <strong>di</strong> Priamo, nella versione più <strong>di</strong>ffusa (quella attestata per la prima volta negli Inni<br />

omerici) venne rapito dalla dea Aurora ( ) che si era innamorata <strong>di</strong> lui 132 ; quest’ultima<br />

ottenne da Zeus l’immortalità per l’amato 133 , <strong>di</strong>menticandosi tuttavia <strong>di</strong> chiederne anche la<br />

perenne giovinezza. La conclusione del mito più <strong>di</strong>ffusa narra <strong>di</strong> Titono, <strong>di</strong>ventato vecchio,<br />

rinchiuso dall’amante <strong>di</strong>vina nel suo palazzo, finché non ne rimase altro che la voce 134 . Se si<br />

guarda soltanto ai poemi omerici (in cui Titono compare tre volte, in ll. XI 1s., XX 237, Od.<br />

V 1s.), Titono «appare ancora come uno sposo vigoroso, dato che Aurora ogni mattina si leva<br />

dal suo letto per dare inizio al giorno» 135 . Rawles (2006a, 3) ritiene che la scelta <strong>di</strong> Saffo sia<br />

ricaduta su Titono non tanto per la sua capacità <strong>di</strong> rappresentare la <strong>vecchiaia</strong>, quanto per il<br />

fatto che «the singer’s sense of loss and regret for her youth and the feelings of this sort<br />

provoked in her by the sight of the girls […] would have led her to feel that her emotional<br />

state, and perhaps her sense of alienation from youthful pleasures such has they can still<br />

enjoy, make her analogous with the figure of Tithonus, who would likewise feel trapped by<br />

his old age and alienated from the pleasures of his former youth»: il comparandum<br />

consisterebbe nella similarità dell’umore dei due termini <strong>di</strong> paragone, più che nella loro<br />

comune <strong>vecchiaia</strong> 136 . Altra ragione determinante del paragone (secondo Rawles) potrebbe<br />

consistere nel tema <strong>della</strong> musica. Come si legge in H. H. Ven. 237, la voce <strong>di</strong> Titono continua<br />

a risuonare anche quando egli è ‘prigioniero’ <strong>di</strong> Aurora: dunque la voce <strong>di</strong> Titono è perpetua.<br />

Il paragone del CV, quin<strong>di</strong>, poggerebbe anche su questo elemento, l’eternità del canto, poiché<br />

«song and […] immortality coexist» 137 . L’ipotesi è interessante, a maggior ragione se si<br />

ipotizza una conclusione del CV con il tetrastico: il mito <strong>di</strong> Titono, da un punto <strong>di</strong> vista<br />

132<br />

Secondo Esiodo (Th. 904s.) la dea gli <strong>di</strong>ede anche due figli, Ematione e Memnone. Per lo Ps.-Apollodoro (III<br />

181-183) Titono era figlio <strong>di</strong> Cefalo ed Eos e padre <strong>di</strong> Fetonte.<br />

133<br />

Titono, insieme ad Anchise e Ganimede (con cui è stretto da <strong>di</strong>versi legami <strong>di</strong> parentela a seconda delle<br />

leggende trà<strong>di</strong>te), è «il terzo principe troiano a fungere da paredro a una <strong>di</strong>vinità» (Guidorizzi 2009, 917).<br />

134<br />

Cf. n. 57 per quanto riguarda l’‘evoluzione’ (successivamente attestata, ma forse altrettanto antica) del mito <strong>di</strong><br />

Titono, con la metamorfosi in cicala.<br />

135 2<br />

Guidorizzi (2009, 917). Fra i lirici greci, oltre a Saffo, Titono appare anche nel fr. 4,1 W. <strong>di</strong> Mimnermo, in<br />

cui il poeta riba<strong>di</strong>sce il giu<strong>di</strong>zio pessimistico e negativo sulla <strong>vecchiaia</strong> (tema car<strong>di</strong>ne <strong>della</strong> sua produzione<br />

poetica, cf. e g. i frr. 1, 2,1 W. 2 ) e in Tyrt. fr. 12,5 W. 2 , dove incarna il ruolo <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> bellezza nell’ode<br />

all’arete.<br />

136<br />

Per Rawles, infatti, più che essere un exemplum dell’inevitabilità <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> (affermata da Saffo al v. 8)<br />

Titono sarebbe stato più adatto a illustrare «the harshness of old age», dal momento che l’inevitabilità <strong>della</strong><br />

<strong>vecchiaia</strong>, comune ai mortali, non venne risparmiata neppure a lui per un «foolish act of inadvertence by Eos»;<br />

secondo questa ipotesi, Ganimede sarebbe stato un paragone più efficace. Concordo con quanto afferma<br />

Bettarini (2007, 3) che, al contrario <strong>di</strong> Rawles, sottolinea «l’esemplarità <strong>della</strong> vicenda <strong>di</strong> Titono […]<br />

nell’affermazione <strong>della</strong> legge universale secondo cui l’uomo è soggetto a invecchiamento». Come ben espresso<br />

dallo stu<strong>di</strong>oso, infatti, «la <strong>di</strong>menticanza <strong>di</strong> Eos non cambia l’ineluttabilità <strong>di</strong> questa legge, semmai la conferma»,<br />

dal momento che nemmeno per intercessione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o è possibile sfuggire alla <strong>vecchiaia</strong>.<br />

137<br />

Rawles (2006a, 5-7).<br />

31


tematico-strutturale, avrebbe il duplice ruolo <strong>di</strong> rappresentare la <strong>vecchiaia</strong> (tema dei vv. 3-8) e<br />

<strong>di</strong> introdurre il tema dell’immortalità del canto presente nel tetrastico 138 .<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista strettamente testuale, il v. 9 si apre col trinomio ,<br />

che ha la funzione <strong>di</strong> introdurre l’enunciazione del mito. L’uso <strong>di</strong> per<br />

introdurre il mito è stato preso in esame da Edmunds (2006, 24): per lo stu<strong>di</strong>oso (che ha<br />

notato come il nesso ricorra anche in Omero per introdurre degli exempla mitici)<br />

Saffo si riferirebbe così alla «mythical figure whose story the speaker is introducing». Il nesso<br />

ricorre altre due volte nei frammenti saffici (frr. 22,15, 27,4) forse a introdurre ricor<strong>di</strong><br />

personali <strong>della</strong> poetessa. La scelta dello stesso connettivo viene a sottolineare il legame<br />

associativo tra la memoria in<strong>di</strong>viduale e la memoria collettiva alla cui trasmissione è delegato<br />

il mito. Altrettanto rappresentativi sono i frr. 16 e 166. Nel primo caso, al v. 6, il svolge<br />

la stessa funzione che assolve nel CV, ossia quella <strong>di</strong> introdurre il racconto epico <strong>di</strong> Elena a<br />

scopo confermativo <strong>della</strong> precedente affermazione soggettiva ai vv. 3s. Il del fr. 166,1 è<br />

l’unico caso in cui troviamo l’avverbio con lo stesso valore che ricopre nel CV: nel<br />

frammento, infatti, introduce col mito <strong>di</strong> Leda il passato mitico nel <strong>carme</strong>, ribadendo il ruolo<br />

<strong>di</strong>dascalico dell’exemplum.<br />

Un interesse particolare da parte degli stu<strong>di</strong>osi è stato riposto sul verbo<br />

Già gli e<strong>di</strong>tores principes (2004a, 8) avevano notato come la forma fosse testimoniata<br />

nell’epos, spesso nell’accezione <strong>di</strong> ‘credere’ (e.g. Il VI 501, XII 106, 125, Od. IV 73). Per Di<br />

Benedetto (2004a, 2) però, l’impiego del termine nel CV non si deve mettere a confronto con<br />

i passi omerici in cui viene utilizzato lo stesso verbo, quanto con «quei commenti anonimi in<br />

riferimento a un evento o a una situazione allora percepiti», propri delle espressioni formulari<br />

(e.g. Od. II 324ss., IV 769ss.). Tuttavia, come ha giustamente affermato<br />

Bettarini (2007, 1), i passi citati da Di Benedetto non fanno riferimento ad alcun evento<br />

mitico, al contrario <strong>di</strong> quelli elencati da Edmunds (2006, 23-25), che ha passato in rassegna le<br />

forme dei verbi e utilizzate per introdurre paragoni mitici 140 . Quest’ultimo ha<br />

notato come l’impiego del verbo nel CV sia peculiare, dal momento che al tempo presente<br />

138 D’altro canto, ci si aspetterebbe almeno un richiamo testuale alla voce o al canto ai vv. 9-12: richiamo che<br />

tuttavia non è presente. Per la questione del mito <strong>di</strong> Titono e del rapporto col canto cf. Kakri<strong>di</strong>s (1964), Brillante<br />

(1987), Rodríguez Somolinos (2005).<br />

139 Magnani (2005, 45) ha notato come l’infinitiva retta dal verbo si <strong>di</strong>versifichi dagli altri casi in cui viene retta<br />

sempre da / : «l’accusativo in prolessi [scil. ] è <strong>di</strong> solito il soggetto dell’infinitiva (con<br />

pre<strong>di</strong>cato verbale, come qui, intransitivo), non l’oggetto del participio congiunto, come intendono Gronewald e<br />

Daniel»; cf. e.g. Od. V 276s. /<br />

. Non è da escludere che la prolessi (tramite variatio) abbia il fine particolare <strong>di</strong> mettere in<br />

evidenza la figura <strong>di</strong> Titono, alter ego dell’io loquens, facendo ruotare intorno a lui l’intero periodo.<br />

140 Edmunds ha preso come riferimento la poesia arcaica e il V secolo a.C.<br />

32<br />

139 .


(che compare numerose volte nella letteratura greca) Saffo preferisce l’imperfetto. Per<br />

Edmunds, «the imperfect can be understood, rather, as continuing the contrast between then<br />

and now articulated in lines 3-6 – black hair then, white hair now, nimble then, stiff now», e il<br />

verbo esprimerebbe (implicitamente) il contrasto fra «(1) what Sappho used to hear<br />

about old age but <strong>di</strong>d not grasp, with (2) what she now understands about old age in general,<br />

or (1) what she used to hear and thought that she understood, with (2) her present, contrasting<br />

view of her own old age» 141 . Rawles ipotizza che l’uso dell’imperfetto possa intendersi come<br />

un’allusione ai poemi antichi (in cui compariva già il mito <strong>di</strong> Titono) conosciuti da Saffo e<br />

dalla sua au<strong>di</strong>ence. Un’ipotesi, quella <strong>di</strong> Rawles, parzialmente accolta da Bettarini (2007, 2s.),<br />

per il quale con « la poetessa potrebbe sì richiamarsi a opere o tra<strong>di</strong>zioni riguardanti<br />

la storia <strong>di</strong> Titono», ma l’uso dell’imperfetto rimarcherebbe il fatto che tali opere<br />

presentavano «una versione precedente e <strong>di</strong>versa da quella corrente, sì da poter giustificare il<br />

forte scarto segnalato da (v. 11) ad inizio <strong>di</strong> chiusa». Saffo farebbe quin<strong>di</strong> riferimento a<br />

una saga del mito in cui sarebbe mancato il finale tragico dell’invecchiamento: la coppia Eos-<br />

Titono sarebbe stata analoga a quella <strong>di</strong> Zeus-Ganimede, e il mortale a tutti gli effetti<br />

. La presa <strong>di</strong> coscienza <strong>della</strong> poetessa si rifletterebbe anche sul mito,<br />

poiché alla consapevolezza del suo invecchiamento fisico seguirebbe quella del «vero destino<br />

<strong>di</strong> Titono rispetto alla versione precedentemente accre<strong>di</strong>tata». La peculiarità dell’imperfetto<br />

notata da Edmunds sussiste, e appare motivata da specifiche sfumature semantiche. Se si<br />

scorrono i loci saffici in cui la poetessa narra o ricorda un evento mitico, infatti, si nota che<br />

essi vengono narrati quasi sempre in un tempo passato 142 . Saffo, omologando il tempo verbale<br />

all’antichità del mito, ne assolutizza il contenuto universale, relegandolo in un passato remoto<br />

e indefinito. Sorella <strong>di</strong> Selene e <strong>di</strong> Elios, la splendente Eos che porta la luce agli uomini e agli<br />

dèi (Hes. Th. 372ss.), non <strong>di</strong>versamente da Titono (nel suo rimando etimologico), anticipa<br />

l’esaltazione <strong>della</strong> luce che domina il (possibile) tetrastico 143 . Nella mitologia greca Eos è<br />

delineata con tratti molto femminili: l’impulso erotico che l’associa ad Afro<strong>di</strong>te, le premure<br />

141 Quanto espresso da Edmunds è stato criticato da Bettarini (2007, 2): «tale lettura, già <strong>di</strong> per sé tacciabile forse<br />

<strong>di</strong> eccessivo psicologismo, mi pare apertamente contraddetta dalla sintassi dei versi in esame. Appare infatti<br />

evidente che l’oggetto <strong>di</strong> […] è solo il rapimento […] mentre nell’ultimo verso e mezzo, dove la<br />

reggenza sintattica cambia ed è tutta in quel crudo risuona l’amaro e presente commento <strong>della</strong><br />

poetessa».<br />

142 Cf. frr. 16,9-11, 17,5-8, 44. Il fr. 22,15 è particolarmente accostabile al CV per il fatto che il verbo [<br />

(forma dell’imperfetto <strong>di</strong> ) è affiancato dal trinomio ]. Un’eccezione è il già citato<br />

fr. 166 in cui compare il verbo presente<br />

143 L’Aurora è (Il. VIII 1), (Od. XII 142), (H. Hom. Dem. 51,<br />

Sapph. fr. 104,1) e (Sapph. fr. 103,10); la sua luce, inoltre, è (Hes. Th. 451).<br />

33


nei confronti <strong>di</strong> Titono e il valore simbolico rivestito nell’àmbito delle cerimonie nuziali (cf.<br />

Sapph. frr. 43, 103).<br />

Il v. 10 è fra i versi più <strong>di</strong>scussi del <strong>carme</strong> data la scarsa leggibilità <strong>di</strong> alcune sillabe<br />

centrali che l’hanno reso uno dei più problematici, sia dal punto <strong>di</strong> vista testuale (le prime<br />

sillabe sono <strong>di</strong>fficilmente leggibili), sia da quello esegetico: risulta chiaro, tuttavia, il<br />

riferimento al rapimento mitico <strong>di</strong> Titono da parte <strong>di</strong> Aurora 144 . Il termine è leggibile<br />

grazie agli ultimi ritrovamenti papiracei (Gronewald-Daniel 2004b). In Saffo il termine è<br />

attestato nella doppia facies, già presente in Omero, <strong>di</strong> forma atematica e tematica<br />

145 . In questo contesto, il termine ha una valenza fortemente erotica (quella <strong>di</strong> ‘desiderio’,<br />

‘passione’, più che <strong>di</strong> ‘amore’) e sembra descrivere il gesto compulsivo del rapimento <strong>di</strong><br />

Titono da parte <strong>di</strong> Aurora 146 . Fra le attestazioni saffiche, esso ricorre anche nel <strong>di</strong>scusso<br />

tetrastico conclusivo, sul quale occorrerà soffermarsi 147 . Le due sillabe seguenti sono<br />

<strong>di</strong>fficilmente comprensibili. Gronewald-Daniel (2004b, 3) cercano <strong>di</strong> ricostruire con<br />

(=‘coppa’), preferendolo correttamente a (= ‘rupe’), che sarebbe contenutisticamente<br />

incompatibile con il CV 148 . L’ipotesi sembra più verisimile anche su base tematica, per<br />

quanto anch’essa sollevi numerosi problemi. La ‘coppa’, in base a questa ricostruzione, non<br />

può che essere quella citata per la prima volta da Stesich. PMGF S17 = 185,1s. ’<br />

34<br />

e riportata in Ath. XI 469c-470d: essa era<br />

utilizzata da Elios per trasferirsi, <strong>di</strong> notte, da occidente a oriente 149 . Per quanto l’utilizzo <strong>della</strong><br />

144<br />

La raffigurazione (cf. n. 127) del rapimento <strong>di</strong> Titono è uno dei soggetti vascolari più <strong>di</strong>ffusi.<br />

145<br />

Cf. e.g. Il. III 442, XIV 294 (con ) e XIV 315 (con ). L’etimologia del termine è sconosciuta<br />

(Chantraine, DELG 363-364). L’eolico ha generalizzato la tendenza già omerica <strong>di</strong> sostituire la forma con<br />

l’omicron a quella con l’omega, a meno che il termine non si trovi in posizione preconsonantica (cf. Heilmann<br />

1963, 161s.). Già Gronewald-Daniel hanno notato come Eustazio, nel commentare Od. XVIII 212<br />

definisca la forma<br />

riscontri, fra i lirici arcaici, in Alc. fr. 283,9 V.<br />

(1843, 60) e come la medesima forma si<br />

146<br />

La frequenza del termine, come le innovazioni che più in generale Saffo ha apportato al linguaggio amoroso<br />

sono già espresse in Lanata (1966). Lo stu<strong>di</strong>oso ha messo in luce come buona parte del lessico amoroso saffico<br />

provenga da quello omerico-esiodeo ( , , , , l’aggettivo per<br />

qualificare Eros); specifiche novità saffiche, tuttavia, sono le neoformazioni (come per designare<br />

Afro<strong>di</strong>te e per es. per designare Eros) e il riutilizzo <strong>di</strong> termini epici con valenza amorosa (come<br />

= ‘scuotere’, che in Sapph fr. 130,1 viene impiegato per descrivere gli effetti dell’amore sull’anima). Che<br />

l’amore (nelle sue varie manifestazioni ed accezioni) fosse fra i temi più cari a Saffo lo <strong>di</strong>mostrano anche i<br />

testimonia riportati dalla Voigt ai carmi saffici: Sapph. frr. 195 (= Demetr. Eloc. 166) e 215 (= Eloc. 132).<br />

147<br />

Le altre attestazioni certe del termine sono nei frr. 23,1 e 112,4. Incerte quelle presenti nei frr. 15,12, 44a,11,<br />

67b,8, 96,36.<br />

148<br />

Il termine ³ non compare che nella trage<strong>di</strong>a (in particolare, cf. e.g. Aesch. Ag. 283, 298), fatto salvo un<br />

epigramma simonideo (fr. 68 Campb.), in cui si fa riferimento alla catena montuosa chiamata Geranea. Anche<br />

Nonn. D. XV 279 (<br />

parte, non conferma questa ricostruzione testuale.<br />

), citato dagli e<strong>di</strong>tores principes e giustamente messo da<br />

149<br />

Il carro venne utilizzato anche da Eracle, che lo prese in prestito da Helios per raggiungere Eritea, dove erano<br />

custo<strong>di</strong>ti i buoi <strong>di</strong> Gerione.


‘coppa’ da parte <strong>di</strong> Aurora (per portare il proprio amato<br />

35<br />

150 ) non sia attestato,<br />

Gronewald-Daniel concludono dubbiosamente che «da der „Sonnenbecher” aber wohl gerade<br />

ein aktuelles Thema in der Literatur war, konnte Sappho sich mit <strong>di</strong>eser Andeutung<br />

begnügen». Per il proseguimento del verso, gli e<strong>di</strong>tores principes pensano alla forma<br />

( ) 151 , ricordando il fr. 12,3ss. W. 2 <strong>di</strong> Mimnermo (in cui si parla delle fatiche<br />

del Sole), dove compare il parallelo …<br />

152 . La ricostruzione <strong>di</strong> Gronewald-<br />

Daniel non convince West (2005a, 4s.), che giu<strong>di</strong>ca inaccettabile l’accenno alla ‘coppa’ per<br />

mancanza <strong>di</strong> prove testuali 153 e per il fatto che, mentre Stesicoro utilizza il verbo<br />

per in<strong>di</strong>care il ‘salire (sulla coppa)’, Saffo si serve invece <strong>di</strong> (cf.<br />

n. 109). Per le sillabe mancanti lo stu<strong>di</strong>oso ipotizza un participio, senza tuttavia essere in<br />

grado <strong>di</strong> proporne uno; inoltre, <strong>di</strong>versamente dagli e<strong>di</strong>tores principes, legge una lettera<br />

150 I “confini <strong>della</strong> terra” cui si fa riferimento si trovano «in den äußersten Osten am Okeanos, wo sie der<br />

Tra<strong>di</strong>tion nach mit ihm zusammenlebt» (Gronewald-Daniel 2004b, 3). L’espressione, attestata in questa iunctura<br />

per la prima volta in Saffo, sarà utilizzata anche da Simonide (PMG 89) e dai tragici (Aesch. Pr. 418, 666 ed<br />

Eur. Med. 540).<br />

151 La forma, che non convince West (2005a, 4: « is an inappropriate compound for embarking<br />

in»), presenta problemi <strong>di</strong> natura morfologico-proso<strong>di</strong>ca: la sillaba / dovrebbe essere lunga (in quanto<br />

aoristo atematico, cf. Heilmann 1963, 224), mentre nel CV risulta essere breve (è infatti la prima sillaba breve<br />

del secondo coriambo). Per Gronewald-Daniel la forma con vocale breve avrebbe paralleli negli infiniti (attestati<br />

epigraficamente) e . Magnani (2005, 46) suggerisce <strong>di</strong> trovare paralleli <strong>della</strong> forma nel duale<br />

omerico (e.g. Il. I 327), cui Bettarini (2005, 36-39, con una spiegazione più esaustiva del problema)<br />

aggiunge (I sing. o III plur.) (III sing.) (I plur.) (inf. att.) del verbo e<br />

(III sing.) (inf. att.) del verbo , sempre presenti in Omero. Secondo Bettarini la forma<br />

non era appartenente alla lingua viva <strong>di</strong> Saffo, e sarebbe statua mutuata da quella tra<strong>di</strong>zione poetica<br />

eolica in<strong>di</strong>pendente dall’epica omerica. Oltre a ciò, Gronewald-Daniel (2004b, 3) notano anche come<br />

«Auffallend ist statt der sonnst belegten -», dal momento che in Sapph. fr. 44,11 viene<br />

considerato da Hamm come una svista. Per questo pensano <strong>di</strong> sostituire la forma trà<strong>di</strong>ta con .<br />

Magnani considera la forma in - - un epicismo, per il fatto che («<strong>di</strong>e zweisilbige Form kommt in<br />

Lesbischen nicht vor», Gronewald-Daniel 2004b, 3) compare spesso nei poemi omerici (e.g. in Il. XVII 320,<br />

337, Od. XIX 125). Di Benedetto (2005, 18) al contrario non ritiene sia da correggere per due<br />

motivi. In primo luogo perché (preposizione), in Saffo, o sta a sé o è elemento <strong>di</strong> composto, ma sempre come<br />

elemento incipitario. Secondariamente perché l’assimilazione regressiva (da dentale a labiale) > è attestata<br />

anche in Sapph. fr. 96,6 (il termine sulla pergamena è ): il fatto che l’assimilazione<br />

regressiva sia assai comune nel papiro <strong>di</strong> Colonia (cf. e.g. v. 10 ) porta lo stu<strong>di</strong>oso a concludere<br />

che la forma fosse effettivamente tale. Tuttavia, come ha notato Bettarini (2007, 6), al v. 8<br />

non è assimilato (dove invece è assimilato, analogamente, al v. 12).<br />

152 Anche nel passo sopracitato <strong>di</strong> Stesicoro compare un composto del verbo : quando il sole tramonta,<br />

Helios (= ‘scende’) dall’alto <strong>della</strong> coppa. Gronewald-Daniel (2004b) ritengono che Saffo avrebbe<br />

potuto pensare a Mimn. fr. 12,5 W. 2 (in cui la coppa <strong>di</strong> Helios viene definita ) nella scelta <strong>di</strong> utilizzare il<br />

verbo , presente anche in Il. VIII 291 ( ): il vocabolo prescelto<br />

deriverebbe da una variatio saffica fondata sull’analogia fra e . Magnani (2005, 46) non appoggia<br />

questa ricostruzione: «Saffo ‘reimpiegherebbe’ questo elemento mitico [scil. la ‘coppa’] ex abrupto, privandolo<br />

del suo epiteto e soprattutto riferendolo non all’Iperionide ma ad Aurora, che tuttavia non vi ‘<strong>di</strong>scende’<br />

come il Sole in Stesicoro, ma vi ‘sale’ o ‘monta’ per portare Titono verso i limiti estremi <strong>della</strong> terra […]. Inoltre,<br />

l’Ateneo che dà enfasi all’immagine stesicorea e alle altre attestazioni del mito <strong>della</strong> coppa aurea, come avrebbe<br />

potuto omettere il riscontro saffico, per <strong>di</strong> più occorrente in un <strong>carme</strong> che successivamente egli mostra <strong>di</strong> aver<br />

presente?» (la seconda motivazione addotta da Magnani, tuttavia, rischia <strong>di</strong> essere un argumentum e silentio).<br />

153 Così anche Nicolosi (2005, 92) e Bettarini (2007, 5s.).


subito dopo<br />

154 . West ricostruisce ,<br />

ricordando come in Sapph. fr. 16,9 si legga , sempre riferito a una<br />

donna innamorata. Di Benedetto (2005), al contrario, appoggia decisamente la ricostruzione<br />

degli e<strong>di</strong>tores principes, e apporta numerose considerazioni in loro favore. Di<br />

Benedetto, che vede nella <strong>di</strong>fficoltà a integrare <strong>di</strong> West un segno <strong>della</strong> sterilità <strong>di</strong> quella linea<br />

interpretativa, ritiene l’uso dei due verbi ed come un «richiamo a<br />

<strong>di</strong>stanza, data la relativa rarità <strong>di</strong> questi verbi composti con più preposizioni». Per Di<br />

Benedetto (2005, 19) non è casuale se «in Stesicoro la menzione del depas si associa a<br />

, in Mimnermo la menzione dell’equivalente depas si associa a », e<br />

sarebbe una curiosa coincidenza che la sfortuna facesse sì «che una innocua desinenza <strong>di</strong> un<br />

participio (- ) in Saffo si venisse a trovare contigua a una forma del verbo in<br />

modo da dare la falsa impressione del verbo usato da Mimnermo» 155 . Lo stu<strong>di</strong>oso afferma,<br />

inoltre, che l’ipotesi <strong>di</strong> West secondo cui Titono sarebbe stato rapito da Eos nel suo carro non<br />

possa reggere, perché il verbo designato per il rapimento nei paralleli testuali è e non<br />

il che si riscontra nel CV 156 ; infine, sostiene che nell’espressione del<br />

v. 10 ci sia un riferimento alla <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> Aurora (in H. Hom. Ven. 227 è collocata<br />

) 157 . “L’estremità <strong>della</strong> terra”, per Di Benedetto, «già <strong>di</strong><br />

per sé richiamava la nozione <strong>di</strong> Oceano», poiché la <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> Aurora appare fin dai poemi<br />

omerici legata all’Oceano (cf. Il. XIX 1s. e Od. XXII 197s.) 158 . Il ‘viaggio oceanico’ <strong>di</strong><br />

Helios sul depas, quin<strong>di</strong>, sarebbe stato preso a modello da Saffo per una innovativa<br />

raffigurazione <strong>di</strong> Aurora: il volo non sarebbe più quello <strong>di</strong> Helios, ma quello <strong>della</strong> dea insieme<br />

al rapito Titono 159 . Magnani (2005, 46-49), al contrario, giu<strong>di</strong>ca «allettante» la proposta <strong>di</strong><br />

West, ma integra la lacuna con [ ] = ‘carro’, rifacendosi alla quadriga con la quale<br />

154 Hammerstaedt (2009, 26), al contrario, è convinto che il non sia leggibile.<br />

155 Un ulteriore richiamo testuale fra Stesicoro e Saffo sarebbe nel fatto che in entrambi i passi si tratta <strong>di</strong> un<br />

ritorno alla propria <strong>di</strong>mora (nel primo caso <strong>di</strong> Helios, nel secondo <strong>di</strong> Aurora).<br />

156 Al contrario, per Di Benedetto, il fatto che nel frammento stesicoreo affiori il verbo (al pari <strong>di</strong> Aesch.<br />

fr. 69 R. 2 e Ferecide FGrHist 3 F 18) sarebbe un ulteriore elemento a supporto <strong>della</strong> ricostruzione <strong>di</strong> Gronewald-<br />

Daniel.<br />

157 DI Benedetto (2005, 19) mette correttamente in luce come l’espressione voglia dare l’idea <strong>di</strong> un luogo remoto<br />

e lontano, «per evidenziare che tutto fu inutile a fronte <strong>di</strong> che “tuttavia” ( ) anche lì riuscì a<br />

raggiungere Titono».<br />

158 Non mi sembra corretto il riferimento <strong>di</strong> Di Benedetto a Il. XVIII 607s. per affermare che Saffo<br />

presupponesse «l’idea <strong>di</strong> un Oceano che con le sue acque avvolge tutta la terra»: nei versi citati si fa riferimento<br />

solamente alla “grande corrente del fiume Oceano”.<br />

159 Tutta la ricostruzione <strong>di</strong> Di Benedetto non convince né Livrea (2007, 75) né Bettarini (2007, 6): «le<br />

intersezioni testuali rilevate da Di Benedetto, pur significative, non appaiono decisive: i dubbi su<br />

restano».<br />

36


Aurora era solita muoversi e con il quale rapì il principe troiano in Eur. Tro. 847-858 160 .<br />

Danielewicz (2005, 135s.) tenta due ricostruzioni: o .<br />

Nel primo caso, perderebbe il significato strumentale per assumere quello <strong>di</strong> dativus<br />

commo<strong>di</strong>, data la traduzione «having done pleasure to (her) eros»: i paralleli che lo stu<strong>di</strong>oso<br />

adduce, tuttavia, sono un po’ forzati 161 . Ancora meno convincente è la seconda ricostruzione,<br />

la cui traduzione sarebbe «having de<strong>di</strong>cated her band to Eros»: oltre a non sod<strong>di</strong>sfare da un<br />

punto <strong>di</strong> vista semantico (perché mai Aurora dovrebbe de<strong>di</strong>care le proprie briglie ad Eros?), il<br />

passo non avrebbe alcun vero parallelo testuale 162 . La congettura <strong>di</strong> Janko (2005, 20)<br />

, “mormorando con amore”, non convince. Lo stu<strong>di</strong>oso ritiene che la congettura<br />

«proves that the ode evokes Tithonus’ transformation», dal momento che in «poets like<br />

Theocritus [scil. 5,48, 7,139] this is the mot juste for un intelligible but pleasant and repetitive<br />

sound of cicadas, song birds, frogs or waves»; tuttavia (come già detto a proposito <strong>della</strong><br />

congettura al v. 1 <strong>di</strong> Livrea) si rischia la petitio principii, dal momento che non si ha la<br />

certezza che questa versione del mito fosse conosciuta da Saffo. Né pare particolarmente<br />

convincente l’idea secondo la quale il verbo sia stato scelto per suggerire che «the dancers’<br />

beauty and the love they show her inspire Sappho herself to sing»; sembra strano che questo<br />

‘suggerire’ compaia all’interno <strong>di</strong> una rievocazione mitica <strong>di</strong> cui andrebbe inevitabilmente a<br />

sminuire l’implicita ‘sacralità’ 163 . Livrea (2007, 73) congettura , ‘corpo’ (dopo aver<br />

adombrato un ipotetico , come in Il. VIII 291 ), che potrebbe<br />

essere complemento oggetto <strong>di</strong> o accusativo <strong>di</strong> relazione <strong>di</strong> al<br />

160 / / /<br />

/ / / /<br />

/ / Magnani nota inoltre<br />

come ad inizio antistrofe sia presente la figura <strong>di</strong> Eros, e ipotizza pertanto una ripresa euripidea del CV saffico.<br />

La iunctura ( ) ( ) si ritrova e.g. in Il. XVI 657, XXII 399. La correptio attica ( fra i<br />

poeti eolici cf. Hamm 1957, 42 e Marzullo 1958, 87ss.), insieme al fatto che l’integrazione <strong>di</strong> Magnani è <strong>di</strong> sei<br />

lettere e non <strong>di</strong> cinque (per quanto «il modulo ristretto <strong>di</strong> phi e rho si confà alla lunghezza <strong>della</strong> lacuna»,<br />

Magnani 2005, 47) suscita la perplessità <strong>di</strong> Bettarini; per Hammerstaedt (2009, 26), inoltre, «the at the end of<br />

[ ] certainly does not fit the traces». Santamaria Álvarez, al contrario (2007, 791) appoggia la congettura.<br />

161 Per la costruzione <strong>della</strong> frase, Pind. O. 2,99. Per complemento oggetto <strong>di</strong>retto, Od. XV 359 e H. Hom.<br />

Merc. 520. Per un parallelo, qualora sia il <strong>di</strong>o Eros (ma allora sarebbe ) beneficiario dell’azione <strong>di</strong> Aurora,<br />

Aesch. Pr. 660.<br />

162 I paralleli con gli usi del verbo apportati dallo stu<strong>di</strong>oso non paiono in alcun modo probanti.<br />

163 Il termine, del resto, è tutt’altro che adatto a un contesto serio come sembra essere quello del CV. In Pindaro<br />

O. 2,97 e soprattutto in O. 9,40 (che sono le prime attestazioni del termine), il vocabolo ha il significato <strong>di</strong><br />

‘cianciare’, ‘chiaccherare’. Janko ne è cosciente e infatti spiega la sua congettura come un «ironic twist» a fine <strong>di</strong><br />

verso, in cui il ‘mormorio d’amore’ <strong>di</strong> Aurora si trasformerebbe nel cicaleggiare <strong>di</strong> Titono. Per Bettarini (2007,<br />

6) la congettura avrebbe un altro <strong>di</strong>fetto nella lettera gamma <strong>di</strong> , che «mal si concilia<br />

paleograficamente col tratto a semicerchio chiaramente visibile dopo alpha», come riba<strong>di</strong>to da Hammerstaedt<br />

(2009, 26), che nutre dubbi papirologici anche sul secondo lambda del participio intergrato.<br />

37


verso successivo 164 . L’ipotesi, pur avendo dei lati positivi, non convince in toto. Il termine<br />

, inteso come complemento oggetto, sembra infatti eccessivamente generico: non si<br />

capisce perché Aurora dovrebbe portare solamente il corpo <strong>di</strong> Titono “ai confini <strong>della</strong> terra”.<br />

Come accusativo <strong>di</strong> relazione avrebbe l’indubbio pregio <strong>di</strong> riprendere l’espressione (citata<br />

anche da Livrea) in H. Hom. Ven. 240 … , che si trova peraltro nella<br />

narrazione del mito <strong>di</strong> Titono; lascia dubbiosi, tuttavia, la <strong>di</strong>stanza che intercorrerebbe fra il<br />

termine e gli aggettivi a esso riferiti . Austin (2007, 117) immagina<br />

< > = “l’Aurora, affidando il carro ad Eros …”. L’ipotesi, «très audacieuse<br />

mais d’une poésie indéniable», non presenta paralleli testuali convincenti e, per essere<br />

accettabile metricamente, dovrebbe prevedere una sinecfonesi delle prime due parole<br />

(cf. Sapph. fr. 1,11 ) e la caduta <strong>di</strong> due lettere (A e N) per aplografia. Anche<br />

Bettarini (2007, 5-10) ipotizza la presenza <strong>di</strong> una sinecfonesi fra le prime due parole e<br />

ricostruisce [ ] , «dove ( ) va interpretato come<br />

forma eolica <strong>di</strong> » 165 . Tre sono le interpretazioni che lo stu<strong>di</strong>oso offre alla sua<br />

ricostruzione. La prima (che finora, pur con qualche riserva, pare la più efficace) vedrebbe<br />

nella forza <strong>di</strong> la causa del “lasciare le re<strong>di</strong>ni” da parte <strong>di</strong> Aurora. La dea, presa da un<br />

amore incontrollato per Titono, avrebbe lasciato il carro per rapire il principe troiano, e la<br />

contrad<strong>di</strong>ttorietà <strong>di</strong> questa ipotesi con le fonti letterarie (in cui il rapimento avviene sul carro)<br />

verrebbe confermata dalla documentazione iconografica, «che presenta non <strong>di</strong> rado Eos<br />

(alata) che rapisce un giovane portandolo sulle proprie braccia» 166 . La congettura ha il<br />

vantaggio <strong>di</strong> essere molto vicina, sotto il profilo contenutistico, a Sapph. fr. 16, in cui anche<br />

Elena, per amore <strong>di</strong> Paride, “non si ricordò <strong>della</strong> figlia né dei cari genitori”: la forza<br />

dell’amore sarebbe esaltata dal venir meno dei propri doveri da parte <strong>della</strong> dea. Alla luce <strong>di</strong><br />

questa interpretazione, Bettarini (2007) considera (come già aveva fatto Di Benedetto<br />

2005, 19) un dativo «situazionale» piuttosto che strumentale 167 . La secondo interpretazione<br />

164 Anche Austin (2007, 118) afferma <strong>di</strong> aver pensato a , seguito tuttavia dal participio <strong>di</strong> .<br />

Secondo tale ricostruzione, Aurora avrebbe “abbandonato il proprio corpo all’amore”, «tout comme Médée, chez<br />

Euripide, abandonne le sien aux chagrins».<br />

165 Bettarini si premura <strong>di</strong> notare come la forma , pur non presentando la psilosi eolica che ci si<br />

aspetterebbe (il verbo dovrebbe essere ), possa essere accettabile per il fatto che «il papiro <strong>di</strong> Colonia è<br />

databile alla prima età tolemaica, quando ancora, probabilmente, non doveva essere stata approntata alcuna<br />

e<strong>di</strong>zione alessandrina dei poemi eolici: non è dunque assurdo pensare che, prima delle cure <strong>di</strong> Aristofane <strong>di</strong><br />

Bisanzio e <strong>di</strong> Aristarco <strong>di</strong> Samotracia, circolassero e<strong>di</strong>zioni che non rispettavano la norma <strong>della</strong> psilosi». Una<br />

conferma <strong>di</strong> questo fatto sarebbe il verbo al v. 7, che non rispetta la norma grafica <strong>di</strong> per .<br />

Hammerstaedt (2009, 26), però, considera piuttosto improbabile l’alpha inziale <strong>di</strong> [ ]( ).<br />

166 Cf. Weiss (1986), in cui però il giovane non è sempre Titono, ma può essere anche uno degli altri amanti <strong>di</strong><br />

Aurora. Per l’amore subitaneo degli dèi, cf. e.g. Il. XIV 294, già citato da Bettarini (2007).<br />

167 Diverso era stato il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> West (2005a, 5), secondo cui si tratterebbe <strong>di</strong> un «simple instrumental dative».<br />

38


consiste nel considerare un dativo in senso proprio: la frase si tradurrebbe<br />

“lasciate/affidate le re<strong>di</strong>ni all’amore”. A suffragare questa esegesi, verrebbero ancora in aiuto<br />

le raffigurazioni vascolari che però, data la loro provenienza geografica (si tratta <strong>di</strong> un cratere<br />

falisco e <strong>di</strong> quattro vasi apuli) e la tarda data <strong>di</strong> fattura, sembrano meno probanti. A suffragio<br />

<strong>di</strong> quest’ipotesi, sarebbe invece il valore metaforico attribuito alle re<strong>di</strong>ni che, al contrario, è<br />

già presente, ad esempio, in Anacreonte 168 . La terza possibilità interpretativa consiste nel<br />

leggere non ma : come ipotizzato da Austin (cf. supra p. 38, ma con le re<strong>di</strong>ni al<br />

posto del carro) Eos avrebbe ceduto le re<strong>di</strong>ni al <strong>di</strong>o dell’amore. La lettura avrebbe un parallelo<br />

testuale negli Uccelli <strong>di</strong> Aristofane: ai vv. 1720ss., all’interno <strong>di</strong> un imeneo che celebra le<br />

nozze fra Zeus ed Era, il trasferimento <strong>della</strong> sposa avviene su un carro guidato da Eros. La<br />

congettura, senz’altro affascinante, richiederebbe tuttavia un maggior numero <strong>di</strong> paralleli<br />

testuali, cronologicamente più vicini, per poter essere avvalorata 169 . L’ultima ricostruzione in<br />

linea cronologica è stata offerta da Tsantsanoglou (2009a, 1s.):<br />

, sulla base <strong>di</strong> una lettura del papiro. Il verbo , forma eolica per lo ionico-<br />

attico , significa, a seconda dei casi, ‘trafiggere’ (e.g. Il. XIII 161, XVI 318) o<br />

‘spingere attraverso’ (e.g. Il. XII 120). Lo stu<strong>di</strong>oso ammette che la forma sia metricamente<br />

incompatibile con il CV (presentando una sillaba in più del dovuto) per il mancato passaggio<br />

<strong>di</strong> (bisillabico) in (monosillabico): la forma , infatti, passa a (quin<strong>di</strong> a<br />

/ ) solamente davanti a una consonante (quale non è l’epsilon <strong>di</strong> ). Tuttavia<br />

la regola non è così rigorosa e la lettura (non senza riserve) può essere grammaticalmente (e<br />

metricamente) accettata 170 . Anche in questo caso può essere letto con l’iniziale<br />

maiuscola o minuscola. Nel primo caso, «the image would be an early precursor of the fifth<br />

century, both in literature and in art, Eros Archer». Nel secondo caso, se si pre<strong>di</strong>lige una<br />

lettura metaforica, si avrebbe l’immagine <strong>di</strong> Aurora “trafitta dall’amore”, nel senso <strong>di</strong> “invasa<br />

d’un tratto dal sentimento amoroso”.<br />

Vv. 11s. ’ /<br />

’ : “lui bello e giovane, ugualmente lo afferrò, canuto per gli anni,<br />

la <strong>vecchiaia</strong>, pur avendo una sposa immortale”. L’espressione [ ] è stata<br />

168 Cf. Anacr. PMG 15,4 e 72,4 in cui le re<strong>di</strong>ni in<strong>di</strong>cano metaforicamente il dominio amoroso. Questo significato<br />

rientra nel campo metaforico del cavallo/a che ha valenza erotica e in tale accezione è presente in Sapph. fr. 2,9.<br />

169 Bettarini (2007, 10) ammette che non si può sapere se il motivo <strong>di</strong> Eros ‘guidatore <strong>di</strong> carro nuziale’ potesse<br />

essere già presente nella Lesbo del VI sec. a.C.; tuttavia esso è ampiamente <strong>di</strong>ffuso nel V sec. ed «è certo che<br />

Saffo <strong>di</strong> imenei e riti nuziali aveva conoscenza profonda e può aver legittimamente immaginato il carro <strong>di</strong> Eos<br />

come quello <strong>di</strong> una processione nuziale»: al v. 12, del resto, Aurora viene definita “sposa” <strong>di</strong> Titono.<br />

170 Tsantsanoglou cita Inc. Auct. fr. 37,7 V. in cui compare per .<br />

39


preferita da Gronewald-Daniel (2004b) a [ ] , poiché «ist paläographisch und<br />

inhaltlich wahrscheinlicher». I termini appaiono vicini per la prima volta in Od. XIX 519<br />

ma (lo si scopre solo ora, grazie ai ritrovamenti<br />

papiracei) è nel CV che prende forma per la prima volta quella iunctura che verrà utilizzata<br />

per descrivere uomini (Cefalo, Dafni, Paride) o dèi (Apollo, Eros) 171 .<br />

Il secondo emistichio si apre con , che introduce la fase ‘dolorosa’ del mito,<br />

creando una frattura coi versi precedenti. La congiunzione è strettamente connessa con<br />

l’avverbio (presente anche in Sapph. fr. 68a,2, equivalente allo ionico-attico , che si<br />

ritrova solamente in Saffo e Alceo. Cf. Hamm 1957, 27), che qui sta a sottolineare<br />

l’universalità e l’inevitabilità <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>.<br />

Il verbo è un hapax saffico, che anche in Alceo si ritrova una sola volta<br />

(fr. 61,14). Il vocabolo, che appare già nei poemi omerici, ha come significato primario<br />

quello <strong>di</strong> ‘impadronirsi’ (cf. Hesych. 313 L.). Particolarmente significativo è Od. XXIV<br />

390 172 , che probabilmente era presente nella mente <strong>di</strong> Saffo e che<br />

la poetessa ha riutilizzato in un contesto simile. Come già i vv. 3s., anche i vv. 11s. sono<br />

legati da un enjambement che li congiunge accentuando il carattere riflessivo ed emotivo dei<br />

versi.<br />

Il termine , all’inizio del verso successivo, viene letto pressoché univocamente<br />

come un complemento <strong>di</strong> tempo 173 , ma non sembra da escludersi che si tratti <strong>di</strong> un<br />

complemento <strong>di</strong> causa, legato a<br />

, piuttosto che a<br />

175 .<br />

174 , che a sua volta è preferibile leggere riferito ad<br />

171 Per il catalogo dei passi, cf. Gronewald-Daniel (2005, 3s.). Il termine compare al maschile solamente<br />

in fr. 50,1s., ma mentre qui appare un soggetto definito <strong>di</strong> sesso maschile, nel fr. 50 il genere potrebbe <strong>di</strong>pendere<br />

dal valore assolutizzante <strong>della</strong> sententia. Il termine , invece, sembra essere riferito a un giovane già nel fr.<br />

121,1, al quale Saffo, ormai vecchia, si rivolge consigliandogli <strong>di</strong> cercare una ragazza meno anziana <strong>di</strong> lei.<br />

172 Forse anche [Hes.] Sc. 245.<br />

173 Così Gronewald-Daniel (2004b), West (2005a), Janko (2005), Nicolosi (2005), Carson (2005), Rawles<br />

(2006a), Livrea (2007), Burzacchini (2007a), Austin (2007).<br />

174 È ovvio che complemento <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> causa, in questo caso, sono in<strong>di</strong>ssolubilmente legati, poiché il<br />

<strong>di</strong>panarsi del tempo (espresso tramite il complemento <strong>di</strong> tempo continuato) è a sua volta la causa dell’incanutirsi<br />

<strong>di</strong> Titono.<br />

175 Per i passi in cui compare l’espressione cf. Gronewald-Daniel (2004b, 4). Fra i passaggi testuali<br />

suggeriti, Pind. P. 4,78 mi sembra affiancabile<br />

alla mia interpretazione del passo: per quanto sia un complemento <strong>di</strong> tempo, viene utilizzato da Pindaro<br />

per in<strong>di</strong>care lo sviluppo fisico <strong>di</strong> una persona. Un parallelo a del CV è Plat. Tim. 22b<br />

Se si legge l’aggettivo legato al pronome, inoltre, si viene a creare una<br />

contrapposizione fra il termine e i due aggettivi e al v. 11. Gronewald-Daniel hanno messo in luce la<br />

presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi passi in cui la <strong>vecchiaia</strong> viene definita , per quanto tutti posteriori al CV (cf.<br />

Gronewald-Daniel 2005, 4). La quantità dei passi in cui l’aggettivo è riferito a esseri umani è però ben maggiore<br />

(cf. supra n. 80, ai vv. 3-6).<br />

40


Anche il termine (termine già omerico, derivato dalla ra<strong>di</strong>ce , ‘letto’) è<br />

un hapax in Saffo, retto dal participio congiunto , che suscita qualche perplessità a<br />

proposito <strong>della</strong> sua valenza. Generalmente, infatti, viene considerato un participio concessivo,<br />

e la traduzione appare efficace; si potrebbe attribuire al termine, tuttavia, una lettura scevra da<br />

qualunque sfumatura del genere, traducendo la frase “ma la <strong>vecchiaia</strong> ugualmente lo afferrò<br />

canuto per il tempo (un tempo giovane e bello), lui che aveva una sposa immortale”, dove il<br />

verbo manifesterebbe solo un valore possessivo 176 .<br />

Vv. 13-16. ] / ] /<br />

41<br />

/<br />

: “… ritiene / … conceda / ma io amo la raffinatezza, e voi lo sapete e a me /<br />

l’amore del sole ha dato in sorte splendore e bellezza”. Mentre i primi due versi sono<br />

drammaticamente mutili (si leggono in toto solamente le parole finali), il <strong>di</strong>stico successivo è<br />

stato quasi completamente ricostruito grazie alla citazione <strong>di</strong> Clearco (fr. 41 W.) all’interno <strong>di</strong><br />

Ath. XV 687a-c (cf. supra p. 2).<br />

Al v. 13 non si legge che . , che Hunt ha interpretato come ,<br />

interpretando la piccola macchia <strong>di</strong> inchiostro che precede mi come iota 177 . Snell ha proposto<br />

per l’inizio del verso<br />

primo verso con (o ) (o )<br />

178 , mentre West (2005a, 7) tenta una ricostruzione del<br />

Per il secondo verso, West pensa a . Il<br />

riferimento alla <strong>di</strong>vinità era già stato correttamente ipotizzato da Di Benedetto (1985b, 161s.)<br />

sulla base dei nessi specifici in cui si è soliti trovare il verbo (in Omero, in Alceo, nei<br />

lirici e giambografi arcaici, in Pindaro e Bacchilide) 180 : Saffo contestualizzerebbe la presenza<br />

del <strong>di</strong>o all’interno <strong>della</strong> Priamel. Di Benedetto (2006, 5-11) integra <strong>di</strong>versamente i primi due<br />

176 Cf. Lidov (2009, 98), secondo il quale mancano dei paralleli <strong>di</strong> participi con valore concessivo in Saffo<br />

(escluso nel fr. 1,24) e «a concessive meaning would be <strong>di</strong>fficult without a particle – or<br />

».<br />

177 Luppe (2004, 7) pensa invece che possa trattarsi <strong>di</strong> un ypsilon.<br />

178 La congettura viene citata e criticata da Di Benedetto (2006, 6): «certo poco felice è la proposta dello Snell<br />

[…] <strong>di</strong> integrare (con soggetto Titono?) nella parte iniziale del tetrastico […]: sarebbe<br />

incongruo un passaggio da preterito al presente nella narrazione dello stesso mito».<br />

179 Per West l’ incipitario del v. 16 induce a pensare che il tetrastico iniziasse con una Priamel, sulla scorta<br />

<strong>di</strong> Sapph. fr. 16,1-4, e che nei primi versi fossero <strong>di</strong>stribuite le tre forme<br />

Considerazioni simili già in Salemme (2001, 189).<br />

180 Di Benedetto (1985b, 161s.) giu<strong>di</strong>cava probabile, al v. 14, una richiesta <strong>di</strong> Saffo a Zeus affinché «concedesse<br />

ad altri una vita senza <strong>vecchiaia</strong>», dal momento che nel <strong>di</strong>stico finale lei avrebbe espresso «la propria personale<br />

concezione secondo cui al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong> ci sono dei valori che non possono da essa essere compromessi».<br />

L’ del penultimo verso avrebbe rimarcato la <strong>di</strong>stanza fra la sua concezione <strong>della</strong> <strong>vecchiaia</strong>, protesa alla<br />

positività dell’“amore per il sole”, e quella altrui.<br />

179 .


versi del tetrastico: ]<br />

(“La cultrice del canto, quando è morta, nessuno la<br />

considera del tutto estinta”). Al v. 13, <strong>di</strong>verge da West poiché «non è perspicuo che funzione<br />

abbia dopo . E del resto l’ipotesi stessa <strong>di</strong> una Priamel […] è poco<br />

convincente». Lo stu<strong>di</strong>oso è concorde con Hunt, invece, nel leggere iota prima <strong>di</strong> - e<br />

nell’integrare la lacuna con ] . Per Di Benedetto, infatti, Saffo «intendeva esser<br />

coinvolta, ma non parlava specificamente <strong>di</strong> se stessa, dal momento che il verbo è al presente<br />

e lei è ancora viva», e il verbo , in posizione <strong>di</strong> fine verso, farebbe pensare una<br />

gnome per il v. 13. Anche la ricostruzione <strong>di</strong> West del verso successivo viene criticata da Di<br />

Benedetto (2006, 7) che, nell’ammettere la verosimiglianza <strong>della</strong> Priamel, nota come<br />

servirebbe, sì, «ad evidenziare l’originalità <strong>di</strong> Saffo, ma a danno delle ragazze del suo<br />

gruppo» 181 . Per lo stu<strong>di</strong>oso, la saggezza popolare espressa in Theogn. 139<br />

avrebbe ispirato Saffo nella formulazione del verso:<br />

una formulazione, tuttavia, «provvisoria, molto provvisoria, che serve ad evidenziare con<br />

maggior impatto il proprio punto <strong>di</strong> vista e il proprio ideale <strong>di</strong> vita» espresso nel <strong>di</strong>stico<br />

successivo. Livrea (2007, 71ss.) ricostruisce i vv. 13s. con un riferimento a Faone, il barcaiolo<br />

mitico che ricevette bellezza e gioventù da Afro<strong>di</strong>te per averla traghettata da Leucade a<br />

Lesbo: ] /<br />

]<br />

182 . Faone sarebbe, insieme a Titono, un’ipostasi <strong>della</strong> luce solare,<br />

«para<strong>di</strong>gmi quintessenziali del bello e dello splendente»; entrambi amanti <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinità,<br />

incarnerebbero due <strong>di</strong>versi comparanda saffici: la poetessa con<strong>di</strong>viderebbe con il primo la<br />

<strong>vecchiaia</strong>, con il secondo il ringiovanimento 183 . Austin (2007, 121ss.), con una ricostruzione<br />

181 Di Benedetto ritiene che nella proposta <strong>di</strong> West ci sia una contrad<strong>di</strong>zione: Saffo augurerebbe alle ragazze<br />

qualcosa che «rifiutava o comunque non accettava o considerava inadeguato», riservandosi qualcos’altro che<br />

riteneva preferibile all’ congetturata. Per quanto non mi convinca l’ipotesi <strong>di</strong> West, trovo le critiche <strong>di</strong><br />

Di Benedetto altrettanto deboli. West, nella sua ricostruzione, ha fatto esplicitamente riferimento al fr. 16 <strong>di</strong><br />

Saffo. In esso l’alterità espressa dalla persona loquens a proposito <strong>di</strong> ciò che è non nega quello che<br />

viene preferito dagli altri: la pluralità delle scelte elencate ai vv. 1-3 non viene giu<strong>di</strong>cata da Saffo che,<br />

semplicemente, contrappone i valori propri a quelli altrui. Allo stesso modo, non vedo perché la convinta<br />

<strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> amore per l’ debba necessariamente essere intesa come denigrazione <strong>di</strong> quello che per<br />

altri è, secondo la ricostruzione <strong>di</strong> West, .<br />

182 Per il mito <strong>di</strong> Faone, cf. Guidorizzi (2009, 508, 520-522).<br />

183 Livrea (2007, 72): «Alla con<strong>di</strong>tion humaine è estranea tanto l’immortalità (maldestramente accordata a<br />

Titono) quanto l’eterna giovinezza (interrotta per Faone dalla morte, cf. Inc. Auct. 18b […]), però la prima può<br />

essere riconquistata attraverso l’attività poetica, la seconda dal rapporto erotico-<strong>di</strong>dascalico <strong>della</strong><br />

choro<strong>di</strong>daskalos con le , e comune ad entrambe è il sigillo <strong>della</strong> raffinatezza». Livrea non offre<br />

spiegazioni su quanto congettura in seguito: ] . Quest’ultima<br />

ricostruzione si aggancia <strong>di</strong>fficilmente a quanto espresso prima. La richiesta rivolta alla <strong>di</strong>vinità sposta forse<br />

eccessivamente l’attenzione dalla <strong>vecchiaia</strong> alla giovinezza colpita dalla morte, che sarebbe l’’oggetto <strong>di</strong>retto <strong>di</strong><br />

42


piuttosto fantasiosa, integra i vv. 13s. con ]<br />

/ . Il riferimento al simposio e<br />

alla libertà nascono dall’idea dello stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> ricreare un <strong>di</strong>alogo fra Alceo e Saffo, in cui ai<br />

vv. 13s. parlerebbe Alceo (<strong>di</strong>chiarando le sue passioni: il simposio e la libertà), mentre ai vv.<br />

15s. subentrerebbe Saffo (che, al contrario, esprimerebbe l’amore per la l’ ) 184 .<br />

L’ultimo <strong>di</strong>stico del CV, quasi completamente ricostruito, è stato uno dei più<br />

commentati ancor prima <strong>della</strong> scoperta dei papiri <strong>di</strong> Colonia. Una lacuna testuale riguarda, al<br />

v. 15, le prime tre sillabe del terzo coriambo, che si è provato più volte a ricostruire 185 . Fra le<br />

integrazioni ipotizzate a seguito dei nuovi ritrovamenti <strong>di</strong> Colonia, West integra il dattilo<br />

mancante del terzo coriambo con o , per rimarcare il precedente termine<br />

186 . Di Benedetto (2006, 5) conferma l’ipotesi già espressa nel 1985, integrando<br />

[ ] e apportando come paralleli Sapph. frr. 60,9, 27,8s. e 88,10. Livrea (2007,<br />

73-77) pensa invece ad (ion-att. ) = ‘mi arde’, in analogia con Alc. 347,6 V.: il<br />

verbo «rende un efficace elemento <strong>di</strong> passaggio all’imagerie erotico-solare del verso<br />

seguente». Fra le congetture proposte, mi pare la più convincente, perché<br />

alla luce dell’inclusione del tetrastico del <strong>carme</strong> riprende l’imperativo iniziale e prepara<br />

l’affermazione finale del poeta loquens, accentuandone il valore para<strong>di</strong>gmatico e <strong>di</strong>dattico.<br />

Per quanto riguarda l’ultimo verso, le problematiche testuali sono dovute al fatto che nel<br />

co<strong>di</strong>ce A <strong>di</strong> Ateneo si legge , che non coincide metricamente con le sillabe del<br />

CV da ricostruire. Per la correzione, nel 1806, un anonimo recensore nella «Jenaische<br />

Allgemeine Litteraturzeitung» aveva ipotizzato , seguito da Hunt (1922) e dalla<br />

Voigt (1975). Sitzler (1898) ha pensato a , che prevede però un’originale scriptio<br />

plena successivamente semplificatasi con l’eliminazione dell’articolo. West (2005a, 8) ha<br />

rivalutato la lezione del co<strong>di</strong>ce A <strong>di</strong> Ateneo, per il fatto che «has the advantage over<br />

of being both <strong>di</strong>fficilior lectio and a characteristic Lesbian form», e per questo «it must<br />

. Secondo questa ricostruzione, il significato sarebbe: “spero che nessuna delle ragazze venga colpita in<br />

giovane età dalla morte, come successe a Faone, la cui giovinezza si pensava non potesse mai invecchiare”.<br />

184 Austin si rifà ad un’ipotesi già <strong>di</strong> Picard (1948, 338-344) e poi <strong>di</strong> Page (1955, 104-109), secondo cui nulla<br />

esclude che Saffo e Alceo si fossero fisicamente incontrati e conosciuti. L’ipotesi trova documentazione nella<br />

Retorica <strong>di</strong> Aristotele (I 9, 1367a) e in un vaso a figure rosse del pittore <strong>di</strong> Brygos dell’inizio del V sec. a.C. La<br />

questione è ancora aperta e non è raccomandabile, pertanto, la ricostruzione del tetrastico sulla base <strong>di</strong> ipotesi<br />

che fino ad oggi ancora non sono state adeguatamente stu<strong>di</strong>ate e verificate. Sulla questione del nesso biografico<br />

fra Saffo e Alceo, cf. Canfora (1986, 94s.).<br />

185 Hunt (1922, 42) aveva proposto quattro integrazioni, . West (2005a, 7)<br />

riporta anche le congetture <strong>di</strong> Diehl ( ;), Edmonds ( ), Perrotta ( ;), Gallavotti ( ).<br />

186 «I suggest , or in much the same sense, ‘loveliness, just this per se’». La ricostruzione<br />

testuale, accolta da Austin (2007, 126), non convince Di Benedetto (2006, 7): « introduce un<br />

risvolto <strong>di</strong> riaffermazione, come <strong>di</strong> un voler riba<strong>di</strong>re a fronte <strong>di</strong> una obiezione (anche nel proprio intimo), che<br />

non sembra molto adeguato al contesto».<br />

43


e pointed out that may be understood as either or , and as either to;<br />

or ». Il collegamento fra i due termini era stato già avanzato da Perrotta (1935, 36),<br />

che motivava la sua traduzione del <strong>di</strong>stico «Io amo la raffinatezza: l’amore per il sole mi ha<br />

dato in sorte splendore e bellezza» con l’identificazione che Saffo avrebbe attuato fra il<br />

«desiderio <strong>di</strong> vivere, <strong>di</strong> veder la luce del sole» e quello «<strong>di</strong> cose splen<strong>di</strong>de e belle».<br />

Pasquali 187 , con<strong>di</strong>videndo i dubbi <strong>di</strong> Page (1955, 130) 188 , traduce il <strong>di</strong>stico legando non<br />

a ma al termine che lo precede, , non comprendendo il senso del nesso<br />

: «io amo la mollezza e per me […] l’amore ha lo splendore del sole e la sua<br />

bellezza» 189 . L’ambiguità grammaticale è indubbia, e gli stu<strong>di</strong>osi successivi hanno <strong>di</strong> volta in<br />

volta appoggiato una delle due ricostruzioni. Di Benedetto (1985b, 154ss.) non ha dubbi nel<br />

collegare ad , attribuendo alla iunctura il significato <strong>di</strong> “desiderio <strong>di</strong> vivere”,<br />

anche alla luce <strong>della</strong> parafrasi del passo offerta da Clearco nel fr. 41 W. ῆ<br />

. Per lo stu<strong>di</strong>oso, infatti, nell’antichità la luce del sole<br />

sarebbe stata associata alla nascita, alla morte e soprattutto «al vivere dell’uomo, secondo<br />

l’espressione formulare omerica (oppure ) » 190 . Anche Marzullo<br />

(1994, 189-193) definisce «innegabile» il nesso fra e , adducendo motivazioni<br />

simili a quelle <strong>di</strong> Di Benedetto. Lo stu<strong>di</strong>oso nota la perentorietà del verso finale («ha il sapore<br />

<strong>di</strong> un oracolo») e considera l’“amore per il sole” espressione del «ra<strong>di</strong>camento nella vita […]<br />

degustato nelle sue luminose componenti, culturali prima che esistenziali», e cioè la<br />

possibilità <strong>di</strong> beneficiare del e del<br />

44<br />

191 . Per Liberman (1995, 45s.) il<br />

significato del <strong>di</strong>stico è comprensibile solamente alla luce del mito <strong>di</strong> Titono. Saffo<br />

contrappone il proprio amore del sole a quello <strong>di</strong> Aurora per Titono, e «paraît dans le même<br />

temps opposer sa doctrine à ceux qui mettent la grâce corporelle au-dessus de tout». West<br />

187 Faccio riferimento al carteggio riportato da Marzullo (1994, 189).<br />

188 «I have no conception of the meaning of the two last lines».<br />

189 Anche Campbell (1994, 101) traduce il tetrastico «but I love delicacy […] love has obtained for me the<br />

brightness and beauty of the sun». I termini e all’interno del tetrastico (cf. supra p. 6s.) sono stati<br />

messi a confronto con Posi<strong>di</strong>pp. epp. 13, 16, 52 A.-B. da Puelma-Angiò (2005). Cf. anche Salemme (2001).<br />

190 Di Benedetto rimarca la novità del nesso “amore del sole”, che «corrisponde alla scoperta <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione<br />

nuova dell’animo umano» . Per lo stu<strong>di</strong>oso, infatti, l’amore per la vita non era un concetto così scontato nella<br />

cultura greca, come <strong>di</strong>mostrano numerosi passi omerici e in particolare la poesia <strong>di</strong> Mimnermo (cf. Di Benedetto<br />

1985b, 156ss. per i passi paralleli). L’’innovazione’ compiuta da Saffo sarebbe provata anche dalla specifica<br />

valenza grammaticale del nesso all’interno del verso; la iunctura , infatti, ricopre la funzione <strong>di</strong><br />

soggetto del verbo (al posto del pronome ), a rimarcare che «all’origine si pone non genericamente<br />

la persona, ma più specificamente un impulso vitale quale è l’amore del sole, il desiderio <strong>di</strong> vivere». Sul<br />

particolare valore <strong>di</strong> , cf. anche Marzullo (1994, 191).<br />

191 Ferrari (2001a, 28) concorda con chi unisce l’‘amore’ al ‘sole’: «l’eros, qualificandosi come eros del sole, si<br />

identifica con l’aspirazione allo splendore e alla bellezza e come quintessenza del vivere si afferma l’ ».<br />

Cf. anche Ferrari (2005, 28): «I due nessi ed si <strong>di</strong>spongono in evidente<br />

parallelismo: l’amore dell’abrosyna e l’amore del sole si rivelano come due facce <strong>di</strong> un medesimo atteggiamento<br />

<strong>di</strong> fondo».


(2005a, 8) è critico nei confronti dell’“amore per il sole”, non trovando un convincente<br />

rapporto <strong>della</strong> frase con l’ citata al verso precedente. Lo stu<strong>di</strong>oso riprende la<br />

traduzione <strong>di</strong> Schadewaldt (1950, 161), «und ist mir in der Liebe das Leuchten des<br />

Sonnenlichts und auch das Schöne geworden», e congettura per l’ultimo verso<br />

, con la personificazione <strong>di</strong> Eros. Le interpretazioni<br />

fornite dagli su<strong>di</strong>osi sono sostanzialmente concor<strong>di</strong> nell’attribuire al sole un significato<br />

simbolico altamente positivo: identificato nella luce 192 e nel calore, è metafora per<br />

antonomasia del valore <strong>della</strong> vita. 193 Questa valenza è certamente sottintesa all’interno del<br />

CV, ma nel momento in cui il tetrastico è assunto a conclusione del <strong>carme</strong>, occorre<br />

sottolineare che, in relazione col <strong>di</strong>stico iniziale, nel binomio rientra anche l’allusione alla<br />

poesia che, celebrando i valori <strong>della</strong> vita, <strong>della</strong> bellezza, <strong>della</strong> raffinatezza e dell’amore, ne<br />

permette la sopravvivenza 194 . Essa conferma quella «poetica <strong>della</strong> visualizzazione» che per Di<br />

Benedetto (2004, 39) costituisce una delle caratteristiche predominanti <strong>della</strong> poetica saffica, la<br />

quale si esprime innanzitutto attraverso l’identificazione <strong>della</strong> luce con la bellezza (<strong>di</strong><br />

Afro<strong>di</strong>te, <strong>di</strong> Aurora, delle fanciulle, degli oggetti), spesso associata all’idea <strong>della</strong> preziosità e<br />

dell’eleganza, espresse nel CV dall’ aggettivo sostantivato e dall’ che la<br />

comprende 195 . Appare chiaro che il punto focale del v. 15 è l’affermazione dell’“amore per la<br />

raffinatezza”. Il termine<br />

196 ricorre, in tutta l’opera <strong>di</strong> Saffo, solamente nel CV 197 , in<br />

cui è legato al verbo . Strutturalmente, il binomio instaura uno stretto vincolo con i<br />

termini del verso successivo: da una parte il verbo riprende il termine , dall’altra<br />

192 Valga il rimando all’Alcesti euripidea, in cui l’opposizione tematica tra la vita e la morte si manifesta tramite<br />

il contrasto tra la luce e il buio, l’azione del vedere e l’incombere <strong>della</strong> cecità (cf. Eur. Alc., vv. 268-272).<br />

193 Cf. Di Benedetto (1985b, 154s.). Anche Pindaro (P. 8,97) come Saffo, nel momento in cui vuole esprimere<br />

essenzialmente la positività dell’esistenza, come antitesi e riscatto alla fragilità e alla precarietà del destino<br />

umano, ricorre all’immagine indeterminata, e per questo assolutizzante, dello che rende<br />

l’ .<br />

194 Cf. Har<strong>di</strong>e (2005, 29): «The ageing ‘Sappho’ has lost the physical beauty of youth. But her moral beauty is<br />

articulated through song, the of the Muses, and it actually emerges from the juxtaposition of age and<br />

youthful beauty in the choric scenario».<br />

195 Cf. frr. 1,8, 2,14, 16,18, 33,1, 44,8s., 96,6-9, 138,2, 156,2. Per quanto concerne lo splendore degli oggetti, si<br />

può affermare che Saffo traduce in chiave femminile quel gusto verso gli oggetti splendenti, che in Omero si<br />

identificava nello splendore delle armature, emblema dell’eleganza guerriera virile, spesso con significato<br />

emblematico del valore dei guerrieri che le indossano (cf.Il. VII 158, XIX 375-383).<br />

196 In Saffo il suo significato è fortemente connotativo e sembra comprendere tanto l’idea <strong>della</strong> raffinatezza<br />

(cf. fr. 44, 7-10), quanto quello <strong>della</strong> dolcezza e <strong>della</strong> grazia (cf. fr. 122,2) e <strong>della</strong> sensualità (cf. frr. 112,3,<br />

140,1).<br />

197 Al contrario, l’aggettivo ricorre spesso (frr. 25, 4, 44,7, 84,5, 100, 128, 140,1), e in fr. 2,14 compare<br />

l’avverbio . Associato spesso a dee (è il caso Cariti nel fr. 100, ma anche Afro<strong>di</strong>te nel fr. 2, 14), e a<br />

personaggi non comuni (Adone nel fr. 140, Andromaca in fr. 44,7), il suo significato primario è quello <strong>di</strong><br />

‘dolce’, ‘raffinato’.<br />

45


l’ richiama il<br />

198 . Inoltre, alla decisa proclamazione <strong>della</strong> soggettività<br />

all’inizio del v. 15 risponde il <strong>di</strong> fine verso che, retto da (fine v. 16), collega<br />

sintatticamente i due versi 199 . La strettissima interazione fra gli attributi che compongono il<br />

concetto assoluto <strong>della</strong> bellezza si ritrova con uguale forza <strong>di</strong> sintesi nel fr. 128, in cui Saffo<br />

si riferisce alle Cariti e alla Muse, definendole e , riproponendo<br />

l’associazione tra poesia, raffinatezza e bellezza, a conferma <strong>di</strong> come per la poetessa i loro<br />

significati si fondessero in maniera spontanea. Particolarmente interessante, nell’ultimo verso,<br />

è la presenza dei termini e , utilizzati generalmente da Saffo come aggettivi<br />

qualificativi, qui in funzione <strong>di</strong> aggettivi sostantivati: nel CV i termini si caricano <strong>di</strong> una<br />

valenza concettuale sconosciuta nella restante Saffo, in<strong>di</strong>cando gli imperativi estetici relativi<br />

all’ . Lo stesso si può <strong>di</strong>re per il termine (<strong>di</strong> cui con<strong>di</strong>vido il collegamento con<br />

) con cui la poetessa esprime insolitamente l’amore, in senso assoluto, verso il sole,<br />

dunque per la vita.<br />

198 Ferrari (2005, 28): «I due nessi ed si <strong>di</strong>spongono in evidente parallelismo:<br />

l’amore dell’abrosyna e l’amore del sole si rivelano come due facce <strong>di</strong> un medesimo atteggiamento <strong>di</strong> fondo».<br />

199 Di Benedetto (1985b, 157s.) ha notato come il verbo presenti qui una costruzione anomala, dal momento che<br />

il soggetto relativo non è , ma l’espressione : «ciò costituisce una variazione intenzionale rispetto<br />

a un modulo preesistente. Ciò comporta uno spostamento dell’accento: all’origine si pone non genericamente la<br />

persona, ma più specificamente un impulso vitale quale è l’amore del sole, il desiderio <strong>di</strong> vivere».<br />

46


Dalle considerazioni emerse in sede <strong>di</strong> analisi, la ricostruzione del CV viene ad essere la<br />

seguente 200 :<br />

’<br />

]<br />

1 Di Benedetto 1985 : (vel ) Gronewald-Daniel 2004 : ς<br />

West 2005 : Di Benedetto 2005 : Livrea 2007 : ’<br />

Austin 2007 : (vel ;) Santamaria Álvarez 2007 | ] [ ] iam Stiebitz ǁ 2<br />

(vel ) ] Gronewald -Daniel 2004 : Di Benedetto 2005 :<br />

West 2005 : Di Benedetto 2005 ] (vel<br />

] ) Livrea 2007 : ’ ὖ Austin 2007 : Santamaria Álvarez 2007 ǁ 3<br />

ῆ ’ ] Austin 2007: ’ ] Gronewald-Daniel 2004 : ’ ] Di<br />

Benedetto 2004, prob. West : ] Snell ǁ 4 Austin 2007 : ’ Gronewald-<br />

Daniel 2004 : Di Benedetto 2004 : West 2005 : Di Benedetto 2006 :<br />

Livrea 2007 | ῦ ’ ] Lobel, prob. Di Benedetto 1985 : ’ ] Hunt ǁ 7 vel<br />

Gronewald-Daniel 2004 : West 2005 : Janko : vel Burzacchini 2007 :<br />

Führer 2007 : Tsantsanoglou 2009a ǁ 10 Gronewald-Daniel 2004 :<br />

West 2005 : Magnani 2005 : (vel ) Danielewicz 2005 :<br />

Janko 2005 : Livrea 2007 : Austin 2007 :<br />

Bettarini 2007 : Tsantsanoglou ǁ 13 Snell : (vel )<br />

(vel ) West 2005 : ] Di Benedetto 2006 :<br />

200 Per la grave corruzione del testo e le congetture non sufficientemente convincenti degli stu<strong>di</strong>osi, mi astengo<br />

da una ricostruzione integrale dei vv. 13s.<br />

47<br />

,


] Livrea 2007 : ] Austin 2007 :<br />

Tsantsanoglou 2009b | ] Hunt 1922 : ] West 2005<br />

ǁ 14 Di Benedetto 1985 : [ West 2005 :<br />

Di Benedetto 2006 : ] Livrea 2007 :<br />

Tsantsanoglou 2009b ǁ 15 Di Benedetto 1995 et 2006 :<br />

Hunt 1922 : Diehl : Edmonds : Perrotta : Gallavotti :<br />

Gundert : (vel ) West 2005 : Livrea 2007 ǁ 16 Sitzler :<br />

Athen cod. A, unde Cens. Jen : West 2005<br />

48


Conclusioni<br />

Se i nuovi ritrovamenti papiracei sono riusciti a <strong>di</strong>ssolvere alcuni dubbi testuali<br />

a proposito del CV, non altrettanto vale per l’esegesi del <strong>carme</strong>, che rimane tuttora<br />

assai <strong>di</strong>scussa. Certo è il rivolgersi <strong>di</strong> un io loquens (verosimilmente Saffo) a un<br />

gruppo <strong>di</strong> fanciulle, la cui presenza è sottolineata non solo dall’esortazione del v. 1, ma<br />

anche dai pronomi marcati all’inizio e alla fine del v. 15 che assumono una forte<br />

valenza deittica. Il tono <strong>di</strong>retto e confidenziale degli appelli spinge a delineare un<br />

ambiente a sfondo paideutico in cui una persona più anziana, in virtù <strong>della</strong> propria<br />

esperienza, trasmette degli insegnamenti a delle giovani ragazze. La riflessione dell’io<br />

lirico sulla propria <strong>vecchiaia</strong> (universalizzata tramite l’exemplum mitico <strong>di</strong> Titono)<br />

sfocia non solo nell’insegnamento ad accettare i limiti umani, ma anche (in virtù<br />

dell’incipit de<strong>di</strong>cato alle Muse e <strong>della</strong> riflessione sulla <strong>vecchiaia</strong> che ha origine dal<br />

confronto con le fanciulle che onorano le Muse danzando) nella coscienza che questi<br />

limiti possono essere superati eccezionalmente attraverso la poesia. Questo messaggio,<br />

ravvisabile anche nel tetrastico, non era estraneo alla tra<strong>di</strong>zione epica e innologica, in<br />

cui Saffo vedeva spesso elogiati gli straor<strong>di</strong>nari effetti del canto, inteso come un dono<br />

privilegiato ed eterno, in grado <strong>di</strong> suscitare la gioia e lenire gli affanni. La chiusa del<br />

<strong>carme</strong> si risolve, quin<strong>di</strong>, nella fiducia <strong>della</strong> poetessa in una immortalità certamente non<br />

corporale, ma poetica, che presuppone l’appartenenza del tetrastico al <strong>carme</strong>.<br />

49


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