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la dottrina platonica del linguaggio - Rocco Li Volsi – Saggi

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LA DOTTRINA PLATONICA DEL LINGUAGGIO<br />

L’occasione e i personaggi <strong>del</strong> Cratilo<br />

La <strong>dottrina</strong> p<strong>la</strong>tonica <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> è concentrata essenzialmente nel Cratilo, e sembra un problema nato occasionalmente<br />

all’interno dei dibattiti che dovevano sorgere nell’Accademia dopo <strong>la</strong> lettura dei dialoghi <strong>del</strong> Maestro o su iniziativa di qualche<br />

personaggio. Non è poi escluso che le due occasioni si fondessero in una, come a me pare in questo caso, e cioè che un frequentatore<br />

<strong>del</strong><strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> p<strong>la</strong>tonica, in seguito a discussioni tra discepoli, abbia sollevato il problema. L’inizio <strong>del</strong> Cratilo, da questo punto di vista,<br />

si presenta molto significativo: “ERMOGENE. Ebbene, vuoi che anche Socrate, qui, mettiamo a parte <strong>del</strong> nostro ragionare? CRATILO.<br />

Sì, se ti piace. ERM. Dice così, o Socrate, il nostro Cratilo: giustezza di nome ha ciascuno degli enti, per natura, innata; e nome non è<br />

ciò con cui alcuni, convenuto di chiamarlo, lo chiamano, <strong>del</strong><strong>la</strong> voce emettendo una parte, bensì una giustezza di nomi vi è, naturale,<br />

per i Greci e per gli stranieri, <strong>la</strong> medesima per tutti.” 1<br />

Questo inizio richiama quello <strong>del</strong> Filebo: “SOCRATE. Guarda bene dunque, Protarco, quale discorso tu stai per accogliere da<br />

Filebo facendolo tuo e con quale discorso nostro tu stai per entrare in discussione, qualora non sia aderente al tuo intendimento.” 2 In<br />

questo dialogo si viene a sapere che Socrate è stato interpel<strong>la</strong>to per dirimere <strong>la</strong> controversia che era sorta sul piacere, e si afferma che<br />

“il bel Filebo si è ritirato dal<strong>la</strong> nostra competizione” 3 , con una rottura che lo rende sdegnoso dal partecipare al dialogo.<br />

Ho già cercato di mostrare altrove come dietro <strong>la</strong> figura <strong>del</strong> “bel Filebo” P<strong>la</strong>tone probabilmente abbia voluto rappresentare il<br />

giovane Aristotele: 4 in questa premessa vorrei sostenere che dietro “il nostro Cratilo” si ce<strong>la</strong> ancora lo Stagirita. Per esaminare <strong>la</strong><br />

consistenza di questa ipotesi, occorrerà prendere in considerazione entrambi gli interlocutori di Socrate presenti nel dialogo in<br />

questione, e l’occasione <strong>del</strong><strong>la</strong> trattazione <strong>del</strong> problema <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>.<br />

In realtà, se si esclude <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica, tematizzata fin dai tempi <strong>del</strong>lo Ione, 5 a prima vista un problema <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> sembra<br />

quasi inesistente nei dialoghi che precedono il Cratilo; ma a guardare bene proprio attorno ad esso ruotano invece tutti gli scritti<br />

p<strong>la</strong>tonici. Questo non significa tuttavia che P<strong>la</strong>tone fin dall’inizio ne possedesse una chiara e completa concezione: eppure, se si fa<br />

attenzione a quanto aveva scritto in precedenza, se ne individuano i tratti essenziali.<br />

Si può affermare infatti che già dai primissimi dialoghi, quelli che solitamente non sono accettati come p<strong>la</strong>tonici, si trovano<br />

accenni al nostro problema, come nel brevissimo dialogo Sul giusto, in cui troviamo <strong>la</strong> conclusione di Socrate che i giudici, l’arte <strong>del</strong><br />

giudicare e <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> sono ciò che permettono di giungere a scoprire cosa è giusto: “è <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, invero, come sembra, ciò per cui si è<br />

in grado di distinguere il giusto dall’ingiusto.” 6<br />

Si incontrano poi espressioni quali ‘<strong>la</strong>sciamoci guidare dal discorso’, ‘il nostro discorso si è capovolto’, ‘attraversare un così vasto<br />

mare di parole’, e simili, che sono indice di una attenzione certamente non superficiale al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Dobbiamo poi aggiungere che nel<br />

Fedro Socrate pone <strong>la</strong> distinzione tra paro<strong>la</strong> orale e paro<strong>la</strong> scritta, che vede <strong>la</strong> superiorità <strong>del</strong>lo ‘scrivere nell’anima con <strong>la</strong> verità’ che<br />

caratterizza profondamente <strong>la</strong> paideia p<strong>la</strong>tonica. Aggiungiamo inoltre che, sebbene non possediamo un esplicito riscontro, è<br />

impossibile che P<strong>la</strong>tone non conoscesse le tre negazioni di Gorgia, e non le avesse fatto oggetto di riflessione. 7<br />

Era stata <strong>la</strong> Sofistica per l’appunto a sollevare il problema <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>; e P<strong>la</strong>tone conosce bene gli scritti e <strong>la</strong> lezione dei sofisti.<br />

Prodico di Ceo, che Socrate cita ironicamente come l’esperto <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>, non è però il sofista da ‘temere’: anzi egli appare in<br />

qualche modo apprezzabile per il suo sforzo di analisi <strong>del</strong><strong>la</strong> lingua. Temibili sono invece Protagora per le sue ‘antilogie’, Gorgia, per<br />

<strong>la</strong> terza <strong>del</strong>le sue negazioni, Eutidemo per il suo eleatismo linguistico.<br />

Non prenderemo qui in considerazione le posizioni assunte dai vari sofisti, né se P<strong>la</strong>tone possedesse anche prima <strong>del</strong> Cratilo una<br />

completa <strong>dottrina</strong> sul <strong>linguaggio</strong>: ci interessa avanzare soltanto l’ipotesi <strong>del</strong>l’occasione di una sua trattazione. Essa vorrebbe<br />

incentrarsi sul<strong>la</strong> richiesta fatta da Aristotele a P<strong>la</strong>tone <strong>del</strong><strong>la</strong> necessità di contrastare <strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> di Isocrate con lezioni di retorica<br />

nell’Accademia.<br />

Sappiamo che Aristotele entrò a far parte <strong>del</strong>l’Accademia nel 367, a 17 anni, qualche mese prima <strong>del</strong> secondo viaggio di P<strong>la</strong>tone a<br />

Siracusa presso Dionisio il Giovane. È quello, a mio avviso, l’anno <strong>del</strong> Fedone, a cui seguirono il Convivio, il Parmenide, il Teeteto, il<br />

Fedro e quindi il Cratilo. 8 Si tratta nel complesso di un periodo che va dal 367 al 361: da poco prima che P<strong>la</strong>tone effettuasse il<br />

secondo viaggio a Siracusa al terzo ed ultimo; periodo denso di avvenimenti, ma anche fecondo di scritti.<br />

Aristotele, tra i due viaggi, che per <strong>la</strong> sua vivacità intellettuale era chiamato ‘<strong>la</strong> mente’, deve avere cominciato il suo insegnamento<br />

di retorica all’interno <strong>del</strong><strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> di P<strong>la</strong>tone prima <strong>del</strong> suo allontanamento dal Maestro e <strong>del</strong><strong>la</strong> definitiva rottura nei suoi confronti:<br />

sappiamo che egli scrisse Grillo o <strong>del</strong><strong>la</strong> retorica, di cui abbiamo qualche scarsa testimonianza.<br />

È possibile che in seno all’Accademia seguisse una qualche discussione sul<strong>la</strong> fondatezza <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> da parte di alcuni giovani,<br />

tanto da provocare <strong>la</strong> chiamata in causa di P<strong>la</strong>tone: “ERMOGENE. Ebbene, vuoi che anche Socrate (P<strong>la</strong>tone), qui, mettiamo a parte <strong>del</strong><br />

nostro ragionare? CRATILO. Sì, se ti piace. ERM. Dice così, o Socrate, il nostro Cratilo …”<br />

Prendendo in considerazione i due personaggi ora ricordati, ci colpisce innanzi tutto l’espressione usata da Ermogene: “il nostro<br />

Cratilo”. Essa pare possa rive<strong>la</strong>rci alcune cose: quel ‘nostro’ mostra infatti una maggiore anzianità di Eromogene, e nello stesso tempo<br />

<strong>la</strong> familiarità che intercorre fra i tre: Cratilo fa parte <strong>del</strong> gruppo; e questo può solo voler dire che, fuori dal<strong>la</strong> finzione letteraria, egli fa<br />

parte <strong>del</strong>l’Accademia. Del resto, il loro affidarsi a Socrate, come a colui che è in grado di risolvere <strong>la</strong> diatriba sorta tra loro, sta a<br />

significare che essi si trovano davanti ad una autorità riconosciuta.<br />

1<br />

Crat. 383 a-b. Tutte le citazioni p<strong>la</strong>toniche sono tratte da P<strong>la</strong>tone, Opere complete, Laterza, Bari 1971.<br />

2<br />

Phil. 11 a.<br />

3<br />

Phil 11 c. È da notare che ‘competizione’ dà l’idea di una gara tra giovani.<br />

4<br />

V. <strong>Rocco</strong> <strong>Li</strong> <strong>Volsi</strong>, Sul<strong>la</strong> cronologia dei dialoghi p<strong>la</strong>tonici, in Giornale di Metafisica, Nuova Serie XXII (2001), 2. Secondo <strong>la</strong> mia ricostruzione, P<strong>la</strong>tone ha<br />

scritto diversi dialoghi nei quali egli fa riferimento ad Aristotele: Parmenide, Convivio, Fedro, Filebo, Clitofonte, Timeo.<br />

5<br />

La paro<strong>la</strong> poetica è considerata ispirata per quell’invasamento ad opera <strong>del</strong>le Muse che rappresenta uno dei quattro ‘<strong>del</strong>iri’ in cui si divide il ‘<strong>del</strong>irio divino’,<br />

secondo <strong>la</strong> distinzione fatta nel Fedro da Socrate: di Dioniso, di Apollo, <strong>del</strong>le Muse, di Eros. Phaedr. 265 a-b. Per questo suo carattere ‘divino e a<strong>la</strong>to’, <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> poetica<br />

necessita di un discorso partico<strong>la</strong>re, ma non riguarda il problema <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> in se stesso.<br />

6<br />

De just. 373 d.<br />

7<br />

In modo partico<strong>la</strong>re, <strong>la</strong> terza negazione, che appare come un vallo incolmabile tra l’essere (ammesso come conoscibile) e <strong>la</strong> sua comunicabilità, riguarda<br />

l’‘inconsistenza’ <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>, <strong>la</strong> sua non legittimità ad esprimere ‘ciò che è’. V. sotto, <strong>la</strong> posizione di Cratilo secondo Aristotele.<br />

8<br />

V. R. <strong>Li</strong> <strong>Volsi</strong>, Sul<strong>la</strong> cronologia dei dialoghi p<strong>la</strong>tonici.


Nel Filebo, come abbiamo ricordato, sarà Socrate che, già al corrente <strong>del</strong><strong>la</strong> posizione assunta dal “bel Filebo” in merito<br />

all’identificazione di bene e piacere, metterà in guardia il giovane che si accinge a prenderne le difese; e anche qui troviamo una<br />

distinzione che richiama il ‘nostro’ <strong>del</strong> Cratilo. Socrate, dopo aver presentato <strong>la</strong> tesi di Filebo, fa riferimento al<strong>la</strong> “nostra obiezione”,<br />

intendendo dire che non si tratta <strong>del</strong><strong>la</strong> sua personale, ma di una posizione condivisa da un certo gruppo; e conclude in questo modo:<br />

“Non sono così presso a poco, Filebo, i discorsi che facciamo tu da una parte e noi dall’altra?” 9<br />

Sembra insomma che in questi dialoghi, che a mio avviso sono consecutivi, vi sia il riverbero di quanto stava avvenendo in seno<br />

all’Accademia, e cioè <strong>la</strong> separazione di Aristotele da P<strong>la</strong>tone e dai suoi più fe<strong>del</strong>i allievi, come sappiamo.<br />

Ma chi era Cratilo? Apprendiamo da Aristotele che egli fu seguace di Eraclito, come veniamo a sapere in un passo <strong>del</strong><strong>la</strong><br />

Metafisica: “Da questa considerazione, infatti, germogliò l’opinione che, tra quelle da noi esaminate, è <strong>la</strong> più estremistica, quel<strong>la</strong>,<br />

cioè, di quanti si professano seguaci di Eraclito, opinione che è stata sostenuta appunto da quel Cratilo, il quale finì col credere che<br />

non si dovesse proferire neppure una paro<strong>la</strong>, e soleva fare soltanto movimenti col dito e rimproverava ad Eraclito di aver detto che<br />

non si può scendere due volte nello stesso fiume, giacché <strong>la</strong> sua opinione personale era che non vi si potesse scendere neppure una<br />

volta so<strong>la</strong>!” 10<br />

Cratilo aveva dunque rimproverato ad Eraclito di non essere giunto alle estreme conclusioni <strong>del</strong><strong>la</strong> teoria <strong>del</strong> ‘tutto scorre’. Anche il<br />

Cratilo p<strong>la</strong>tonico insinua, quando interviene nel dialogo, che potrebbe prendere Socrate come discepolo, andando cioè oltre quest’altro<br />

maestro; e non pare una forzatura scorgere <strong>la</strong> presunzione di un Aristotele che vorrebbe insegnare a P<strong>la</strong>tone. Cratilo così dice a<br />

Socrate: “Sì, o Socrate, mi sono occupato, come tu dici, di queste cose, e forse potrei farti mio sco<strong>la</strong>ro”. 11<br />

Ma Socrate, che fino a quel momento ha sostenuto le tesi contro quelle di Ermogene, ora lo costringe a seguirlo con un discorso<br />

che ha direzione contraria. In questo modo, considerato aporetico per <strong>la</strong> mancanza di una esplicita conclusione positiva, il dialogo si<br />

chiude con un moto di insofferenza di Cratilo, a ma<strong>la</strong> pena represso: “Sta bene, o Socrate; ma anche tu vedi di capire questa <strong>dottrina</strong>,<br />

ormai.” 12<br />

L’intervento di Socrate pare non abbia dato l’esito sperato all’inizio; ma questo vuol forse dire piuttosto che Socrate (P<strong>la</strong>tone) non<br />

è stato assertorio nei suoi interventi, come avrebbe voluto Cratilo (Aristotele), mentre in realtà egli non comprende l’arte maietica <strong>del</strong><br />

Maestro, e come questi voglia impegnarlo nel<strong>la</strong> ricerca: “E perciò bisogna considerare le cose bravamente e bene, <strong>–</strong> gli dice <strong>–</strong> e non<br />

ammettere troppo facilmente <strong>–</strong> tu sei ancora giovane ed hai l’età adatta <strong>–</strong>; e, dopo considerato, se trovi, comunicare anche a me.” 13<br />

Con qualche analogia con il Protagora, anche nel Cratilo dunque assistiamo al capovolgimento <strong>del</strong>le posizioni sostenute<br />

inizialmente dai due giovani: Ermogene, che sosteneva <strong>la</strong> convenzionalità <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>, è costretto da Socrate ad ammettere che<br />

esso è invece ‘per natura’; Cratilo, assertore di quest’ultima concezione, finisce per fermarsi all’incertezza che Socrate mostra di avere<br />

su tale concezione. Quello che risulta dal dialogo è che nessuno dei due è coerentemente consequenziale con il proprio punto di<br />

partenza; e sembra che P<strong>la</strong>tone abbia qui voluto mostrare che non è possibile rifiutare “<strong>la</strong> Verità di Protagora”, 14 come fa Ermogene, e<br />

poi sostenere <strong>la</strong> convenzionalità <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>, così come non è possibile essere seguaci di Eraclito, come lo è Cratilo, e poi<br />

sostenerne <strong>la</strong> naturalezza.<br />

Da questo punto di vista, credo si possa più facilmente accettare l’ipotesi che dietro <strong>la</strong> figura di Cratilo P<strong>la</strong>tone abbia voluto<br />

raffigurare quel<strong>la</strong> di Aristotele. Il giovane Stagirita deve essere stato conquistato dal<strong>la</strong> concezione di Eraclito più che da quel<strong>la</strong> di<br />

Parmenide. È ad ogni modo significativo che il dialogo, posto a mio parere tra il Teeteto e il Sofista, 15 non citi Parmenide di Elea, che<br />

invece viene ricordato espressamente negli altri due dialoghi, dato che <strong>la</strong> concezione linguistica sostenuta da P<strong>la</strong>tone ha fondamento<br />

proprio nell’eleatismo. 16<br />

Se Cratilo rappresenta Aristotele, Ermogene potrebbe rappresentare Senocrate. Se così fosse, non solo si giustificherebbe meglio<br />

quel “nostro Cratilo” che abbiamo sottolineato, ma anche <strong>la</strong> distanza di pensiero tra il fe<strong>del</strong>e allievo di P<strong>la</strong>tone e P<strong>la</strong>tone stesso, sul<strong>la</strong><br />

base <strong>del</strong><strong>la</strong> differenza di ricchezza tra Ermogene e il fratello Callia, sottolineata nel dialogo, differenza accentuata dal fatto che si<br />

ironizza sull’etimologia <strong>del</strong> suo nome: Ermogene infatti significa ‘generato da Ermes’, <strong>la</strong> divinità <strong>del</strong>l’acquisto. 17<br />

Possediamo un aneddoto in cui P<strong>la</strong>tone contrappone appunto Senocrate ad Aristotele: “[Senocrate] Era tardo d’ingegno, sì che<br />

P<strong>la</strong>tone, paragonandolo con Aristotele soleva dire: ‘L’uno ha bisogno di sprone, l’altro di freno’ e anche: ‘Quale asino io allevo a<br />

lottare contro un tale cavallo!’” 18 Quest’ultima espressione, se traguardata dal<strong>la</strong> ipotesi che abbiamo posto, dà l’impressione che i due<br />

personaggi <strong>del</strong> dialogo abbiano <strong>la</strong> funzione di rappresentare appunto i due giovani seguaci di P<strong>la</strong>tone.<br />

Ci pare per questo di poter concludere che l’occasione che spinse P<strong>la</strong>tone ad affrontare direttamente il problema <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>,<br />

scrivendo il Cratilo, sia stata <strong>la</strong> diatriba sorta tra personaggi <strong>del</strong>l’Accademia, tra i quali si fronteggiavano Senocrate e Aristotele: il<br />

primo più ingenuo, sostenitore <strong>del</strong>l’ovvia convenzionalità <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>; il secondo più acuto, sostenitore però di una naturalezza<br />

riferita al suo aspetto fonetico. Come vedremo, le due posizioni non si contraddicono: si contraddicono i due giovani nel non rendersi<br />

conto che nel <strong>linguaggio</strong> i due aspetti coesistono.<br />

9 Phil. 11 c.<br />

10 Metafisica IV 5, 1010a, 9-14, in Aristotele, Opere, Laterza, Bari 1979.<br />

11 Crat. 428 b. Vi è certo anche un accenno al fatto che P<strong>la</strong>tone fu discepolo di Cratilo, secondo <strong>la</strong> testimonianza di Aristotele; Metafisica, I 987a 32. V. anche<br />

Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, Bari 1975, III 6.<br />

12 Crat. 440 e.<br />

13 Crat. 440 d.<br />

14 Crat. 391 c.<br />

15 La successione cronologica da me proposta è <strong>la</strong> seguente: Teeteto, Fedro, Cratilo, Filebo, Sofista.<br />

16 Anche <strong>la</strong> concezione eristica di Eutidemo, ricordata nel Cratilo, ed espressa nell’Eutidemo e nel Sofista, deriva dal<strong>la</strong> posizione eleatica con una immediata<br />

consequenzialità, priva però di vero fondamento dialettico. La concezione di questo giocoliere <strong>del</strong>le parole deriva direttamente dal principio parmenideo che il non<br />

essere non è, e lì si arresta. Occorrerà a P<strong>la</strong>tone un ‘affondo dialettico’ non indifferente per dimostrare come anche il non essere sia, senza divenire tuttavia ‘parricida’<br />

nei confronti di Parmenide. V. R. <strong>Li</strong> <strong>Volsi</strong>, Il Sofista di P<strong>la</strong>tone, in Giornale di Metafisica, Nuova Serie, XXIV (2002), 1-2.<br />

17 V. Crat. 391 b-c; 384 c.<br />

18 Diogene Laerzio, Vita dei filosofi, IV, II 6.<br />

2


Problematica e <strong>dottrina</strong> <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> in P<strong>la</strong>tone<br />

La distinzione da cui possiamo iniziare il nostro discorso è quel<strong>la</strong> che troviamo nel Fedro e che abbiamo ricordato, quando Socrate<br />

contrappone al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> scritta quel<strong>la</strong> orale: <strong>la</strong> prima è presentata come una bel<strong>la</strong> pittura, e i “prodotti […] <strong>del</strong><strong>la</strong> pittura ci stanno<br />

davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio”; <strong>del</strong><strong>la</strong> seconda Socrate dice: “Vogliamo noi considerare<br />

un’altra specie di discorso, fratello di quello scritto, ma legittimo, e vedere in che modo nasce e di quanto è migliore e qual è <strong>la</strong> sua<br />

origine? […] Il discorso che è scritto con <strong>la</strong> scienza nell’anima di chi impara: questo può difendere se stesso, e sa a chi gli convenga<br />

par<strong>la</strong>re e a chi tacere.” 19<br />

Lo scritto appare una comunicazione inferiore rispetto al<strong>la</strong> oralità, poiché “chi crede di poter tramandare un’arte affidando<strong>la</strong><br />

all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve essere<br />

pieno d’una grande ingenuità, e deve ignorare assolutamente <strong>la</strong> profezia di Ammone se s’immagina che le parole scritte siano<br />

qualcosa di più <strong>del</strong> rinfrescare <strong>la</strong> memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto.” 20<br />

P<strong>la</strong>tone inoltre pone una distinzione anche tra <strong>linguaggio</strong> par<strong>la</strong>to (esteriore) e <strong>linguaggio</strong> pensato (interiore), poiché nel Sofista<br />

afferma che <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> proferita non differisce da quel<strong>la</strong> pensata: “Il pensiero dunque e il discorso sono <strong>la</strong> stessa cosa, con <strong>la</strong> so<strong>la</strong><br />

differenza che quel discorso che avviene all’interno <strong>del</strong>l’anima, fatto dall’anima con se stessa, senza voce, proprio questo fu<br />

denominato da noi ‘pensiero’. […] Non si è chiamato ‘discorso’ invece il flusso che dall’anima esce attraverso <strong>la</strong> bocca e si<br />

accompagna al suono <strong>del</strong><strong>la</strong> voce?” 21<br />

Possiamo così avanzare un’analogia tra <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> scritta, quel<strong>la</strong> proferita e <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> pensata, da una parte, e dall’altra il letto <strong>del</strong><br />

pittore, quello <strong>del</strong> falegname e il letto in sé, o idea di letto, di cui Socrate propone l’esempio nel decimo libro <strong>del</strong><strong>la</strong> Politeia. 22 Nel<br />

passo che riportiamo troviamo anche <strong>la</strong> dimostrazione che non vi può essere ‘in natura’ che un’unica idea di una determinata cosa: il<br />

letto, in questo caso.<br />

Questi nostri letti si presentano sotto tre specie. Uno è quello che è nel<strong>la</strong> natura: potremmo dirlo, credo, creato dal dio. O da qualcun altro? <strong>–</strong><br />

Da nessun altro, credo. <strong>–</strong> Uno poi è quello costruito dal falegname. <strong>–</strong> Sì, disse. <strong>–</strong> E uno quello foggiato dal pittore. Non è vero? <strong>–</strong> Va bene. <strong>–</strong><br />

Ora, pittore, costruttore di letti, dio sono tre e sovrintendono a tre specie di letti. <strong>–</strong> Sì, tre. <strong>–</strong> Ebbene, il dio, sia che non l’abbia voluto sia che<br />

qualche necessità l’abbia costretto a non creare nel<strong>la</strong> natura più di un solo e unico letto, si è limitato comunque a fare, in unico esemp<strong>la</strong>re,<br />

quel letto in sé, ossia “ciò che è” letto. Ma due o più letti di tal genere il dio non li ha prodotti, e non c’è pericolo che li produca mai. <strong>–</strong><br />

Come?, chiese. <strong>–</strong> Perché, ripresi, se ne facesse anche due soli, ne riapparirebbe uno di cui ambedue quelli, a loro volta, ripeterebbero <strong>la</strong><br />

specie. E “ciò che è” letto sarebbe quest’ultimo, anziché quei due. 23<br />

Pittura e scrittura rientrano in un ambito estetico, e hanno senza dubbio un loro valore, ma veri strumenti funzionali sono il letto,<br />

costruito secondo l’arte <strong>del</strong> falegname, e il <strong>linguaggio</strong> fonetico, quando è utilizzato da quel tecnico <strong>del</strong><strong>la</strong> paro<strong>la</strong> che è il dialettico,<br />

poiché, come vedremo, il dialettico, attraverso <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> pensata, giunge a comprendere cosa è l’idea in se stessa, che è al di sopra <strong>del</strong><br />

<strong>linguaggio</strong> fonetico e <strong>del</strong> ‘letto’ costruito.<br />

Vi è ancora un’altra distinzione introdotta nel Sofista a proposito <strong>del</strong>l’arte, ma che vale anche per il <strong>linguaggio</strong>, scritto o par<strong>la</strong>to: vi<br />

è una forma icastica e una forma fantastica <strong>del</strong> rappresentare, che fanno sì che il discorso, come l’arte, riproduca quello che è come è,<br />

o lo alteri in vista di una intenzione ‘prospettica’. 24<br />

D’altra parte, se lo scritto “mantiene un dignitoso silenzio” nei confronti di chi continui ad interrogarlo, maggiormente<br />

cristallizzato resta se assume forma macrologica, propria dei retori e dei sofisti, invece di quel<strong>la</strong> brachilogica, propria di Socrate e<br />

P<strong>la</strong>tone: il dialogare risponde meglio al<strong>la</strong> funzione didascalica <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>, perché <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> nasce per essere udita da altra persona,<br />

<strong>la</strong> quale risponde con <strong>la</strong> propria.<br />

La paro<strong>la</strong> orale, icastica, brachilogica, rappresenta lo sforzo più vero di un’azione paideica; e definendo<strong>la</strong> icastica è già connotata<br />

come positiva nei confronti <strong>del</strong><strong>la</strong> verità, e dunque <strong>del</strong> bene, tanto quanto <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> scritta, fantastica, macrologica, può essere<br />

considerata ad essa contraria o almeno inferiore. Ricordiamo in proposito che nel Protagora Socrate costringe il filosofo di Abdera ad<br />

usare il metodo brachilogico, anche se poi egli stesso usa ironicamente anche l’altra forma; e nel Sofista il protagonista <strong>del</strong> dialogo,<br />

richiesto sul metodo che intende seguire nel<strong>la</strong> trattazione, risponde di preferire il dialogo al discorso continuato. 25<br />

Paro<strong>la</strong> scritta e paro<strong>la</strong> orale rientrano nell’ambito sensibile: si tratta di quell’ambito che, secondo le negazioni di Gorgia, non può<br />

né identificarsi con il pensiero né esprimerlo; mentre <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> interiore fa parte <strong>del</strong>l’ambito intellegibile, che per P<strong>la</strong>tone è anche<br />

l’essere <strong>del</strong><strong>la</strong> realtà sensibile.<br />

Socrate nel Filebo, paragonando l’anima ad un libro, propone un’altra importante distinzione: quel<strong>la</strong> tra ‘scrivano’ e ‘pittore’, il<br />

primo che ‘scrive’ e il secondo che ‘dipinge’ nell’anima; e dichiara l’anteriorità <strong>del</strong> primo sul secondo, “il quale [solo] dopo lo<br />

scrivano disegna nell’anima rappresentazioni <strong>del</strong>le cose dette.” 26<br />

Occorre precisare come <strong>la</strong> ‘pittura’ e <strong>la</strong> ‘scrittura’ interiori riguardino rispettivamente le facoltà <strong>del</strong>l’immaginazione e<br />

<strong>del</strong>l’intelletto, e ricordare, sul<strong>la</strong> base <strong>del</strong><strong>la</strong> Lettera VII, <strong>la</strong> differenza che passa tra i cerchi immaginati e l’unico cerchio che l’intelletto<br />

19<br />

Phaedr. 275 d-276 a.<br />

20<br />

Phaedr. 275 c-d. Poco prima Socrate aveva espresso ironicamente il suo pensiero a proposito <strong>del</strong><strong>la</strong> cultura dei giovani in questi termini: “Oh! ma i preti <strong>del</strong><br />

tempio di Zeus a Dodona, mio caro, dicevano che le prime rive<strong>la</strong>zioni profetiche erano uscite da una quercia. Al<strong>la</strong> gente di quei giorni, che non era sapiente come voi<br />

giovani, bastava nel<strong>la</strong> loro ingenuità udire ciò che diceva «<strong>la</strong> quercia e <strong>la</strong> pietra», purché dicesse il vero. Per te invece fa differenza chi è che par<strong>la</strong> e da qual paese<br />

viene: tu non ti accontenti di esaminare semplicemente se ciò che dice è vero o falso.” Phaedr. 275 b-c.<br />

21<br />

Soph. 263 e.<br />

22<br />

Resp. X 596 e-597 e.<br />

23<br />

Resp. X 597 b-c.<br />

24<br />

Soph. 235 d-236 c.<br />

25<br />

Soph. 217 c-e-<br />

26<br />

Phil. 38 e-39 b. È chiaro però che il mito e <strong>la</strong> poesia rappresentano una ‘paro<strong>la</strong> fantastica’, e P<strong>la</strong>tone fa <strong>la</strong>rgo uso di entrambi, ma queste forme non sono frutto in<br />

lui di semplice ispirazione, ma di ispirazione e arte: esse nascono sempre nel contesto di un pensiero razionale.<br />

3


possiede, poiché allo stesso modo in cui noi possiamo immaginare più cerchi di diverso diametro o costruirli al tornio, altrettanto<br />

possiamo fare con <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> ‘dipinta’ nell’immaginazione ed esteriorizzata “<strong>del</strong><strong>la</strong> voce emettendo una parte”. 27<br />

<strong>Li</strong>nguaggio fonetico e <strong>linguaggio</strong> immaginato non sono dunque diversi, perché l’immaginazione è per P<strong>la</strong>tone il diaframma<br />

<strong>del</strong>l’anima nei confronti <strong>del</strong>le cose sensibili: essa è <strong>la</strong> facoltà di avere immagini, e prima di tutto le immagini dei sensi. La paro<strong>la</strong><br />

pronunciata è per ciò <strong>la</strong> stessa paro<strong>la</strong> immaginata, ora ‘tradotta’ in suono. 28<br />

Il paragone <strong>del</strong>le facoltà con una ‘linea’ divisa in quattro parti, che troviamo <strong>del</strong> libro sesto <strong>del</strong><strong>la</strong> Politeia, contribuisce a chiarire il<br />

problema. P<strong>la</strong>tone distingue l’opinione, che ha come oggetto <strong>la</strong> specie visibile (sensibile), dal<strong>la</strong> conoscenza, che ha come oggetto <strong>la</strong><br />

specie intellegibile: <strong>la</strong> prima si divide in immaginazione e credenza, che hanno come oggetti le immagini e le cose; <strong>la</strong> seconda, in<br />

ragione discorsiva e intelletto, che hanno come oggetti le scienze ipotetiche e il principio.<br />

Lo schema è il seguente:<br />

o p i n i o n e * c o n o s c e n z a<br />

immaginazione credenza * ragione discorsiva intelletto<br />

-------------------------+------------*----------------------------+----------<br />

immagini cose * scienze ipotetiche principio<br />

specie visibile * specie intellegibile<br />

Questa ‘linea retta’ esprime un processo ‘circo<strong>la</strong>re’, se noi riconosciamo che dal principio derivano gli intellegibili propri <strong>del</strong>le<br />

scienze, e da questi sorgono le cose e le loro immagini, le quali sono colte dal<strong>la</strong> immaginazione, che dà luogo al<strong>la</strong> credenza, e <strong>la</strong><br />

credenza diviene conoscenza, fino a giungere all’intelletto che coglie il principio.<br />

Ma nel presentare il ‘pittore’ e lo ‘scrittore’ <strong>del</strong>l’anima, Socrate, come abbiamo visto, precisa che prima avviene <strong>la</strong> ‘scrittura’, poi<br />

<strong>la</strong> ‘pittura’. Vi è dunque questa sequenza nei nostri discorsi: scrittura interiore, pittura interiore, pittura esteriore (paro<strong>la</strong> orale o<br />

scritta). Dal punto di vista <strong>del</strong>l’apprendimento invece, è sul<strong>la</strong> base <strong>del</strong>l’immaginazione che si passa dalle immagini <strong>del</strong>le cose al<strong>la</strong><br />

credenza <strong>del</strong>le cose stesse, sia essa <strong>del</strong>le cose sensibili sia <strong>del</strong>le parole udite; mentre, per passare dall’opinione al<strong>la</strong> conoscenza, il<br />

materiale <strong>del</strong>l’opinione deve venire sottoposto al<strong>la</strong> ‘connessione’ razionale mediante <strong>la</strong> ragione discorsiva, per giungere tramite <strong>la</strong><br />

dialettica al principio.<br />

La genesi <strong>del</strong><strong>la</strong> conoscenza si attua secondo <strong>la</strong> successione presente nel<strong>la</strong> ricerca di cosa sia ‘conoscenza’ che si svolge nel<br />

Teeteto: dal<strong>la</strong> sensazione (immaginazione) all’opinione vera (credenza), da questa al<strong>la</strong> stessa opinione vera unita al<strong>la</strong> ragione. In<br />

quanto opinione vera unita a ragione, <strong>la</strong> conoscenza risulta poi essere:<br />

1. una manifestazione <strong>del</strong> “proprio pensiero, mediante <strong>la</strong> voce, con verbi e nomi, effigiando nelle parole che fluiscono dalle <strong>la</strong>bbra,<br />

come in acqua o specchio, l’immagine <strong>del</strong>l’opinione”;<br />

2. re<strong>la</strong>tiva al<strong>la</strong> “esposizione di ciascuna cosa per mezzo dei suoi elementi” (cioè, re<strong>la</strong>tiva ad un intero);<br />

3. con l’indicazione di “un segno onde <strong>la</strong> cosa di cui si domanda differisce da tutte le altre”. 29<br />

Condizione necessaria per il raggiungimento <strong>del</strong><strong>la</strong> conoscenza è <strong>la</strong> dialettizzazione <strong>del</strong>l’opinione vera mediante ‘nessi’. 30 La<br />

ragione dianoetica, per i nessi in cui si muove, è <strong>la</strong> facoltà ‘discorsiva’, <strong>la</strong> facoltà <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>, di quel <strong>linguaggio</strong> interiore che<br />

determina ‘partitamente’ il proprio oggetto nell’immaginazione, e che lo manifesta, attraverso essa, nel<strong>la</strong> voce o nel<strong>la</strong> scrittura. Siamo<br />

giunti così al<strong>la</strong> distinzione tra ‘paro<strong>la</strong>’ per natura e ‘paro<strong>la</strong> per convenzione, e al Cratilo che esplicitamente ce ne pone il problema.<br />

Socrate, che aveva invitato ironicamente Ermogene ad affidarsi ai sofisti, “pagando loro denari e riconoscenza per giunta”,<br />

aggiunge:<br />

Se neppure questo ti soddisfa, da Omero bisogna imparare e dagli altri poeti. ERM. Che cosa dice, o Socrate, Omero sui nomi, e dove? SOCR.<br />

In molti luoghi; ma soprattutto e meglio in quelli dove distingue i nomi che alle stesse cose dànno gli dèi e gli uomini. Forse non credi<br />

ch’egli dica in questi luoghi qualcosa di grande e di mirabile sul<strong>la</strong> giustezza dei nomi? Giacché è chiaro che gli dèi, quanto al<strong>la</strong> giustezza dei<br />

nomi, adoperano proprio quelli che sono tali per natura. 31<br />

Dopo aver presentato alcuni casi in cui le stesse cose vengono denominate da dèi e da uomini con nomi diversi (“Xaénjov (Xanto),<br />

dice Omero, lo chiamano gli dèi, e gli uomini Skaémandrov (Scamandro)”), 32 Socrate distingue ancora tra nomi dati dagli uomini e<br />

27<br />

Crat. 383 a; Epist. VII 342 a ss. La distinzione che viene fatta è <strong>la</strong> seguente: idea (cerchio in sé), conoscenza (intellezione e scienza <strong>del</strong> cerchio), immagine<br />

(cerchio disegnato, ecc.), definizione, nome (‘cerchio’).<br />

28<br />

Pensiamo, ad esempio, ad un discorso pronunciato mentalmente o sognato: l’udito ode senza <strong>la</strong> mediazione <strong>del</strong>l’orecchio. In altri termini, l’immaginazione è <strong>la</strong><br />

facoltà che separa e unisce <strong>la</strong> realtà esteriore e <strong>la</strong> realtà interiore rispetto all’anima.<br />

29<br />

Theaet. 206 d; 207 c; 208 c. Il Teeteto è un altro dei dialoghi p<strong>la</strong>tonici non compresi, che per ciò passa per dialogo aporetico. In generale, non si riesce a cogliere<br />

di P<strong>la</strong>tone se non quanto egli formalmente dice, ma non quello che nasconde in ciò che dice. Nel caso di questo dialogo, si prende al<strong>la</strong> lettera quanto Socrate viene<br />

sostenendo contro le ipotesi <strong>del</strong> giovane Teeteto, e si perde l’ovvia considerazione che <strong>la</strong> negazione di singole posizioni non esclude di necessità che possano essere<br />

vere nel loro organico complesso. Così, è vero che <strong>la</strong> conoscenza non è né sensazione, né opinione vera, né opinione vera unita a ragione, ma è vero solo perché <strong>la</strong><br />

conoscenza è proprio tutte queste cose unite progressivamente: essa è una sensazione che diviene opinione vera, <strong>la</strong> quale viene fatta propria dal<strong>la</strong> ragione, secondo le<br />

tre condizioni che abbiamo sopra riportato, e cioè, esporre il proprio pensiero, nel<strong>la</strong> totalità <strong>del</strong>le sue parti, ciascuna <strong>del</strong>le quali detrminata da definizione.<br />

30<br />

In realtà, i nessi possono essere presenti anche nel<strong>la</strong> semplice opinione, così come all’interno <strong>del</strong>l’opinione si possono dare <strong>del</strong>le definizioni, ma essi<br />

rappresentano <strong>la</strong> struttura specifica <strong>del</strong><strong>la</strong> stessa ragione; e sono proprio i nessi che conducono <strong>la</strong> conoscenza fino al principio. Credo anzi che proprio nei nessi (che<br />

sono <strong>la</strong> modalità per cui <strong>la</strong> ragione è dianoetica) occorra riconoscere <strong>la</strong> struttura razionale <strong>del</strong>le parti di quell’intero che è l’identico presente nell’anima. Nel Parmenide<br />

il filosofo di Elea dice così: “Ogni cosa, io direi, è così in re<strong>la</strong>zione ad ogni cosa: o è identica o è diversa; e se non è né l’uno né l’altro, rispetto a qualche cosa, sarà una<br />

parte di ciò con cui sta in una siffatta re<strong>la</strong>zione, oppure in rapporto a questa starà come il tutto rispetto a una sua parte.” Parm. 146 b. Tutta <strong>la</strong> dialettica si dispiega da<br />

questi due contrari, che caratterizzano l’anima umana in quanto composta di identico (intelletto) e diverso (immaginazione), dei quali il primo è un intero, per <strong>la</strong><br />

partecipazione all’intero Intellegibile, e il secondo è il luogo in cui si manifestano le parti. I nessi vengono ad essere le modalità dialettiche che <strong>la</strong> ragione di necessità<br />

utilizza nel trattare dei contrari, a partire appunto dalle coppie diverso-identico, parte-intero.<br />

31<br />

Crat. 391 c-e.<br />

32<br />

Crat. 391 e. Si tratta <strong>del</strong> fiume che scorreva presso Troia.<br />

4


nomi dati dalle donne (“è chiaro che Skamaéndriov era chiamato dalle donne, se è vero che gli uomini lo chiamavano<br />

\Astuaénax.)” 33<br />

Mentre il lettore e lo studioso sono presi dal<strong>la</strong> stranezza <strong>del</strong><strong>la</strong> tesi proposta da Socrate, che attribuisce a dèi a uomini a donne i<br />

nomi <strong>del</strong>le cose, sfugge che qui P<strong>la</strong>tone ha creato una metafora linguistica re<strong>la</strong>tiva a tre piani distinti: quello <strong>del</strong>l’opinione vera (nomi<br />

dati dalle donne), quello <strong>del</strong><strong>la</strong> conoscenza (nomi dati dagli uomini), quello <strong>del</strong>le idee in se stesse (nomi dati dagli dèi). Poiché i primi<br />

due piani sono umani, mentre l’altro è divino, è sufficientemente chiaro che quest’ultimo è quello <strong>del</strong>le essenze <strong>del</strong>le cose (‘forme<br />

separate’), di cui <strong>la</strong> dialettica va in cerca.<br />

Questo triplice livello, re<strong>la</strong>tivo alle idee, al<strong>la</strong> conoscenza e all’opinione, riguarda ugualmente le idee, <strong>la</strong> dialettica e <strong>la</strong> creazione<br />

dei nomi, come si ricava da un precedente momento <strong>del</strong> dialogo tra Socrate ed Ermogene.<br />

Socrate infatti, dopo aver convenuto con Ermogene che non si può accettare il principio protagoreo <strong>del</strong>l’uomo ‘misura <strong>del</strong>le cose’,<br />

aveva respinto anche il principio di Eutidemo:<br />

Senonché, neppur seguendo Eutidemo, penso, a te sembra che per tutti tutte le cose siano allo stesso modo, insieme e sempre […]. Se quindi<br />

né per tutti tutte le cose sono allo stesso modo insieme e sempre, né per ciascuno in un suo modo partico<strong>la</strong>re ogni cosa, è chiaro che codeste<br />

cose hanno in se stesse una lor propria e stabile essenza, non dipendono da noi, né da noi sono tratte in su e in giù secondo <strong>la</strong> immaginazione<br />

nostra, bensì esistono in se stesse, senz’altro rapporto che con <strong>la</strong> loro essenza, così come sono per natura. 34<br />

Ottenuto il consenso <strong>del</strong> suo interlocutore, Socrate aveva continuato così:<br />

Ora dimmi, le cose soltanto sarebbero così per natura, e le loro azioni non allo stesso modo? o non sono anche queste una specie di enti, le<br />

azioni? ERM. Certissimamente, anche queste. SOCR. Secondo <strong>la</strong> loro propria natura, quindi, anche le azioni si fanno, non secondo <strong>la</strong> nostra<br />

opinione. Per esempio, se noi ci proponiamo di tagliare una data cosa, sarà essa da tagliare come vogliamo e con qualunque mezzo vogliamo,<br />

oppure, solo nel caso che codesta cosa ci risolviamo a tagliar<strong>la</strong> com’è naturale che uno <strong>la</strong> tagli e ch’essa sia tagliata, e con lo strumento che<br />

natura vuole, allora soltanto <strong>la</strong> taglieremo e n’avremo vantaggio e <strong>la</strong> nostra azione avrà il suo resultato giusto; e se invece andremo contro<br />

natura, sbaglieremo e <strong>la</strong> nostra azione sarà nul<strong>la</strong>? ERM. A me sembra così. 35<br />

Questo aveva permesso a Socrate di affermare che anche il dire è un’azione:<br />

Ebbene, il dire non è anch’esso un’azione? ERM. Sì. SOCR. E allora, dirà bene chi dice come a lui sembri di dover dire, o solo nel caso che<br />

egli dica nel modo e col mezzo onde natura vuole che le cose si dicano e siano dette, solo così colui riuscirà e dirà; altrimenti sbaglierà e non<br />

concluderà niente? […] Non bisogna dunque anche denominare così, nel modo e col mezzo onde natura vuole che le cose si denominino e<br />

siano denominate, e non già secondo l’arbitrio nostro, se anche questo caso ha da esser d’accordo con quelli che dicemmo prima? 36<br />

Il dire e l’attribuire nomi alle cose sono dunque azioni naturali <strong>del</strong>l’uomo, che egli stesso deve rispettare secondo <strong>la</strong> sua stessa<br />

natura. Socrate mostra quindi <strong>la</strong> funzione <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> attraverso le immagini <strong>del</strong> ‘tagliare’, <strong>del</strong> ‘tessere’, <strong>del</strong> ‘perforare’, per<br />

soffermarsi sul<strong>la</strong> ‘spo<strong>la</strong>’, costruita dal falegname, ma <strong>la</strong> cui funzionalità è giudicata soltanto da colui che <strong>la</strong> usa: il tessitore. Istituisce<br />

così un parallelo tra spo<strong>la</strong>, falegname, tessitore, da una parte, e nome, legis<strong>la</strong>tore (nomoteta), dialettico, dall’altra. Ne deriva un<br />

duplice rapporto: quello tra il nome e il legis<strong>la</strong>tore, e quello tra l’idea ‘impressa’ nel nome e il dialettico, con <strong>la</strong> precisazione che, se<br />

anche “non ogni legis<strong>la</strong>tore non adoperi le medesime sil<strong>la</strong>be di un altro, non bisogna perciò rimanere perplessi, perché neppure ogni<br />

fabbro adopera lo stesso ferro, pur facendo lo stesso strumento e per lo stesso scopo […]. E così dovrai giudicare anche <strong>del</strong><br />

legis<strong>la</strong>tore, o greco o straniero che egli sia: il quale, pur che renda l’idea <strong>del</strong> nome che conviene a ciascuna cosa, non è affatto<br />

peggiore legis<strong>la</strong>tore se di Grecia o di altro luogo qualunque.” 37<br />

Da questo punto di vista, <strong>la</strong> posizione di Ermogene è giusta: il significato di un nome è convenzionale, e ogni <strong>linguaggio</strong>, greco o<br />

straniero, è sempre espressione <strong>del</strong><strong>la</strong> decisione <strong>del</strong> legis<strong>la</strong>tore; ma questa convenzionalità riguarda il <strong>linguaggio</strong> fonetico e quello<br />

scritto, non quello più interiore che <strong>la</strong> ragione dianoetia genera, e che costituisce il ‘terreno’ intellegibile in cui si muove il dialettico,<br />

al<strong>la</strong> ricerca <strong>del</strong>l’essenza <strong>del</strong>le cose.<br />

Dimmi ora, <strong>–</strong> continua Socrate <strong>–</strong> chi è che saprà se tale idea <strong>del</strong><strong>la</strong> spo<strong>la</strong> che occorre è rimasta impressa in questo o in quel legno? chi fece <strong>la</strong><br />

spo<strong>la</strong>, il falegname, o chi ne userà, il tessitore? ERM. Pare piuttosto, o Socrate, quello che ne userà. […] E l’opera <strong>del</strong> legis<strong>la</strong>tore chi saprà<br />

meglio sorvegliar<strong>la</strong>, e giudicar<strong>la</strong>, dopo fatta, e qui e fuori di qui? non forse chi ne userà? ERM. Sì. SOCR. E non è forse quegli che sa<br />

interrogare, costui? ERM. Certo. SOCR. Ed è lo stesso che sa anche rispondere? ERM. Sì. SOCR. E quello che interroga e risponde non lo<br />

chiami dialettico? 38<br />

L’esperto <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> è per ciò il dialettico, poiché egli sa interrogare e rispondere, ‘tagliando’ (analizzando), ‘tessendo’<br />

(sintetizzando) e ‘perforando’ (cogliendo l’essenza). Il ‘tagliare’ <strong>del</strong> ‘coltello’ p<strong>la</strong>tonico, che troviamo nel Sofista, ci permette di fare<br />

alcune considerazioni sulle essenze <strong>del</strong>le cose, questi ‘nomi dati dagli dèi’. In questo dialogo vengono fatte molte ‘distinzioni’: si<br />

tratta di divisioni tanto ‘orizzontali’ quanto ‘verticali’, ossia dal punto di vista di un genere (dividere il ‘fare’ in produrre cose e<br />

produrre immagini), o di una causa (il produrre di Dio e quello <strong>del</strong>l’uomo: entrambi producono cose e immagini <strong>del</strong>le cose). 39<br />

I due esempi che abbiamo riportato non sono stati scelti casualmente da P<strong>la</strong>tone. Dio, che ‘fa’ cose ed immagini, determina quel<strong>la</strong><br />

intellegibilità che si trova poi nelle cose e nelle azioni, e che rende le une e le altre ‘naturali’, come è nel caso <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>l’azione<br />

33 Crat. 392 d. Si tratta <strong>del</strong> figlio di Ettore.<br />

34 Crat. 386 d-e.<br />

35 Crat. 386 e-387 a.<br />

36 Crat. 387 b-d.<br />

37 Crat. 389 d-e.<br />

38 Crat. 390 b-c.<br />

39 Soph. 265 b ss.<br />

5


<strong>del</strong> dire: <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> è l’immagine di quello che è l’uomo nel<strong>la</strong> sua essenza. Ma ciascuna paro<strong>la</strong> non è tutta <strong>la</strong> sua essenza, bensì una<br />

parte. L’essenza <strong>del</strong>l’uomo è un intero in cui si collocano <strong>la</strong> ‘scrittura’ <strong>del</strong>lo ‘scrittore’ e <strong>la</strong> ‘pittura’ <strong>del</strong> ‘pittore’, entrambe parti su<br />

piani diversi di quell’intero.<br />

Così, nell’ambito <strong>del</strong><strong>la</strong> tessitura, l’idea di tessitura contiene le idee di ogni parte di quello strumento necessario a tale arte che è il<br />

te<strong>la</strong>io; e <strong>la</strong> determinazione di un’idea quale è l’idea di spo<strong>la</strong> dipende da come l’uomo inventa il te<strong>la</strong>io: se esiste un te<strong>la</strong>io che funziona<br />

con <strong>la</strong> spo<strong>la</strong>, allora esiste l’idea di spo<strong>la</strong> all’interno <strong>del</strong>l’idea di te<strong>la</strong>io, così come questa esiste all’interno di quel<strong>la</strong> di tessitura. C’è<br />

infatti un rapporto tra Dio (che genera le cose) e gli dèi (che danno i ‘nomi’ alle cose) che mostra come non esistano le cose se non<br />

esistono le idee, e come non esistano le idee se non esistono le cose che le distinguono: prima <strong>del</strong>l’invenzione <strong>del</strong><strong>la</strong> tessitura, non solo<br />

non esisteva in noi l’idea di spo<strong>la</strong>, ma non esisteva neppure in se stessa, benché fosse implicita nell’idea di ‘fare’, così come <strong>la</strong> spo<strong>la</strong> è<br />

implicita in un pezzo di legno.<br />

Quando il Demiurgo nel Timeo ‘guarda’ all’Esemp<strong>la</strong>re intellegibile per generare il Cosmo, questo Mo<strong>del</strong>lo è detto unico e<br />

contenente tutti gli esseri intelligenti (gli dèi): guardando ad esso, genera i quattro elementi (fuoco, aria, acqua, terra), e dal<strong>la</strong> loro<br />

combinazione si producono altri corpi. Avendo generato ‘prima’ anche le anime umane, dal<strong>la</strong> loro unione con i quattro elementi<br />

nascono i corpi organici degli uomini, compreso il ‘capello’.<br />

Ora, nel Parmenide si pone <strong>la</strong> domanda se esistono appunto le idee (‘forme separate’) di uomo, dei quattro elementi, di capello, di<br />

fango, di sudiciume “e ogni altro che sia di natura vile e spregevole al massimo grado”. 40 Al<strong>la</strong> specifica domanda di Parmenide se<br />

crede che di queste ultime cose esistano le idee, “No, no, disse Socrate, si tratta di cose che, quali noi vediamo, tali esistono in realtà e<br />

così bisogna guardarsi dal pensare che ci sia un genere anche per esse, potrebbe essere fuori luogo. […] <strong>–</strong> È perché sei ancora<br />

giovane, disse Parmenide, o Socrate, e <strong>la</strong> filosofia non ti ha ancora preso come prevedo che ti prenderà in futuro, quando non avrai più<br />

disprezzo per nessuna di quelle cose. In questo momento, a cagione <strong>del</strong><strong>la</strong> tua età, ti preoccupi ancora <strong>del</strong>le opinioni degli uomini.” 41<br />

È chiaro dunque che esistono idee anche di cose spregevoli, ma solo perché esistono le mesco<strong>la</strong>nze di cose di cui sono composte.<br />

Così, esiste il ‘fango’ perché esistono terra e acqua, esistono corpi organici (‘capello’) perché esistono le anime e i quattro elementi, e<br />

allo stesso modo esiste anche ogni cosa “che sia di natura vile e spregevole al massimo grado” perché esistono i corpi organici e i<br />

quattro elementi. Di tutte queste cose esistono le idee, ma solo perché sono le une nelle altre, fino ad una prima, che le contiene tutte<br />

indistinte. 42<br />

Le idee sono le une nelle altre solo come possibilità intrinseca in quelle più generali, come il ‘fango’ è implicito nel<strong>la</strong> possibilità di<br />

mesco<strong>la</strong>rsi <strong>del</strong><strong>la</strong> terra e <strong>del</strong>l’acqua. Allo stesso modo, l’idea di tessitura contiene l’idea di te<strong>la</strong>io e quel<strong>la</strong> di spo<strong>la</strong>, unica per tutte le<br />

spole, com’è unica l’idea di tessitura per tutte le possibili forme di tessitura, anche per quelle che funzionano senza spo<strong>la</strong>. 43<br />

Convenuto dunque con Ermogene che ciascun ente ha un ‘nome’ per natura, ha cioè un’essenza, Socrate inizia a dialogare con<br />

Cratilo che si è introdotto nel<strong>la</strong> discussione; e poiché Socrate si mostra incerto sulle cose che è venuto dicendo, sembra che <strong>la</strong><br />

discussione debba essere ripresa dall’inizio.<br />

Ora bisogna, credo, ritornare più e più volte alle cose dette prima, e tentar di guardare, come dice il poeta, «avanti e indietro nello stesso<br />

tempo». Ed anche ora, dunque, guardiamo che cosa abbiamo detto. Di un nome, diciamo, giustezza è quel<strong>la</strong> che mostrerà quale è <strong>la</strong> cosa:<br />

vogliamo dire che così è stato detto sufficientemente? CRAT. A me sembra di sì, con certezza, o Socrate. SOCR. A scopo d’insegnamento,<br />

dunque, si dicono i nomi? CRAT. Certo. SOCR. Non diremo dunque che anche questa è arte, e che di quest’arte ci sono artefici? CRAT.<br />

Certo. SOCR. E quali? CRAT. Quelli che tu dicevi da principio, i legis<strong>la</strong>tori. SOCR. Diremo dunque che anche quest’arte si trova negli<br />

uomini, come le altre, oppure no? Voglio dire questo: pittori ce n’è pure, credo: alcuni peggiori, altri migliori? CRAT. Sì. SOCR. Dunque i<br />

migliori le loro opere, cioè le loro figure, le fanno più belle, gli altri più brutte? […] CRAT. Sì. SOCR. Allora, anche i legis<strong>la</strong>tori producono<br />

gli uni più belle le loro opere, gli altri più brutte? CRAT. No, questo non mi sembra più. 44<br />

Socrate paragona il legis<strong>la</strong>tore ad un pittore, e noi conosciamo <strong>la</strong> figura <strong>del</strong> ‘pittore’ che nell’anima dipinge ciò che lo ‘scrittore’<br />

ha scritto in precedenza. Ricordiamo inoltre <strong>la</strong> distinzione tra arte icastica e arte fantastica, 45 così che possiamo affermare che <strong>la</strong><br />

‘scrittura’ nell’anima è icastica, mentre <strong>la</strong> ‘pittura’ è fantastica, poiché <strong>la</strong> prima viene prodotta nell’intelletto, <strong>la</strong> seconda<br />

nell’immaginazione. Ora, Cratilo non accetta fino in fondo il paragone tra legis<strong>la</strong>tore e pittore, in quanto il primo, creando il nome, lo<br />

crea sempre ‘icastico’, potremmo dire, mentre il pittore può dipingere un ritratto più o meno somigliante all’originale, e cioè<br />

‘fantastico’.<br />

E allora, <strong>–</strong> continua Socrate <strong>–</strong> anche dei nomi, come pare, tu non credi ce ne siano uno dato male, l’altro bene? CRAT. Non credo. SOCR. O<br />

allora? Per il nostro Ermogene qui, come dicevamo poco fa, o dobbiamo dire che questo nome |Ermogeénhv non è il suo, se è vero che egli<br />

con <strong>la</strong> |Ermou% geénesiv non ha che fare; oppure che sì gli fu dato, ma a torto. CRAT. Io credo che non sia il suo, o Socrate, ma sembri; e<br />

piuttosto sia il nome di un altro, di cui anche è quel<strong>la</strong> tale natura [che il nome manifesta]. 46<br />

La possibilità <strong>del</strong>lo scambio di nomi potrebbe dare ragione a Cratilo: il nome |Ermogeénhv è stato dato ad Ermogene appunto per<br />

convenzione, ma <strong>la</strong> convenzione è un errore, e quel nome non gli spetta per natura. Senonché, Cratilo non si rende conto <strong>del</strong><strong>la</strong><br />

40 Parm. 130 c.<br />

41 Parm. 130-d-e.<br />

42 Gli stessi quattro elementi esistono in rapporto all’Anima <strong>del</strong> mondo, generata dal Demiurgo prima di essi, con una complessità di ‘part’ (identico, diverso,<br />

misto) da cui essi dipendono: il fuoco dall’identico, <strong>la</strong> terra dal diverso, l’aria e l’acqua dal misto.<br />

43 Per una maggiore comprensione di questo problema, v. le distinzioni che si fanno nel Sofista. È da sfatare <strong>la</strong> concezione che vede nel pensiero p<strong>la</strong>tonico un<br />

Iperuranio inteso come ‘galleria di idee’, archetipi <strong>del</strong><strong>la</strong> realtà sensibile. Le forme intellegibili, sia <strong>del</strong><strong>la</strong> realtà sensibile sia <strong>del</strong> pensiero, secondo l’‘immagine <strong>del</strong> sole’<br />

proposta nel<strong>la</strong> Politeia, sono quel<strong>la</strong> luce che proviene dal Bene, o meglio dall’Intellegibile che è in esso, e che possiede un’infinita ricchezza di intellegibili, tutti<br />

compresi in unità non distinta.<br />

44 Crat. 428 d-429 b. È da notare l’espressione <strong>del</strong> guardare «avanti e indietro nello stesso tempo», quasi un movimento di tessitura, che allude al discorso che<br />

sostiene <strong>la</strong> naturalezza <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> e a quello contrario che sostiene <strong>la</strong> sua convenzionalità: entrambi veri, e non in contradizione tra loro perché riguardanti ambiti<br />

diversi, quali sono quelli <strong>del</strong> pensiero e <strong>del</strong><strong>la</strong> voce.<br />

45 Soph. 235 b-236 d.<br />

46 Crat. 429 b-c.<br />

6


situazione in cui si è posto sostenendo <strong>la</strong> naturalezza <strong>del</strong> nome inteso foneticamente, poiché confonde <strong>la</strong> fantasticità <strong>del</strong> nome (il<br />

nome ‘spo<strong>la</strong>’) con <strong>la</strong> icasticità <strong>del</strong>l’idea (idea di spo<strong>la</strong>).<br />

E neppure <strong>–</strong> prosegue Socrate <strong>–</strong> mentisce chi dice che colui è Ermogene? Infatti, bada, non è possibile neppur questo, dire che colui è<br />

Ermogene, se non è. CRAT. Come dici? SOCR. Che non è affatto possibile dire il falso, forse questo vuol significare il tuo discorso? Ce n’è<br />

parecchi che sostengono questo, o caro Cratilo, ed ora e da tempo. CRAT. E difatti, o Socrate, se uno dice quello che dice, come può non dire<br />

quello che è? e non è questo dire il falso, dire quello che non è? SOCR. Troppo sottile codesto discorso, per me e per l’età mia, o amico. Ad<br />

ogni modo dimmi questo soltanto: forse ragionare il falso non ti sembra possibile, dire sì? CRAT. Neppure dire mi sembra. 47<br />

La posizione di Cratilo si identifica con quel<strong>la</strong> eristica di Eutidemo: non è possibile dire il falso, perché quando si dice, si dice<br />

sempre qualcosa che è, e non è possibile dire quello che non è per il semplice fatto che il non essere non esiste. 48 Ma Cratilo, che<br />

ipostatizza il significato di una cosa in un nome, non si avvede <strong>del</strong>l’ambiguità <strong>del</strong><strong>la</strong> sua posizione: ha posto un’assolutezza nel<br />

<strong>linguaggio</strong> che spetta solo all’essenza <strong>del</strong>le cose (e di conseguenza al<strong>la</strong> conoscenza), mentre non <strong>la</strong> concede alle cose,<br />

abbandonandole ad un divenire senza fondamento. Quando afferma che chi attribuisse un nome come ‘Ermogene’ ad Ermogene<br />

“metterebbe fuori suoni e niente altro”, 49 dato che ha negato che quel nome convenga a Ermogene, non comprende che potrebbe con<br />

verità dire questo se egli ascoltasse par<strong>la</strong>re uno straniero, benché sostenga che “una giustezza di nomi vi è, naturale, per i Greci per<br />

gli stranieri, <strong>la</strong> medesima per tutti”: è <strong>la</strong> convenzionalità <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> che dà luogo a lingue diverse, incomprensibili per chi non le<br />

conosce, quasi “rumori di chi agita invano se stesso, come uno agitasse un vaso di bronzo percuotendolo”, 50 ma <strong>la</strong> convenzionalità<br />

fonetica è possibile sul<strong>la</strong> base <strong>del</strong><strong>la</strong> naturalezza <strong>del</strong> dire, e il dire (discorso esteriore) è una manifestazione <strong>del</strong> pensiero (discorso<br />

interiore).<br />

È però proprio <strong>del</strong><strong>la</strong> convenzionalità <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> <strong>la</strong> possibilità <strong>del</strong><strong>la</strong> verità o falsità secondo cui un discorso può qualificarsi; e<br />

“quello che dica gli enti come sono, sarà vero; quello come non sono, falso”: 51 è possibile infatti “dire col discorso ciò che è e ciò che<br />

non è”, 52 ossia foneticamente, ma non è possibile al pensiero pensare ‘ciò che non è’.<br />

Se cose e azioni hanno una loro essenza che non dipende da convenzione, il <strong>linguaggio</strong>, in quanto azione naturale, ha anche esso<br />

una sua essenza; si tratta però, come abbiamo visto, <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> interiore <strong>del</strong><strong>la</strong> ragione, quando sia conoscenza e non semplice<br />

opinione: quando sia opera <strong>del</strong>lo ‘scrittore’ e non <strong>del</strong> ‘pittore’. Il <strong>linguaggio</strong> esteriore non è che un’imitazione <strong>la</strong>sciata al<strong>la</strong><br />

convenzionalità, e non può identificarsi con quello interiore.<br />

Socrate ora orienta Cratilo verso questa precisazione.<br />

SOCR. Orsù, allora, vediamo se c’è modo di far pace tra noi, o Cratilo; tu dirai che altro è il nome, altro ciò di cui è nome, non è vero? CRAT.<br />

Sì. SOCR. E non ammetti anche che il nome sia una imitazione <strong>del</strong><strong>la</strong> cosa? CRAT. Senz’altro. SOCR. E che anche i disegni sono, in altro<br />

modo, imitazione di certe cose? CRAT. Sì. SOCR. Dimmi, ora <strong>–</strong> perché forse io non comprendo quali cose tu dici, e può darsi che tu dica<br />

rettamente <strong>–</strong>: è possibile attribuire e riferire ambedue queste imitazioni, i disegni e codesti nomi, alle cose di cui sono imitazioni, o no?<br />

CRAT. È possibile. 53<br />

Cratilo concorda, ma resiste al<strong>la</strong> successiva domanda: in rapporto ad una pittura è possibile sbagliare nell’attribuire un ritratto ad<br />

una persona, ma quanto al nome, no; egli cioè accetta che <strong>la</strong> pittura sia sempre un’imitazione, anche se non rappresenta<br />

adeguatamente una persona, ma sostiene che non possa essere così per il nome, che, se non imita <strong>la</strong> cosa, è un semplice suono.<br />

Socrate intanto specifica che si tratta di due forme di imitazione: una offerta al<strong>la</strong> vista, l’altra all’udito, ma egli non insiste sul piano<br />

<strong>del</strong> nome e <strong>del</strong>l’udito, quanto su quello <strong>del</strong> ritratto e <strong>del</strong><strong>la</strong> vista. 54<br />

Considera se dico cosa ragionevole: potrebbero essere due cose queste, per esempio Cratilo e l’imagine di Cratilo, se un dio non solo<br />

raffigurasse il tuo colorito e <strong>la</strong> tua forma, come fanno i pittori, ma anche tutto il tuo interno facesse quale tu hai, le stesse tue morbidezze<br />

riproducesse e gli stessi calori tuoi, e moto e anima e mente vi ponesse dentro come sono in te, e, in una paro<strong>la</strong>, quali sono tutte le cose che tu<br />

hai, altrettali e altrettante ne ponesse vicino a te? Avremmo, in tal caso, Cratilo e l’imagine di Cratilo, o addirittura due Cratili? CRAT. Due<br />

Cratili, mi sembra, o Socrate. SOCR. Tu vedi dunque, o amico, che per <strong>la</strong> imagine bisogna cercare un’altra giustezza da quel<strong>la</strong> che or ora<br />

dicevamo, e non presumere necessario che se qualche cosa le manchi o ci sia in più, non sia più imagine. […] E dunque sarebbe ridicolo, o<br />

Cratilo, quello che per cagion de’ nomi capiterebbe alle cose di cui sono nomi i nomi, se tutte codeste cose sotto tutti i rapporti fossero<br />

agguagliate a essi nomi. Doppie tutte le cose diventerebbero, e nessuno potrebbe dire di nessuna di esse quale è <strong>la</strong> cosa, e quale il nome. 55<br />

47<br />

Crat. 429 c-e.<br />

48<br />

Leggiamo un brano <strong>del</strong>l’Eutidemo. “E che, Ctesippo, disse Eutidemo, ti sembra possibile mentire? <strong>–</strong> Sì, per Zeus, rispose, se non sono impazzito! <strong>–</strong> Dicendo <strong>la</strong><br />

cosa di cui si par<strong>la</strong>, o non dicendo<strong>la</strong>? <strong>–</strong> Dicendo<strong>la</strong>, affermò. <strong>–</strong> Comunque, dicendo<strong>la</strong>, non altro uno dice <strong>del</strong>le cose che sono se non quel<strong>la</strong> che dice. <strong>–</strong> E come<br />

potrebbe?, disse Ctesippo. <strong>–</strong> Quel<strong>la</strong> ch’egli dice è, senza dubbio, una <strong>del</strong>le cose che sono, separata dalle altre. <strong>–</strong> Certo! <strong>–</strong> E allora, proseguì, chi <strong>la</strong> dice esprime ciò che<br />

è? <strong>–</strong> Sì! <strong>–</strong> Ma chi esprime ciò che è, e cose che sono, dice <strong>la</strong> verità, per cui se Dionisodoro esprime cose che sono, dice <strong>la</strong> verità e non è affatto menzognero nei tuoi<br />

confronti. <strong>–</strong> Sì, disse Ctesippo, ma, caro Eutidemo, chi dice questo non dice ciò che è. Ed Eutidemo: <strong>–</strong> Ma ciò che non è, che cos’è d’altro, se non che ‘non è’? <strong>–</strong><br />

‘Non è’. <strong>–</strong> E ciò che non è, che altro è se non assoluto non essere? <strong>–</strong> Assoluto non essere! - È mai possibile allora che re<strong>la</strong>tivamente a queste cose, che non sono, si<br />

possa agire in qualche modo, sì che qualcuno, chiunque sia, possa fare quelle cose che non sono assolutamente? <strong>–</strong> Non mi sembra, rispose Ctesippo. <strong>–</strong> Ma gli oratori,<br />

quando par<strong>la</strong>no al popolo, agiscono in qualche modo? <strong>–</strong> Sì che agiscono, disse. <strong>–</strong> Ma se agiscono, anche fanno? <strong>–</strong> Sì! <strong>–</strong> Par<strong>la</strong>re è, allora, un agire e un fare? Fu<br />

d’accordo. <strong>–</strong> Ma le cose che non sono, proseguì, nessuno le dice, poiché farebbe già qualcosa (e tu hai acconsentito al fatto che ciò che non è, è impossibile che<br />

qualcuno lo faccia), onde, secondo il tuo stesso ragionamento, nessuno dice il falso: ma, allora, se Dionisodoro par<strong>la</strong>, dice <strong>la</strong> verità e cose che sono.” Eutyd. 383 e-384<br />

c. V. anche il problema <strong>del</strong> non essere nel Sofista.<br />

49<br />

Crat. 42 e.<br />

50<br />

Crat. 430 a.<br />

51<br />

Crat. 385 b.<br />

52<br />

Crat. 385 a.<br />

53<br />

Crat. 430 a-b.<br />

54<br />

P<strong>la</strong>tone avrebbe potuto svolgere <strong>la</strong> sua confutazione anche restando sul piano <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong>, spostandosi dal nome al<strong>la</strong> definizione. Infatti, benché anche <strong>la</strong><br />

definizione sia costituita di nomi e verbi che possano essere cambiati, essa tuttavia ipostatizza <strong>la</strong> verità di ciò di cui è definizione.<br />

55<br />

Crat. 432 b-d. Non può non venire in mente, con questo esempio di P<strong>la</strong>tone, quello che Cratilo sosteneva secondo Aristotele, e cioè che non ci si può immergere<br />

neppure una volta nello stesso fiume. In questo ‘superamento’ di Eraclito abbiamo <strong>la</strong> ‘nientificazione’ di un ente (il fiume) e di un’azione (l’immersione); nell’esempio<br />

7


Se l’immagine potesse divenire identica, non avremmo una spo<strong>la</strong> e l’idea di spo<strong>la</strong>, ma due idee di spo<strong>la</strong>; il che è impossibile, come<br />

è impossibile che vi siano due idee di letto, come abbiamo visto: questa è <strong>la</strong> naturalezza “per i Greci e per gli stranieri, <strong>la</strong> medesima<br />

per tutti”. Il cerchio in sé (l’idea di cerchio) esiste al di là <strong>del</strong><strong>la</strong> nostra mente, mentre noi ne possediamo una conoscenza, fatta di<br />

scienza e intellezione, <strong>del</strong>le quali <strong>la</strong> più vicina all’idea è l’intellezione: più lontane poi si pongono <strong>la</strong> scienza, l’immagine sensibile, <strong>la</strong><br />

definizione e il nome. 56 Teniamo inoltre sempre presente <strong>la</strong> distinzione burlesca <strong>del</strong>le parole create dagli dèi, dagli uomini e dalle<br />

donne: questi ultimi (nomi, definizioni, immagini) si trovano sul piano <strong>del</strong> divenire; i secondi (intellezione e scienza) e i primi (idee)<br />

si trovano sul piano <strong>del</strong>l’essere, cioè <strong>del</strong>l’intellegibile.<br />

Con quanto abbiamo detto fin qui, sarebbe superfluo prendere in considerazione <strong>la</strong> critica che Aristotele rivolge a P<strong>la</strong>tone, se non<br />

valesse <strong>la</strong> pena aggiungere qualche altra precisazione. Si sa che lo Stagirita, soprattutto nel<strong>la</strong> Metafisica, attribuisce a P<strong>la</strong>tone proprio<br />

quanto P<strong>la</strong>tone fa dire a Socrate, e cioè che “Doppie tutte le cose diventerebbero”. Aristotele si esprime in questi termini:<br />

Anzitutto costoro [i P<strong>la</strong>tonici], nel tentativo di trovare le cause degli enti sensibili, hanno messo in mezzo altri enti in numero uguale a quelli<br />

sensibili, comportandosi come chi, volendo far di conto, è <strong>del</strong> parere di non potervi riuscire quando le cose sono poche, e si mette poi a<br />

contare dopo averle accresciute di numero; infatti il numero <strong>del</strong>le idee è presso a poco uguale, o comunque non minore, rispetto a quello<br />

degli oggetti sensibili, le cui cause essi hanno ricercate inoltrandosi verso le idee, giacché, secondo loro, ad ogni essere partico<strong>la</strong>re<br />

corrisponde un qualcosa che è ad esso omonimo e che è separato dalle sostanze, e, a loro parere, per quanto concerne le altre cose <strong>–</strong> siano<br />

esse sensibili o eterne <strong>–</strong> esiste un’unità che trascende <strong>la</strong> molteplicità. 57<br />

Aristotele par<strong>la</strong> <strong>del</strong>le idee come di cause efficienti <strong>del</strong>le cose, mentre per P<strong>la</strong>tone esse sono il loro essere (ciò che di intellegibile vi<br />

è nelle cose: nel cerchio disegnato, il cerchio in sé); secondo lo Stagirita esse rappresentano un doppione <strong>del</strong>le cose (ma il cerchio<br />

disegnato è nello spazio, il cerchio in sé ne prescinde); egli afferma che le idee sono numericamente almeno quante sono le cose (ma<br />

<strong>la</strong> molteplicità dei cerchi disegnati è in rapporto all’unica idea di cerchio; e inoltre abbiamo visto che un’idea è implicita e non distinta<br />

nell’idea superiore: idea di spo<strong>la</strong> nell’idea di tessitura). Egli non comprende che quell’“unità che trascende <strong>la</strong> molteplicità” contiene in<br />

sé implicitamente le cose “sensibili o eterne”. Non è però qui possibile affrontare il problema.<br />

Socrate chiede a Cratilo che valore abbiano i nomi; e Cratilo risponde: “Insegnano, mi sembra, o Socrate; e, cosa al tutto senza<br />

restrizione questa, chi conosce i nomi conosce anche le cose. SOCR. Tu forse, o Cratilo, vuoi dire questo, che quando uno sa il nome<br />

quale è <strong>–</strong> ed esso è tale quale <strong>la</strong> cosa <strong>–</strong> colui saprà certo anche <strong>la</strong> cosa, poiché <strong>la</strong> cosa è appunto simile al nome; perché una so<strong>la</strong> e <strong>la</strong><br />

medesima è l’arte di conoscere tutte le cose simiglianti fra loro.” 58<br />

Se una stessa arte fa conoscere il significato <strong>del</strong>le parole e le cose significate, possiamo affermare che <strong>la</strong> dialettica p<strong>la</strong>tonica si<br />

identifica con una linguistica in senso forte: essa, quale vera arte <strong>del</strong><strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, contiene quelle modalità <strong>del</strong><strong>la</strong> ragione dianoetica<br />

(‘tagliare’, ‘tessere’, ‘perforare’) mediante le quali l’intero intellegibile si artico<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> molteplicità <strong>del</strong>le parti <strong>del</strong> discorso. Possiamo<br />

per ciò definire <strong>la</strong> dialettica come l’arte e <strong>la</strong> scienza dei nessi tra le parti intellegibili tra di loro e tra esse e l’intero intellegibile che<br />

‘per natura’ le comprende.<br />

Nel dialogo intanto sorge il problema <strong>del</strong>l’origine dei i nomi. La via battuta da Socrate è quel<strong>la</strong> che cerca di far risalire i nomi agli<br />

elementi di cui sono composti: “E […] potrebbero mai anche i nomi essere simili a nessuna cosa, se questi elementi di cui i nomi si<br />

compongono, non fossero, anzi tutti, in possesso di una somiglianza con quelle cose di cui i nomi sono imitazioni? E questi elementi<br />

di cui si devono comporre i nomi sono le lettere? CRAT. Sì.” 59<br />

Si riprende in questo modo l’analisi etimologica di vari termini al<strong>la</strong> ricerca di una etimologia di origine ‘fonetica’ che si conclude<br />

con <strong>la</strong> constatazione inevitabile che “<strong>la</strong> giustezza <strong>del</strong> nome è […] una convenzione, dato che hanno un senso tanto le lettere simili<br />

[foneticamente] alle cose, quanto le dissimili”. 60 Da questo punto di vista, il <strong>linguaggio</strong> è convenzionale: esso con le lettere e le sil<strong>la</strong>be<br />

non riesce ad imitare col suono le cose.<br />

In proposito, Socrate, già discutendo con Ermogene, si era espresso in questo modo:<br />

In verità, credimi, non mi pare di aver male indovinato quello che pensavo poco fa: a quegli uomini antichissimi che ponevano i nomi è<br />

capitato proprio lo stesso come al<strong>la</strong> più parte dei sapienti di oggi, i quali, per quel loro continuo girasi intorno cercando come stiano le cose,<br />

sono colti dalle vertigini; così a costoro sembra che le cose girino e si muovano in ogni senso. E danno colpa di codesta loro opinione, non<br />

già allo stato loro interno, ma alle cose stesse, reputandole di tal natura che nessuna di esse stia ferma e sia salda, ma fluiscano e si muovano<br />

tutte e siano piene di ogni movimento e generazione sempre. 61<br />

Era già l’annuncio <strong>del</strong>l’impossibilità di un rapporto <strong>del</strong> <strong>linguaggio</strong> fonetico rispetto alle cose sensibili, immerse come sono nel<br />

divenire: è <strong>la</strong> posizione <strong>del</strong> Cratilo presentato da Aristotele, per il quale il mondo <strong>del</strong> divenire non può essere denominato, ma solo<br />

additato. Ma il Cratilo di P<strong>la</strong>tone, un Cratilo ancora giovane, per un verso sostiene che ‘tutto scorre e nul<strong>la</strong> è’, come voleva il suo<br />

maestro, per un altro afferma <strong>la</strong> naturalezza dei nomi. Com’è possibile ai nomi imitare allora le cose in perenne divenire?<br />

di Socrate abbiamo <strong>la</strong> duplicazione di un ente (Cratilo). Cratilo, che re<strong>la</strong>tivizza <strong>la</strong> realtà sensibile al punto di annul<strong>la</strong>r<strong>la</strong>, nell’ambito linguistico assolutizza i ‘nomi’ fino<br />

a volerne fare dei duplicati <strong>del</strong>le cose.<br />

56<br />

Epist. VII 342 a ss.<br />

57<br />

Aristotele, Metafisica, I 9, 990b 1-8. Dagli scritti di Aristotele si ricava l’impressione che le citazioni <strong>del</strong>le opere e <strong>del</strong> pensiero di P<strong>la</strong>tone siano più frutto <strong>del</strong><br />

ricordo di possibili discussioni effettuate ai tempi <strong>del</strong> suo soggiorno nell’Accademia che di letture dirette dei dialoghi. Quello che con sicurezza possiamo dire è<br />

piuttosto: che mancano molti riferimenti diretti agli scritti p<strong>la</strong>tonici; che non sono mai citati alcuni dialoghi (fra quelli più importanti, il Parmenide e il Cratilo); che i<br />

riferimenti più importanti e più numerosi vanno agli aspetti politici (Politeia, Leggi) e fisici (Timeo). Si può affermare con una certa sicurezza che Aristotele non ha<br />

conosciuto interamente il pensiero p<strong>la</strong>tonico, e meno ancora il suo vertice: “Vedendo tutto ciò P<strong>la</strong>tone non lo amava, e gli preferiva Senocrate, Speusippo, Amic<strong>la</strong> e gli<br />

altri, degnandoli, insieme con altri atti di stima, soprattutto <strong>del</strong><strong>la</strong> partecipazione al dialogo con lui.” Aelian.: Varia Hist. III 19; in Senocrate-Ermocrate, Frammenti. fr.<br />

11, p. 170.<br />

58<br />

Crat. 435 d-e.<br />

59<br />

Crat. 434 b.<br />

60<br />

Crat. 435 a.<br />

61<br />

Crat. 411 b-c. Questo è vero anche per P<strong>la</strong>tone, ma non in senso assoluto.<br />

8


Par<strong>la</strong>ndo con Ermogene, Socrate aveva fatto le precisazioni che abbiamo ricordato: vi è un’imitazione <strong>del</strong>le cose sensibili che si<br />

attua mediante <strong>la</strong> pittura e <strong>la</strong> musica. Si tratta di aspetti propri <strong>del</strong><strong>la</strong> vista e <strong>del</strong>l’udito; ma “il colore stesso e <strong>la</strong> voce non hanno<br />

ciascuno, prima di ogni altra cosa, una loro essenza, e così tutte le altre cose che sono ritenute degne di questo predicato <strong>del</strong>l’essere?<br />

ERM. A me sembra di sì. SOCR. O allora, se uno potesse proprio questo imitare di ogni cosa, <strong>la</strong> sua essenza, con lettere o con sil<strong>la</strong>be,<br />

non significherebbe costui di ciascuna cosa che cosa è? o no? ERM. Senza dubbio.” 62<br />

Occorrerebbe dunque ‘imitare’ l’essenza <strong>del</strong>le cose, non le cose nelle loro qualità sensibili, né il loro divenire. Ma Socrate conduce<br />

Ermogene attraverso un discorso che lo disorienta: indica <strong>la</strong> composizione di ciò che è soggetto al divenire, e prende poi in<br />

considerazione proprio lo stesso divenire, cercando di individuarne una possibile imitazione ancora una volta sul piano <strong>del</strong> sensibile.<br />

Dice Socrate: “Se questo dunque è vero, io credo sia ormai da considerare, riguardo a quei nomi dei quali mi domandavi, di r|ohé<br />

(flusso) e di i\eénai (andare) e di sceésiv (il trattenere) se l’onomastico è riuscito, con le lettere e con le sil<strong>la</strong>be, a cogliere così il loro<br />

essere da imitarne l’essenza; o se invece no.” 63<br />

Socrate quindi prende in considerazione <strong>la</strong> lettera ‘r’: “Vide, infatti, chi pose i nomi, che <strong>la</strong> lingua nel pronunciare questa lettera,<br />

non sta ferma minimamente, e moltissimo vibra; per ciò sembra se ne sia servito proprio per questo scopo.” 64 Così, ironizzando, cerca<br />

di far derivare tutto il <strong>linguaggio</strong> dal<strong>la</strong> imitazione fonetica <strong>del</strong> divenire <strong>del</strong>le cose. Quindi conclude: “Anche nel rimanente sembra che<br />

il legis<strong>la</strong>tore proceda così, formando con lettere e sil<strong>la</strong>be, per ciascuno degli enti, un segno e un nome; e da questi infine, con essi<br />

stessi, componga gli altri, sempre per imitazione. Ecco, o Ermogene, che cosa mi sembra voglia essere giustezza dei nomi; salvo che<br />

il nostro Cratilo non abbia qualche cos’altro da dire.” 65<br />

In questo modo Socrate ha distratto l’attenzione di Ermocrate da sceésiv (trattenere) per volger<strong>la</strong> a r|ohé (flusso): dall’essenza<br />

<strong>del</strong>le cose al loro divenire. Ma il <strong>linguaggio</strong> esteriore non imita né il fluire in se stesso né le cose che fluiscono in quanto fluiscono, né<br />

gli aspetti intellegibili che ‘trattengono’: l’imitazione fonetica non va oltre qualche limitato caso di onomatopea. Socrate ha cercato di<br />

cogliere <strong>del</strong>le cose non l’essere (essenza), bensì il divenire, e non con il <strong>linguaggio</strong> interiore (pensiero), bensì con quello esteriore<br />

(fonetico). Ma il <strong>linguaggio</strong> esteriore è doppiamente lontano dall’essenza, in quanto può volgersi soltanto all’udito per indicare <strong>la</strong> cosa<br />

(come il ‘dito’ di Cratilo <strong>la</strong> indica al<strong>la</strong> vista), così come il pensiero, che è <strong>del</strong>lo stesso ordine intellegibile <strong>del</strong>l’essenza, ‘imita’<br />

l’essenza nell’identico <strong>del</strong>l’anima, secondo quanto abbiamo appreso dal<strong>la</strong> Lettera VII, e cioè che l’intellezione (<strong>del</strong> cerchio) è più<br />

simile (imitazione) al<strong>la</strong> cosa in sé (cerchio in sé) rispetto al<strong>la</strong> realtà sensibile (cerchio disegnato).<br />

Del resto, se il <strong>linguaggio</strong> svolge <strong>la</strong> funzione di insegnare, così che si possa apprendere l’essenza <strong>del</strong>le cose, in che modo il<br />

legis<strong>la</strong>tore dei nomi imparò l’essenza di ciascuna cosa prima di darle il nome?<br />

Quale conoscenza dunque <strong>–</strong> domanda Socrate a Cratilo <strong>–</strong> possiamo dire che costoro avessero quando posero i nomi e furono legis<strong>la</strong>tori,<br />

prima ancora che alcun nome fosse stato dato e che quelli lo conoscessero, se non è possibile imparare le cose altrimenti che dai nomi?<br />

CRAT. Io credo che <strong>la</strong> risposta più vera a questo proposito sia questa, o Socrate, che una forza maggiore <strong>del</strong>l’umana pose i primi nomi alle<br />

cose; cosicché è necessario che codesti nomi siano giusti. 66<br />

Benché non se ne renda conto, Cratilo dà <strong>la</strong> risposta giusta in rapporto all’essenza <strong>del</strong>le cose e all’intelletto umano, il quale è in<br />

grado di cogliere l’essenza tramite il <strong>linguaggio</strong> interiore, non quello fonetico. Questa “forza maggiore <strong>del</strong>l’umano” torna ad essere<br />

quel<strong>la</strong> degli ‘dèi’, non quel<strong>la</strong> degli ‘uomini’ o <strong>del</strong>le ‘donne’.<br />

E allora, se c’è discordia fra i nomi, e gli uni affermano che sono essi quelli simili al<strong>la</strong> verità, e gli altri che sono essi, con che mezzo ancora<br />

potremo decidere, o a che cosa ricorreremo? Non certo rivolgendoci ad altri nomi diversi da questi, che non è possibile; ed è chiaro che altre<br />

cose dovremo cercare al di fuori dei nomi, le quali ci mostreranno, senza i nomi, quali di codesti nomi sono veri, e ci indicheranno<br />

chiaramente <strong>la</strong> verità <strong>del</strong>le cose. CRAT. Mi pare di sì. SOCR. E dunque è possibile, o Cratilo, mi sempre, imparare gli enti senza i nomi, se le<br />

cose stanno così. 67<br />

Si è giunti al<strong>la</strong> conclusione che, se è vero che il <strong>linguaggio</strong> è lo strumento <strong>del</strong>l’insegnamento e <strong>del</strong>l’apprendimento, lo strumento<br />

cioè che fa comprendere le cose come sono, le cose tuttavia si apprendono prima e meglio da sole.<br />

Se dunque è possibile da un <strong>la</strong>to imparare le cose massimamente per mezzo dei nomi, e, dall’altro, anche per mezzo di loro stesse, quale sarà<br />

dei due l’apprendimento migliore e più chiaro? Apprendere dal<strong>la</strong> imagine e questa in se stessa, se è stata bene raffigurata, e <strong>la</strong> verità di cui è<br />

imagine, oppure apprendere dal<strong>la</strong> verità e questa in se stessa e <strong>la</strong> sua imagine, se è stata fatta convenientemente? CRAT. Dal<strong>la</strong> verità, mi<br />

sembra necessario. 68<br />

Socrate qui non par<strong>la</strong> più di cose, ma di ‘verità’, spostando ulteriormente il discorso, ed elevandolo dal piano sensibile a quello<br />

intellegibile: non si impara dalle qualità sensibili che si ‘dipingono’ nell’immaginazione, ma nel<strong>la</strong> verità che viene ‘scritta’<br />

nell’intelletto, perché l’immaginazione è originariamente vuota, mentre l’intelletto è costituzionalmente verità a se stesso: è<br />

quell’identico <strong>del</strong>l’Intellegibile divino di cui l’anima partecipa per l’intero; e in questo intero sono comprese le essenze <strong>del</strong>le cose.<br />

Viene dunque superata <strong>la</strong> terza negazione di Gorgia: da un’idea <strong>del</strong>l’intelletto <strong>la</strong> ragione dianoetica (‘scrivano’) formu<strong>la</strong> un<br />

discorso interiore che il ‘pittore’ ‘dipinge’ nell’immaginazione, e che diviene discorso esteriore nel suono <strong>del</strong><strong>la</strong> voce; chi ode riceve,<br />

attraverso l’udito, nell’immaginazione quel<strong>la</strong> ‘pittura’ <strong>del</strong> ‘pittore’ che lo ‘scrivano’ ‘scrive’ nel suo intelletto. Non l’essere-<br />

62 Crat. 423 e-424 a.<br />

63 Crat. 424 a-b. Qui intanto Socrate ha chiarito come debba essere pensato correttamente il divenire: esso è un andare che risulta da un flusso che viene trattenuto.<br />

Nel Filebo questi termini verranno sostituiti rispettivamente da corporeo, elemento infinito, elementi finiti. Phil. 26 e ss. In altri termini, il divenire <strong>del</strong>le cose corporee<br />

è dato da un’energia (elemento infinito) che viene ‘trattenuta’ secondo rapporti intellegibili (elementi finiti). Nel Teeteto ogni corpo viene presentato come un ‘moto<br />

lento’, ‘trattenuto’ al suo interno. Theaet. 156 c-e. V. anche Leg. X 894 a.<br />

64 Crat. 426 e.<br />

65 Crat. 427 c-d.<br />

66 Crat. 438 b-c.<br />

67 Crat. 438 d-e.<br />

68 Crat. 439 a-b.<br />

9


intellegibile (<strong>linguaggio</strong> interiore) passa da chi par<strong>la</strong> a chi ascolta, bensì uno strumento (<strong>linguaggio</strong> esteriore) che non imita le cose,<br />

ma le rappresenta per convenzione, creando un ponte tra l’intelletto <strong>del</strong>l’uno e l’intelletto <strong>del</strong>l’altro, i cui pi<strong>la</strong>stri sono dati dalle<br />

rispettive facoltà di creare e ricevere immagini (suoni): l’immaginazione. In altre parole, il medio (immagine) è per convenzione, ma<br />

gli estremi (essenza) sono per natura.<br />

Rendendo ancora più completo il discorso, diciamo che 1. Dio è l’Intellegibile che contiene implicitamente gli intellegibili<br />

(essenze) <strong>del</strong>le cose; 2. gli dèi rappresentano le essenze <strong>del</strong>le cose; 3. l’intelletto umano, in quanto identico <strong>del</strong>l’Intellegibile divino, è<br />

quell’intero che possiede implicitamente gli intellegibili <strong>del</strong>le cose, che <strong>la</strong> ragione dianoetica distingue, dando luogo ad un discorso<br />

interiore (‘scrittura’ <strong>del</strong>lo ‘scrivano’) che l’immaginazione riceve (‘pittura’ <strong>del</strong> ‘pittore’), trasferendolo nel<strong>la</strong> voce (discorso esteriore).<br />

Chi ascolta, ricevendo <strong>la</strong> ‘paro<strong>la</strong>’ nel<strong>la</strong> propria immaginazione, compie il percorso inverso, fino a ricevere nell’intelletto quel<br />

“discorso che è scritto con <strong>la</strong> scienza nell’anima di chi impara”.<br />

Socrate fa ancora alcune considerazioni:<br />

Considera dunque, o meraviglioso Cratilo, una domanda <strong>la</strong> quale più volte mi ripeto come in sogno. Diciamo che sono qualche cosa per se<br />

esso stesso il bello, il buono e così ognuno degli enti, oppure no? CRAT. A me pare di sì, o Socrate. SOCR. Quell’«esso stesso», dunque,<br />

consideriamo: non già se è bello un volto e qualche cosa di simile, tutte cose che sembrano fluire; bensì esso stesso, diciamo, il bello, non è<br />

sempre tale quale è? CRAT. Necessariamente. SOCR. Orbene, è possibile codesto bello chiamarlo giustamente per sé, se sempre ci scappa via<br />

di sotto, e dire anzitutto che esso è, e poi che è tale; o è necessario che al momento stesso che noi parliamo divenga sùbito altro, e ci scappi<br />

via e non sia più così? CRAT. È necessario. […SOCR. …] Nessuna conoscenza, certo, conosce ciò che conosce, se codesto non sta fermo in<br />

nessun modo. CRAT. È come dici. SOCR. Ma neppure è lecito dire che esiste conoscenza, o Cratilo, se tutte le cose mutano e nessuna sta<br />

ferma. […] Se invece il conoscente esiste sempre, e esiste anche il conosciuto, ed esistono il bello e il buono e insomma ciascuno degli enti;<br />

è evidente che questi enti di cui ora stiamo par<strong>la</strong>ndo non sono simili affatto né al<strong>la</strong> r|ohé né al<strong>la</strong> foraé. Ora, se queste cose stiano così o al<br />

modo che dicono Eraclito e gli Eraclitei e molti altri, io temo sia difficile giudicare: e credo sia anche da uomo poco assennato dedicare e<br />

dare in cura se medesimi e <strong>la</strong> propria anima ai nomi; e, fidando in essi e in coloro che li posero, ostinarsi e credere di saper qualche cosa, e se<br />

stessi e le cose condannare quasi che non ci sia nul<strong>la</strong> di sano in nul<strong>la</strong>, perché tutte le cose fluiscono come vasi di creta; e credere che, proprio<br />

come gli uomini amma<strong>la</strong>ti di catarro, così siano anche le cose, le quali da flusso e da catarro sieno prese tutte quante. 69<br />

Socrate rimprovera l’eraclitismo di Cratilo; e mentre sembra chiudere il dialogo con una conclusione aporetica, in realtà ribadisce<br />

e precisa ancora alcuni punti: 1. “il conoscente esiste da sempre” (è cioè fuori <strong>del</strong> divenire): si tratta <strong>del</strong>l’intelletto umano; 2. “esiste<br />

anche il conosciuto” (anch’esso fuori <strong>del</strong> divenire): gli intellegibili; 3. “esistono il bello e il buono e insomma ciascuno degli enti” in<br />

se stessi; 4. “è evidente che questi enti di cui ora stiamo par<strong>la</strong>ndo non sono simili affatto né al<strong>la</strong> r|ohé né al<strong>la</strong> foraé.” Si tratta <strong>del</strong> piano<br />

intellegibile, il quale fonda quello sensibile. Come le qualità sensibili <strong>del</strong>le cose derivano dal<strong>la</strong> loro essenza, così il <strong>linguaggio</strong> <strong>del</strong><strong>la</strong><br />

ragione deriva dall’intelletto; intelletto umano ed essenza <strong>del</strong>le cose, a loro volta, derivano da quel piano assoluto in cui “esistono il<br />

bello e il buono e insomma ciascuno degli enti”, che Socrate non specifica ulteriormente.<br />

Cratilo risponde come sappiamo: “Sta bene, o Socrate; ma anche tu vedi di capire questa <strong>dottrina</strong>, ormai.”<br />

69 Crat. 439 c-440 d.<br />

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