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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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può farlo solo in virtù <strong>di</strong> una “determinazione arbitraria”, come nel caso dei “cenni dei monaci” 250 .<br />

E ancora, il segno può portare necessariamente con sé ciò che in<strong>di</strong>ca o ad<strong>di</strong>rittura esserne la causa<br />

efficiente, come nel caso del lampo per il tuono, o essere <strong>di</strong>stinto in base alla relazione temporale<br />

del rimando, verso il passato o verso il futuro.<br />

Qual è dunque lo specifico carattere <strong>di</strong> segno della parola la quale, in quanto scritta o parlata, è<br />

un “segno sensibile” (Vox repraesentatur sensui) che <strong>di</strong> per sé, come si è visto, non possiede<br />

carattere intenzionale? Perché si <strong>di</strong>a una relazione c’è pertanto bisogno, spiega <strong>Heidegger</strong>, de<br />

“l’«atto conferente significato». Me<strong>di</strong>ante esso, viene comunicato alla parola qualcosa (intellectus<br />

rationem voci tribuit), in tal modo esso <strong>di</strong>venta espressione (<strong>di</strong>ctio). Le espressioni sono quin<strong>di</strong><br />

unità tra segno e quanto da esso è significato, unità <strong>di</strong> specie del tutto peculiare. Il cielo grigio,<br />

greve <strong>di</strong> nubi, annuncia la pioggia, noi siamo soliti anche <strong>di</strong>re che esso ‘significa’ pioggia. Ma il<br />

cielo come tale non ha alcun significato come, per esempio, l’ha l’espressione ‘cielo’. Le<br />

espressioni sono «segni significativi» (Husserl) in contrasto con i «segni in<strong>di</strong>cativi»” 251 . E tuttavia<br />

l’atto conferente significato nulla può determinare quanto all’esistenza <strong>di</strong> ciò che intende al <strong>di</strong> fuori<br />

del suo ‘che cosa’ (quid), poiché l’esistenza non riguarda già più il significato bensì il giu<strong>di</strong>zio, il<br />

quale solo può realizzare quella relazione in cui consiste ogni pre<strong>di</strong>cazione, a <strong>di</strong>fferenza del<br />

significato in cui si dà un puro rappresentare ‘sovraopposizionale’, come si è visto parlando della<br />

simplex apprehensio.<br />

Con parole ancora <strong>di</strong> sapore laskiano <strong>Heidegger</strong> afferma infatti: “Nel carattere d’atto del<br />

conferimento <strong>di</strong> un significato manca lo specifico senso operativo o funzionale proprio della presa<br />

<strong>di</strong> posizione” 252 , che deve essere invece realizzato, evidentemente, sul piano del senso attraverso il<br />

giu<strong>di</strong>zio. Chiarito dunque che l’analisi del linguaggio non deve porsi sul piano storico-genetico, né<br />

su quello psicologico, ma deve mirare piuttosto a determinarlo nella sua funzione espressiva,<br />

veniamo ora all’analisi dell’ambito del significato nella scolastica. Scoto riconosce innanzitutto il<br />

carattere intenzionale dei contenuti significativi, che definisce infatti intentiones inductae per<br />

animam e che analizza in relazione al rispettivo modus significan<strong>di</strong>. Rispetto a tali atti, <strong>Heidegger</strong><br />

sostiene, prendendo a prestito ancora un importante termine della Logik <strong>di</strong> Lask, che “il significato,<br />

<strong>di</strong>ventando oggettuale in virtù dell’atto, è già anche significato rivestito <strong>di</strong> una forma. Nel modus<br />

significan<strong>di</strong> sta una determinata con<strong>di</strong>zione (Bewandtnis) che si presenta rispetto al significato” 253 .<br />

250<br />

Cfr. ivi, pp. 122-123.<br />

251<br />

Ivi, p. 125. Al tema “Espressione e Significato” era de<strong>di</strong>cato l’intero capitolo I della prima Ricerca <strong>di</strong> Husserl.<br />

252<br />

Ivi, p. 127.<br />

253<br />

Ivi, p. 142. Il termine Bewandtnis, impiegato da Lask per significare il rapporto <strong>di</strong> coimplicazione <strong>di</strong> materia e forma<br />

in<strong>di</strong>pendente dall’azione soggettiva, viene qui reso in maniera riteniamo oscura con “con<strong>di</strong>zione” o “situazione” (ivi, p.<br />

50). Il termine è <strong>di</strong> fatto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile traduzione per cui, più che azzardare un tentativo, riman<strong>di</strong>amo alle traduzioni<br />

inglesi, che ci sembrano se non altro rendere meglio il concetto, <strong>di</strong> Kisiel come “relevance” o “bearing” (cfr. T. KISIEL,<br />

Why Students of <strong>Heidegger</strong> Will Have to Read Emil Lask, cit., p. 199), o meglio ancora <strong>di</strong> Crowell come “engagement”<br />

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