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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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quanto», anche inteso come ‘in quanto utilizzabile’ per qualcosa da parte <strong>di</strong> qualcosa, sia colto<br />

tematicamente, e ancor più per considerare solo più l’oggetto alla stregua <strong>di</strong> semplice presenza<br />

dotata <strong>di</strong> proprietà, a loro volta semplici presenze: “Nella realizzazione <strong>di</strong> un’enunciazione nella<br />

forma della pre<strong>di</strong>cazione, ossia nel senso dell’enunciazione categorica, l’«in quanto» primariamente<br />

comprendente si porta al livello della pura e semplice determinazione della cosa. La <strong>di</strong>chiarazione<br />

ha il senso del far-vedere l’essere-semplicemente-presente <strong>di</strong> qualcosa con e presso qualcosa,<br />

qualcosa e, in quanto presente accanto ad essa, un’altra cosa. (…) Nell’enunciazione il con-che<br />

dell’aver-a-che-fare <strong>di</strong>venta l’intorno-a-che <strong>di</strong> una <strong>di</strong>chiarazione. (…) Quel che è già stato scoperto<br />

deve quin<strong>di</strong> venire ulteriormente scoperto, ossia un aver-a-che-fare il cui prendersi-cura procura<br />

proprio uno scoprire; l’enunciazione è un aver-a-che-fare comprendente la cui cura è lo scoprire,<br />

che quin<strong>di</strong> ha necessariamente nel senso sottolineato la struttura dell’in-quanto” 643 . Una tale<br />

mo<strong>di</strong>ficazione della struttura originaria dell’“in quanto ermeneutico” – come ora lo definisce<br />

<strong>Heidegger</strong> – nell’in quanto apofantico, chiarisce ancora una volta come quest’ultimo non possa<br />

essere la modalità originaria dello scoprimento, e nemmeno lo può essere l’intuizione come<br />

rilevazione cosale, anch’essa teoretica, <strong>di</strong> una com-presenza (l’oggetto in quanto totalità strutturale<br />

categorialmente articolata), la quale rende a sua volta possibile l’asserzione stessa in quanto<br />

espressione determinante qualcosa in quanto com-presente insieme a qualcosa.<br />

Pertanto, “il determinare enunciativo non determina mai una relazione primaria e originaria con<br />

l’ente, e quin<strong>di</strong> non può, questo logos, <strong>di</strong>ventare la guida per il problema dell’essere dell’ente” 644 .<br />

Tuttavia, così come ogni singolo ente è qualcosa <strong>di</strong> più che una mera somma <strong>di</strong> dati sensoriali,<br />

altrettanto il mondo – come l’esserci – è una totalità strutturale non ottenibile in maniera<br />

tra<strong>di</strong>zionale, come mera somma delle cose semplicemente presenti, fossero pure considerate cose<br />

d’uso. La totalità del mondo è infatti precedente il singolo mezzo, ed è per questo che va analizzata<br />

nella sua struttura o “mon<strong>di</strong>tà”.<br />

Nell’afferramento della struttura del mondo, vanno tuttavia preliminarmente chiariti gli equivoci<br />

derivanti dal considerare tale problema alla stregua <strong>di</strong> quello metafisico o gnoseologico tra<strong>di</strong>zionale<br />

della realtà del mondo esterno. Innanzitutto va contrastata come un “controsenso” l’idea moderna –<br />

“in parte dovuta a una comprensione esteriore della filosofia kantiana o meglio, <strong>di</strong> riflessioni che si<br />

trovano in Cartesio” 645 – che la realtà del mondo esterno o la credenza in esso siano bisognose <strong>di</strong><br />

prova.<br />

Quanto all’esigenza che l’esistenza del mondo esterno sia <strong>di</strong>mostrata, essa è frutto per<br />

<strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong> una incomprensione non solo della struttura intenzionale della coscienza e dunque del<br />

643<br />

Ivi, pp. 103-104.<br />

644<br />

Ivi, p. 107.<br />

645<br />

M. <strong>Heidegger</strong>, Prolegomeni alla storia del concetto <strong>di</strong> tempo, cit., p. 265.<br />

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