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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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cui Mill le chiama anche definizioni, puro “chiarimento verbale” del nome cui esse si riferiscono.<br />

Ma nel quarto libro della sua opera Mill scrive: “«in alcune definizioni appare chiaramente che non<br />

s’intende null’altro che <strong>di</strong> spiegare il significato della parola, mentre in altre, oltre che spiegare il<br />

significato della parola, s’intende implicito che esista una cosa corrispondente alla parola. Sia<br />

questo [l’espressione della sussistenza <strong>di</strong> ciò su cui verte l’asserzione] implicito o meno in un dato<br />

caso, non è possibile ricavarlo dalla pura forma dell’espressione». È evidente qui la rottura con gli<br />

schemi nominalistici. Procedendo al <strong>di</strong> là della serie delle parole è necessario risalire al contesto che<br />

una tale serie intende” 624 .<br />

Alla stessa struttura formale della proposizione corrisponderebbero cioè casi in cui l’«è» è<br />

sostituibile con “significa”, e casi in cui l’«è» deve designare necessariamente l’esistenza, ma è<br />

chiaro che una tale <strong>di</strong>stinzione presuppone pur sempre, <strong>di</strong> volta in volta, un aver già<br />

preliminarmente stabilito i casi in cui la copula in<strong>di</strong>chi il significare o l’esistere, cioè presuppone<br />

già sempre ciò che pretenderebbe <strong>di</strong> decidere a posteriori, l’esistenza o la non esistenza. Se<br />

pren<strong>di</strong>amo infatti in considerazione un esempio che lo stesso Mill fornisce, cioè la proposizione “Il<br />

centauro è un’invenzione poetica”, ritenuta da Mill una proposizione verbale, e cerchiamo <strong>di</strong><br />

comprendere ciò che essa propriamente intende, ve<strong>di</strong>amo che essa non intende affatto chiarire<br />

soltanto cosa il nome ‘centauro’ significhi, ma vuol <strong>di</strong>re che “i centauri non esistono per davvero,<br />

ma sono unicamente invenzioni poetiche” 625 .<br />

In un passaggio molto significativo, a commento <strong>di</strong> tale impostazione milliana, è possibile ora<br />

scorgere, tra l’altro, la concezione ermeneutico-esistenziale del linguaggio cui <strong>Heidegger</strong> approda e<br />

che lo stesso Mill in fondo, sulla base del suo pragmatismo, almeno “intravede”: “E’ (…) facile<br />

mostrare che in ogni significato <strong>di</strong> un nome è presente un rapporto con la cosa (Sachbezug), ragion<br />

per cui le proposizioni che Mill presume siano meramente verbali non possono esser separate del<br />

tutto da quell’ente che esse intendono. I nomi, i termini nel senso più ampio, non hanno alcun<br />

contenuto significativo stabilito e fissato apriori. I nomi, ossia i loro significati, mutano con la<br />

conoscenza della cosa, la quale si trasforma, e cambiano a seconda del predominio <strong>di</strong> una<br />

determinata <strong>di</strong>rezione dello sguardo volto alla cosa che il nome esprime. Tutti i significati, anche<br />

quelli che sembrano meramente verbali, sono scaturiti dalle cose. Ogni terminologia presuppone<br />

qualche conoscenza reale. Riguardo alla <strong>di</strong>stinzione milliana fra proposizioni nominali e<br />

proposizioni reali dobbiamo perciò <strong>di</strong>re: le asserzioni reali, cioè le asserzioni sull’ente,<br />

arricchiscono e mo<strong>di</strong>ficano costantemente le proposizioni verbali. La vera <strong>di</strong>fferenza, che Mill<br />

soltanto intravede, è quella tra la concezione dell’ente che s’annuncia nell’opinione e nella<br />

624 Ibid.<br />

625 Ivi, p. 195.<br />

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