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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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del “qualcosa in generale”, come già si esprime <strong>Heidegger</strong>, e che pure implicherà la <strong>di</strong>stinzione del<br />

modo d’essere del peculiare ente che ‘esperisce vivendo’ da quello dell’ente intramondano ridotto<br />

solo più a realtà-presenza: “Stiamo al crocevia metodologico che decide in generale sulla vita e la<br />

morte della filosofia, stiamo sull’orlo <strong>di</strong> un abisso: o si precipita nel nulla, cioè nella assoluta<br />

fattualità, o riesce il salto in un altro mondo, o, più esattamente: nel mondo. (…) Restiamo dunque<br />

attaccati al senso dell’esperienza vissuta come tale e teniamo fermo ciò che c’è. C’è anche che essa<br />

– isolata in se stessa (…) – non può essere compresa definitivamente; è il suo senso proprio il non<br />

spiegarsi attraverso se stessa. In questa esperienza vissuta viene domandato qualcosa in relazione a<br />

qualcosa in genere. Il domandare ha un contenuto determinato: la domanda è se «c’è» un qualcosa.<br />

È l’«esserci» che è in questione, o più esattamente: è nel questionare. Non si domanda se qualcosa<br />

si muove, se qualcosa è in quiete, se qualcosa si contrad<strong>di</strong>ce, se qualcosa agisce, se qualcosa esiste,<br />

se qualcosa vale, se qualcosa deve essere, ma se c’è qualcosa. Cosa significa: «c’è»?” 328 .<br />

Ciò che in principio “c’è” non ha dunque il carattere del dato, che in quanto percezione sensibile<br />

(anch’essa un ché <strong>di</strong> astratto), lungi dall’essere ciò con cui davvero l’esperire innanzitutto comincia,<br />

un imme<strong>di</strong>ato appunto, è ricavato in realtà per astrazione, secondo il proce<strong>di</strong>mento tipico del<br />

conoscere teoretico, dalla concreta esperienza vissuta del mondo come “ambito <strong>di</strong> manifestatività”<br />

dell’ente in generale e <strong>di</strong> ciascun ente particolare, per usare un linguaggio dell’<strong>Heidegger</strong> più<br />

maturo.<br />

È nel “«si fa-mondo [es weltet]»” 329 , o mondeggiare, che l’esperienza vissuta imme<strong>di</strong>atamente<br />

vive e vivendo esperisce sé e il mondo stesso, senza alcuna possibilità <strong>di</strong> risalire “oltre la sua<br />

ombra” e fare <strong>di</strong> se stessa il proprio oggetto; l’esperienza vissuta – chiarisce <strong>Heidegger</strong> con il<br />

rimando all’etimo della parola tedesca Ereignis da er-eignen, al quale rimarrà d’ora in poi fedele –<br />

“non mi sta davanti come una cosa che io ad<strong>di</strong>to, come un oggetto, ma io stesso me ne approprio ed<br />

essa è l’evento che, secondo la sua essenza, si fa appropriare [Sondern ich selbst er-eigne es mir,<br />

und es er-eignet sich seinem Wesen nach]” 330 . A tal proposito, vale forse la pena riportare<br />

<strong>di</strong>ffusamente la celebre descrizione fenomenologica heideggeriana dell’esperienza della cattedra,<br />

che tanto scalpore suscitò tra i suoi u<strong>di</strong>tori: “(…) entrando nell’aula vedo la cattedra. Rinunciamo a<br />

formulare linguisticamente l’esperienza. Cosa vedo «io»? Superfici scure che si stagliano ad angolo<br />

retto? No, vedo qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso: una cassa, e cioè una più grande con una più piccola costruitavi<br />

sopra? In nessun modo: io vedo la cattedra dalla quale devo parlare, voi vedete la cattedra dalla<br />

quale vi viene parlato, dalla quale io ho già parlato. Nella pura esperienza vissuta non c’è nemmeno<br />

328<br />

Ivi, pp. 71 sgg.<br />

329<br />

Ivi, p. 79.<br />

330<br />

Ivi, pp. 81-82; e ancora poco oltre, delineando già chiaramente il senso “estatico” dell’“essere-nel-mondo”: “Evento<br />

[Er-eignis] non significa nemmeno che ci si appropria dell’esperienza vissuta da fuori o da qualche altra parte; «fuori» e<br />

«dentro» hanno qui così poco senso come «fisico» e «psichico». Le esperienze vissute sono eventi, in quanto esse<br />

vivono <strong>di</strong> ciò che è proprio ed è solo così che vive la vita”; ivi, p. 82.<br />

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