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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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E tuttavia, si è visto, per Aristotele il significato della copula può essere espresso altrettanto<br />

correttamente come separazione, <strong>di</strong>airesis. Ora però, <strong>Heidegger</strong> ricorda – cosa che non aveva fatto<br />

nel corso sulla logica – come Aristotele sia all’origine <strong>di</strong> un altro fatale frainten<strong>di</strong>mento della<br />

questione della copula, quando in Metafisica, E 4, 1027 b 5, afferma che essa non è niente <strong>di</strong><br />

sussistente come la lavagna o il nero nell’enunciato “la lavagna è nera”, ma è qualcosa che è solo æn<br />

<strong>di</strong>anoí=, ciò che si traduce solitamente con “nel pensiero”, “nell’intelletto” o anche “nel soggetto”.<br />

Secondo <strong>Heidegger</strong>, pertanto, “su questo problema (…) noi potremo decidere nella maniera<br />

corretta soltanto se <strong>di</strong>verrà chiaro che cosa vogliano <strong>di</strong>re qui i termini «intelletto», «soggetto», e in<br />

che modo si debba determinare la relazione fondamentale fra il soggetto e ciò che sussiste, cioè<br />

soltanto se sarà chiarito il significato dell’esser-vero ed il suo rapporto con l’esserci. Qualunque sia<br />

il modo in cui questi problemi centrali ma <strong>di</strong>fficili debbono essere affrontati, noi riconosciamo<br />

anzitutto l’intima parentela fra la concezione <strong>di</strong> Aristotele e quella <strong>di</strong> Kant. L’essere inteso come<br />

copula è in Kant respectus logicus, in Aristotele sintesi nel logos. Poiché secondo Aristotele questo<br />

ente, questo ens, non è æn prágmasin, non è nelle cose, ma è invece æn <strong>di</strong>anoí=, esso non in<strong>di</strong>ca<br />

un ens reale, bensì un ens rationis, come <strong>di</strong>ce la scolastica. Ma questa è soltanto la traduzione <strong>di</strong> 3n<br />

æn <strong>di</strong>anoí=” 604 . Ve<strong>di</strong>amo dunque, ora, come tale tra<strong>di</strong>zione aristotelico-scolastica è stata assunta in<br />

epoca moderna attraverso la logica <strong>di</strong> impostazione nominalistica <strong>di</strong> Thomas Hobbes.<br />

Nell’interpretazione <strong>di</strong> <strong>Heidegger</strong> “il nominalismo è quella concezione dei problemi logici che,<br />

nell’interpretazione del pensiero e della conoscenza, prende le mosse dal pensiero espresso<br />

nell’asserzione, vale a <strong>di</strong>re dall’asserzione in quanto complesso <strong>di</strong> termini pronunziati, dalle parole<br />

e dai nomi – e perciò si chiama «nominalismo». Tutti i problemi che sorgono in rapporto alla<br />

proposizione, compreso anche quello dell’esser-vero e la questione della copula, sono orientati nella<br />

problematica nominalistica al complesso verbale” 605 . Letta in tal modo, la posizione nominalistica<br />

non è allora estranea a tutta la tra<strong>di</strong>zione della logica, orientata all’enunciato.<br />

Nello specifico, Hobbes fu influenzato a sua volta dal “sostenitore più estremo del nominalismo<br />

tardo scolastico”, cioè Occam. <strong>Heidegger</strong> mostra come Hobbes tratti della copula in esplicita<br />

connessione con la sua teoria della propositio 606 e come, richiamandosi ad Aristotele, <strong>di</strong>stingua le<br />

varie forme enunciative (precationes, promissiones, optiones, iussiones, lamentationes) definendole<br />

“affectuum in<strong>di</strong>cia, segni <strong>di</strong> moti dell’animo. È già qui evidente il tipo d’interpretazione. Si parte<br />

dal carattere verbale <strong>di</strong> queste forme del <strong>di</strong>scorso: esse sono segni <strong>di</strong> ciò che avviene<br />

nell’animo” 607 . La copula, per Hobbes, rappresenta un elemento <strong>di</strong> congiunzione tra due nomi –<br />

604<br />

Ivi, p. 176.<br />

605<br />

Ibid.<br />

606<br />

<strong>Heidegger</strong> prende qui in considerazione T. Hobbes, Elementorum philosophiae sectio I, «De corpore», Pars. I,<br />

[Computatio] sive Logica, cap. III sgg., «De propositione».<br />

607<br />

Ivi, p. 177.<br />

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