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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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scolastica alla superficialità ed al vuoto” 598 , dopo<strong>di</strong>ché Hegel – e in ciò si vede quanto ancora fosse<br />

decisivo per <strong>Heidegger</strong> quel confronto <strong>di</strong> principio con il suo pensiero, “che ha tolto, risolto e<br />

sublimato in sé tutti i motivi problematici filosofici anteriori” 599 – “viceversa ha risolto l’ontologia<br />

nella logica”, per cui “il problema non farà un passo avanti fintanto che la logica non verrà <strong>di</strong> nuovo<br />

ricondotta all’ontologia, cioè fintanto che non avremo compreso Hegel, (…) vale a <strong>di</strong>re, fino a<br />

quando non avremo oltrepassato il suo pensiero e nel contempo non ce ne saremo appropriati<br />

ra<strong>di</strong>calizzando la sua impostazione problematica” 600 . E con ciò è chiaro – qualora non lo fosse<br />

ancora in base a quanto visto fin qui – che la prospettiva heideggeriana è, ed è sempre stata, quella<br />

“<strong>di</strong> dare una risposta alla domanda sul nesso che lega l’«è» in quanto copula ai problemi<br />

fondamentali dell’ontologia” 601 . Per far questo è necessario tornare brevemente ad Aristotele.<br />

Egli, come noto, si è occupato nel De interpretatione <strong>di</strong> quella peculiare forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso in cui<br />

consiste l’enunciazione, cioè il logos apofantico, definito infatti (De interpretatione, 4, 16 b 26)<br />

“come una fonÔ semantikÔ, —j tÏn merÏn ti semantikón æsti kecwrisménon, come<br />

un’enunciazione per mezzo <strong>di</strong> parole che è in grado <strong>di</strong> significare qualcosa, ma è tale che le varie<br />

parti <strong>di</strong> questa connessione <strong>di</strong> parole, cioè i singoli termini (il concetto <strong>di</strong> soggetto e quello <strong>di</strong><br />

pre<strong>di</strong>cato), <strong>di</strong> per sé significano sempre già qualcosa. Non ogni logos, non ogni <strong>di</strong>scorso è un<br />

<strong>di</strong>scorso che manifesta, anche se ogni <strong>di</strong>scorso è semantikój, cioè ha un significato” 602 , ma solo<br />

quello che può essere vero o falso; e il logos che può essere vero o falso è appunto quello<br />

caratterizzato dalla struttura sintetico-<strong>di</strong>airetica resa possibile dalla copula.<br />

In De interpretatione, 4, 16 b 16-25, Aristotele afferma che nella congiunzione <strong>di</strong> tali elementi<br />

significanti “l’essere non possiede un significato autonomo, ma prosshmaínei, significa<br />

ulteriormente, rinviando al significare ed al pensare provvisto <strong>di</strong> significato <strong>di</strong> ciò che è in relazione<br />

reciproca. L’essere allora esprime qui la relazione stessa. Lo eônai prosshmaínei súnqesín<br />

tina, esprime una certa congiunzione. Anche Kant sostiene che l’essere è un concetto <strong>di</strong><br />

congiunzione” 603 .<br />

598<br />

Ibid.<br />

599<br />

Id., La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, cit., p. 254.<br />

600<br />

Id., I problemi fondamentali della fenomenologia, cit., p. 172.<br />

601<br />

Ibid.<br />

602<br />

Ivi, p. 174; alla luce <strong>di</strong> questo passo, imme<strong>di</strong>atamente successivo ad Essere e Tempo, non ci sembra rilevante,<br />

almeno non fino al punto da vedervi un mutamento nell’interpretazione heideggeriana <strong>di</strong> Aristotele così a breve<br />

termine, la considerazione <strong>di</strong> Volpi secondo la quale “mentre in questo corso [Logica. Il problema della verità] egli<br />

tiene ferma la <strong>di</strong>stinzione aristotelica tra la semanticità del logos in generale e l’apofanticità del logos in quanto<br />

asserzione, al § 7 e soprattutto al § 33 <strong>di</strong> Essere e Tempo egli sottolinea il carattere apofantico del logos in generale, per<br />

fondarlo poi nell’originarietà dell’«in quanto ermeneutico». Il problema dell’apofanticità del logos viene poi ripreso, in<br />

una prospettiva mutata, nel corso del semestre invernale 1929/1930 (cfr. HGA XXIX/XXX, §§ 71-73)”, F. Volpi,<br />

<strong>Heidegger</strong> e Aristotele, cit., p. 83 (nota 15); che l’apofanticità del logos – e, correlativamente, dell’intuizione – non sia<br />

per <strong>Heidegger</strong> l’ultima parola circa il luogo originario della verità, è infatti una convinzione che egli matura, se siamo<br />

riusciti a mostrarlo, ben prima <strong>di</strong> Essere e tempo e dello stesso corso sulla logica.<br />

603<br />

Ivi, p. 175.<br />

154

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