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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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invece la causa del relativo nome concreto per cui, rispetto agli esempi citati, avremo ‘corporeità’,<br />

‘movimento’ e ‘somiglianza’: “Il fatto dunque che abbiamo voluto chiamare «corpo» una cosa<br />

concreta che abbiamo davanti ha la sua causa in ciò, che esso è esteso, cioè è determinato dalla<br />

corporeità. (…) Allora, <strong>di</strong>ce Hobbes, i nomi concreti che esprimono il «che-cos’è», la quid<strong>di</strong>tas,<br />

non potrebbero essere se non ci fosse l’«è» della copula. Secondo Hobbes, essi scaturiscono dalla<br />

copula. (…) Hobbes nega che «è» significhi «esiste», «sussiste» e così via” 613 .<br />

Ora, posto, come è evidente, che anche per Hobbes la verità e la falsità sono proprietà del<br />

giu<strong>di</strong>zio, come devono essere intese sulla base della sua concezione della propositio? Hobbes <strong>di</strong>ce:<br />

“Quoniam omnis propostio vera est […], in qua copulantur duo nomina eiusdem rei, falsa autem in<br />

qua nomina copulata <strong>di</strong>versarum rerum sunt, è vera ogni proposizione in cui i nomi congiunti,<br />

soggetto e pre<strong>di</strong>cato, si relazionano alla stessa cosa; mentre falsa è la proposizione in cui i nomi<br />

congiunti intendono cose <strong>di</strong>verse” 614 . ‘Verità’ significa dunque in Hobbes tanto quanto<br />

proposizione vera, per cui la verità non è per lui nelle cose, ma, per <strong>di</strong>rla con Aristotele – rispetto al<br />

quale <strong>Heidegger</strong> non analizza ma solo accenna a “<strong>di</strong>fferenze essenziali” pur nella relazione – en<br />

<strong>di</strong>anoia, nel pensiero, ciò che tuttavia Hobbes, “conformemente al suo in<strong>di</strong>rizzo nominalista<br />

estremo” intende come “pensiero espresso, nella proposizione” 615 , per cui solo impropriamente si<br />

parla <strong>di</strong> “cose vere” in opposizione a quelle solo raffigurate o immaginate. Il carattere della verità<br />

appartiene primariamente alla proposizione, mentre “l’esser-vero detto delle cose è qualcosa <strong>di</strong><br />

secondario” 616 , e tuttavia, fa notare <strong>Heidegger</strong> giungendo al punto centrale della sua<br />

argomentazione, “noi <strong>di</strong>ciamo vero un ente, ad esempio un uomo vero, <strong>di</strong>fferenziandolo da un<br />

uomo apparente, perché è vera l’asserzione su <strong>di</strong> esso. Con questa tesi Hobbes vuole chiarire il<br />

significato del nome «verità». Ma ugualmente sorge la domanda: perché l’asserzione sopra l’ente è<br />

vera? Manifestamente perché ciò su cui verte l’asserzione non è qualcosa <strong>di</strong> apparente, ma è un<br />

uomo reale, vero. (…) Emerge (…) qui una misteriosa connessione tra l’effettività <strong>di</strong> un ente e la<br />

verità dell’asserzione che verte su questo ente effettivo – una connessione che già si era imposta<br />

nell’interpretazione della tesi kantiana sull’essere: essere uguale a esser-percepito, esser-posto” 617 .<br />

613<br />

Ivi, pp. 179-180.<br />

614<br />

Ivi, p. 180.<br />

615<br />

Cfr., ibid.<br />

616<br />

Ivi, p. 181.<br />

617<br />

Ibid.; interessante, in relazione a quanto già visto nel primo capitolo a proposito del testo su Scoto e alla precoce e<br />

persistente tesi <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong> che in fondo i me<strong>di</strong>evali capissero <strong>di</strong> filosofia molto più dei moderni (cfr. M. <strong>Heidegger</strong>,<br />

La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, cit.), è quanto si <strong>di</strong>ce poco oltre sul rapporto tra queste<br />

riflessioni hobbesiane e la dottrina scolastica dei trascendentali: “A quest’esposizione, in cui la verità delle cose è<br />

ridotta alla verità delle proposizioni intorno alle cose, Hobbes aggiunge un’osservazione caratteristica: «Quod autem a<br />

metaphysicis <strong>di</strong>ci solet ens unum et verum idem sunt, nugatorium et puerile est; quis enim nescit hominem et unum<br />

hominem et vere hominem idem sonare». (…) Hobbes ha qui in mente la dottrina scolastica dei trascendentali, dottrina<br />

che risale ad Aristotele. I trascendentali sono quelle determinazioni, proprie in generale <strong>di</strong> qualcosa in quanto qualcosa,<br />

stando ai quali ogni cosa in certo senso è, ens, è un qualcosa, unum, ed essendo, venendo cioè in qualche modo pensata<br />

da Dio, è qualcosa <strong>di</strong> vero, verum. La scolastica tuttavia non sostiene, come afferma Hobbes, che ens, unum, verum, i<br />

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