"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...
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determinante” 710 , cioè <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cato. Infine – e ciò è della massima importanza per comprendere<br />
l’origine del linguaggio secondo <strong>Heidegger</strong> – l’asserzione “si muove in una determinata<br />
concettualità: il martello è pesante, la pesantezza appartiene al martello, il martello ha la proprietà<br />
del peso. La pre-cognizione che si accompagna cooriginariamente all’asserzione passa per lo più<br />
inosservata perché il linguaggio porta sempre con sé una concettualità già formata” 711 . In tal modo,<br />
tuttavia, l’asserzione enunciativa “il martello è pesante”, ad esempio, finisce per assumere per la<br />
logica, in maniera del tutto ovvia, il senso che al martello appartiene la proprietà della pesantezza.<br />
Ma, conclude <strong>Heidegger</strong>, “nella visione ambientale preveggente e prendente cura non c’è posto per<br />
un’asserzione «primaria» <strong>di</strong> questo genere” 712 .<br />
Per la visione ambientale preveggente il senso <strong>di</strong> un tale enunciato è piuttosto quello della presa<br />
d’atto dell’inappropriatezza ad un determinato uso, cioè, secondo l’esempio <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong>, che il<br />
martello è troppo pesante per essere adoperato. Ciò significa che nel passaggio dall’interpretazione<br />
all’asserzione è intervenuto un mutamento nella pre<strong>di</strong>sponibilità con cui l’ente in questione si<br />
mostra. Esso, cioè, non è più inteso in quanto “con che” dell’aver a che fare, in quanto utilizzabile,<br />
ma in quanto oggetto <strong>di</strong> determinazioni pre<strong>di</strong>cative (in senso logico) o proprietà (in senso<br />
ontologico), in quanto semplice presenza e com-presenza.<br />
La mo<strong>di</strong>ficazione è dunque avvenuta nella struttura “in quanto” originaria dell’interpretazione –<br />
da <strong>Heidegger</strong> definita “in quanto ermeneutico-esistenziale” 713 – la quale <strong>di</strong>venta ora solo più l’“in<br />
quanto” apofantico dell’asserzione: “L’«in quanto», nella sua funzione <strong>di</strong> appropriazione, non opera<br />
più all’interno <strong>di</strong> una totalità <strong>di</strong> appagatività. (…) L’«in quanto» è confinato nell’uniformità piatta<br />
<strong>di</strong> ciò che è solo semplice-presenza. (…) Questo livellamento dell’«in quanto» originario<br />
dell’interpretazione ambientalmente preveggente a «in quanto» della determinazione della<br />
semplice-presenza, è il tratto caratteristico dell’asserzione. Solo così essa può dar luogo a un<br />
manifestare puramente contemplativo. L’asserzione non può dunque negare la sua derivazione<br />
dall’interpretazione comprendente” 714 .<br />
710<br />
Ibid.<br />
711<br />
Ibid.<br />
712<br />
Ibid.<br />
713<br />
“L’«in quanto» originario proprio dell’interpretazione ambientalmente comprendente (çrmhnéia) lo chiamiamo «in<br />
quanto» ermeneutico-esistenziale, per <strong>di</strong>stinguerlo dall’«in quanto» apofantico proprio dell’asserzione”, ivi, p. 201.<br />
714<br />
Ivi, pp. 201-202; tornando quin<strong>di</strong> alla concezione aristotelica della verità, <strong>Heidegger</strong> può ora chiarire che “esser-vero<br />
è <strong>di</strong>svelare, <strong>di</strong>svelare è un atteggiamento dell’io, quin<strong>di</strong>, si <strong>di</strong>rà, l’esser-vero è qualcosa <strong>di</strong> soggettivo. Noi invece<br />
<strong>di</strong>ciamo: certo, è «soggettivo», ma nel senso <strong>di</strong> un concetto <strong>di</strong> «soggetto» rettamente inteso, quello <strong>di</strong> esserci esistente,<br />
che è, cioè, nel mondo. Ormai compren<strong>di</strong>amo in qual misura risulta corretta la tesi aristotelica che la verità si trova non<br />
fra le cose, bensì æn <strong>di</strong>anoí=, nell’intelletto. Ma ci accorgiamo anche del motivo per cui non è totalmente giustificata.<br />
Se l’intelletto ed il pensiero sono considerati un comprendere psichico <strong>di</strong> un’anima sussistente, resta incomprensibile<br />
l’asserzione che la verità si trova nella sfera del soggetto. Se invece si assume la <strong>di</strong>anoía, l’intelletto, nel modo in cui<br />
questo fenomeno dev’essere compreso, nella sua struttura apofantica, cioè come manifestare <strong>di</strong>svelante <strong>di</strong> qualcosa, si<br />
vede allora che l’intelletto, in quanto manifestare <strong>di</strong>svelante <strong>di</strong> qualcosa, è in se stesso determinato, nella sua struttura,<br />
dall’esser-vero come <strong>di</strong>svelare”, id., I problemi fondamentali della fenomenologia, cit., p. 207.<br />
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