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la dottrina platonica del linguaggio - Rocco Li Volsi – Saggi

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intellegibile (<strong>linguaggio</strong> interiore) passa da chi par<strong>la</strong> a chi ascolta, bensì uno strumento (<strong>linguaggio</strong> esteriore) che non imita le cose,<br />

ma le rappresenta per convenzione, creando un ponte tra l’intelletto <strong>del</strong>l’uno e l’intelletto <strong>del</strong>l’altro, i cui pi<strong>la</strong>stri sono dati dalle<br />

rispettive facoltà di creare e ricevere immagini (suoni): l’immaginazione. In altre parole, il medio (immagine) è per convenzione, ma<br />

gli estremi (essenza) sono per natura.<br />

Rendendo ancora più completo il discorso, diciamo che 1. Dio è l’Intellegibile che contiene implicitamente gli intellegibili<br />

(essenze) <strong>del</strong>le cose; 2. gli dèi rappresentano le essenze <strong>del</strong>le cose; 3. l’intelletto umano, in quanto identico <strong>del</strong>l’Intellegibile divino, è<br />

quell’intero che possiede implicitamente gli intellegibili <strong>del</strong>le cose, che <strong>la</strong> ragione dianoetica distingue, dando luogo ad un discorso<br />

interiore (‘scrittura’ <strong>del</strong>lo ‘scrivano’) che l’immaginazione riceve (‘pittura’ <strong>del</strong> ‘pittore’), trasferendolo nel<strong>la</strong> voce (discorso esteriore).<br />

Chi ascolta, ricevendo <strong>la</strong> ‘paro<strong>la</strong>’ nel<strong>la</strong> propria immaginazione, compie il percorso inverso, fino a ricevere nell’intelletto quel<br />

“discorso che è scritto con <strong>la</strong> scienza nell’anima di chi impara”.<br />

Socrate fa ancora alcune considerazioni:<br />

Considera dunque, o meraviglioso Cratilo, una domanda <strong>la</strong> quale più volte mi ripeto come in sogno. Diciamo che sono qualche cosa per se<br />

esso stesso il bello, il buono e così ognuno degli enti, oppure no? CRAT. A me pare di sì, o Socrate. SOCR. Quell’«esso stesso», dunque,<br />

consideriamo: non già se è bello un volto e qualche cosa di simile, tutte cose che sembrano fluire; bensì esso stesso, diciamo, il bello, non è<br />

sempre tale quale è? CRAT. Necessariamente. SOCR. Orbene, è possibile codesto bello chiamarlo giustamente per sé, se sempre ci scappa via<br />

di sotto, e dire anzitutto che esso è, e poi che è tale; o è necessario che al momento stesso che noi parliamo divenga sùbito altro, e ci scappi<br />

via e non sia più così? CRAT. È necessario. […SOCR. …] Nessuna conoscenza, certo, conosce ciò che conosce, se codesto non sta fermo in<br />

nessun modo. CRAT. È come dici. SOCR. Ma neppure è lecito dire che esiste conoscenza, o Cratilo, se tutte le cose mutano e nessuna sta<br />

ferma. […] Se invece il conoscente esiste sempre, e esiste anche il conosciuto, ed esistono il bello e il buono e insomma ciascuno degli enti;<br />

è evidente che questi enti di cui ora stiamo par<strong>la</strong>ndo non sono simili affatto né al<strong>la</strong> r|ohé né al<strong>la</strong> foraé. Ora, se queste cose stiano così o al<br />

modo che dicono Eraclito e gli Eraclitei e molti altri, io temo sia difficile giudicare: e credo sia anche da uomo poco assennato dedicare e<br />

dare in cura se medesimi e <strong>la</strong> propria anima ai nomi; e, fidando in essi e in coloro che li posero, ostinarsi e credere di saper qualche cosa, e se<br />

stessi e le cose condannare quasi che non ci sia nul<strong>la</strong> di sano in nul<strong>la</strong>, perché tutte le cose fluiscono come vasi di creta; e credere che, proprio<br />

come gli uomini amma<strong>la</strong>ti di catarro, così siano anche le cose, le quali da flusso e da catarro sieno prese tutte quante. 69<br />

Socrate rimprovera l’eraclitismo di Cratilo; e mentre sembra chiudere il dialogo con una conclusione aporetica, in realtà ribadisce<br />

e precisa ancora alcuni punti: 1. “il conoscente esiste da sempre” (è cioè fuori <strong>del</strong> divenire): si tratta <strong>del</strong>l’intelletto umano; 2. “esiste<br />

anche il conosciuto” (anch’esso fuori <strong>del</strong> divenire): gli intellegibili; 3. “esistono il bello e il buono e insomma ciascuno degli enti” in<br />

se stessi; 4. “è evidente che questi enti di cui ora stiamo par<strong>la</strong>ndo non sono simili affatto né al<strong>la</strong> r|ohé né al<strong>la</strong> foraé.” Si tratta <strong>del</strong> piano<br />

intellegibile, il quale fonda quello sensibile. Come le qualità sensibili <strong>del</strong>le cose derivano dal<strong>la</strong> loro essenza, così il <strong>linguaggio</strong> <strong>del</strong><strong>la</strong><br />

ragione deriva dall’intelletto; intelletto umano ed essenza <strong>del</strong>le cose, a loro volta, derivano da quel piano assoluto in cui “esistono il<br />

bello e il buono e insomma ciascuno degli enti”, che Socrate non specifica ulteriormente.<br />

Cratilo risponde come sappiamo: “Sta bene, o Socrate; ma anche tu vedi di capire questa <strong>dottrina</strong>, ormai.”<br />

69 Crat. 439 c-440 d.<br />

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