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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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una volta la chiusura idealistica della soggettività in se stessa che impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> vedere il carattere<br />

intenzionale dei suoi atti, e a suggerire così l’idea che la rappresentazione sia l’immagine <strong>di</strong><br />

un’immagine, rappresentazione <strong>di</strong> rappresentazione, fatta salva però la ‘trascendenza immanente’ –<br />

pena la riduzione all’impossibilità dell’oggettività della conoscenza – del giu<strong>di</strong>zio rispetto al valore,<br />

una contrad<strong>di</strong>zione in termini che Rickert ritiene “sia meno enigmatica della trascendenza che si<br />

trova nel rappresentare nel senso del giungere fuori presso una cosa reale” 365 : “Rickert non scorge il<br />

semplice senso del rappresentare, il fatto che proprio in esso si trovi il conoscere. A Rickert è<br />

preclusa una visione del carattere conoscitivo primario della rappresentazione proprio perché<br />

presuppone un concetto mitico del rappresentare, derivato dalla filosofia della scienza naturale, e<br />

giunge a sostenere che nel rappresentare siano rappresentate le rappresentazioni. Nel caso <strong>di</strong> una<br />

rappresentazione come semplice percezione non è rappresentata una rappresentazione, ma io vedo<br />

proprio la se<strong>di</strong>a” 366 .<br />

Ma in che senso <strong>Heidegger</strong> afferma ora che il conoscere vero e proprio consiste nella<br />

rappresentazione? Non si assume in questo modo precisamente il concetto del conoscere<br />

rappresentazionalisitico moderno? Evidentemente si presuppone qui un concetto del tutto <strong>di</strong>verso<br />

della rappresentazione, reso possibile dalla corretta interpretazione della struttura<br />

dell’intenzionalità.Ciò è possibile scorgere rivolgendo l’attenzione alle implicazioni più<br />

propriamente positive <strong>di</strong> quanto <strong>Heidegger</strong> ha fin qui delineato “solo in modo formalmente vuoto”,<br />

come egli si esprime. Previamente all’analisi <strong>di</strong> tale concetto <strong>di</strong> rappresentazione, bisogna però<br />

ancora precisare il concetto <strong>di</strong> atto: “Non qualcosa come attività, processo o una qualunque forza,<br />

ma il significato del termine atto è unicamente quello <strong>di</strong> relazione intenzionale” 367 . A rigore,<br />

quin<strong>di</strong>, l’intenzionalità non è una proprietà della coscienza, ma rimanda già sempre ad una struttura,<br />

si è detto, tra due elementi.<br />

Ebbene, se fin qui <strong>Heidegger</strong> ha preso in considerazione, in modo formalmente vuoto, appunto,<br />

solo un momento <strong>di</strong> tale relazione, quello del <strong>di</strong>rigersi-a, <strong>di</strong> seguito passa ad analizzare l’“a-cui” del<br />

<strong>di</strong>rigersi: il percepito. Innanzitutto, cioè nella “percezione naturale” <strong>di</strong> un oggetto, nella imme<strong>di</strong>ata e<br />

concreta esperienza vissuta <strong>di</strong> esso, ciò che ve<strong>di</strong>amo non sono rappresentazioni, immagini o<br />

sensazioni, ma la concreta “cosa del mondo circostante” (Umwelt<strong>di</strong>ng), una se<strong>di</strong>a ad esempio, o,<br />

meglio, questa se<strong>di</strong>a presente qui ed ora nella sua in<strong>di</strong>vidualità e con la sua “storia” 368 . Con ciò<br />

<strong>Heidegger</strong> intende nient’altro che l’esperienza mondana (Umwelterlebnis) che abbiamo visto nel<br />

precedente paragrafo a proposito dell’esempio della cattedra.<br />

365 Ivi, p. 40.<br />

366 Ivi, p. 44.<br />

367 Ivi, p. 46.<br />

368 Cfr., ivi, p. 47.<br />

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