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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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all’ente matematico stesso (il numero), è un fatto che noi applichiamo correntemente la ‘forma-<br />

numero’, omogenea e non sensibile, agli enti reali, eterogenei e sensibili. Rifacendosi al decisivo<br />

concetto laskiano – che abbiamo già incontrato in precedenza e che ritroveremo in seguito circa il<br />

problema delle categorie – della “determinazione materiale della forma”, <strong>Heidegger</strong> chiarisce<br />

innanzitutto quanto segue: “Forma è un concetto correlativo, la forma è forma <strong>di</strong> un materiale, ogni<br />

materiale si trova in forma. Il materiale è inoltre sempre in una forma ad esso adeguata; in altri<br />

termini: la forma riceve il suo significato a partire dal materiale. Quando perciò vogliamo afferrare<br />

la forma <strong>di</strong> unità nella sfera del mondo reale, ci ve<strong>di</strong>amo rimandati al materiale stesso da<br />

raccogliere in unità, materiale da cui <strong>di</strong>pende, in certo modo, decidere quale forma <strong>di</strong> una<br />

determinata specie è in grado <strong>di</strong> unirla. Il punto <strong>di</strong> gravità dell’interesse viene posto così sullo<br />

stu<strong>di</strong>o della costituzione categoriale della realtà, sensibile come sovrasensibile, e in tal modo<br />

l’esecuzione del nostro compito vero e proprio, la partizione <strong>degli</strong> ambiti <strong>di</strong> realtà, nell’atto <strong>di</strong><br />

rendere concepibile la forma d’unità che domina nel mondo reale, avanza d’un passo<br />

importante” 210 .<br />

E dunque, se, come <strong>di</strong>ce Scoto, il numero è un ens rations, della realtà effettiva (Wirklichkeit)<br />

faranno invece parte gli entia extra animam, laddove “se si prende la parola anima nel significato <strong>di</strong><br />

coscienza, allora extra animam in<strong>di</strong>ca la realtà che trascende la coscienza e comprende in sé<br />

l’elemento psichico e quello fisico; e non solo ciò, ma anche la realtà sovrasensibile dell’essere<br />

assoluto <strong>di</strong> Dio” 211 . Come deve essere dunque pensata l’in<strong>di</strong>vidualità, questa “entità ultima e<br />

irriducibile” allo stesso concetto <strong>di</strong> oggetto in genere e dunque non identificabile con l’unum<br />

trascendens, “l’oggetto reale kat’æxocÔn” caratterizzato spazio-temporalmente, ciò che Scoto<br />

definisce haecceitas? Se essa, come si è detto, non può essere ricompresa nella serialità numerica<br />

omogenea poiché, se si considerano ‘5 alberi’, “nel singolo albero non è affatto posto il motivo per<br />

essere in una numerazione, per esempio, il quinto” 212 , deve allora darsi comunque una forma <strong>di</strong><br />

omogeneità che tale numerazione renda possibile.<br />

Questa relativa omogeneità può essere infatti ottenuta grazie ad un “determinato respectus”<br />

me<strong>di</strong>ante il quale “viene eliminato e risolto (aufgehoben) il <strong>di</strong>screto eterogeneo” 213 , poiché “la<br />

realtà empirica, come molteplicità assoluta, è (…) un concetto limite” 214 ; tale respectus è fornito<br />

dall’analogia, ed è qui che il principio laskiano della forma appena ricordato mostra tutto il suo<br />

potenziale metodologico (ontologico?): “Quando si <strong>di</strong>ce che la realtà empirica mostra una<br />

determinata struttura categoriale, ciò significa che essa è formata, determinata, or<strong>di</strong>nata. Dove c’è<br />

210 Ivi, p. 62-63.<br />

211 Ivi, p. 63.<br />

212 Ivi, p. 65.<br />

213 Ivi, p. 66.<br />

214 Ibid.<br />

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