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la dottrina platonica del linguaggio - Rocco Li Volsi – Saggi

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Se l’immagine potesse divenire identica, non avremmo una spo<strong>la</strong> e l’idea di spo<strong>la</strong>, ma due idee di spo<strong>la</strong>; il che è impossibile, come<br />

è impossibile che vi siano due idee di letto, come abbiamo visto: questa è <strong>la</strong> naturalezza “per i Greci e per gli stranieri, <strong>la</strong> medesima<br />

per tutti”. Il cerchio in sé (l’idea di cerchio) esiste al di là <strong>del</strong><strong>la</strong> nostra mente, mentre noi ne possediamo una conoscenza, fatta di<br />

scienza e intellezione, <strong>del</strong>le quali <strong>la</strong> più vicina all’idea è l’intellezione: più lontane poi si pongono <strong>la</strong> scienza, l’immagine sensibile, <strong>la</strong><br />

definizione e il nome. 56 Teniamo inoltre sempre presente <strong>la</strong> distinzione burlesca <strong>del</strong>le parole create dagli dèi, dagli uomini e dalle<br />

donne: questi ultimi (nomi, definizioni, immagini) si trovano sul piano <strong>del</strong> divenire; i secondi (intellezione e scienza) e i primi (idee)<br />

si trovano sul piano <strong>del</strong>l’essere, cioè <strong>del</strong>l’intellegibile.<br />

Con quanto abbiamo detto fin qui, sarebbe superfluo prendere in considerazione <strong>la</strong> critica che Aristotele rivolge a P<strong>la</strong>tone, se non<br />

valesse <strong>la</strong> pena aggiungere qualche altra precisazione. Si sa che lo Stagirita, soprattutto nel<strong>la</strong> Metafisica, attribuisce a P<strong>la</strong>tone proprio<br />

quanto P<strong>la</strong>tone fa dire a Socrate, e cioè che “Doppie tutte le cose diventerebbero”. Aristotele si esprime in questi termini:<br />

Anzitutto costoro [i P<strong>la</strong>tonici], nel tentativo di trovare le cause degli enti sensibili, hanno messo in mezzo altri enti in numero uguale a quelli<br />

sensibili, comportandosi come chi, volendo far di conto, è <strong>del</strong> parere di non potervi riuscire quando le cose sono poche, e si mette poi a<br />

contare dopo averle accresciute di numero; infatti il numero <strong>del</strong>le idee è presso a poco uguale, o comunque non minore, rispetto a quello<br />

degli oggetti sensibili, le cui cause essi hanno ricercate inoltrandosi verso le idee, giacché, secondo loro, ad ogni essere partico<strong>la</strong>re<br />

corrisponde un qualcosa che è ad esso omonimo e che è separato dalle sostanze, e, a loro parere, per quanto concerne le altre cose <strong>–</strong> siano<br />

esse sensibili o eterne <strong>–</strong> esiste un’unità che trascende <strong>la</strong> molteplicità. 57<br />

Aristotele par<strong>la</strong> <strong>del</strong>le idee come di cause efficienti <strong>del</strong>le cose, mentre per P<strong>la</strong>tone esse sono il loro essere (ciò che di intellegibile vi<br />

è nelle cose: nel cerchio disegnato, il cerchio in sé); secondo lo Stagirita esse rappresentano un doppione <strong>del</strong>le cose (ma il cerchio<br />

disegnato è nello spazio, il cerchio in sé ne prescinde); egli afferma che le idee sono numericamente almeno quante sono le cose (ma<br />

<strong>la</strong> molteplicità dei cerchi disegnati è in rapporto all’unica idea di cerchio; e inoltre abbiamo visto che un’idea è implicita e non distinta<br />

nell’idea superiore: idea di spo<strong>la</strong> nell’idea di tessitura). Egli non comprende che quell’“unità che trascende <strong>la</strong> molteplicità” contiene in<br />

sé implicitamente le cose “sensibili o eterne”. Non è però qui possibile affrontare il problema.<br />

Socrate chiede a Cratilo che valore abbiano i nomi; e Cratilo risponde: “Insegnano, mi sembra, o Socrate; e, cosa al tutto senza<br />

restrizione questa, chi conosce i nomi conosce anche le cose. SOCR. Tu forse, o Cratilo, vuoi dire questo, che quando uno sa il nome<br />

quale è <strong>–</strong> ed esso è tale quale <strong>la</strong> cosa <strong>–</strong> colui saprà certo anche <strong>la</strong> cosa, poiché <strong>la</strong> cosa è appunto simile al nome; perché una so<strong>la</strong> e <strong>la</strong><br />

medesima è l’arte di conoscere tutte le cose simiglianti fra loro.” 58<br />

Se una stessa arte fa conoscere il significato <strong>del</strong>le parole e le cose significate, possiamo affermare che <strong>la</strong> dialettica p<strong>la</strong>tonica si<br />

identifica con una linguistica in senso forte: essa, quale vera arte <strong>del</strong><strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, contiene quelle modalità <strong>del</strong><strong>la</strong> ragione dianoetica<br />

(‘tagliare’, ‘tessere’, ‘perforare’) mediante le quali l’intero intellegibile si artico<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> molteplicità <strong>del</strong>le parti <strong>del</strong> discorso. Possiamo<br />

per ciò definire <strong>la</strong> dialettica come l’arte e <strong>la</strong> scienza dei nessi tra le parti intellegibili tra di loro e tra esse e l’intero intellegibile che<br />

‘per natura’ le comprende.<br />

Nel dialogo intanto sorge il problema <strong>del</strong>l’origine dei i nomi. La via battuta da Socrate è quel<strong>la</strong> che cerca di far risalire i nomi agli<br />

elementi di cui sono composti: “E […] potrebbero mai anche i nomi essere simili a nessuna cosa, se questi elementi di cui i nomi si<br />

compongono, non fossero, anzi tutti, in possesso di una somiglianza con quelle cose di cui i nomi sono imitazioni? E questi elementi<br />

di cui si devono comporre i nomi sono le lettere? CRAT. Sì.” 59<br />

Si riprende in questo modo l’analisi etimologica di vari termini al<strong>la</strong> ricerca di una etimologia di origine ‘fonetica’ che si conclude<br />

con <strong>la</strong> constatazione inevitabile che “<strong>la</strong> giustezza <strong>del</strong> nome è […] una convenzione, dato che hanno un senso tanto le lettere simili<br />

[foneticamente] alle cose, quanto le dissimili”. 60 Da questo punto di vista, il <strong>linguaggio</strong> è convenzionale: esso con le lettere e le sil<strong>la</strong>be<br />

non riesce ad imitare col suono le cose.<br />

In proposito, Socrate, già discutendo con Ermogene, si era espresso in questo modo:<br />

In verità, credimi, non mi pare di aver male indovinato quello che pensavo poco fa: a quegli uomini antichissimi che ponevano i nomi è<br />

capitato proprio lo stesso come al<strong>la</strong> più parte dei sapienti di oggi, i quali, per quel loro continuo girasi intorno cercando come stiano le cose,<br />

sono colti dalle vertigini; così a costoro sembra che le cose girino e si muovano in ogni senso. E danno colpa di codesta loro opinione, non<br />

già allo stato loro interno, ma alle cose stesse, reputandole di tal natura che nessuna di esse stia ferma e sia salda, ma fluiscano e si muovano<br />

tutte e siano piene di ogni movimento e generazione sempre. 61<br />

Era già l’annuncio <strong>del</strong>l’impossibilità di un rapporto <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> fonetico rispetto alle cose sensibili, immerse come sono nel<br />

divenire: è <strong>la</strong> posizione <strong>del</strong> Cratilo presentato da Aristotele, per il quale il mondo <strong>del</strong> divenire non può essere denominato, ma solo<br />

additato. Ma il Cratilo di P<strong>la</strong>tone, un Cratilo ancora giovane, per un verso sostiene che ‘tutto scorre e nul<strong>la</strong> è’, come voleva il suo<br />

maestro, per un altro afferma <strong>la</strong> naturalezza dei nomi. Com’è possibile ai nomi imitare allora le cose in perenne divenire?<br />

di Socrate abbiamo <strong>la</strong> duplicazione di un ente (Cratilo). Cratilo, che re<strong>la</strong>tivizza <strong>la</strong> realtà sensibile al punto di annul<strong>la</strong>r<strong>la</strong>, nell’ambito linguistico assolutizza i ‘nomi’ fino<br />

a volerne fare dei duplicati <strong>del</strong>le cose.<br />

56<br />

Epist. VII 342 a ss.<br />

57<br />

Aristotele, Metafisica, I 9, 990b 1-8. Dagli scritti di Aristotele si ricava l’impressione che le citazioni <strong>del</strong>le opere e <strong>del</strong> pensiero di P<strong>la</strong>tone siano più frutto <strong>del</strong><br />

ricordo di possibili discussioni effettuate ai tempi <strong>del</strong> suo soggiorno nell’Accademia che di letture dirette dei dialoghi. Quello che con sicurezza possiamo dire è<br />

piuttosto: che mancano molti riferimenti diretti agli scritti p<strong>la</strong>tonici; che non sono mai citati alcuni dialoghi (fra quelli più importanti, il Parmenide e il Cratilo); che i<br />

riferimenti più importanti e più numerosi vanno agli aspetti politici (Politeia, Leggi) e fisici (Timeo). Si può affermare con una certa sicurezza che Aristotele non ha<br />

conosciuto interamente il pensiero p<strong>la</strong>tonico, e meno ancora il suo vertice: “Vedendo tutto ciò P<strong>la</strong>tone non lo amava, e gli preferiva Senocrate, Speusippo, Amic<strong>la</strong> e gli<br />

altri, degnandoli, insieme con altri atti di stima, soprattutto <strong>del</strong><strong>la</strong> partecipazione al dialogo con lui.” Aelian.: Varia Hist. III 19; in Senocrate-Ermocrate, Frammenti. fr.<br />

11, p. 170.<br />

58<br />

Crat. 435 d-e.<br />

59<br />

Crat. 434 b.<br />

60<br />

Crat. 435 a.<br />

61<br />

Crat. 411 b-c. Questo è vero anche per P<strong>la</strong>tone, ma non in senso assoluto.<br />

8

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