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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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sul fondamento dell’ontologia greca, la quale interpreta l’essere in quanto semplice presenza, cioè a<br />

partire dal modo d’essere <strong>degli</strong> enti sussistenti sottomano (Vorhandene). La trascendenza condensa<br />

in una parola il peculiare modo d’essere dell’ente che non sussiste ma esiste, cioè dell’esserci, e<br />

costituisce la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> possibilità dell’intenzionalità. Bisogna tuttavia <strong>di</strong>stinguere ancora tra<br />

una “trascendenza ontica”, che può essere considerata coincidente con l’intenzionalità, e una<br />

“trascendenza ontologica” sul fondamento della quale solo la prima è possibile, poiché altrimenti<br />

<strong>Heidegger</strong> sembra qui oscillare tra coincidenza e rapporto <strong>di</strong> fondazione tra intenzionalità e<br />

trascendenza, ma su ciò avremo modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re più avanti 587 .<br />

Tornando a Kant, <strong>Heidegger</strong> cerca ora <strong>di</strong> mettere alla prova la propria ipotesi che egli intenda,<br />

sia pure solo inconsapevolmente, il percepire nel senso dell’esser-percepito e, <strong>di</strong> conseguenza,<br />

verificare la sostenibilità dell’identificazione dell’esser-percepito con l’esistenza. Innanzitutto, va<br />

tenuto ben fermo che se l’esser-percepito costituisce un carattere dell’ente percepito, se appartiene<br />

cioè all’intentum, bisogna fissare più precisamente in senso fenomenologico in cosa quest’ultimo<br />

davvero consista.<br />

Sappiamo infatti che a seconda della specifica modalità intenzionale cambia anche il modo<br />

d’essere con cui l’oggetto concreto intenzionato <strong>di</strong> volta in volta si presenta nel suo carattere<br />

d’essere, e abbiamo visto pertanto <strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong>stinguere tre mo<strong>di</strong> principali dell’esser-percepito: la<br />

cosa del mondo circostante, la cosa della natura e la cosalità 588 . Ora, spiega <strong>Heidegger</strong>: “Nel<br />

commercio naturale con un mezzo, ad esempio con un mezzo per lavorare, per misurare, con un<br />

mezzo <strong>di</strong> trasporto, noi compren<strong>di</strong>amo già qualcosa come l’essere-mezzo (Zeughaftigkeit), e<br />

nell’incontro con cose materiali noi già conosciamo in qualche modo il loro essere-cosa<br />

Anfangsgründe der Logik im Ausgang von Leibniz, Frankfurt a.M., 1978, trad. it. <strong>di</strong> G. Moretto, Principi metafisici<br />

della logica, Genova, 1990, p. 156.<br />

587<br />

In questa stessa <strong>di</strong>rezione, ci pare, Rudolf Bernet ha infatti osservato: “there can be no doubt that <strong>Heidegger</strong> always<br />

views the relation between intentionality of the Husserlian sort and his own view of transcendence as a relation of<br />

foundation: intentionality is an ontic comportment of an «ontic transcendence» which has its ontological foundation in<br />

the «originary transcendence» (Urtranszendenz) of being-in-the-world. In intentionality one «<strong>di</strong>scovers» (entdecken) an<br />

entity present at hand (Vorhandenes) the being of which was already «opened» (erschliessen); one appropriates<br />

(Zueignung) «what is already, on account of transcendence, overleapt (übersprungen) and thus <strong>di</strong>sclosed (enthüllt)». A<br />

properly phenomenological understan<strong>di</strong>ng of the relation of foundation requires that the foundation and that which is<br />

founded are given in their belonging together and not as separated. There is no pure transcendence: intentionality is only<br />

one of the ways in which transcendence takes place in or<strong>di</strong>nary life. (…) «Intentionality is the ratio cognoscen<strong>di</strong> of<br />

transcendence. Transcendence is the ratio essen<strong>di</strong> of intentionality in its <strong>di</strong>verse modes». Expressed in more<br />

«<strong>Heidegger</strong>ian» language, this means that the relation between intentionality and transcendence should be grasped<br />

accor<strong>di</strong>ng to a mode of foundation still to be <strong>di</strong>scovered and which <strong>Heidegger</strong> in the same course of 1927 already gives<br />

the name «ontological <strong>di</strong>fference»”, R. Bernet, Husserl and <strong>Heidegger</strong> on Intentionality and Being, cit., pp. 149-150;<br />

sul tema si vedano inoltre, dello stesso autore, il saggio Trascendenza e intenzionalità. <strong>Heidegger</strong> e Husserl sui<br />

prolegomeni a un’ontologia fenomenologica, in «Aut-aut», 223-224 (1988), pp. 145-164, e M. Emerson, <strong>Heidegger</strong>’s<br />

Appropriation of the Concept of Intentionality in Die Grundprobleme der Phänomenologie, in «Research in<br />

Phenomenology», 14 (1984), pp. 176-193.<br />

588<br />

Nei Grundprobleme <strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong>stingue in verità solo più tra la cosa del mondo – che chiama ora anche «cosa<br />

d’uso» o semplicemente «mezzo» – e la cosa naturale o semplicemente «oggetto sussistente», sembrando voler<br />

riassorbire anche la cosalità in questo secondo significato, come suggerisce la designazione del carattere d’essere della<br />

cosa naturale con «essere cosa» o «cosalità» appunto (Dinglichkeit), cfr. M. <strong>Heidegger</strong>, I problemi fondamentali della<br />

fenomenologia, cit., p. 63.<br />

149

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