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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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lasciare insod<strong>di</strong>sfatto solamente colui il quale non si può liberare della vecchia concezione del<br />

conoscere nel senso del rappresentare” 314 .<br />

Rickert avrebbe così in<strong>di</strong>rettamente scoperto, senza averne quin<strong>di</strong> coscienza, a causa della<br />

mancanza “<strong>di</strong> una chiara visione del problema metodologico dell’indagine sull’esperienza<br />

vissuta” 315 , la relazione intenzionale che la coscienza intrattiene con il suo oggetto, cioè a <strong>di</strong>re “che<br />

ogni atto <strong>di</strong> riconoscimento è in qualche modo motivato, (…) sta in un contesto motivazionale” 316 .<br />

Che il principio del metodo sia il fatto della rappresentazione dal quale parte la via psicologica,<br />

oppure il fatto del sussistere <strong>di</strong> un valore in<strong>di</strong>pendente dalla coscienza – ciò che Rickert è poi<br />

costretto a ricomprendere come senso, senza analizzare tuttavia la struttura <strong>degli</strong> atti che lo<br />

intenzionano – contenuto nel giu<strong>di</strong>zio in quanto valutazione, il limite <strong>di</strong> questa impostazione, che<br />

rende poi le due vie in<strong>di</strong>stinguibili, è precisamente quello <strong>di</strong> non porre il problema della ‘datità’ in<br />

generale, cioè la pretesa <strong>di</strong> partire e <strong>di</strong> aver a che fare esclusivamente con fatti laddove, al contrario,<br />

tutta l’analisi è viziata da un proce<strong>di</strong>mento ‘criptocostruttivo’ tipicamente teoretico: “(…) Rickert<br />

ammette che «gli atti, in quanto atti psichici, sono altrettanto poco veri quanto un complesso <strong>di</strong><br />

parole è una proposizione. Vero in senso autentico è solamente ciò che viene ritenuto o compreso<br />

come vero», il contenuto del giu<strong>di</strong>zio. Dunque nell’esperienza del giu<strong>di</strong>care ci sono evidentemente<br />

anche altri atti che sono essenziali! (…) Ma da un essere psichico non posso tirare fuori nulla,<br />

proprio per questo era fallita la via soggettiva. Io non posso nemmeno <strong>di</strong>re che un atto sia un<br />

riconoscimento se non ho già collocato all’interno dell’essere psichico questo particolare senso<br />

della prestazione sulla base del fine per cui si fa qualcosa. (…) [Rickert] non può e non vuole<br />

effettuare un’interpretazione <strong>di</strong> senso. (…) Improvvisamente si fa uscire fuori qualcosa – e non si<br />

capisce perché la cosa non doveva essere già possibile sulla via soggettiva. (…) La via soggettiva,<br />

la sua superiorità <strong>di</strong> principio, si basa su una pura finzione, dalla quale infine viene costruita una<br />

via gnoseologica per non dover ammettere ciò che infine si fa. Le due vie sono delle pure<br />

costruzioni” 317 .<br />

Tale impianto concettuale finisce dunque col <strong>di</strong>sconoscere il problema del senso e della sua<br />

trascendenza, e con esso quello della verità, problema che, se inteso in maniera originaria, reca<br />

sempre con sé una valenza ontologica 318 (il cui senso <strong>di</strong> dovrà chiarire), ciò che il criticismo<br />

neokantiano, impostatosi come pura gnoseologia – per giunta su basi psicologiche – non è in grado<br />

<strong>di</strong> rilevare e tematizzare. La frattura tra essere e valore – e dunque tra essere e verità – apertasi, si<br />

314<br />

Ivi, p. 189.<br />

315<br />

Ivi, p. 192.<br />

316<br />

Ivi, p. 191.<br />

317<br />

Ivi, pp. 195-196.<br />

318<br />

“La logica [per i neokantiani] non ha mai a che fare con un essere ma solamente con strutture o formazioni <strong>di</strong> valore.<br />

In questo modo appare poi l’opposizione contro la concezione della logica come scienza dell’essere, così come veniva<br />

intesa da Bolzano e dal più originale e profondo continuatore delle idee <strong>di</strong> Bolzano, Husserl”; ivi, p. 193.<br />

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