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Ricordando l'amico Mario Giorgianni - Università Degli Studi Di ...

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<strong>Ricordando</strong> l’amico <strong>Mario</strong> <strong>Giorgianni</strong><br />

Giovanni Cardamone<br />

Aderisco volentieri all’invito rivoltomi dal professore Panzarella al termine<br />

della seduta del Consiglio di Corso di Laurea del 26 ottobre ultimo scorso, per<br />

ricordare il professore <strong>Mario</strong> <strong>Giorgianni</strong>, mio amico fraterno e stimato collega,<br />

recentemente scomparso dopo una breve ma inesorabile malattia.<br />

Apprezzo molto l’iniziativa presa dal professore Panzarella che, in quella<br />

sede, ha voluto aprire la seduta ricordando sinteticamente le qualità umane e il<br />

costante impegno profuso nella didattica e nella ricerca dal Nostro, e alle cui<br />

parole han fatto seguito la commossa testimonianza della professoressa Sarro e<br />

un minuto di silenzio. Anch’io avrei voluto prendere la parola per aggiungere<br />

qualcosa di personale a quanto già era stato detto in maniera appropriata dai<br />

colleghi Sarro e Panzarella, ma ho preferito tacere perché sapevo che sarei<br />

stato inevitabilmente sopraffatto dalla commozione.<br />

Avvalendomi di alcuni ricordi personali, dirò di <strong>Mario</strong> docente e amico;<br />

spero però che qualcuno di noi vorrà farsi carico di tratteggiare in forma<br />

puntuale il suo curriculum accademico e scientifico, magari - chissà - in<br />

occasione di una auspicabile giornata di studio in suo onore.<br />

Quando la sera del 22 ottobre lo vidi per l’ultima volta a casa<br />

dell’amatissima sorella Elvira (che ad agosto dello scorso anno era venuta a<br />

mancare agli affetti familiari e ai suoi tanti amici) il suo volto era sereno; le<br />

tante rughe che lo contrassegnavano erano scomparse come per incanto, e dal<br />

colorito sembrava che avesse messo un fondo tinta bruno, simile a quello che<br />

le donne solgono darsi per apparire abbronzate e nascondere il loro pallore.<br />

<strong>Mario</strong> giaceva lì davanti a me, elegante nel suo abito scuro e con le mani<br />

giunte, cinte da una coroncina del santo Rosario. A stento riuscii a trattenere le<br />

lacrime e, racchiuso nel mio profondo dolore, mi venne spontaneo fargli una<br />

carezza. Quanta distanza ci separava ora dai tanti momenti vissuti insieme, sia<br />

in veste istituzionale, che nel privato, quando, liberata la mente dai tanti<br />

problemi quotidiani, <strong>Mario</strong> dava libero sfogo al suo sagace umorismo, spesso<br />

accompagnato da qualche aneddoto divertente, che sembrava tenesse in serbo<br />

per quei frangenti.<br />

Nei giorni antecedenti il suo decesso avevo cercato di parlargli al telefono<br />

per tirargli su il morale e dirgli qualcosa di carino, ma invano; sono sicuro però<br />

che, in quei momenti terribili, avrà percepito ugualmente che gli ero vicino e


che il mio affetto per lui era talmente grande da superare qualsiasi distanza o<br />

barriera fisica.<br />

Ho conosciuto <strong>Mario</strong> nel 1974, quando, da poco laureato, ero stato<br />

invitato dal professore Gianni Pirrone a partecipare ad una ricerca sulla Valle<br />

dell’Agro palermitano. <strong>Giorgianni</strong> faceva parte del nutrito gruppo di assistenti<br />

del professore Pirrone, composto, se non ricordo male, anche dagli architetti<br />

Anselmo, Jankovic, Marsiglia, Palazzotto e Zappulla.<br />

Non avevamo frequenti occasioni d’incontro, se non quelle interminabili<br />

riunioni, ma credo che già d’allora la nostra stima era reciproca. Ricordo che<br />

sin dalle nostre prime conversazioni, di carattere interdisciplinare, rimasi<br />

colpito dalla sua profonda conoscenza storica sulla città di Palermo, come<br />

anche sul suo tessuto politico e sociale del secondo dopoguerra.<br />

Da allora in poi le occasioni per ulteriori proficui scambi culturali e<br />

didattici non sono mancate; tra quelle desidero ricordare i due sopralluoghi da<br />

lui organizzati alcuni anni fa nella città di Ragusa al fine di mostrare agli<br />

studenti i contesti ove avrebbero dovuto formulare le loro ipotesi progettuali.<br />

Conservo tuttora un vivo ricordo di quei soggiorni nell’area Iblea (cui<br />

parteciparono anche i professori Caracciolo, Cuccia e Gangemi) perché sono<br />

stati giorni straordinariamente densi di esperienze cognitive, ma anche di<br />

incontri con alcuni Consiglieri e Tecnici di quella Città, in vista di futuri scambi<br />

culturali con la nostra Facoltà. Non posso neanche però fare a meno di<br />

ricordare che in quelle due occasioni i nostri trasferimenti in pulman, come<br />

anche i nostri banchetti, sono stati allietati per lunghi tratti dalla brillante<br />

conversazione del professore <strong>Giorgianni</strong> e che ci sono stati momenti di<br />

autentico divertimento.<br />

<strong>Giorgianni</strong>, oltre alla sua indiscutibile preparazione culturale e<br />

professionale, aveva anche delle doti umane non comuni; una capacità di<br />

sapere trasmettere il suo sapere in maniera chiara ma profonda, riusciva a<br />

cogliere dell’architettura i tratti salienti, l’armonia, i suoi rapporti reciproci con<br />

la città, le caratteristiche peculiari che la qualificavano o la bocciavano senza<br />

appello. Amava il suo lavoro, gli studenti lo capivano e lo seguivano con vivo<br />

interesse, mettendo in campo ogni risorsa disponibile per ricambiare<br />

quell’impegno appassionato, così generosamente profuso nel corso della sua<br />

lunga carriera universitaria. Già, la sua carriera, quella che lo ha deluso tanto<br />

sul piano istituzionale e concorsuale, ma che lo ha abbondantemente ripagato<br />

con la stima e l’amore degli studenti che lo hanno conosciuto, quegli stessi che<br />

numerosi erano presenti al suo funerale nella chiesa di S. Espedito e che, con<br />

gli occhi lucidi, erano venuti a dare il loro ultimo abbraccio ideale al loro<br />

maestro e precettore. Sì, precettore, perché <strong>Giorgianni</strong>, come si soleva fare un<br />

tempo presso le famiglie benestanti, si faceva carico di educare i suoi discenti,<br />

non solo alla Progettazione architettonica, ma anche alla disciplina morale e<br />

deontologica dell’Architetto. Vederlo all’opera era commovente, tanta era la


sua passione e la carica emotiva che metteva nelle sue lezioni o nel corso dei<br />

sopralluoghi che soleva fare annualmente per illustrare gli ambiti urbani del<br />

progetto.<br />

<strong>Giorgianni</strong> si è speso per l’<strong>Università</strong> senza riserve; oltre alle ore di lezione<br />

previste dal calendario accademico amava fare le revisioni delle tesi di laurea e<br />

seguire gli studenti che apprestavano gli archetipi dei loro progetti nella vecchia<br />

sede di via Maqueda, «la Casa Martorana», come soleva chiamarla, un luogo da<br />

cui non si è mai voluto distaccare, neanche dopo il definitivo trasferimento<br />

della Facoltà nella nuova sede di viale delle Scienze.<br />

Negli ultimi anni della sua carriera accademica, per via del coordinamento<br />

dei Laboratori afferenti al quarto anno del Corso di Laurea specialistica in<br />

Architettura, la nostra frequentazione è divenuta sempre più assidua e, di<br />

conseguenza, la nostra amicizia si è via via consolidata, al punto tale, da potere<br />

oggi affermare che, con lui, ho perso uno degli affetti più cari. Le lezioni, i<br />

sopralluoghi e gli esami dei nostri Laboratori (Progettazione Architettonica e<br />

Urbana e Restauro dei Monumenti) erano preziose occasioni di partecipazione<br />

collettiva e di scambi culturali reciproci. In particolere, le nostre esperienze<br />

parallele hanno avuto per oggetto la suddetta Casa Martorana, l’ambito urbano<br />

corrispondente all’antico alveo del fiume Papireto e quello corrispondente al<br />

quadrante nord-est della nostra Città (da via dei Cantieri alla borgata<br />

dell’Acquasanta).<br />

Poi, nell’a.a. 2009-2010, inesorabile, gli è arrivata la lettera di<br />

pensionamento coatto, che lo collocava forzatamente a riposo, quando invece<br />

avrebbe desiderato continuare a diffondere il suo sapere e fare dono della sua<br />

esperienza ad altre generazioni di studenti. Fu soprattutto l’intestazione di<br />

quella lettera che lo ferì maggiormente: «Al dottor architetto <strong>Mario</strong><br />

<strong>Giorgianni</strong>», una intestazione poco attenta all’evoluzione dei tempi e che,<br />

piaccia o no all’Amministrazione del nostro Ateneo, avrebbe dovuto tenere<br />

conto della norma contenuta nella legge Moratti, in base alla quale il ricercatore<br />

con affidamento, per legge, è un «professore aggregato».<br />

<strong>Mario</strong> si identificava con l’<strong>Università</strong>; col venir meno della sua funzione di<br />

docente veniva quasi a cessare anche la sua stessa ragion d’essere. Mi disse in<br />

quei giorni: «l’<strong>Università</strong> uccide». Credo di capire come si sentisse: come un<br />

limone spremuto e poi gettato via da quel sciagurato decreto Brunetta, che non<br />

gli lasciava alternative. Fu un dispiacere grande per <strong>Mario</strong>, come ha ricordato il<br />

figlio Giuseppe durante la cerimonia funebre, e credo che in quella circostanza<br />

le mie parole di sostegno e di incoraggiamento non valsero a nulla.<br />

L’ultima volta che lo vidi da vivo fu il 20 di luglio, quando ci recammo<br />

dall’Editore, che sta curando la pubblicazione del mio libro sulla Scuola di<br />

Architettura di Palermo, per fargli sottoscrivere il contratto. La sua compagnia<br />

non era casuale perché <strong>Mario</strong> di tale libro ha curato la Prefazione ed, inoltre,


mi ha sempre coadiuvato e incoraggiato nel corso della ricerca, non mancando<br />

di darmi qualche spunto o qualche consiglio prezioso.<br />

Dopo il disbrigo della pratica, ci recammo al Foro Italico per degustare una<br />

granita di gelsi in un noto bar della zona. <strong>Mario</strong> mi confessò di non sentirsi<br />

bene, di non capire che cosa gli stava succedendo. Io notai che era leggermente<br />

pallido e alquanto dimagrito, ma non seppi cogliere correttamente quei segnali<br />

e me ne rammarico perché forse si sarebbe potuto fare ancora qualcosa, ma<br />

certe volte accade che quando si vuole bene a una persona, si tengono lontani i<br />

brutti pensieri.<br />

Ringrazio <strong>Mario</strong> per le tante cose che mi ha insegnato e per le sue<br />

interminabili ma piacevoli conversazioni. Mi mancheranno di certo. Purtroppo,<br />

non potrà darmi come speravo il suo aiuto prezioso nella fase finale di<br />

impaginazione del mio libro e, soprattutto, mi dispiace che non potrà vederlo<br />

finalmente pubblicato come era nei suoi desideri.<br />

<strong>Mario</strong> era davvero una gran bella persona, un vero galantuomo e mi onoro<br />

di averlo conosciuto più e meglio di tanti altri. Serberò sempre un caro ricordo<br />

di lui e di quella colorita esclamazione con la quale soleva sottolineare<br />

l’eccezionalità o la qualità di un’architettura: «bestiale!» diceva, e, nel<br />

pronunciarla, l’accompagnava con un ampio gesto rotatorio della mano.<br />

addì, 30 ottobre 2011

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