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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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“percettività”, “questo ente nel tipo e nel modo del suo essere-percepito” 373 . La percettività non<br />

appartiene alla cosa in quanto tale, ma è un carattere dell’intenzionalità del percepire, per cui si<br />

deve <strong>di</strong>stinguere “da un lato l’ente stesso – la cosa del mondo circostante, la cosa della natura,<br />

ovvero la cosalità – e dall’altro l’ente nel modo del suo essere-inteso, del suo essere-percepito,<br />

essere-rappresentato, giu<strong>di</strong>cato, amato, o<strong>di</strong>ato, pensato nel senso più ampio. Nei primi tre casi<br />

abbiamo a che fare con l’ente in se stesso, nel quarto abbiamo a che fare con l’essere-inteso, con la<br />

percettività dell’ente” 374 .<br />

Ora, i mo<strong>di</strong> della percettività, i possibili ‘come’ dell’essere-inteso, sono molteplici. Bisogna<br />

innanzitutto <strong>di</strong>stinguere il “dato-in carne ed ossa” e “l’esser-dato-in-se-stesso”. Entrambe sono<br />

modalità originarie della datità, tuttavia, mentre il dato in se stesso è il correlato <strong>di</strong> una semplice<br />

rappresentazione – nel senso sopra descritto, come “presentificazione” – il dato in carne ed ossa<br />

intende il percepito a partire dalla sua presenza corporea effettuale. Si vede così come le due<br />

modalità del percepito sono anche due <strong>di</strong>verse modalità del suo esser-presente – vedremo come la<br />

relazione tra mo<strong>di</strong> della presenza e dell’evidenza sarà determinante nell’interpretazione<br />

heideggeriana della concezione aristotelica della verità – e tuttavia “ciò che è dato da sé non ha<br />

bisogno <strong>di</strong> essere dato in senso corporeo, ma piuttosto, viceversa, ogni essere-dato in senso<br />

373<br />

Cfr., ivi, pp. 50-51. Questa <strong>di</strong>stinzione è ripresa linearmente da <strong>Heidegger</strong> dal paragrafo 17 della IV ricerca <strong>di</strong><br />

Husserl (Il contenuto intenzionale nel senso <strong>di</strong> oggetto intenzionale): “In rapporto al contenuto intenzionale inteso come<br />

oggetto dell’atto va <strong>di</strong>stinto l’oggetto nel modo in cui viene intenzionato e l’oggetto che viene intenzionato in quanto<br />

tale”; E. HUSSERL, Ricerche Logiche, cit., II, p. 187. Nella più insistita analisi heideggeriana dell’Inten<strong>di</strong>ertsein quale<br />

terzo elemento intenzionale, ancorché non cosalmente <strong>di</strong>stinto dall’intentum, la Ripamonti ha visto lo specifico della<br />

ripetizione heideggeriana dell’intenzionalità e della <strong>di</strong>fferenza ontologica che da esso deriverebbe: “La relazione<br />

intenzionale si struttura dunque in tre elementi: l’intentio (atto), l’intentum (il contenuto, l’ente) e l’Inten<strong>di</strong>ertsein<br />

(l’esser-inteso come coglimento del presente nella sua presenza, dell’ente nel suo essere). Ma proprio qui si colloca il<br />

punto <strong>di</strong> svolta a partire dal quale <strong>Heidegger</strong> supera decisamente la sesta Ricerca Logica: il ‘terzo elemento’ capovolge<br />

la ricerca fenomenologica – e quin<strong>di</strong> ontologica – affermando che originariamente non si danno soggetto e oggetto,<br />

perché originaria è la loro ‘relazione’. Se il presente si coglie solo nella presenza e se la presenza eccede<br />

ontologicamente il presente, pur costituendone «il senso e il fondamento» – in quanto con<strong>di</strong>zione del suo essere e<br />

manifestarsi, come abbiamo visto –, allora essa si rivela come fondamento e con<strong>di</strong>zione della stessa intenzionalità, del<br />

<strong>di</strong>rigersi verso qualcosa. Una sorta <strong>di</strong> ‘presenza originaria’ ‘precede’ dunque soggetto e oggetto: l’intenzionalità come<br />

rapporto soggetto-oggetto non è originaria”; D. RIPAMONTI, Alla ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> “Sein und Zeit”: la presenza <strong>di</strong> Husserl nelle<br />

“Marburger Vorlesungen”, cit., p. 456. A proposito <strong>degli</strong> sviluppi heideggeriani nell’analsi <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>stinzione, Bernet si<br />

domanda in questo caso opportunamente: “Is it then not rather surprising that instead of concentrating on the «strictly<br />

phenomenological» determination of the intentional object, the <strong>Heidegger</strong>ian analysis deals chiefly with the «nonphenomenological»<br />

concept of the «intentum», that is, the «entity in itself»?”; R. BERNET, Husserl and <strong>Heidegger</strong> on<br />

Intentionality and Being, cit., p. 138. Anche Michael Theunissen ha visto nella <strong>di</strong>stinzione tra noema e oggetto<br />

intenzionale (nel linguaggio delle Idee) il prefigurarsi della <strong>di</strong>fferenza ontologica. Ciò ci pare una conferma<br />

dell’effettivo rimando, come si è mostrato poc’anzi, dell’intenzionalità alla ulterirore <strong>di</strong>stinzione tra intuizione sensibile<br />

e categoriale che abbiamo visto essere a sua volta, per bocca dello stesso <strong>Heidegger</strong>, il terreno sul quale la <strong>di</strong>fferenza<br />

ontologica ha potuto finalmente trovare consistenza: “In tal modo, fondamento essenziale della intenzionalità dell’atto è<br />

il <strong>di</strong>fferenziarsi tra il noema nella sua completezza e l’oggetto intenzionale. Nello stesso tempo, in tale <strong>di</strong>fferenziarsi<br />

viene ad annunziarsi qualcosa del tipo della <strong>di</strong>fferenza ontologica, e vi si palesa come <strong>di</strong>stinzione tra l’ente che si dà sul<br />

piano fenomenico [erscheinungsmäßig] e l’essere <strong>di</strong> quest’ultimo, quell’essere verso cui io devo tendere, se l’ente mi si<br />

deve dare in linea generale sul piano fenomenico[erscheinungsmäßig]”; M. THEUNISSEN, Oggetto intenzionale e<br />

<strong>di</strong>fferenza ontologica, cit., p. 265.<br />

374<br />

M. HEIDEGGER, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., p. 51.<br />

95

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