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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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Ma, come sappiamo dall’analisi fenomenologica dell’allucinazione, che non a caso <strong>Heidegger</strong><br />

riporta anche in questo contesto, la percezione dell’oggetto in carne ed ossa è solo un modo, sia<br />

pure privilegiato, del percepire, e infatti “io posso cogliere qualcosa <strong>di</strong> presunto (vermeintlich)<br />

soltanto se io che lo colgo in generale lo intendo (meine)” 580 .<br />

Ciò significa che la relazione intenzionale non sopraggiunge al soggetto solo nel momento in<br />

cui un oggetto gli si offre effettivamente alla percezione, ma è il soggetto in quanto tale ad essere<br />

orientato intenzionalmente nel senso del <strong>di</strong>rigersi-verso, per cui l’intenzionalità “costituisce quel<br />

carattere apriorico <strong>di</strong> rapporto (apriorische Verhältnischarakter) che è proprio ciò che designiamo<br />

col termine atteggiarsi (Sichverhalten [portarsi])” 581 , o che in<strong>di</strong>ca, come pure <strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong>ce poco<br />

oltre, “il carattere <strong>di</strong> rapporto <strong>di</strong> questo rapporto” 582 .<br />

Un secondo frainten<strong>di</strong>mento, che abbiamo incontrato spesso e che <strong>Heidegger</strong> designa ora<br />

“soggettivazione a rovescio” 583 , si fonda sulla stessa concezione della soggettività che è al fondo<br />

del primo, consistente nel ritenere il soggetto intrappolato nell’interiorità con i suoi vissuti e al<br />

quale si ponga poi in un secondo momento il problema <strong>di</strong> giustificare il suo rapporto all’oggetto, in<br />

una parola il problema della sua trascendenza – modalità, limiti e fondamento della quale<br />

costituiscono il tema <strong>di</strong> tutte le teorie della conoscenza.<br />

Sulla scorta dell’intenzionalità sappiamo invece che tale problema è del tutto destituito <strong>di</strong> senso,<br />

poiché privo <strong>di</strong> senso è chiedersi “per quale via il vissuto intenzionale immanente possa acquistare<br />

un valore trascendente, bensì è necessario vedere che l’intenzionalità è proprio e nient’altro che ciò<br />

in cui consiste la trascendenza” 584 . Come <strong>Heidegger</strong> <strong>di</strong>ce in linguaggio scolastico, “l’intenzionalità<br />

è la ratio cognoscen<strong>di</strong> della trascendenza. La trascendenza è la ratio essen<strong>di</strong> dell’intenzionalità nei<br />

suoi <strong>di</strong>versi aspetti” 585 .<br />

In questo senso, l’analitica esistenziale dell’esserci sarà tutta un grande tentativo <strong>di</strong> porre<br />

rime<strong>di</strong>o al doppio rovesciamento soggettivo-oggettivo che le teorie della conoscenza, in particolar<br />

modo neokantiane 586 , hanno avallato sulla base dell’antropologia cartesiana, a sua volta possibile<br />

580<br />

Ivi, p. 56.<br />

581<br />

Ibid.<br />

582<br />

Ibid.; e ancora: “[l’intenzionalità] appartiene all’essenza <strong>degli</strong> atteggiamenti, <strong>di</strong> modo che parlare <strong>di</strong> «atteggiamento<br />

intenzionale» è già un pleonasmo, paragonabile all’espressione «un triangolo spaziale»”, ibid.<br />

583<br />

Cfr. ivi, p. 59.<br />

584<br />

Ibid.<br />

585<br />

Ivi, p. 60.<br />

586<br />

Sulla scorta <strong>di</strong> tale questione è possibile commisurare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la <strong>di</strong>stanza ormai siderale<br />

guadagnata da <strong>Heidegger</strong> rispetto alla sua stessa prospettiva iniziale, come si vede bene dal passo seguente:<br />

“Recentissimi tentativi concepiscono la relazione soggetto-oggetto come una «relazione ontologica». (…) Per il fatto <strong>di</strong><br />

lasciare in<strong>di</strong>fferenziati l’essere della relazione e il modo <strong>di</strong> essere del soggetto e dell’oggetto si ritiene <strong>di</strong> porre il<br />

problema in una maniera il più possibile priva <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zi. Capita invece il contrario; la precedente versione, non<br />

parlando <strong>di</strong> relazione ontologica, risulta più critica in quanto l’essere vi viene preso come essere-semplicementepresente<br />

– così anche in Nicolai Hartmann e Max Scheler. Questa relazione non è certo un nulla, ma neppure, appunto,<br />

esiste come qualcosa <strong>di</strong> semplicemente presente. Perciò anche Hartmann viene indotto a ricadere nel «realismo critico»<br />

(che è certamente la meno filosofica delle impostazioni <strong>di</strong> questo problema”, M. <strong>Heidegger</strong>, Metaphysische<br />

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