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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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alla sua autointerpretazione quando, parlando del suo già più maturo Habilitationsschrift del 1916,<br />

afferma: “(…) già nel titolo del mio lavoro <strong>di</strong> libera docenza del 1915, La teoria delle categorie e<br />

del significato in Duns Scoto, apparivano le due prospettive: «teoria delle categorie» è il termine<br />

consueto per in<strong>di</strong>care la <strong>di</strong>scussione dell’essere dell’essente; per «teoria del significato» s’intende la<br />

grammatica speculativa, la riflessione metafisica sul linguaggio nel suo rapporto con l’essere.<br />

Tutte queste relazioni non mi erano però a quel tempo ancora chiare” 128 . Ecco, si potrebbe<br />

altrettanto ben <strong>di</strong>re che nella tesi <strong>di</strong> dottorato è nel problema della copula che si fa avanti il rapporto<br />

tra essere e linguaggio.<br />

Lo scritto in esame è una nuova rassegna critica delle principali teorie psicologistiche del<br />

significato <strong>di</strong> area tedesca; nello specifico si analizzano qui le teorie <strong>di</strong> Wundt, Maier, Brentano e<br />

Marty (ritenuto <strong>di</strong>pendente da Brentano), Lipps, secondo un or<strong>di</strong>ne progressivo <strong>di</strong> avvicinamento ad<br />

“una teoria puramente logica del giu<strong>di</strong>zio”, il cui compito positivo si assume <strong>Heidegger</strong> stesso in<br />

conclusione alla sua rassegna. Analizziamola dunque sinteticamente.<br />

La teoria <strong>di</strong> Wundt prende le mosse da una critica delle concezioni sintetiche del giu<strong>di</strong>zio, sia<br />

nella sua versione oggettiva, come corrispondenza con rapporti reali nelle cose, che in quella<br />

soggettiva, come congiungimento <strong>di</strong> rappresentazioni. L’origine <strong>di</strong> queste concezioni sarebbe la<br />

teoria aristotelica del giu<strong>di</strong>zio – orine che, come noto, proprio <strong>Heidegger</strong> contesterà interpretando<br />

ben <strong>di</strong>versamente la concezione della verità dello stagirita; <strong>di</strong>ce <strong>Heidegger</strong> parafrasando Wundt:<br />

“Non si va oltre la definizione aristotelica, secondo cui il giu<strong>di</strong>zio è un enunciato che può essere<br />

vero o falso, il che secondo Wundt «non rappresenta che una tautologia»” 129 . Diversamente,<br />

l’autore della Logik 130 in questione si fa sostenitore <strong>di</strong> una concezione del giu<strong>di</strong>zio che lo definisce<br />

come “funzione analitica”, secondo la quale è proprio quest’ultimo a scindere in due concetti, quali<br />

sue parti costitutive, ciò che originariamente è unito nella percezione o, nel caso <strong>di</strong> concetti<br />

generali, nella rappresentazione. Tale funzione analitica non è altro che la peculiare facoltà<br />

appercettiva “costante” dell’autocoscienza, la quale pone un oggetto, anch’esso costante, come<br />

soggetto logico <strong>di</strong> “rappresentazioni transeunti e mutevoli”. Ora, se le parti elementari <strong>di</strong> cui il<br />

giu<strong>di</strong>zio si compone sono essenzialmente il soggetto ed il pre<strong>di</strong>cato, ne viene che la copula non ha<br />

per Wundt un significato o una funzione logica autonoma, bensì “è un ultimo residuo del significato<br />

verbale del medesimo [il pre<strong>di</strong>cato] e appartiene ad esso anche in quanto la copula in<strong>di</strong>ca che il<br />

concetto con essa collegato «dev’essere pensato in senso pre<strong>di</strong>cativo»” 131 .<br />

Tale teoria risulta per <strong>Heidegger</strong> contrad<strong>di</strong>ttoria e in molti casi inapplicabile; contrad<strong>di</strong>ttoria<br />

quando Wundt afferma che la copula può avere anche una funzione relazionale qualora unisca due<br />

128 M. HEIDEGGER, Da un colloquio nell’ascolto del linguaggio, in In cammino verso il linguaggio, cit., p. 87.<br />

129 M. HEIDEGGER, La dottrina del giu<strong>di</strong>zio nello psicologismo, cit., p. 16.<br />

130<br />

131 Ivi, p. 19.<br />

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