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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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viene occultato e contraffatto. Si impone l’apparenza, e con essa viene alla luce la non essenza della<br />

verità.<br />

Ma poiché, come essenza della verità, la libertà e-sistente non è un proprietà dell’uomo, ma<br />

l’uomo e-siste, e <strong>di</strong>venta così capace <strong>di</strong> storia, solo se è posseduto da questa libertà, anche la non-<br />

essenza della verità non può sorgere successivamente dalla semplice incapacità o dalla negligenza<br />

dell’uomo. La non-verità deve piuttosto venire dall’essenza della verità. Ed è solo perché<br />

nell’essenza la verità e la non-verità non sono in<strong>di</strong>fferenti l’una all’altra, ma ineriscono<br />

reciprocamente, che una proposizione vera può presentarsi in netta opposizione alla correlativa<br />

proposizione non-vera” 762 .<br />

La non-verità, in senso originario “non-essenza” 763 della verità, non si riduce all’apparenza, ma<br />

è la “velatezza” (Verborgenheit) come modo <strong>di</strong> accadere dell’essere stesso in quanto totalità 764 , tale<br />

per cui “il lasciar-essere, proprio mentre nel singolo comportarsi lascia essere l’ente in rapporto a<br />

cui si comporta, e così lo svela, proprio allora vela l’ente nella sua totalità” 765 , secondo ciò che<br />

<strong>Heidegger</strong> definisce ora il “mistero” (Geheimnis) della “necessità” (Not) dell’oblio dell’essere in<br />

quanto ritrazione, niente <strong>di</strong> soggettivo dunque: “Per chi sa, invece, il «non-» dell’iniziale non-<br />

essenza della verità come non-verità rinvia nell’ambito non ancora esperito della verità dell’essere<br />

(e non solo dell’ente). La libertà, intesa come lasciar-essere l’ente, è in sé un rapporto risoluto<br />

(entschlossen), cioè un rapporto che non si chiude. Su questo rapporto si fonda ogni<br />

comportamento, ricevendo da esso la consegna per l’ente e il suo svelamento. Ma questo rapporto<br />

col velamento vela se stesso, lasciando la precedenza all’oblio del mistero e scomparendo in esso.<br />

762<br />

Id., Dell’essenza della verità, cit., pp. 146-147.<br />

763<br />

“Non-essenza qui non significa ancora una sorta <strong>di</strong> deca<strong>di</strong>mento all’essenza nel senso dell’universale (koinón,<br />

génoj), della sua possibilitas (<strong>di</strong> ciò che rende possibile) e del suo fondamento. Non-essenza significa qui l’essere<br />

essenziale che si <strong>di</strong>spiega in tal senso prima dell’essenza (das vor-wesende Wesen)”, ivi, p. 149.<br />

764<br />

Tale totalità non coincide con l’insieme <strong>degli</strong> enti, ma è nient’altro che l’essere stesso, più precisamente, il “farsi<br />

mondo” – dunque in concrezioni (eventi) finite – dell’essere stesso: “Kósmoj non vuol <strong>di</strong>re questo o quell’ente che ci<br />

attornia e ci opprime, neppure l’insieme <strong>degli</strong> enti, ma significa uno «stato», cioè il come (Wie) in cui l’ente è nella sua<br />

totalità. Kósmoj o%utoj non designa quin<strong>di</strong> un ambito dell’ente contrapposto a un altro, ma questo mondo dell’ente<br />

nella sua <strong>di</strong>fferenza da un altro mondo dello stesso ente, l’æón stesso katá kósmon. Il mondo, essendo questo «come»<br />

nella sua totalità, è già alla base e precede ogni possibile frammentazione dell’ente, la quale non annienta il mondo, ma<br />

ne ha sempre bisogno”, id., Dell’essenza del fondamento, in Segnavia, cit., p. 98; a proposito della questione del mondo<br />

e del come della sua manifestatività in quanto oggettualità propriamente fenomenologica, Klaus Held osserva<br />

acutamente che “nel suo confronto con Husserl, <strong>Heidegger</strong> ha spesso riformulato la massima della ricerca<br />

fenomenologica «alle cose stesse», con la quale il principio <strong>di</strong> evidenza viene espresso come appello, volgendola al<br />

singolare: «alla cosa stessa». Questa mo<strong>di</strong>ficazione è in effetti legittima; perché in fondo, nella fenomenologia (…)<br />

importa solo una ‘cosa’ (Sache): il mondo della <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> manifestatività. L’analisi fenomenologica <strong>degli</strong> «oggettinel-come-del-loro-apparire»<br />

porta oltre, all’analisi del «come dell’apparire» stesso, cioè in ultima analisi alla<br />

<strong>di</strong>mensione dell’apparire ‘mondo’”, K. Held, <strong>Heidegger</strong> e il principio della fenomenologia, cit., p. 95; non ci sembra<br />

invece corretto, in virtù della medesimezza tra essere e mondo che abbiamo tentato <strong>di</strong> delucidare, l’appunto dello stesso<br />

Held secondo il quale “<strong>Heidegger</strong> ha intuito fin dall’inizio questo errore <strong>di</strong> Husserl [il rovesciamento dei rapporti <strong>di</strong><br />

fondazione tra coscienza e mondo] ma, come sarebbe stato necessario, non ha a sua volta sostituito la coscienza<br />

costitutiva del mondo come <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> manifestatività con il mondo stesso, ma con l’essere”, ivi, p. 97.<br />

765<br />

M. <strong>Heidegger</strong>, Dell’essenza della verità, cit., p. 148.<br />

195

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