"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...
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inteso come oggetto in genere, anche il verum deve essere allora con esso convertibile, per cui “ogni<br />
oggetto è un oggetto. Ogni oggetto è un vero oggetto” 224 . Analogamente all’unum, il verum non<br />
pone <strong>di</strong> bel nuovo un oggetto né “aggiunge nulla <strong>di</strong> nuovo all’oggetto in senso ‘cosale’<br />
(sachlich)” 225 , ma va considerato come “rapporto formale”, è anch’esso un modo <strong>di</strong> avere l’oggetto<br />
(quendam modum se haben<strong>di</strong>) e <strong>di</strong> averlo per la conoscenza da parte <strong>di</strong> un soggetto: “la filosofia<br />
trascendentale ha trovato l’espressione più rigorosa per designare questo rapporto: l’oggetto è<br />
oggetto solo in quanto oggetto della conoscenza; la conoscenza è conoscenza solo come conoscenza<br />
dell’oggetto. Non v’è objectum senza subjectum” 226 . Si vede subito come qui le cose si complichino<br />
rispetto a Lask per il quale, si ricorderà, l’oggetto è sì imme<strong>di</strong>atamente coincidente col vero – e su<br />
ciò <strong>Heidegger</strong> sostanzialmente lo segue – ma anche in<strong>di</strong>pendente dal piano della conoscenza e del<br />
giu<strong>di</strong>zio. Lask aveva pertanto operato una “contrapposizione fra due <strong>di</strong>mensioni fondamentali della<br />
filosofia teoretica: fra aletheiologia e gnoseologia, tra il problema (primario) della verità e il<br />
problema (secondario) del conoscere in senso stretto” 227 , mentre <strong>Heidegger</strong> pare voler rimettere<br />
insieme i due piani, o quantomeno porre il problema della loro ‘comunicabilità’.<br />
Del resto, fin dal primo capitolo, <strong>Heidegger</strong> era stato chiaro sul progetto dell’opera, intendendo,<br />
ci sembra, non solo <strong>di</strong>stinguere il modo d’essere dei vari ambiti dell’ente con le loro categorie<br />
regionali, ma anche cercare, come risulterà più evidente dalla analisi del giu<strong>di</strong>zio e del significato,<br />
una possibile soluzione al problema del loro rapporto, senza il quale non si potrebbe che ricadere<br />
nelle opposte e unilaterali prospettive del realismo (ingenuo o critico) e dell’idealismo<br />
trascendentale (Rickert), come pare emergere dal passo seguente: “Se si riflette che alla realtà<br />
empirica viene impressa una forma variata in primissimo luogo me<strong>di</strong>ante le parole del linguaggio,<br />
più precisamente me<strong>di</strong>ante i loro significati, in quanto solo determinati ‘lati’ <strong>di</strong> essa entrano nel<br />
significato, se si considera che i significati e le loro forme pure sono determinati in qualche modo<br />
dalla realtà effettuale in quanto materiale, è facile percepire che una dottrina delle forme dei<br />
significati, quale si deve poter esporre nel corso del nostro stu<strong>di</strong>o, per intendere le singole forme<br />
deve stabilire un rapporto con la realtà empirica” 228 .<br />
Ora, se è chiaro che la concezione laskiana dell’oggetto come materia già sempre rivestita <strong>di</strong><br />
una forma, la quale, anzi, varia il suo stesso significato a seconda del materiale cui si applica –<br />
secondo il principio della determinazione materiale della forma –, permetteva ad <strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong><br />
scansare la soluzione idealistico-trascendentale del rapporto tra materia e forma, oggetto e<br />
categorie, sensibilità e intelletto, non v’è dubbio che qui il tema della soggettività ritorni<br />
224 Ivi, p. 89.<br />
225 Ivi, p. 91.<br />
226 Ibid.<br />
227 R. LAZZARI, Emil Lask e le Ricerche Logiche <strong>di</strong> Husserl, cit., p. 195.<br />
228 Ivi, p. 73.<br />
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