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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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Rimproverare una tale ‘mancanza’ alla riflessione matura <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong> – la mancanza cioè <strong>di</strong><br />

una teoria critica dell’enunciato scientifico – è dunque senz’altro possibile, ma sarebbe troppo<br />

imputare una tale mancanza ad una svista (ad un mero perdere <strong>di</strong> vista 745 ) o ad una semplice<br />

confusione terminologica, o ancora, cercare nell’apertura stessa, in qualche modo, un criterio per la<br />

<strong>di</strong>stinzione tra la verità e la falsità dell’enunciato, cosa che essa non può e non vuole – a torto o a<br />

ragione – assolutamente fornire 746 . Anzi, quando ci si sia posti sul piano originario della<br />

trascendenza, afferma esplicitamente <strong>Heidegger</strong>, “si annulla proprio il problema [critico] della<br />

conoscenza” 747 . Più corretto ci sembra allora far scaturire tali conseguenze – con tutto ciò che ne è<br />

lavoro matematico. All’europeizzazione è legato il fatto che si ritiene che la logistica sia la filosofia, che si pensi <strong>di</strong><br />

poter <strong>di</strong>re con formule qualcosa <strong>di</strong> anche minimo sull’essenza <strong>di</strong> una cosa. La logistica è così sviluppata da giocare un<br />

ruolo immenso nella ricerca matematica (macchine calcolatrici ed elaboratori), e questo significa che qui ciò che è<br />

iniziato con Descartes si <strong>di</strong>spiega in modo inquietante”, id., Seminari, cit., p. 208; su logica, scienza-tecnica e<br />

cibernetica si vedano anche id., Zur Frage nach der Bestimmung der Sache des Denkens, St. Gallen, 1984, ed. it. a cura<br />

<strong>di</strong> A. Fabris, Filosofia e cibernetica, Pisa, 1988; id., Überlieferte Sprache und technische Sprache, St. Gallen, 1989, ed.<br />

it. a cura <strong>di</strong> C. Esposito, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, Pisa, 1997.<br />

745<br />

Lo stesso Pöggeler ha sostenuto che per Husserl “solo dopo l’analisi fenomenologica del singolo sarebbe possibile<br />

presentare una considerazione globale. Ma in questo modo Husserl cade sotto la critica <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>: egli comincia con<br />

la percezione e conferisce all’ambito del teoretico una funzione unilaterale <strong>di</strong> guida; con ciò egli riprende dunque<br />

l’atteggiamento tra<strong>di</strong>zionale. Viceversa, a partire da Husserl si può porre a <strong>Heidegger</strong> la domanda se quest’ultimo non<br />

perda <strong>di</strong> vista le prestazioni specifiche della teoria”, O. Pöggeler, <strong>Heidegger</strong> e Husserl a confronto, cit., p. 57.<br />

746<br />

Una tale istanza sembra invece porre Tugendhat il quale, pur vedendo bene la ‘chiusura’ dell’indagine heideggeriana<br />

circa la verità dell’enunciato in quella della svelatezza quale carattere dell’essere, afferma che “al livello in cui<br />

<strong>Heidegger</strong> situa la questione, l’evidenza non perde il suo senso ma dovrebbe esser pensata – come del resto lo è, sia<br />

pure in parte, in Husserl – come idea regolativa; la stessa cosa varrebbe anche per la verità. Verrebbe con ciò superata<br />

l’imme<strong>di</strong>atezza del concetto <strong>di</strong> evidenza, ma anziché dar luogo ad una nuova, pre-critica imme<strong>di</strong>atezza della verità,<br />

verrebbe preservata la coscienza critica, sia pur mantenuta in quella sospensione che appartiene alla sua essenza.<br />

Proprio in riferimento alla posizione meta-trascendentale <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>, in base alla quale il dato più originario non è né<br />

sostanza né soggetto, bensì una <strong>di</strong>mensione aperta, la coscienza critica avrebbe potuto trovare la sua più autentica<br />

sospensione. Qui, dove la filosofia trascendentale non solo assume in sé una <strong>di</strong>mensione storica, ma si apre ad essa e<br />

rinuncia ad appoggiarsi ad un fondamento ultimo, è <strong>di</strong>venuto possibile ra<strong>di</strong>calizzare l’idea <strong>di</strong> una coscienza critica e<br />

ricostruirla su nuove basi; ma è <strong>di</strong>venuto anche possibile sopprimerla, preferendole una nuova imme<strong>di</strong>atezza. (…)<br />

<strong>Heidegger</strong> ha collegato la filosofia della riflessione al dogmatismo dell’autocertezza. Ma con l’idea della certezza (se<br />

rimane solo regolativa) la filosofia moderna ha ra<strong>di</strong>calizzato l’esigenza socratica della giustificazione critica, e quin<strong>di</strong><br />

della responsabilità teoretica. In questo modo, si porrebbe il compito <strong>di</strong> sviluppare il concetto <strong>di</strong> verità in tutta<br />

l’ampiezza che <strong>Heidegger</strong> ha prefigurato con la tematica dell’apertura, ma senza rinunciare all’idea regolativa della<br />

certezza e al postulato della fondazione critica”, E. Tugendhat, L’idea heideggeriana <strong>di</strong> verità, cit., pp. 326-327; del<br />

resto, lo stesso Gethmann, che a Tugendhat si riferisce criticamente, dopo aver rinvenuto nell’essere nel mondo il<br />

principio <strong>di</strong> una coerente concezione pragmatistica della verità, e chidendosi se <strong>Heidegger</strong> avesse o meno fornito le<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità dell’asserzione, afferma – contrad<strong>di</strong>ttoriamente ci pare – che “si deve <strong>di</strong>stinguere in proposito<br />

tra due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> comprensione, riduttiva e produttiva. Si risponde in modo riduttivo alle questioni, quando si forniscono<br />

le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità che devono sussistere perchè l’explanandum si verifichi. In questo caso le questioni vengono<br />

concepite come questioni relative alle con<strong>di</strong>zioni necessarie. Se invece si concepiscono queste questioni in modo<br />

produttivo, allora si richiede una genesi razionale dell’explanandum a partire dalle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità; in altre<br />

parole, a tali questioni va data una risposta, fornendo le con<strong>di</strong>zioni sufficienti. Ma <strong>Heidegger</strong> non risponde alla<br />

questione del «come è possibile che», sotto il profilo della concezione produttiva; da questo punto <strong>di</strong> vista la sua<br />

concezione è incompleta; e non possiede neanche alcun aspetto che permetta <strong>di</strong> metterla a confronto con altre<br />

concezioni, come ad esempio la teoria della verità come consenso, o quella coerentista. Per questo, la trattazione<br />

heideggeriana <strong>di</strong> questo tema non rappresenta un trattato compiuto sulla verità. Va tuttavia notato che questo non era lo<br />

scopo <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>, né in Essere e tempo, né nei corsi <strong>di</strong> Marburgo. La questione della verità è per lui un tema <strong>di</strong><br />

passaggio, in vista della spiegazione del fenomeno dell’essere”, C.F. Gethmann, La concezione della verità nello<br />

<strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong> marburgo, cit., pp. 354-355.<br />

747<br />

M. <strong>Heidegger</strong>, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., p. 196; e d’altra parte, come vede bene in questo<br />

caso Mohanty, “it is one thing to claim that formal logici s rooted in a hermeneutic experience of being-in-the-world. It<br />

is quite another thing to work out in detail the idea of a hermeneutic logic. Without such a logic, the <strong>Heidegger</strong>ian thesis<br />

would remain empty of content, for not only logic but all theoretical cognition, on that thesis, would have the same<br />

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