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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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– come si <strong>di</strong>ce – un nesso fondazionale, come se io vedessi prima delle superfici scure che si<br />

stagliano, e che mi si offrono successivamente come cassa, poi come scrivania, infine come cattedra<br />

accademica, in modo da in collare tutto ciò che è cattedratico alla cassa come se fosse un’etichetta.<br />

(…) Io vedo la cattedra per così <strong>di</strong>re in un colpo; e non la vedo solamente in modo isolato, ma vedo<br />

la scrivania come troppo alta per me. Vi vedo un libro sopra, come qualcosa che mi <strong>di</strong>sturba subito<br />

(un libro e non un insieme stratificato <strong>di</strong> pagine coperte <strong>di</strong> macchioline nere), vedo la cattedra con<br />

un certo orientamento, con una certa illuminazione, su uno sfondo. (…) Ma pensiamo ad un nero<br />

del Senegal trapiantato imme<strong>di</strong>atamente qui dalla sua capanna. Cosa veda fissando questo oggetto<br />

<strong>di</strong>venta <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>rlo nei particolari, forse qualcosa che ha a che vedere con la magia oppure<br />

qualcosa <strong>di</strong>etro la quale ci si possa riparare dalle frecce e dalle fionde, oppure, ciò che è forse la<br />

cosa più probabile, egli non saprebbe da dove iniziare, dunque vedrebbe un semplice complesso <strong>di</strong><br />

colori o <strong>di</strong> superfici, una semplice cosa, un qualcosa che in modo assoluto c’è? Così il mio vedere e<br />

quello del nero del Senegal sono fondamentalmente <strong>di</strong>fferenti. Essi hanno in comune solamente il<br />

fatto che in entrambi i casi viene visto qualcosa. (…) C’è però la possibilità, da rendere evidente,<br />

che l’ipotesi del nero del Senegal privo <strong>di</strong> cultura scientifica (ma non <strong>di</strong> cultura) trasportato qui<br />

imme<strong>di</strong>atamente per vedere la cattedra come un semplice qualcosa che è là sia un controsenso, una<br />

contrad<strong>di</strong>zione, che sia dunque impossibile in seno logico-formale. Piuttosto il nero vedrebbe la<br />

cattedra come qualcosa «con cui non saprebbe da dove cominciare»” 331 .<br />

Anche nell’esperienza della pura e semplice estraneità a qualcosa, ciò che percepiamo<br />

innanzitutto è dunque un ‘esser fuori posto’ che suggerisce il nostro essere già da sempre consegnati<br />

ad un mondo – ad una “significatività” – perso il rapporto col quale non sappiamo appunto da dove<br />

cominciare. Ora, il proce<strong>di</strong>mento analitico-regressivo, proprio del teoretico, operando una<br />

scomposizione dell’intero della concreta esperienza vissuta del mondo, costituisce appunto una<br />

“devitalizzazione” (Entlebung) dell’esperienza, sulla base della quale solo può darsi l’ideale <strong>di</strong> una<br />

scienza priva <strong>di</strong> presupposti, ‘oggettiva’ appunto, nel senso che “l’essere oggetto, l’essere cosa<br />

come tale non mi tocca. L’io che constata non sono più io stesso. L’esperienza del constatare è<br />

solamente un ru<strong>di</strong>mento dell’esperienza vissuta” 332 .<br />

Esso, per tornare all’esempio della cattedra, procede in questo modo: “La cattedra è marrone; il<br />

marrone è un colore; il colore è un genuino dato sensoriale; il dato sensoriale è il risultato <strong>di</strong><br />

processi fisici o fisiologici; i processi fisici sono la causa prima; questa causa, l’oggettivo, è un<br />

determinato numero <strong>di</strong> oscillazioni dell’etere; i nuclei dell’etere si scompongono in elementi<br />

semplici consistenti in leggi semplici; tra <strong>di</strong> essi in quanto elementi semplici sussistono semplici<br />

331 Ivi, pp. 78-79.<br />

332 Ivi, p. 80.<br />

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