"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...
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dubbio” 310 . Rickert era infatti ripartito dalla medesima <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> Windelband tra<br />
rappresentazione e giu<strong>di</strong>zio, essendosi trovato <strong>di</strong> fronte al rischio solipsistico del principio <strong>di</strong><br />
immanenza, per il quale “«L’essere <strong>di</strong> ogni realtà deve essere considerato come un essere nella<br />
coscienza»” 311 .<br />
Se infatti l’essere viene ridotto a contenuto <strong>di</strong> coscienza in quanto rappresentazione, non è più<br />
possibile il darsi <strong>di</strong> alcun oggetto cui essa debba corrispondere, e quand’anche vi fosse,<br />
scomparirebbe in tal modo il soggetto stesso, in quanto il rapporto tra l’oggetto e la<br />
rappresentazione è in fondo, a sua volta, un rapporto tra oggetti, per cui si porrebbe il problema<br />
circa chi o che cosa possa ancora porre e constatare la relazione stessa in cui consiste la conoscenza.<br />
La soluzione al problema, preparata da Windelband, era stata per Rickert quella <strong>di</strong> pensare che nel<br />
giu<strong>di</strong>zio, in cui consiste il conoscere vero e proprio, la coscienza si rapporta in maniera ‘valutante’ –<br />
affermando o rifiutando, sulla base, in ultima analisi, <strong>di</strong> un sentimento <strong>di</strong> piacere o <strong>di</strong> <strong>di</strong>spiacere –<br />
ad un qualcosa ad essa trascendente, e cioè ad un valore 312 .<br />
La certezza o evidenza non sarebbe altro che questo sentimento <strong>di</strong> piacere “«nel quale giunge<br />
alla calma l’impulso a conoscere»” 313 . È così evidente che Rickert è costretto ancora una volta a<br />
rimandare ad un fenomeno psichico – il sentimento <strong>di</strong> piacere nel riconoscere – sul cui piano si<br />
ripropone specularmente la medesima <strong>di</strong>fficoltà emersa circa il rapporto tra la rappresentazione e<br />
l’oggetto quale puro fatto immanente, girando a vuoto in un circolo, ancora tutto interno alla<br />
coscienza, in cui le due vie si rimandano senza chiarificarsi realmente l’una con l’altra: “La verità<br />
del giu<strong>di</strong>zio può essere definita solamente con l’ausilio <strong>di</strong> un valore «che deve essere riconosciuto<br />
dal giu<strong>di</strong>zio». Il valore dei giu<strong>di</strong>zi non è derivato; non compete loro perché essi sono veri, ma essi<br />
sono veri nella misura in cui in essi viene riconosciuto un valore. Ciò vale per ogni giu<strong>di</strong>zio. Anche<br />
per le proposizioni esistenziali. Esse non sono vere perché concordano con la realtà, perché <strong>di</strong>cono<br />
ciò che è reale, ma reale è ciò che deve essere riconosciuto dal giu<strong>di</strong>care. Il reale <strong>di</strong>venta una specie<br />
del vero. Il giu<strong>di</strong>zio vero è ciò che deve essere effettuato. E perché deve essere effettuato il<br />
giu<strong>di</strong>zio? Perché è vero. Rickert vuole proprio constatare la presenza <strong>di</strong> questo circolo. Ciò può<br />
310<br />
Ivi, p. 183.<br />
311<br />
H. RICKERT, Gegenstand, I, cit., p. 40, cit in M. HEIDEGGER, Per la determinazione della filosofia, cit., p. 184.<br />
312<br />
Significativa, su questo punto, la presa <strong>di</strong> posizione <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong> a favore <strong>di</strong> Brentano – già sostenitore,<br />
<strong>di</strong>sconosciuto dallo stesso neokantismo, della <strong>di</strong>stinzione tra rappresentazione e giu<strong>di</strong>zio – e contro Rickert in virtù della<br />
fondamentale scoperta del carattere intenzionale della coscienza: “Rickert <strong>di</strong>sconosce espressamente l’opinione <strong>di</strong><br />
Brentano secondo la quale il giu<strong>di</strong>care, dato che in esso si rinviene un elemento non rappresentativo (affermare o<br />
negare), sarebbe un’altra forma della relazione della coscienza con un oggetto: «Questa asserzione sarebbe per noi<br />
troppo ricca <strong>di</strong> presupposti». Rickert vi vede già una teoria non <strong>di</strong>mostrata dello psichico. (…) Cos’è che ha maggiori<br />
presupposti e più teoria: il <strong>di</strong>re che io partecipo a un contenuto della coscienza e non lo considero solamente senza<br />
parteciparvi, oppure quando si <strong>di</strong>ce con Brentano che il giu<strong>di</strong>care e il rappresentare sono forme <strong>di</strong>verse della relazione<br />
della coscienza con l’oggetto? Rickert vuole tenersi lontano da queste teorie, egli vuole «constatare solamente un<br />
fatto»”; Ivi, p. 187.<br />
313<br />
H. RICKERT, Gegenstand, II, cit., pp. 60, cit in M. HEIDEGGER, Per la determinazione della filosofia, cit., p. 188.<br />
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