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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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isultato, prosegue <strong>Heidegger</strong>, io ho avuto finalmente un terreno su cui poggiare: «essere» non è più<br />

un semplice concetto, non è un’astrazione pura ottenuta tramite la deduzione” 355 .<br />

Come si vede, la Seinsfrage nasceva non da ultimo dalla questione, troppo spesso trascurata o<br />

semplicemente sottovalutata dalla letteratura heideggeriana, della datità, sulla quale non a caso<br />

abbiamo insistito nel paragrafo precedente. In opposizione al neokantismo, ma in fondo sul suo<br />

stesso terreno, la scoperta husserliana dell’intuizione categoriale svincolava, come siamo andati più<br />

volte preannunciando, il concetto <strong>di</strong> dato dall’intuizione sensibile nel senso del puro dato sensoriale<br />

imme<strong>di</strong>ato e irrelato (visivo, u<strong>di</strong>tivo, tattile etc.) – in realtà raggiungibile non imme<strong>di</strong>atamente ma<br />

solo come “<strong>di</strong>stillato” della concreta esperienza vissuta dell’oggetto –, rendendo così possibile un<br />

nuovo e più ampio concetto <strong>di</strong> percezione, <strong>di</strong> oggetto (ma questo già l’oggettualità in genere <strong>di</strong><br />

Lask, non a caso ritenuto da <strong>Heidegger</strong> un ‘protofenomenologo’), nonché un nuovo statuto del<br />

categoriale stesso, in<strong>di</strong>pendente dal giu<strong>di</strong>zio.<br />

Ciò che è innanzitutto dato, è pertanto l’esperienza imme<strong>di</strong>ata dell’oggetto, ma ciò significa<br />

anche che ciò da cui il conoscere realmente inizia non sono elementi semplici, ricavabili solo per<br />

scomposizione, ma un’unità complessa che è la risultante <strong>di</strong> una pluralità <strong>di</strong> atti, “atti della sintesi”<br />

li definisce Husserl, in grado <strong>di</strong> intenzionare anche ciò che la semplice percezione sensibile non è<br />

momentaneamente in grado <strong>di</strong> offrire (gli “adombramenti percettivi”, ad esempio), o non è<br />

assolutamente in grado <strong>di</strong> offrire (il categoriale).<br />

Abbiamo così messo in gioco tutti gli elementi che si tratta ora <strong>di</strong> delucidare <strong>di</strong>ffusamente. Ciò è<br />

possibile grazie alla ormai completa pubblicazione dei corsi marburghesi <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>, in cui la<br />

tematica logico-fenomenologica (veritativa, in senso ampio) è stata, non a caso, spesso e<br />

copiosamente trattata, e che costituiscono, in alcuni casi, una prima stesura – spesso anche meno<br />

contratta – <strong>di</strong> parti <strong>di</strong> Essere e Tempo. Per quanto riguarda specificamente la ‘ripetizione’<br />

heideggeriana della fenomenologia, ci rifaremo in particolare al corso del ’25 Prolegomeni alla<br />

storia del concetto <strong>di</strong> tempo, la cui prima parte – <strong>di</strong> tutta la sua produzione sicuramente il luogo<br />

dove maggiormente <strong>Heidegger</strong> si è <strong>di</strong>ffuso ad analizzare il senso della fenomenologia secondo la<br />

sua appropriazione – è interamente de<strong>di</strong>cata a quelle che <strong>Heidegger</strong> riteneva essere, unitamente<br />

all’intuizione categoriale, le principali scoperte husserliane, e cioè il carattere intenzionale della<br />

coscienza e il senso autentico dell’apriori.<br />

Non abbiamo la pretesa, con ciò, <strong>di</strong> esaurire il complesso rapporto tra <strong>Heidegger</strong> e Husserl,<br />

nemmeno per quanto riguarda gli aspetti logico-metodologici qui più <strong>di</strong>rettamente in esame, né <strong>di</strong><br />

decidere qui circa la fondatezza delle critiche che <strong>Heidegger</strong> rivolgerà al vecchio maestro, ma, più<br />

modestamente, inten<strong>di</strong>amo soltanto provare a mettere in luce da che cosa <strong>Heidegger</strong> fosse<br />

355<br />

M. HEIDEGGER, ID., Seminare, trad. it. <strong>di</strong> A. Babolin, Padova 1986, ed. it. a cura <strong>di</strong> F. Volpi, Seminari, Milano 1992,<br />

p. 152.<br />

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