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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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legalità; gli elementi sono ultimi; gli elementi sono qualcosa in generale” 333 . Se questo è il reale<br />

processo della teorizzazione, salta evidentemente all’occhio come il qualcosa, il dato puro e<br />

semplice dal quale essa pretende cominciare imme<strong>di</strong>atamente – o anche me<strong>di</strong>atamente, secondo il<br />

metodo (preteso) analitico-descrittivo e poi ri-costruttivo <strong>di</strong> Natorp 334 , ad esempio – , non è in realtà<br />

che un <strong>di</strong>stillato dell’originaria esperienza del qualcosa in quanto “«esperibile in generale»”, la cui<br />

esperibilità dovrebbe a rigore essere possibile per ciascuno dei momenti oggettuali ricavati nel<br />

processo <strong>di</strong> astrazione appena visto, poiché “ogni esperibile in generale è un possibile qualcosa,<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dal suo genuino carattere mondano” 335 .<br />

In tal modo, inoltre, la “cosalità” del qualcosa in generale conserva solo più il carattere <strong>di</strong> puro<br />

“resto” dell’“essere reale” 336 come suo senso ultimo, per cui <strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong>stingue “il qualcosa<br />

oggettuale-formale della conoscibilità”, definito anche “pre-mondano” 337 , dal qualcosa originario<br />

nel senso dell’esperienza vissuta del mondo, il quale ultimo richiede, al fine del suo attingimento<br />

non teoretico-oggettivante – il cui processo <strong>di</strong> smembramento finirebbe col <strong>di</strong>ssolverlo –<br />

l’intuizione fenomenologica intesa come “un vedere che [non] sta <strong>di</strong> fronte a ciò che va visto, il<br />

quale poi [non] sta (figurativamente) al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> esso” 338 .<br />

Mettendo insieme concetti che rivelano quelle che sono ormai – e saranno vieppiù d’ora in avanti –<br />

le sue due principali fonti <strong>di</strong> ispirazione, cioè Husserl e Dilthey, <strong>Heidegger</strong> definisce tale intuire<br />

“intuizione ermeneutica” 339 , il cui senso e funzione non è quello dell’universalità generica (nel<br />

333<br />

Ivi, p. 115.<br />

334<br />

“Il metodo della comprensione scientifica della coscienza, del soggettivo, è il metodo genuinamente filosoficopsicologico,<br />

è la «ricostruzione». Questo metodo della soggettivazione – anche questo si può comprendere ora senza<br />

<strong>di</strong>fficoltà – non è pre-or<strong>di</strong>nato al metodo ma della oggettivazione ma post-or<strong>di</strong>nato. Già per la coscienza naturale,<br />

primitiva, sono dati innanzitutto gli oggetti, gli oggetti della conoscenza. Alla datità della conoscenza <strong>degli</strong> oggetti si<br />

affianca solo relativamente tar<strong>di</strong> la riflessione. La sfera dei fenomeni, nella quale e attraverso la quale si costituiscono<br />

gli oggetti, resta per lungo tempo nascosta al <strong>di</strong> qua <strong>di</strong> ogni considerazione <strong>di</strong>retta oggettivamente agli stessi oggetti. La<br />

considerazione – ossia la conoscenza scientifica nella sua forma autentica – procede in modo assolutamente<br />

«costruttivo». (…) A partire da questo essere-oggettivato e dai passi, dalle stazioni esibite e scomposte analiticamente,<br />

deve ora essere ottenuto per inversa deduzione il fondamento soggettivo. La psicologia filosofica non è dunque il<br />

fondamento della logica, etica, …, ma solamente la loro conclusione e il loro perfezionamento scientifico”; ivi, pp. 107-<br />

108.<br />

335<br />

Ivi, p. 117.<br />

336<br />

“Questo processo della progressiva e <strong>di</strong>struttiva contaminazione teoretica <strong>di</strong> ciò che appartiene al mondo-ambiente si<br />

può seguire molto esattamente a livello fenomenale, per es. nella serie: cattedra, cassa, <strong>di</strong> color marrone, legno, cosa.<br />

(…) La cosalità circoscrive una sfera del tutto originale che viene <strong>di</strong>stillata da ciò che è ambientale. Il «si fa-mondo» è<br />

stato in essa già soppresso. La cosa è ancora presente solo come tale, cioè è reale, esiste. La realtà non è dunque una<br />

caratterizzazione ambientale, ma è una caratterizzazione insita nell’essenza della cosalità, una caratterizzazione<br />

specificamente teoretica. Ciò che è significativo è decostruito, svincolato dalle interpretazioni fino ad arrivare a questo<br />

resto: l’essere reale. L’esperienza vissuta del mondo-ambiente è de-vitalizzata fino ad arrivare a un resto <strong>di</strong> specifica<br />

egoità come correlato della cosalità, ed è solo nell’attendere al teoretico che essa ha il suo chi, cioè è «accessibile»?!<br />

Reso accessibile fenomenologicamente!!”; Ivi, p. 94; in questo brano ci sembra tra l’altro già evidente l’incipiente<br />

<strong>di</strong>stacco dalla specifica strada trascendentale imboccata da Husserl.<br />

337<br />

Ivi, pp. 117-118.<br />

338<br />

Ivi, p. 114; abbiamo qui volto in negativo un’evidente domanda retorica <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>.<br />

339<br />

Anche il concetto <strong>di</strong> ermeneutica sarà però interpretato, rispetto al tra<strong>di</strong>zionale senso schleiermacheriano-<strong>di</strong>ltheyano<br />

(su questo cfr. H.G. GADAMER, Verità e Metodo, cit.), attraverso il lógos aristotelico riletto già fenomenologicamente<br />

come “svelamento”: “Tra gli «scritti» <strong>di</strong> Aristotele ne è stato tramandato uno con il titolo Περì çρμηνεíας . Esso tratta<br />

del λóγος nel suo ufficio fondamentale dello scoprire e del familiarizzarsi con l’essente. (…) La funzione del <strong>di</strong>scorso<br />

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