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"ricerche logiche" di Martin Heidegger - FedOA - Università degli ...

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non solo quelli che necessariamente gli appartengono – le qualità primarie, per <strong>di</strong>rla con Cartesio –<br />

ma anche tutti i suoi accidenti – per parlare invece scolastico – ciò implica allora che “ogni<br />

pre<strong>di</strong>cato in fondo è un pre<strong>di</strong>cato reale. Perciò la tesi <strong>di</strong> Kant <strong>di</strong>ce: l’essere non è un pre<strong>di</strong>cato reale,<br />

cioè l’essere, in generale, non è pre<strong>di</strong>cato <strong>di</strong> alcuna cosa” 557 .<br />

Ed è per questo, ancora, che in Kant l’opposto della realtà non è la possibilità, ma piuttosto<br />

“opposta alla realtà è la negazione” 558 come impossibilità dell’attribuzione <strong>di</strong> una determinazione<br />

ad una cosa data. Anche osservando la tavola dei giu<strong>di</strong>zi – dai quali Kant ricava le categorie 559 – si<br />

può notare come la realtà e l’esistenza appartengano a due classi <strong>di</strong> categorie <strong>di</strong>verse, cioè<br />

rispettivamente alle categorie della qualità e della modalità. Ora, in riferimento ad un giu<strong>di</strong>zio, la<br />

qualità in<strong>di</strong>ca se esso afferma o nega un determinato pre<strong>di</strong>cato <strong>di</strong> un soggetto, e dunque se il<br />

giu<strong>di</strong>zio è affermativo o negativo, per cui “la realtà è (…) la forma <strong>di</strong> unità del giu<strong>di</strong>zio affermante,<br />

affermativo, ponente, positivo” 560 . La modalità <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio, invece, in<strong>di</strong>ca “il modo in cui il<br />

soggetto conoscente si pone nei confronti dell’oggetto del giu<strong>di</strong>zio, [pertanto] all’esistenza,<br />

all’effettività, non corrisponde, come accade per la realtà, la negazione, ma per un verso la<br />

possibilità e per l’altro la necessità” 561 .<br />

Con ciò <strong>Heidegger</strong> spazza ulteriormente e definitivamente il campo dalla possibilità <strong>di</strong><br />

confondere in Kant i concetti <strong>di</strong> realtà ed esistenza nel senso dell’effettività. Pertanto, quando nel<br />

suo celebre esempio Kant afferma che “cento talleri possibili” non si <strong>di</strong>fferenziano in nulla da cento<br />

talleri reali quanto alla loro realtà, egli non intende <strong>di</strong>re altro che “il contenuto essenziale del<br />

557<br />

Ivi, p. 32.<br />

558<br />

Ibid.<br />

559<br />

La deduzione kantiana delle categorie dalla tavola dei giu<strong>di</strong>zi costituiva insieme motivo <strong>di</strong> accordo con i neokantiani<br />

– nel criticare la sua insufficienza, in quanto però, per <strong>Heidegger</strong> le categorie traggono la loro origine “dalla sintesi<br />

immaginativa, riferita all’intuizione e cioè al tempo” (cfr. M. <strong>Heidegger</strong>, Interpretazione fenomenologica della Critica<br />

della ragion pura <strong>di</strong> Kant, cit., p. 16) – e <strong>di</strong> critica, a causa della sbrigativa sufficienza con la quale essi, seguendo in<br />

questo Lotze, si sbarazzerebbero del problema: “Di fatto, dopo la critica della tavola kantiana dei giu<strong>di</strong>zi avanzata da<br />

Lotze, è <strong>di</strong>ventato comune imputarle sempre nuove mancanze; se si dovessero raccogliere tutte le obiezioni critiche, <strong>di</strong><br />

essa non resterebbe quasi niente. E proprio il neokantismo fu molto zelante in questo tipo <strong>di</strong> critica. Per farla breve, il<br />

risultato fu: l’origine <strong>di</strong> questa tavola è oscura e aporetica, e dunque lo è anche la derivazione da essa delle categorie.<br />

Questa argomentazione è talmente evidente, da essere pressoché irresistibile a patto, naturalmente, <strong>di</strong> prendere le cose<br />

in modo tanto superficiale, quanto lo sono le argomentazioni <strong>di</strong> questo tipo. (...) Per essere più chiari: se si prende<br />

questa tavola nella sua mera esteriorità, la si affianca a quella delle categorie, la si critica in modo soltanto logicoformale<br />

o in altri mo<strong>di</strong>, per poi rifiutare le categorie da essa dedotte, allora si trascura qualcosa <strong>di</strong> assolutamente<br />

essenziale: questa tavola dei giu<strong>di</strong>zi come tale, presa così isolatamente come un teorema della logica formale, non è<br />

affatto il filo conduttore per svelare l’origine dei concetti puri dell’intelletto”, ivi, pp. 156-157; lo stesso Husserl, del<br />

resto, nel primo volume delle Ideen, aveva sostenuto che “la deduzione trascendentale nella prima e<strong>di</strong>zione della Critica<br />

della tagion pura si muove già sul terreno fenomenologico; ma Kant la fraintende in senso psicologistico e quin<strong>di</strong> la<br />

abbandona” (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., I, p. 153), secondo<br />

una interpretazione <strong>di</strong> Kant dalla quale abbiamo visto prendere le mosse lo stesso <strong>Heidegger</strong>.<br />

560<br />

M. <strong>Heidegger</strong>, I problemi fondamentali della fenomenologia, cit., p. 33.<br />

561<br />

Ibid.; a conferma <strong>di</strong> ciò, <strong>Heidegger</strong> chiarisce ad esempio come, con la definizione <strong>di</strong> Dio in quanto ens realissimum<br />

(allerrealstes Wesen), Kant non “intende un ente effettivamente esistente al sommo grado, ma (…) in<strong>di</strong>ca l’essere che<br />

ha il contenuto essenziale più grande, l’essere a cui non vien meno nessuna realtà positiva, nessuna determinazione<br />

essenziale, ovvero, se vogliamo usare le parole <strong>di</strong> Anselmo <strong>di</strong> Canterbury: «aliquid quo maius cogitari non potest»”,<br />

ibid.<br />

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