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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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prepotentemente in gioco, rendendo problematica la bipartizione laskiana tra aletheiologia (oggetto,<br />

verità, materia-forma) e gnoseologia (conoscenza, giu<strong>di</strong>zio, soggetto-oggetto), ma senza riprendere,<br />

d’altra parte, la soluzione rickertiana al problema, ritenuto invece legittimo, del rapporto tra<br />

momento soggettivo e oggettivo. “La forma invero – sostiene infatti <strong>Heidegger</strong> citando Lask – è il<br />

fattore conferente determinatezza. Determinabilità è ‘poter affici’ (Betreffbarkeit) (Lask) dalla<br />

forma. Determinatezza è ‘affectum esse’ (Betroffenheit) dalla forma. A questo modo, alcunché<br />

sopravviene all’oggetto in ragione della conoscenza. (…) L’oggetto, passato dalla determinabilità<br />

alla determinatezza, sta in tal modo esso stesso nella conoscenza. L’oggetto ora è nel soggetto<br />

conoscente, come il conosciuto in colui che conosce. La X della equivalenza conoscitiva è risolta,<br />

l’oggetto è entrato nella conoscenza. (…) ogni oggetto ha possibilità <strong>di</strong> relazione con la conoscenza,<br />

in cui unicamente si può parlare in senso proprio <strong>di</strong> verità. Ogni oggetto è un oggetto e come tale<br />

riferito alla conoscenza ” 229 . Ci sembra <strong>di</strong> qui evidente lo slittamento rispetto a Lask, per il quale la<br />

verità, in senso primario, concerne il momento dell’oggetto con la sua datità originaria –<br />

“sovraopposizionale” rispetto all’alternativa vero-falso del giu<strong>di</strong>zio la definisce appunto Lask – ciò<br />

che Scoto, secondo <strong>Heidegger</strong>, riconoscerebbe come simplex apprehensio, il “semplice avere un<br />

oggetto [che] ha per suo opposto non la falsità, ma la con<strong>di</strong>zione del non conosciuto, la non<br />

conoscenza” 230 . Subito dopo aggiunge infatti <strong>Heidegger</strong>: “In certo senso, anche il semplice<br />

rappresentarsi, il ‘portare-qualcosa-ad-essere-dato-per se stessi’, può essere chiamato falso, in<br />

quanto colga l’oggetto in una determinatezza che non gli spetta. Questo significato in sé falso può<br />

però giungere ad essere conosciuto; anche se non consente affatto d’essere riempito me<strong>di</strong>ante un<br />

‘oggetto’, comunque è qualcosa <strong>di</strong> oggettuale, un quid nominis, un significato, esente dal carattere<br />

<strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. Poiché il dato, in ogni caso, <strong>di</strong>viene oggetto come dato, il semplice rappresentarsi (porsi<br />

innanzi, Vor-stellen) è anch’esso sempre vero. Qui misura e misurato coincidono in uno. (…) La<br />

conoscenza, la cui verità ha per opposto la falsità, è il giu<strong>di</strong>zio. Il giu<strong>di</strong>zio è ciò che si può chiamare<br />

vero in senso proprio e autentico” 231 .<br />

<strong>Heidegger</strong> riba<strong>di</strong>sce quin<strong>di</strong> la sua teoria del giu<strong>di</strong>zio come “unità articolata” (complexum)<br />

dall’elemento unificante costituito dalla copula, il cui senso non è quello dell’esistere reale<br />

(wirklich); con essa “si intende invece il modo <strong>di</strong> realtà (esse verum), per la cui designazione oggi<br />

abbiamo a <strong>di</strong>sposizione la felice espressione ‘valere’ (Gelten)” 232 . Tuttavia, <strong>Heidegger</strong> ritiene che<br />

con ciò Scoto non abbia inteso sostenere una teoria della verità come riproduzione o copia, poiché<br />

la relazione <strong>di</strong> conformità all’oggetto che il giu<strong>di</strong>zio realizza non va intesa come se essa “esistesse<br />

229<br />

Ivi, p. 90; corsivo nostro.<br />

230<br />

Ivi, p. 91. E precisamente in questo modo <strong>Heidegger</strong> interpreterà, come vedremo nel prossimo capitolo, il νοεîν<br />

aristotelico come opposto all’αγνοία, ma solo dopo esser passato – a conferma <strong>di</strong> quanto an<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>cendo – dalla<br />

centralità del giu<strong>di</strong>zio a quella del concetto husserliano <strong>di</strong> evidenza.<br />

231<br />

Ivi, pp. 91-92.<br />

232<br />

Ivi, pp. 92-93.<br />

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