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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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Scoto <strong>di</strong>stingue quin<strong>di</strong> tra il modus significan<strong>di</strong> activus, cioè l’atto conferente significato, e il modus<br />

significan<strong>di</strong> passivus, il correlato oggettivo dell’atto, il significato vero e proprio, “ciò che Lotze<br />

designa ‘impressione’, la datità imme<strong>di</strong>ata, in quanto essa è colta alla maniera <strong>di</strong> un significato, cioè<br />

è formata” 254 , aggiunge <strong>Heidegger</strong>. Nel linguaggio delle Ideen, che <strong>Heidegger</strong> cita qui<br />

esplicitamente, i due mo<strong>di</strong> corrispondono rispettivamente alla noesis e al noema. Ora, in base a che<br />

cosa si <strong>di</strong>stinguono i significati dando luogo alle molteplici forme categoriali se “gli atti sono<br />

determinati da qualche parte, sono definiti da qualche cosa che non è forma” 255 ?<br />

Risulterà ormai chiaro che il principio della <strong>di</strong>fferenziazione è da rinvenire in ultima analisi nel<br />

materiale cui <strong>di</strong> volta in volta le forme sono correlate, e ciò significa che “ad ogni modus<br />

significan<strong>di</strong> corrisponde un determinato modus essen<strong>di</strong>” 256 , anche nel caso in cui quest’ultimo sia<br />

costituito da privazioni o da figmenta, poiché, come si è visto in precedenza, nell’ambito<br />

generalissimo dell’ens deve essere incluso anche l’ens secundum animam, il cui modo d’essere<br />

coincide con l’essere inteso (modus intelligen<strong>di</strong>); anzi, è proprio questo il caso in cui le forme<br />

categoriali tra<strong>di</strong>zionali si mostrano insufficienti e si rivela la necessità <strong>di</strong> un ambito categoriale <strong>di</strong><br />

‘secondo livello’, secondo l’istanza laskiana 257 .<br />

Anche il modus intelligen<strong>di</strong>, come il modus significan<strong>di</strong>, può essere <strong>di</strong>stinto in activus e<br />

passivus; il primo “compie l’oggettualizzazione in conformità della coscienza” 258 e rientra pertanto<br />

nella regione della “coscienza conoscente”, mentre il secondo coincide con il modus essen<strong>di</strong> “in<br />

quanto è oggettualizzato in conformità alla coscienza” 259 ed appartiene alla regione delle<br />

“espressioni”; ciò significa che il modus essen<strong>di</strong> è il principio della <strong>di</strong>fferenziazione della forma<br />

solo in quanto dato oggettualmente alla coscienza. Si ha così “un peculiare intrico, un rimando<br />

reciproco [non solo] tra i mo<strong>di</strong> essen<strong>di</strong> e significan<strong>di</strong>” 260 , ma anche tra questi e il modus<br />

intelligen<strong>di</strong>. Nello specifico, “i mo<strong>di</strong> essen<strong>di</strong>, intelligen<strong>di</strong> passivi e significan<strong>di</strong> passivi, considerati<br />

puramente secondo il loro quod contenutistico, il loro nucleo noematico, sono (materialiter et<br />

o “involvement” (cfr. S.G. CROWELL, Lask, <strong>Heidegger</strong> and the Homelessness of Logic, cit., p. 228). Inoltre, ci sembra<br />

importante ricordare che <strong>Heidegger</strong> manterrà tale termine in Essere e Tempo per in<strong>di</strong>care ciò in cui un determinato<br />

utilizzabile trova ‘appagamento’, la sua “appagatività”, come traduce Pietro Chio<strong>di</strong>. Può forse essere d’aiuto riportare<br />

qui, anche per una comprensione dell’uso <strong>di</strong> tale termine nello Habilitationsschrift, la giustificazione, da parte dello<br />

stesso Chio<strong>di</strong>, della sua scelta interpretativa: “Siamo ai limiti dell’intraducibile. Bewandtnis significa in tedesco lo stato<br />

in cui una cosa si trova rispetto a ciò nei cui confronti questa cosa è la cosa che è. In primo luogo, dunque, affermare<br />

che l’utilizzabile è caratterizzato dalla Bewandtnis significa <strong>di</strong>re che l’utilizzabile intramondano ha il suo essere vero e<br />

proprio in un «rimando» a qualcos’altro presso cui questo essere è l’essere che è, si «appaga»”; in M. HEIDEGGER,<br />

Essere e Tempo, cit., p. 542.<br />

254<br />

Ivi, p. 144.<br />

255<br />

Ibid.<br />

256<br />

Ivi, p. 145.<br />

257<br />

“Per quegli ambiti – aggiunge <strong>Heidegger</strong>, mostrando in fondo <strong>di</strong> scontrarsi già qui con la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> esprimere con<br />

uno strumentario categoriale ‘classico’ (poi metafisico) la <strong>di</strong>fferenza ontologica, ancora non posta come tale – spesso ci<br />

manca il ‘linguaggio’”; Ivi, p. 148.<br />

258<br />

Ivi, p. 149.<br />

259<br />

Ivi, p. 150.<br />

260<br />

Ivi, pp. 150, 152.<br />

60

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